Dove siamo:
Vedi sulla carta
S.Messe (settimana)
9:00  18:30

KRZYZ

Dic 29, 2016

1 gennaio 2017 - Maria Santissima Madre di Dio

Con questa domenica iniziamo il nuovo anno accanto a Maria, Madre di Dio. Questa ricorrenza liturgica, strettamente collegata con il titolo mariano di Theotókos, dogma mariano solennemente proclamato dal concilio di Efeso il 22 giugno dell'anno 431, celebra la tematica della Divina Maternità di Maria, ed è la festa più antica in suo onore.

La liturgia odierna, è anche connessa alla celebrazione della pace, il grande dono atteso e annunziato dagli angeli nel cantico della notte di Natale. Questo tema ci viene proposto oggi dalle letture liturgiche in particolare dalla prima lettura, tratta dal Libro dei Numeri, che riporta la formula di benedizione che veniva pronunciata dai sacerdoti sul popolo eletto per attirate la benevolenza di Dio.

Nella seconda lettura, San Paolo, scrivendo ai Galati, svela il piano di Dio che ha voluto che Suo Figlio nascesse da una donna, e sotto la legge, perché tutti diventassimo Suoi figli e vivessimo riconciliati nella libertà e nell’amore.

Il Vangelo di Luca ci parla dei pastori che vanno a Betlemme e rendono omaggio al divino bambino e subito dopo, pieni di gioia, annunciano a tutti il lieto evento.

E’ nel nome di Maria, Madre di Dio e madre degli uomini, che dal 1 gennaio 1968 si celebra in tutto il mondo la “giornata della pace” . La pace, in senso biblico, è il dono messianico per eccellenza, è la salvezza portata da Gesù. La pace è anche un valore umano da realizzare sul piano sociale e politico, ma affonda le sue radici nel mistero di Cristo. E’ stato Lui a dire: Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. “ E’ questo il senso della pace che ognuno di noi deve sentire prima nel proprio cuore per poterla poi augurare agli altri!

Dal libro dei Numeri

Il Signore parlò a Mosè e disse: “Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro:

Ti benedica il Signore e ti custodisca.

Il Signore faccia risplendere per te il suo volto

E ti faccia grazia.

Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace.”

Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò”.

Nm 6,22-27

Il libro dei Numeri, il quarto libro della Bibbia, è stato scritto in ebraico e, secondo molti studiosi, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte. La tradizione ebraica e varie confessioni religiose cristiane, ritengono persino che sarebbe stato scritto da Mosè in persona, ma la maggioranza degli esegeti moderni ritiene che tutto il Pentateuco sia in realtà una raccolta, formatasi in epoca post-esilica, di vari scritti di epoche diverse. “Numeri” è il titolo che l'antica traduzione greca ha dato a questo libro perchè contiene elenchi e censimenti degli Israeliti in cammino verso la "Terra promessa". È composto da 36 capitoli descriventi la storia degli Ebrei durante il loro soggiorno nel deserto del Sinai (circa 1200 a.C.). Infatti molti eventi del Libro avvengono nel deserto, principalmente tra il secondo ed il quarantesimo anno del vagabondare degli Israeliti. I primi 25 capitoli riportano le esperienze della prima generazione d’Israele nel deserto, mentre il resto del libro descrive le esperienze della seconda generazione.

Il brano che abbiamo inizia in questo modo: Il Signore parlò a Mosè e disse: “Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro…

Diversamente da quanto avviene in altri testi in cui la parola o l’ordine è dato a Mosè e ad Aronne insieme, qui Mosè riceve l’incarico di affidare un compito specifico proprio ad Aronne e, per mezzo suo, a tutto l’ordine sacerdotale. La facoltà di benedire il popolo è presentata qui come una prerogativa che compete ai sacerdoti (V. Lv 9,22) e non ai re, come appare in due testi dove sono Davide (V. 2Sam 6,18) e Salomone (1Re 8,14.55-61) a benedire il popolo, o ai leviti (Dt 10,8).

Ancora una volta si fa risalire all’epoca del deserto, con tutta l’autorevolezza della mediazione mosaica una consuetudine dell’epoca in cui è stato composto il libro. È probabile però che la formula di benedizione qui riportata sia antica perché ha avuto un gran rilievo sulla preghiera di Israele (V. Sal 4,7 e 67,2). La benedizione divina riguardo tutto il popolo e ciascuno dei suoi membri.

Nei versetti seguenti si dice: “Ti benedica il Signore e ti custodisca.” La benedizione (berakah) invocata da Dio rappresenta una parola efficace che conferisce benessere e felicità. Come conseguenza della benedizione divina si chiede a Dio di “custodire” Israele. Questo verbo esprime non tanto la protezione del Signore contro un immediato pericolo, ma soprattutto la sua premura per Israele in ogni momento della sua esistenza. La benedizione prosegue con una invocazione: Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia.

Il volto splendente del Signore è un’immagine per indicare il sorriso con cui si rivolge al suo popolo. L'immagine del volto luminoso di Dio è frequente nei salmi anche come invocazione (Sal 31,17; 80,4.8.20; 119,135). Il sorriso del Signore è auspicio di prosperità, di benevolenza e di protezione e la “grazia” consiste appunto nella benevolenza di Dio verso il suo popolo.

La benedizione continua poi con una terza richiesta: “ Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace.”Si riprende qui quanto era già stato espresso nel versetto precedente, con l'auspicio che il volto di Dio resti rivolto verso Israele, segno di attenzione e di benevolenza, perché in caso contrario il popolo cade nella disperazione: La benevolenza e l'attenzione di Dio sono premessa del dono della “pace” (shalôm). Questo termine in ebraico ha un significato molto profondo perchè indica non semplicemente l’assenza di guerra, ma soprattutto la pienezza di vita, cioè quello stato in cui si è liberi dalla necessità, dal male; nelle forme di saluto diventa augurio di una vita serena, equilibrata nella felicità materiale e spirituale.

Il brano termina con queste parole: Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò”. Questa ’espressione vuol dire rendere Dio presente e benevolo in mezzo al popolo. Si comprende perchè questo testo sia stato adottato, nella recente riforma liturgica, come ampliamento (libero) della benedizione del sacerdote nel congedare il popolo dopo la Messa.

Salmo 67 (66) Dio abbia pietà di noi e ci benedica

Dio abbia pietà di noi e ci benedica,

su di noi faccia splendere il suo volto;

perché si conosca sulla terra la tua via,

fra tutte le genti la tua salvezza.

Gioiscano le nazioni e si rallegrino,

perché tu giudichi i popoli con rettitudine,

governi le nazioni sulla terra.

Ti lodino i popoli, Dio,

ti lodino i popoli tutti.

Ci benedica Dio e lo temano

tutti i confini della terra.

Il salmista presenta come Dio abbia benedetto il suo popolo con un raccolto abbondante: “La terra ha dato il suo frutto”. Ma questo non chiude il salmista nell’appagamento dei beni dati dalla terra, poiché egli manifesta, fin dall’inizio del salmo, il desiderio di un ben più alto dono: quello della presenza del Messia. Per tale presenza il popolo sarà rinnovato e si avrà che tutti i popoli giungeranno a conoscere il vero Dio e a lodarlo: “Su di noi faccia splendere il suo volto; perché si conosca sulla terra la tua via, la tua salvezza fra tutte le genti ”. Il salmista conclude il salmo ripresentando il suo desiderio dei tempi messianici: “Ci benedica Dio; il nostro Dio, ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra”. Noi, in Cristo, desideriamo vivamente una terra rinnovata dalla conoscenza di Cristo e dall’azione del suo Spirito, e dobbiamo, nella viva appartenenza alla Chiesa, adoperarci incessantemente per questo.

Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di P.Paolo Berti

Dalla lettera di S.Paolo ai Galati

Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a figli.

E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio il quale che grida: Abbà, Padre!

Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per grazia di Dio.

Gal 4,4-7

Paolo scrive la lettera ai Galati probabilmente da Efeso tra il 54 e il 57 e lo fa per controbattere ad una predicazione fatta da alcuni ebrei cristiani dopo che l'apostolo aveva lasciato la comunità: questi missionari avevano convinto alcuni Galati che l'insegnamento di Paolo era incompleto e che la salvezza richiedeva il rispetto della Legge di Mosè, in particolare della circoncisione. Paolo condanna tale orientamento, proclamando la libertà dei credenti e la salvezza per mezzo della fede.

In questo brano in particolare Paolo delinea la svolta che si è verificata con l’avvento di Cristo. Per l’apostolo è chiaro, che Gesù è fin dall’eternità il “Figlio di Dio”, che è nato non solo “da donna”, assumendo così fino in fondo un’umanità limitata e sofferente, ma anche “sotto la Legge”, al punto tale da portarne in modo unico e drammatico la maledizione (Gal 3,13): la sua vita è stata dunque contrassegnata dalla solidarietà più piena con la situazione di tutta l’umanità. In questo cammino di abbassamento Cristo però non ha mai cessato di essere Figlio, e se egli si è messo sullo stesso piano dell’umanità peccatrice, lo ha fatto, non per adeguarsi ad essa, ma “per riscattare quelli che erano sotto la Legge” cioè per portare a termine, come Dio un giorno aveva fatto con il popolo di Israele schiavo in Egitto, una grande opera di liberazione, i cui destinatari non sono soltanto i giudei, ma anche i pagani. Egli ha potuto raggiungere il suo scopo facendo sì che essi ricevessero l’adozione a figli, cioè diventassero partecipi della sua stessa qualità di Figlio. Il Figlio di Dio ha dunque manifestato pienamente la Sua “potenza” quando, risuscitando dai morti, ha comunicato a tutti gli uomini la Sua filiazione divina (Rm 1,3). Paolo sottolinea poi l’efficacia della missione del Figlio affermando : E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio il quale che grida: Abbà, Padre! La filiazione divina perciò comporta la presenza e l’opera dello Spirito, che viene designato come “Spirito del suo Figlio”, e come tale è stato “mandato” da Dio “nei nostri cuori”.

La filiazione divina dei credenti appare dal fatto che lo Spirito, presente in essi, grida “Abbà, Padre”:

E’ da notare che il termine Abbà era normalmente usato dai bambini palestinesi per rivolgersi al loro papà, mentre i giudei si rivolgevano a Dio con formule più solenni e rispettose, come Abì (Padre mio) o Abinû (Padre nostro). L’iniziativa di pregare Dio con l’appellativo di Abbà è solo di Gesù, quando ha dato ai suoi discepoli il comando di rivolgersi a Dio chiamandolo “Padre nostro”, coinvolgendoli così nel rapporto che Egli, in quanto unico Figlio, ha con il Padre.

Nel versetto finale :Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per grazia di Dio” Paolo afferma che il credente deve prendere atto della sua nuova situazione in cui, ormai libero dal peccato, è divenuto figlio di Dio ed erede delle promesse.

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, i pastori andarono senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.

Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo.

Lc 2,16-21

Questo breve brano tratto dal Vangelo di Luca riprende la seconda parte del racconto della nascita di Gesù, nella quale viene raccontata la visita che i pastori, avvisati dall’angelo, hanno fatto al bambino Gesù. Essi vanno senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.

Maria e Giuseppe vengono così informati pubblicamente di quanto Maria, in segreto, aveva già saputo dall’angelo. I pastori dopo aver parlato con loro informano anche altre persone, le quali restano stupite per le loro parole.

Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.

Solo Maria non parla, ma conserva in se stessa tutte queste cose meditandole nel suo cuore. Maria non si perde in vane parole, ma pone se stessa e tutta la sua vita in sintonia con quanto Dio aveva detto e stava operando nella storia del suo popolo mediante quel bambino che lei stessa aveva generato.

Luca conclude annotando che i pastori, dopo aver visto il bambino e aver riferito il messaggio che avevano udito, se ne tornarono alle loro tende glorificando e lodando Dio, non solo per quello che avevano udito, ma anche per quello che avevano visto di persona, a conferma di quanto era stato detto loro.
La nascita di Gesù avviene nella povertà e nella noncuranza di tutti. Primi a riconoscerlo e a proclamare la sua dignità sono dei semplici pastori che avevano ricevuto un messaggio celeste che li metteva al corrente non solo della nascita di un bambino, ma anche del ruolo che gli è assegnato nel piano di Dio: proprio lui è il Messia atteso dal loro popolo. Essi non si limitano ad ascoltare il messaggio, che potrebbe essere frutto di allucinazione, ma vogliono constatare di persona l’accaduto. Diventano in un certo senso il modello dei missionari cristiani, i quali annunziano eventi che non solo hanno udito da altri, ma di cui hanno fatto diretta esperienza nella loro vita. E’ un fenomeno tipico della missione: i poveri sono i primi destinatari dell’annunzio. Essi infatti sono coloro che veramente capiscono il mistero della salvezza e confermano la fede, a volte vacillante, di quanti lo hanno loro annunziato, e diventano a loro volta i veri missionari del vangelo.

All’inizio dell’anno è bello scambiarsi gli auguri. Rinnoviamo così, gli uni per gli altri, il desiderio che quello che ci attende sia un po’ migliore. È, in fondo, un segno della speranza che ci anima e ci invita a credere nella vita. Sappiamo però che con l’anno nuovo non cambierà tutto, e che tanti problemi di ieri rimarranno anche domani. Allora vorrei rivolgervi un augurio sostenuto da una speranza reale, che traggo dalla Liturgia di oggi.

Sono le parole con cui il Signore stesso chiese di benedire il suo popolo: «Il Signore faccia risplendere per te il suo volto […]. Il Signore rivolga a te il suo volto» (Nm 6,25-26). Anch’io vi auguro questo: che il Signore posi lo sguardo sopra di voi e che possiate gioire, sapendo che ogni giorno il suo volto misericordioso, più radioso del sole, risplende su di voi e non tramonta mai! Scoprire il volto di Dio rende nuova la vita. Perché è un Padre innamorato dell’uomo, che non si stanca mai di ricominciare da capo con noi per rinnovarci. Ma il Signore ha una pazienza con noi! Non si stanca di ricominciare da capo ogni volta che noi cadiamo. Però il Signore non promette cambiamenti magici, Lui non usa la bacchetta magica. Ama cambiare la realtà dal di dentro, con pazienza e amore; chiede di entrare nella nostra vita con delicatezza, come la pioggia nella terra, per poi portare frutto. E sempre ci aspetta e ci guarda con tenerezza. Ogni mattina, al risveglio, possiamo dire: “Oggi il Signore fa risplendere il suo volto su di me”. Bella preghiera, che è una realtà.

La benedizione biblica continua così: «[Il Signore] ti conceda pace» .

Oggi celebriamo la Giornata Mondiale della Pace, il cui tema è: “Vinci l’indifferenza e conquista la pace”. La pace, che Dio Padre desidera seminare nel mondo, deve essere coltivata da noi. Non solo, deve essere anche “conquistata”. Ciò comporta una vera e propria lotta, un combattimento spirituale che ha luogo nel nostro cuore. Perché nemica della pace non è solo la guerra, ma anche l’indifferenza, che fa pensare solo a sé stessi e crea barriere, sospetti, paure e chiusure. E queste cose sono nemiche della pace. Abbiamo, grazie a Dio, tante informazioni; ma a volte siamo così sommersi di notizie che veniamo distratti dalla realtà, dal fratello e dalla sorella che hanno bisogno di noi. Cominciamo in quest’anno ad aprire il cuore, risvegliando l’attenzione al prossimo, a chi è più vicino. Questa è la via per la conquista della pace.

Ci aiuti in questo la Regina della Pace, la Madre di Dio, di cui oggi celebriamo la solennità. Ella «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» Le speranze e le preoccupazioni, la gratitudine e i problemi: tutto quello che accadeva nella vita diventava, nel cuore di Maria, preghiera, dialogo con Dio. E Lei fa così anche per noi: custodisce le gioie e scioglie i nodi della nostra vita, portandoli al Signore.

Affidiamo alla Madre il nuovo anno, perché crescano la pace e la misericordia.

Papa Francesco

Parte dell’Angelus del 1 gennaio 2016

1175

Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

Parrocchia Nostra Signora de La Salette
Piazza Madonna de La Salette 1 - 00152 ROMA
tel. e fax 06-58.20.94.23
e-mail: email
Settore Ovest - Prefettura XXX - Quartiere Gianicolense - 12º Municipio
Titolo presbiterale: Card. Polycarp PENGO
Affidata a: Missionari di Nostra Signora di «La Salette» (M.S.)
 

Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice! Accetta i cookie per chiudere avviso. Per saperne di più riguardo ai cookie utilizzati e a come cancellarli, guarda il regolamento Politica sulla Privacy.

Accetto i cookie da questo sito