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Dic 30, 2017

I Domenica dopo Natale – Anno B – “Festa della Santa Famiglia“ 31 dicembre 2017

Questa domenica, la prima che viene tra il Natale e il primo dell'anno, la Chiesa ci invita a celebrare la festa della santa Famiglia di Nazareth. Dio, per farsi uomo, ha dovuto assumere la nostra natura umana e nascere in una famiglia, ha voluto così avere una madre e un padre come noi.

Nella prima lettura, tratta dal Libro della Genesi, ad Abramo che si lamenta di non avere figli, Dio promette una discendenza numerosa. Abramo, contro ogni logica umana, ha fede nella promessa del Signore, egli avrà una discendenza numerosa come le stelle del cielo: Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.

Nella seconda lettura, l’autore della lettera agli Ebrei, facendo l’elogio della fede dei padri, ricorda Abramo, il padre dei credenti, che si affida a Dio anche nella prova suprema di sacrificare il figlio Isacco, che Dio risparmia. Abramo ha vissuto un’anticipata esperienza di morte e di vita, che l’autore vede come simbolo della morte e risurrezione di Cristo .

Il brano del Vangelo di Luca ci propone la presentazione al tempio e l’incontro con Simeone e la profetessa Anna che indicano in Gesù il Salvatore, la luce per illuminare le genti. Maria riceve da Simeone la rivelazione del destino doloroso a cui va incontro il Figlio per la salvezza dell’umanità.

Dal Libro della Genesi
In quei giorni, fu rivolta ad Abram, in visione, questa parola del Signore: «Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande». Rispose Abram: «Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco». Soggiunse Abram: «Ecco, a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede». Ed ecco, gli fu rivolta questa parola dal Signore: «Non sarà costui il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede».
Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza».
Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.
Il Signore visitò Sara, come aveva detto, e fece a Sara come aveva promesso. Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia, nel tempo che Dio aveva fissato. Abramo chiamò Isacco il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito.
Gen 15,1-6. 21,1-2

Il Libro della Genesi (che significa: "nascita", "creazione", "origine"), è il primo libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana. E’ stato scritto in ebraico, e secondo molti studiosi, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata intorno al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte.
Nei primi 11 dei suoi 50 capitoli, descrive la cosiddetta "preistoria biblica" (creazione, peccato originale, diluvio universale), e nei rimanenti la storia dei patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe-Israele e di Giuseppe, le cui vite si collocano nel vicino oriente (soprattutto in Palestina) del II millennio a.C. (la datazione dei patriarchi, tradizionale ma ipotetica, è attorno al 1800-1700).

Il libro della Genesi è suddiviso in due grandi sezioni. La prima, corrispondente ai capitoli 1-11, comprende il racconto della creazione e la storia del genere umano. La seconda sezione, dal capitolo 12 al capitolo 50, narra la storia del popolo eletto, mediante i racconti sui patriarchi.
In questo brano, tratto dal capitolo 15, Dio si presenta in visione ad Abramo e gli dice: ”Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande”. Abram risponde sfiduciato: “Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco». Al colmo della prova Abram è dunque ormai rassegnato ad adottare come erede, il suo domestico, facendo di lui il depositario delle promesse divine. Ma Dio non è di questo parere e gli dice: “Non sarà costui il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede”.

Poi il Signore conduce Abram all’aperto e gli dice: “Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza »” L’erede sarà dunque un figlio di Abram, e da lui nascerà una discendenza numerosa come le stelle del cielo.

Dio non dà ad Abram nessuna garanzia, se non la Sua parola. Di fronte all’evidenza dei fatti, Abram avrebbe potuto tirarsi indietro, abbandonando ogni speranza di avere un figlio, ma egli si affida a Dio divenendo l’emblema del credere puro e senza incrinature, anche nei momenti più ardui dell’esistenza. Il celebre versetto che è il punto focale di questo brano, “Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.” diverrà infatti la base su cui Paolo costruirà la grande meditazione della Lettera ai Romani.
Alla fine la promessa divina ha la sua attuazione, la fede giunge alla meta della pace e della gioia. E’ all’interno di quella piccola creatura nata da due coniugi molto in là con gli anni, Isacco, che Dio rivela il Suo amore e la Sua fedeltà. La famiglia diventa, quindi, il segno della fede dell’uomo e dell’amore di Dio.

Salmo 104 Il Signore è fedele al suo patto.
Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome,
proclamate fra i popoli le sue opere.
A lui cantate, a lui inneggiate,
meditate tutte le sue meraviglie.

Gloriatevi del suo santo nome:
gioisca il cuore di chi cerca il Signore.
Cercate il Signore e la sua potenza,
ricercate sempre il suo volto.

Ricordate le meraviglie che ha compiuto,
i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca,
voi, stirpe di Abramo, suo servo,
figli di Giacobbe, suo eletto.
Il salmo lo si ritrova pure nel primo libro delle Cronache (18,8-22), ed è fatto risalire a Davide.
Il salmo inizia con un invito a lodare Dio e a proclamarne le opere tra le genti.
Nessun complesso di inferiorità devono avere gli Israeliti di fronte al fasto e alla potenza delle nazioni pagane, poiché essi conoscono il vero Dio e da lui sono stati eletti a suo popolo: “Gloriatevi del suo santo nome”.
“Chi cerca il Signore”, cioè l'intima conoscenza di lui ottenuta con la fede, con l'amore, con l'obbedienza alla sua Parola, non può essere triste: “Gioisca il cuore di che cerca il Signore”.
Il salmo invita così a “cercare” il Signore: “Cercate il Signore e la sua potenza, ricercate sempre il suo volto”. E' un cercare dopo essere stati raggiunti da Dio; è un cercare che nasce dall'aver trovato; ed è un trovare che porta ancora a cercare, all'infinito.
Il salmista invita a ricordare le meraviglie che Dio ha compiuto. E' un ricordare che attiva, promuove la corrispondenza fattiva all'amore di Dio. Dio pure “si è sempre ricordato della sua alleanza...”, cioè vi è fedele, indubitabilmente fedele.
Il salmo procede poi facendo memoria di quanto Dio ha fatto per il suo popolo a partire da Abramo, Isacco e Giacobbe. Gli Israeliti furono liberati dall'Egitto, e Dio “castigò i re per causa loro”, affinché avessero "le terre delle nazioni".
Gli Israeliti sono presentati come “consacrati” (unti), perché eletti da Dio in virtù delle promesse fatte ad Abramo, dell'alleanza del Sinai, e della fede in lui, in attesa del futuro Messia. Essi sono designati come “profeti” (Cf. Gn 20,7), perché depositari delle promesse.
Il salmo non viene recitato nella Liturgia delle Ore, solo perché ripete la grande storia di Israele, già presentata, in sintesi, in altri salmi.
Commento di P.Paolo Berti

Dalla lettera agli Ebrei
Fratelli, per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare.
Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.
Eb 11,8.11-12.17-19 .

Il capitolo 11 della lettera agli Ebrei, inizia con un versetto non riportato da questo brano, che definisce in poche parole che cosa è la fede: La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede.

Con queste parole la fede è presentata come la certezza di ottenere un giorno quelle realtà che, proprio perché non si vedono, sono oggetto di speranza. L’autore intende qui affermare che il credente è colui che non si ferma alle realtà visibili e materiali, ma si orienta con piena fiducia verso beni futuri (trascendenti), non ancora visibili ma testimoniati dalla parola di Dio e quindi sicuramente godibili.

Dopo aver dato la sua definizione della fede, l’autore soggiunge “Per mezzo di questa fede gli antichi ricevettero buona testimonianza”. Con queste parole egli lascia intendere che non farà un discorso astratto sulla natura della fede, ma presenterà esempi concreti per guidare i suoi lettori nel loro cammino di fede. Nella rassegna dei testimoni della fede (che il brano liturgico tralascia) sono ricordati alcuni personaggi come: Abele, Enoc e Noè, esistiti prima che il popolo ebraico apparisse alla ribalta della storia.
Dopo i personaggi della storia primordiale, l’autore presenta: Abramo che per fede, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.

Questa prima fase, in cui predomina la tensione tra quello che è posseduto a quello che non lo è ancora, tra quello che si vede e quello che non si vede, si concretizza la promessa divina..
La seconda fase si svolge attorno al tema della “discendenza” oggetto della seconda promessa fatta da Dio ad Abramo. : Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Anche qui è sottolineato il contrasto tra la sterilità di Sara e la potenza di generare che è superato grazie alla “fede”, che spinge a far affidamento sulla potenza e fedeltà di Dio.
Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare.

Il terzo momento, quello della prova manifesta al massimo la forza della fede.
Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.
La crisi viene superata da Abramo, il quale si fida della “potenza” di Dio, sapendo che è capace anche di risuscitare i morti: perciò riottene il figlio come un “simbolo” cioè come caparra della pienezza futura.

L’esperienza di Abramo mostra chiaramente che la fede, vissuta come apertura a un futuro che Dio promette, consiste in un rapporto personale con Lui, in forza del quale è possibile superare la fragilità e la miseria di una vita segnata inesorabilmente dalla morte.
È così che Abramo. proprio per aver accettato per fede la morte del figlio, ottiene una specie di risurrezione anticipata, che troverà compimento nella risurrezione di Cristo e di coloro che crederanno in Lui. La fede dei patriarchi è quindi solo una prefigurazione della fede di cui godono i credenti in Cristo.

Dal Vangelo secondo Luca
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, (Maria e Giuseppe) portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.

Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
Lc 2,22-40

E’ solo l’evangelista Luca, a narrarci l’infanzia di Gesù, anzi la sua narrazione parte dalle annunciazioni prima a Zaccaria (Lc 1,9-25) e a Maria (1,26-38), poi descrive le nascite, prima quella di Giovanni Battista (1,57-80), poi quella di Gesù. In questo brano riporta il compimento dei riti, l’intervento di Simeone, e la profezia di Anna.
Giuseppe e Maria si recano a Gerusalemme con Gesù bambino allo scopo di compiere il rito della purificazione della puerpera e quello del riscatto dei primogeniti. Nel mondo giudaico si riteneva che il parto fosse causa per la donna di impurità rituale, che durava 40 giorni dopo la nascita di un figlio e 80 dopo quella di una figlia. Dopo questo periodo la donna doveva sottoporsi a un rito di purificazione. Luca dunque racconta che, quando venne il tempo della “loro purificazione”, Maria e Giuseppe portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore: questa prassi è poi spiegata con la citazione di Es 13,2 e di Lv 12,8.

Luca presenta anzitutto Simeone: uomo giusto e pio, cioè un uomo che praticava i valori religiosi più alti del giudaismo; inoltre egli attendeva “la consolazione di Israele” tema particolarmente caro al Deutero-Isaia, il quale annunzia ai giudei esuli in Babilonia il ritorno nella terra promessa come una grande consolazione che segna l’inaugurazione dell’era messianica (Is 40,1; 52,9). Infine Luca aggiunge che lo Spirito santo si era manifestato a lui, promettendogli che non sarebbe morto senza aver prima visto il “Cristo del Signore”,
Mosso dallo Spirito santo, questo vecchio giunge al tempio nel momento stesso in cui vi arrivano i genitori di Gesù per adempiere la legge. Il vecchio prende il bambino sulle sue braccia e, convinto di avere ottenuto la realizzazione di tutte le sue speranze, esprime tutta la sua riconoscenza e la sua lode a Dio recitando un cantico, conosciuto anche come il”Nunc dimittis “: “Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele”

I genitori di Gesù si stupiscono per le sue parole; Simeone benedice anche loro e poi, rivolgendosi a Maria, preannunzia qualcosa che riguarda anzitutto il bambino ma di riflesso anche lei. Di Gesù egli afferma che è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele. Con queste parole la persona di Gesù viene presentata come causa di una dolorosa spaccatura all’interno del popolo, provocando per gli uni la rovina e per gli altri una nuova vita. Simeone aggiunge anche che Gesù sarà “segno di contraddizione”. Ciò vuole dire che la persona di Gesù creerà in Israele una accesa contestazione, di cui egli stesso sarà vittima, e costringerà ciascuno a mettere a nudo se stesso e a fare scelte che condizioneranno in modo determinante, non solo il suo destino personale ma anche quello di tutto il popolo.
A Maria Simeone dice anche : a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori”. Queste parole indicano che la lacerazione prodotta da Gesù avrà ripercussioni profonde anche su di lei come madre.

Dopo Simeone viene la profetessa Anna e Luca la presenta come una donna molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Anche Anna riconosce il Messia e ne parla a quei gruppi di persone che aspettavano la liberazione del loro popolo dai suoi nemici.
Luca non dice chi siano questi gruppi di persone, per lui è importante sottolineare come siano stati due, non solo un uomo ma anche una donna, i testimoni che, in rispetto alla prescrizione della legge (Dt 19,15), hanno attestato la venuta della salvezza.

Luca, coglie sempre l’occasione per presentare figure femminili, e anche questa volta si compiace di ricordare la breve testimonianza di Anna.
Il racconto termina con due versetti in cui si riporta che, dopo aver adempiuto la legge, la famiglia di Gesù è ritornata a Nazareth. Luca prende lo spunto da ciò per dire qualcosa circa la crescita di Gesù: “Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui”. La “sapienza”, radicale atteggiamento di apertura verso il prossimo, e la “grazia”, presenza viva e benefica di Dio, sono due lineamenti del ritratto “superiore” di Gesù, che ritroveremo nella scena successiva del tempio e dei dottori. Gesù Bambino è già la pienezza della maturità umana e religiosa e il centro dell’effusione piena dell’amore di Dio.

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Gesù, Maria e Giuseppe

a voi, Santa Famiglia di Nazareth,
oggi, volgiamo lo sguardo con ammirazione e confidenza;
in voi contempliamola bellezza della comunione nell'amore vero;
a voi raccomandiamo tutte le nostre famiglie,
perché si rinnovino in esse le meraviglie della grazia.
Santa Famiglia di Nazareth,scuola attraente del santo Vangelo:
insegnaci a imitare le tue virtù con una saggia disciplina spirituale,
donaci lo sguardo limpido che sa riconoscere l'opera della Provvidenza
nelle realtà quotidiane della vita.
Santa Famiglia di Nazareth, custode fedele del mistero della salvezza:
fa' rinascere in noi la stima del silenzio,
rendi le nostre famiglie cenacoli di preghiera e trasformale in piccole Chiese domestiche,
rinnova il desiderio della santità, sostieni la nobile fatica del lavoro, dell'educazione,
dell'ascolto, della reciproca comprensione e del perdono.
Santa Famiglia di Nazareth, ridesta nella nostra società la consapevolezza
del carattere sacro e inviolabile della famiglia, bene inestimabile e insostituibile.
Ogni famiglia sia dimora accogliente di bontà e di pace
per i bambini e per gli anziani, per chi è malato e solo,
per chi è povero e bisognoso.
Gesù, Maria e Giuseppe
voi con fiducia preghiamo, a voi con gioia ci affidiamo.

Preghiera di Papa Francesco per il Sinodo sulla Famiglia (27 ottobre 2013)

In questa prima domenica dopo Natale, mentre siamo ancora immersi nel clima gioioso della festa, la Chiesa ci invita a contemplare la Santa Famiglia di Nazareth. Il Vangelo oggi ci presenta la Madonna e san Giuseppe nel momento in cui, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, si recano al tempio di Gerusalemme. Lo fanno in religiosa obbedienza alla Legge di Mosè, che prescrive di offrire al Signore il primogenito.
Possiamo immaginare questa piccola famigliola, in mezzo a tanta gente, nei grandi cortili del tempio. Non risalta all’occhio, non si distingue … Eppure non passa inosservata! Due anziani, Simeone e Anna, mossi dallo Spirito Santo, si avvicinano e si mettono a lodare Dio per quel Bambino, nel quale riconoscono il Messia, luce delle genti e salvezza d’Israele.
È un momento semplice ma ricco di profezia: l’incontro tra due giovani sposi pieni di gioia e di fede per le grazie del Signore; e due anziani anch’essi pieni di gioia e di fede per l’azione dello Spirito. Chi li fa incontrare? Gesù. Gesù li fa incontrare: i giovani e gli anziani. Gesù è Colui che avvicina le generazioni. E’ la fonte di quell’amore che unisce le famiglie e le persone, vincendo ogni diffidenza, ogni isolamento, ogni lontananza. Questo ci fa pensare anche ai nonni: quanto è importante la loro presenza, la presenza dei nonni! Quanto è prezioso il loro ruolo nelle famiglie e nella società! Il buon rapporto tra i giovani e gli anziani è decisivo per il cammino della comunità civile ed ecclesiale. …
Il messaggio che proviene dalla Santa Famiglia è anzitutto un messaggio di fede. Nella vita familiare di Maria e Giuseppe Dio è veramente al centro, e lo è nella Persona di Gesù. Per questo la Famiglia di Nazareth è santa. Perché? Perché è centrata su Gesù.

Quando genitori e figli respirano insieme questo clima di fede, possiedono un’energia che permette loro di affrontare prove anche difficili, come mostra l’esperienza della Santa Famiglia, ad esempio nell’evento drammatico della fuga in Egitto: una dura prova.
Il Bambino Gesù con sua Madre Maria e con san Giuseppe sono un’icona familiare semplice ma tanto luminosa. La luce che essa irradia è luce di misericordia e di salvezza per il mondo intero, luce di verità per ogni uomo, per la famiglia umana e per le singole famiglie. Questa luce che viene dalla Santa Famiglia ci incoraggia ad offrire calore umano in quelle situazioni familiari in cui, per vari motivi, manca la pace, manca l’armonia, manca il perdono. La nostra concreta solidarietà non venga meno specialmente nei confronti delle famiglie che stanno vivendo situazioni più difficili per le malattie, la mancanza di lavoro, le discriminazioni, la necessità di emigrare…
Affidiamo a Maria, Regina e madre della famiglia, tutte le famiglie del mondo, affinché possano vivere nella fede, nella concordia, nell’aiuto reciproco, e per questo invoco su di esse la materna protezione di Colei che fu madre e figlia del suo Figlio.
Papa Francesco
Parte dell’Angelus del 28 dicembre 2014

 

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L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

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