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Giu 14, 2019

Domenica della Santissima Trinità - Anno C - 16 giugno 2019

Con le letture che la liturgia di questa 1^ domenica dopo Pentecoste ci presenta, noi cristiani contempliamo Dio nella Sua realtà più profonda e più intima: Dio è Padre creatore, Dio è Figlio redentore e Dio è Spirito Santo amore. Le tre Divine Persone ci permettono di vivere nella fede, nella speranza e nell’amore
Nella prima lettura, tratta dal libro dei Proverbi, possiamo renderci conto che già nell’Antico Testamento viene adombrato il mistero della Trinità santissima, dove la Sapienza di Dio è descritta accanto a Lui, come una persona, nel momento della creazione.
Nella seconda lettura, S.Paolo nella sua lettera ai Romani, ci ricorda che con il battesimo i cristiani fanno esperienza di essere figli adottivi di Dio. Possono conoscere così l’amore del Padre, la grazia del Figlio e la comunione dello Spirito Santo.
Nel Vangelo di Giovanni, troviamo ancora un’altra parte finale del lungo discorso di addio rivolto da Gesù ai Suoi discepoli durante l'ultima cena. Gesù in quella notte pronunzia per cinque volte una promessa dal contenuto costante: il dono dello Spirito Santo. Nella promessa che Gesù fa, emerge ancora una volta la relazione che intercorre tra lo Spirito Santo, il Padre e il Figlio.
La solennità della Santissima Trinità, celebrata già dal VI secolo e diffusasi all’inizio del secondo millennio, traduce in canti e preghiere il Simbolo della fede formulato nei concili di Nicea (325) e di Costantinopoli (381). Essa proclama che il Dio che a noi si è rivelato è uno, ma non è solo. E’ comunità d’amore: Padre, principio di tutte le cose, Figlio, rivelatore del Padre e artefice della redenzione del mondo, Spirito Santo, perfezionatore della Sua opera e santificatore, uniti nello stesso amore e nello stesso progetto di salvezza. Di questo Dio in Tre persone l’uomo porta l’immagine, per questo realizza se stesso nella relazione di amore

Dal libro dei Proverbi
Così parla la Sapienza di Dio
22 «Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività,
prima di ogni sua opera, all'origine.
23 Dall'eternità sono stata formata,
fin dal principio, dagli inizi della terra.
24 Quando non esistevano gli abissi, io fui generata,
quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d’acqua;
25 prima che fossero fissate le basi dei monti,
prima delle colline, io fui generata,
26 quando ancora non aveva fatto la terra e i campi
né le prime zolle del mondo.
27 Quando egli fissava i cieli, io ero là;
quando tracciava un cerchio sull'abisso,
28 quando condensava le nubi in alto,
quando fissava le sorgenti dell'abisso,
29 quando stabiliva al mare i suoi limiti,
così che le acque non ne oltrepassassero i confini,
quando disponeva le fondamenta della terra,
30 io ero con lui come artefice
ed ero la sua delizia ogni giorno:
giocavo davanti a lui in ogni istante,
31 giocavo sul globo terrestre,
ponendo le mie delizie tra i figli dell'uomo».
Pr 8,22.31

Il Libro dei Proverbi è un testo contenuto nella Bibbia ebraica e cristiana. È stato scritto in ebraico, e secondo l'ipotesi condivisa da molti studiosi, la redazione definitiva del libro è avvenuta in Giudea nel V secolo a.C., raccogliendo testi composti da autori ignoti lungo i secoli precedenti fino al periodo monarchico (XI-X secolo a.C.). È composto da 31 capitoli contenenti vari proverbi e detti sapienziali. L'insegnamento contenuto, indica le regole da seguire per attuare un comportamento che non arreca problemi a chi le applica e a lungo andare lo rende felice nella vita.
Il brano che abbiamo fa parte della raccolta iniziale del libro e le massime sono poste sulla bocca del maestro, che si rivolge ai suoi alunni chiamandoli con l'appellativo di figli e dà loro le istruzioni per una vita saggia. La raccolta si divide in quattro parti. Nella prima parte(8,1-11) si presenta la sapienza, che scende in campo invitando tutti i “figli dell’uomo” ad ascoltarla per diventare assennati. Nella seconda (8,12-21) la sapienza pronunzia un ampio elogio delle proprie doti e capacità. Essa possiede prudenza, scienza e riflessione, detesta superbia, arroganza, cattiva condotta e bocca perversa; a lei appartiene il consiglio e il buon senso, l’intelligenza e la potenza.
Nella terza parte, che ci propone la liturgia, la sapienza continua il suo discorso descrivendo la sua origine e i suoi rapporti con Dio. Questo brano è composto di quattro strofe di cui le prime due descrivono l’origine della sapienza, la terza mette in luce la sua partecipazione alla creazione e l’ultima indica i suoi rapporti con l’umanità.
Nella prima strofa la Sapienza afferma: “Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera”, ed afferma di essere stata “formata, fin dal principio, dagli inizi della terra”.
Nella seconda strofa la Sapienza riafferma la propria anteriorità rispetto alle opere create da Dio, ed elenca cinque realtà che ancora non esistevano quando ha avuto origine: le prime due sono introdotte dalla preposizione “quando non”, le altre due da “prima che” e l’ultima nuovamente da “quando non”. Si tratta degli abissi, delle “sorgenti cariche d’acqua”, delle “basi dei monti,” delle “colline” e infine della “terra e i campi”, e “le prime zolle del mondo”.
Nella terza strofa la sapienza descrive l’opera della creazione in sei interventi: “Quando egli fissava i cieli, io ero là; quando tracciava un cerchio sull'abisso, quando condensava le nubi in alto, quando fissava le sorgenti dell'abisso, quando stabiliva al mare i suoi limiti, così che le acque non ne oltrepassassero i confini, quando disponeva le fondamenta della terra, io ero con lui come artefice ed ero la sua delizia ogni giorno”
Nella Genesi è scritto che Dio ha fissato i cieli e ha tracciato un cerchio sull’abisso, ha condensato le nubi in alto e ha fissato le sorgenti dell’abisso (Gen 1,6-8), ha stabilito al mare i suoi limiti perché le acque non ne oltrepassassero la spiaggia e ha disposto le fondamenta della terra (Gen 1, 9-10). Mentre Dio portava a termine queste Sue opere la Sapienza afferma “io ero là”, era “con Lui come artefice”.
Sebbene il primo significato fa pensare al Libro della Sapienza (Sap 7,21), qui sembra invece che la Sapienza abbia partecipato alla creazione come un bambino che assiste al lavoro del padre: ciò che viene messo in risalto è dunque la presenza costante della sapienza accanto a Dio durante tutte le fasi della creazione. In questo ruolo la sapienza rappresenta per Dio una “delizia”.
Nella quarta strofa la sapienza delinea la sua opera nei confronti di Dio, della terra e dell’umanità. “giocavo davanti a lui in ogni istante, giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell'uomo”. La Sapienza gioca davanti a Dio! Sembra che svolga come un servizio liturgico alla Sua presenza, ma al tempo stesso gioca sul globo terrestre e pone la sua delizia tra i figli dell’uomo, cioè trova gioia nello stare con l’umanità.
Come impressione finale si può dire che la Sapienza di Dio è dipinta con una vera e propria cascata di immagini cosmiche che rappresentano l’armonia del progetto divino. Ma la raffigurazione più originale è quella finale in cui la Sapienza è rappresentata mentre danza con i figli dell’uomo: “giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell'uomo.” Possiamo intuire che per Dio creare è una festa, è gioia. E l’uomo che sa scoprire il mistero dell’essere può partecipare a questa armonia e a questa felicità divina.

Salmo 8/9 - O Signore nostro Dio, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!
Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è mai l'uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell'uomo, perché te ne curi?

Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è mai l'uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell'uomo, perché te ne curi?

Tutte le greggi e gli armenti
e anche le bestie della campagna,
gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
ogni essere che percorre le vie dei mari.

L’orante esprime il suo stupore verso Dio. Ogni cosa sulla terra manifesta la sua potenza e grandezza - “il suo nome” -. Egli è tanto potente che può abbattere i suoi avversari anche solo con la bocca dei bimbi e dei lattanti, proclamanti la sua maestà, che gli empi vorrebbero oscurare.
Lo spettacolo della volta stellata fa sentire l’orante piccolo, poca cosa, e quindi realtà trascurabile da Dio, ma non è affatto così. L’uomo - afferma l’orante – è fatto poco meno degli angeli, capace di dominio sulle cose create da Dio. Gli angeli sono puri spiriti e come tali hanno una natura superiore a quella dell’uomo, che apprende le cose in concomitanza con i sensi, mentre l’angelo è semplice intellezione. Tuttavia gli angeli non procreano, collaboratori di Dio, una carne, che è animata da un’anima creata all’istante da Dio per la formazione di un nuovo uomo o di una nuova donna. Poi nessun angelo ha una carne contro la quale lottare, e con la quale giungere a testimoniare il suo amore a Dio fino a sacrificare la vita.
L’orante termina il salmo con le stesse parole di stupore con il quale l’aveva cominciato.
Commento di P.Paolo Berti

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l'accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio.
E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza.
La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
Rm 5,1-5

Questo brano è tratto dalla prima parte della lettera ai Romani, quella che gli esperti definiscono "dogmatica" . Nei capitoli 1-4 Paolo aveva parlato della giustificazione dei peccatori e a partire dal capitolo 5, fino al cap. 11 analizza come il cristiano giustificato trova nell’amore di Dio e nel dono dello Spirito la garanzia della salvezza. Questo brano è stato scelto per la solennità di oggi poiché vi è descritta la vita del cristiano in una prospettiva trinitaria.
“Giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo”.
Nei capitoli precedenti Paolo aveva spiegato che la fede rende giusti. Se nell'Antico Testamento la giustizia derivava dall'osservanza della Legge e dalla realizzazione delle opere da essa richieste, ora la vera giustizia dipende dalla fede per cui giusto è colui che si affida al Signore. La prima conseguenza per chi è stato giustificato è vivere in pace. Ciò non significa tranquillità e serenità d'animo, bensì un rapporto positivo con Dio, fonte di salvezza,. E' una situazione di grazia che abbiamo ottenuto grazie all'intervento di Cristo.
“Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l'accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio”.
La pace è dunque uno stato di grazia a cui si può accedere mediante la fede. La seconda caratteristica della vita del giustificato è la speranza, cioè l'apertura a un futuro esaltante di persone trasfigurate dalla gloriosa azione divina. E' solo un piccolo accenno che verrà sviluppato nei capitoli seguenti.
“E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza”.
Paolo sa bene che anche a Roma i cristiani subivano spesso persecuzioni. Però il credente se si vanta della speranza che lo attende, può vantarsi anche nelle tribolazioni che può affrontare solo se resta saldo nella fede. La tribolazione volontariamente accettata produce infatti la “pazienza”, cioè la capacità di resistere coraggiosamente alle prove dolorose della vita; questa pazienza si trasforma in una “virtù provata” e da questa virtù provata, o meglio in sintonia con essa, si sviluppa una “speranza” ancora più forte.
“La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”.
Paolo non vuole illudere i suoi interlocutori. Il credente non lotta contro i mulini a vento. Non compie una battaglia inutile, perché la speranza non può deludere perché non si limita a provocare l’attesa delle realtà future, ma ne dà un’esperienza anticipata mediante la capacità di amare che lo Spirito santo “riversa” nei nostri cuori.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.
Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
Gv16,12-15

Anche questo brano del Vangelo di Giovanni è tratto dalla seconda parte del discorso di addio che l'evangelista pone sulla bocca di Gesù durante l'ultima cena, poco prima del suo arresto.
Il discorso cerca di dare risposta ad una situazione precaria che la comunità subì per l’espulsione dalla comunità ebraica. 1
La comunità giudeo-cristiana frequentava infatti il Tempio e le sinagoghe Gli ebrei non avevano accolto la predicazione dei primi cristiani, che si sentivano perciò discriminati. Pur non perdendo la fede nel messaggio di Gesù e nella risurrezione dei morti, la comunità era rimasta delusa dal loro fragile impatto sul mondo circostante.
L'evangelista Giovanni allo scopo di dare nuova fiducia a questa comunità, evidenzia la nuova situazione di Gesù: Egli è tornato al Padre, è glorificato e ricolma i suoi con il dono dello Spirito santo
“Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso”.
Gesù ha fatto conoscere ai discepoli tutto ciò che ha udito dal Padre, ma, perché ne abbiano una comprensione più profonda, deve intervenire lo Spirito.
“Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future”.
Lo Spirito Santo è l'interprete di Gesù, l'era dello Spirito è quella in cui il passato si illumina attraverso il presente.
Non solo ma il Paraclito permetterà di parlare del Figlio glorificato, comunicherà ciò che gli appartiene nella sua perfetta comunione con il Padre. Le tre azioni dello Spirito Santo sono:
- guidare: Egli guiderà i discepoli verso la verità.
- parlare: per guidare alla verità, lo Spirito deve parlare, o meglio esprimere ciò che ha udito dal Figlio. Lo Spirito ascolterà da Gesù come Gesù stesso ascoltava dal padre. La sua parola non risuona alle orecchie come faceva la parola di Gesù ma raggiunge il cuore.
- comunicare: se lo Spirito parla, dice ciò che ascolta dal Figlio è per comunicarlo. Annuncia, rivela una cosa sconosciuta, la ripete nuovamente. Lo Spirito sarà dunque l'espressione di Gesù stesso.
“Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà”.
Lo Spirito Santo non riceve tanto parole di rivelazione per ripeterle agli altri, ma ciò che prende è qualcosa di prezioso perchè lo attinge dal patrimonio di Gesù.
Rivelando questo tesoro inesauribile Egli glorificherà il Figlio, la cui missione aveva come scopo la partecipazione dei discepoli alla vita eterna già da questa terra.
“Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà”
Quello che possiede il Figlio però viene dal Padre. L'annuncio dello Spirito Santo porta alla comprensione del mistero, ma anche e soprattutto alla vita che è nel Padre e nel Figlio, verso la gloria donata da tutta l'eternità al Figlio, verso l'amore che è Dio.
Gesù comunica anche a noi oggi quella vita e quella verità, ma il mistero infinito di Dio esige per le nostre menti limitate una rivelazione che si dilati nel tempo e nello spazio.
Questa è la missione dello Spirito donato alla Chiesa dal Cristo risorto: “Egli ci guiderà alla verità tutta intera”, illuminando in pienezza la ricchezza divina che Gesù ci ha portato.
Il Vangelo quindi è trinitario nel suo stesso comunicarsi perchè ha la sua origine nel Padre, è proclamato dal Figlio ed è interpretato in pienezza dallo Spirito.

 

*****

 

“Oggi, festa della Santissima Trinità, il Vangelo di san Giovanni ci presenta un brano del lungo discorso di addio, pronunciato da Gesù poco prima della sua passione. In questo discorso Egli spiega ai discepoli le verità più profonde che lo riguardano; e così viene delineato il rapporto tra Gesù, il Padre e lo Spirito.
Gesù sa di essere vicino alla realizzazione del disegno del Padre, che si compirà con la sua morte e risurrezione; per questo vuole assicurare ai suoi che non li abbandonerà, perché la sua missione sarà prolungata dallo Spirito Santo. Ci sarà lo Spirito a prolungare la missione di Gesù, cioè a guidare la Chiesa avanti.
Gesù rivela in che cosa consiste questa missione. Anzitutto lo Spirito ci guida a capire le molte cose che Gesù stesso ha ancora da dire. Non si tratta di dottrine nuove o speciali, ma di una piena comprensione di tutto ciò che il Figlio ha udito dal Padre e che ha fatto conoscere ai discepoli . Lo Spirito ci guida nelle nuove situazioni esistenziali con uno sguardo rivolto a Gesù e, al tempo stesso, aperto agli eventi e al futuro. Egli ci aiuta a camminare nella storia saldamente radicati nel Vangelo e anche con dinamica fedeltà alle nostre tradizioni e consuetudini.
Ma il mistero della Trinità ci parla anche di noi, del nostro rapporto con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Infatti, mediante il Battesimo, lo Spirito Santo ci ha inseriti nel cuore e nella vita stessa di Dio, che è comunione di amore.
Dio è una “famiglia” di tre Persone che si amano così tanto da formare una sola cosa. Questa “famiglia divina” non è chiusa in sé stessa, ma è aperta, si comunica nella creazione e nella storia ed è entrata nel mondo degli uomini per chiamare tutti a farne parte. L’orizzonte trinitario di comunione ci avvolge tutti e ci stimola a vivere nell’amore e nella condivisione fraterna, certi che là dove c’è amore, c’è Dio.
Il nostro essere creati ad immagine e somiglianza di Dio-comunione ci chiama a comprendere noi stessi come esseri-in-relazione e a vivere i rapporti interpersonali nella solidarietà e nell’amore vicendevole.
Tali relazioni si giocano, anzitutto, nell’ambito delle nostre comunità ecclesiali, perché sia sempre più evidente l’immagine della Chiesa icona della Trinità. Ma si giocano in ogni altro rapporto sociale, dalla famiglia alle amicizie all’ambiente di lavoro: sono occasioni concrete che ci vengono offerte per costruire relazioni sempre più umanamente ricche, capaci di rispetto reciproco e di amore disinteressato.
La festa della Santissima Trinità ci invita ad impegnarci negli avvenimenti quotidiani per essere lievito di comunione, di consolazione e di misericordia. In questa missione, siamo sostenuti dalla forza che lo Spirito Santo ci dona: essa cura la carne dell’umanità ferita dall’ingiustizia, dalla sopraffazione, dall’odio e dall’avidità.
La Vergine Maria, nella sua umiltà, ha accolto la volontà del Padre e ha concepito il Figlio per opera dello Spirito Santo. Ci aiuti Lei, specchio della Trinità, a rafforzare la nostra fede nel Mistero trinitario e ad incarnarla con scelte e atteggiamenti di amore e di unità.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 22 maggio 2016

 

1 * Era stata pronunciata su di loro infatti la “Birkat Ha Minim”, che se appare come benedizione nella liturgia sinagogale in realtà aveva un significato diverso espresso in queste parole:: "Che per gli apostati non ci sia speranza; sradica prontamente ai nostri giorni il regno dell'orgoglio; e periscano in un istante i nozrim e i minim; siano cancellati dal libro dei viventi e con i giusti non siano iscritti. Benedetto sei tu che pieghi i superbi.” Come si può notare, accanto ai minim (eretici o dissidenti) si impreca contro i nozrim, i nazareni, cioè i seguaci di Gesù di Nazareth, a cui venne appioppata la scomunica poiché, pur pretendendo di rimanere dentro la sinagoga, la dividevano nella fede, proteggevano i "gentili", soprattutto i romani, e distruggevano il principio dogmatico della habdàlàh ossia la separazione tra circoncisi e non.

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