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Feb 6, 2016

V Domenica – Anno C – Pescatori di uomini - 7 febbraio 2016


Le letture liturgiche di questa domenica portano alla nostra attenzione due racconti di vocazione: l’una profetica, l’altra apostolica, ma entrambe frutto dell’irruzione di Dio nella vita dell’uomo.
Nella prima lettura, Isaia, nello scenario grandioso del Tempio di Gerusalemme, riceve la rivelazione della grandezza di Dio e accetta l’invito di diventare Suo profeta.

Nella seconda lettura, nella sua lettera ai Corinzi Paolo espone una delle prime formulazioni della fede cristiana, la preghiera del “Credo”, usato nelle prime assemblee durante la celebrazione della “Cena del Signore”.

Nel brano del Vangelo, Luca racconta che dopo la pesca miracolosa, Pietro riconosce in Gesù il Messia e la propria condizione di peccatore. Gesù lo rincuora e lo chiama al suo seguito dicendogli: “Non temere, d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Luca, solo, tra tutti gli evangelisti, alla fine nota: “lasciarono tutto”. Queste due parole riassumono la risposta che quei semplici pescatori hanno dato alla chiamata di Dio.

A. Stagnaro riporto il sito della parrocchia in cui opero.

Parrocchia N.S.de La Salette
www.lasaletteroma.it
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Dal libro del profeta Isaia
Nell’anno in cui morì il re Ozìa, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali. Proclamavano l’uno all’altro, dicendo:
«Santo, santo, santo il Signore degli eserciti!
Tutta la terra è piena della sua gloria».
Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi:
«Ohimè! Io sono perduto,
perché un uomo dalle labbra impure io sono
e in mezzo a un popolo
dalle labbra impure io abito;
eppure i miei occhi hanno visto
il re, il Signore degli eserciti».
Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse:
«Ecco, questo ha toccato le tue labbra,
perciò è scomparsa la tua colpa
e il tuo peccato è espiato».
Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!».
Is 6,1-2a 3-8

Il profeta Isaia ( Primo Isaia autore dei capitoli 1-39) iniziò la sua opera pubblica verso la fine del regno di Ozia, re di Giuda, attorno al 740 a.C, quando l'intera regione siro-palestinese era minacciata dall'espansionismo assiro. Isaia fu anche uno degli ispiratori della grande riforma religiosa avviata dal re Ezechia (715-687 a.C) che mise al bando le usanze idolatre e animiste che gli ebrei avevano adottato imitando i popoli vicini. Isaia si scagliò così contro i sacrifici umani (prevalentemente di bambini o ragazzi), i simboli sessuali, gli idoli di ogni forma e materiale. Altro bersaglio della riforma, e delle invettive di Isaia, furono le forme cultuali puramente esteriori, ridotte quasi a pratiche magiche. In particolare, condannò senza mezzi termini il digiuno, le elemosine, le ricche offerte, quando non sono seguite da una condotta di vita moralmente corretta, dal rispetto verso il prossimo, dal soccorso alla vedova e all'orfano, dall'onestà nell'esercizio di cariche pubbliche.

Questo brano riporta la celebre visione che ebbe Isaia. Nel tempio di Gerusalemme egli contempla il "Signore seduto su un trono alto ed elevato". Fu un incontro inatteso e improvviso, che segnerà tutta la sua vita e la sua predicazione. Dio appare a Isaia come il Re in tutta la sua maestà, attorniato dai "serafini" (“angeli di fuoco, splendenti e ardenti"), che costituiscono la sua corte. Essi, a cori alterni, proclamano senza sosta: "Santo, Santo, Santo è il Signore degli eserciti". Il loro canto esprime, in un giubilo senza fine, la realtà specifica di Dio: Colui che è "Santo" in modo esclusivo e intensissimo "Signore degli eserciti", cioè di tutte le potenze celesti e terrestri, ossia supremo sovrano dell'universo. Nel contatto col Dio "santo" Isaia avverte, con indescrivibile angoscia, la propria indegnità, la propria condizione di peccatore, contaminato dal proprio popolo in mezzo al quale vive. Ma Dio interviene con la Sua misericordia e, attraverso il gesto del serafino, lo purifica da ogni colpa e impurità. Lo purifica interiormente e totalmente, anche se il testo sottolinea le "labbra" del profeta, perché la sua missione è quella di parlare in nome di Dio. Quando Dio si consulta con la sua corte su un volontario a cui affidare la missione, Isaia si fa avanti e offre la sua pronta e incondizionata disponibilità: "Eccomi, manda me!". La fede, che Isaia manifesta e che non si stancherà di esigere dal suo popolo, è appunto la fede nel "Dio santo": Colui che è il "tutt'altro" e inaccessibile, ma che per amore si è legato al proprio popolo: "Il Santo di Israele", secondo l'espressione originale coniata da Isaia.

Salmo 137/138 Cantiamo al Signore, grande è la sua gloria

Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro verso il tuo tempio santo.

Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.

Ti renderanno grazie, Signore, tutti i re della terra,
quando ascolteranno le parole della tua bocca.
Canteranno le vie del Signore:
grande è la gloria del Signore

La tua destra mi salva.
Il Signore farà tutto per me.
Signore, il tuo amore è per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani.

Il salmista ringrazia Dio per avere ascoltato la sua preghiera e avergli usato misericordia. La tradizione parla del re Davide, ma più probabilmente si tratta di Ezechia dopo la clamorosa liberazione di Gerusalemme dall'assedio degli Assiri (2Re 19,35): “Hai reso la tua promessa più grande del tuo nome”.

Egli vuole cantare la sua lode al cospetto di Dio, rifiutando ogni adesione agli idoli: "Non agli dèi, ma a te voglio cantare".
Dio ha risposto alla sua supplica rendendolo più forte di fronte ai sui nemici: “Hai accresciuto in me la forza”.
Il salmista professa la sua fede nel futuro messianico che vedrà “tutti i re della terra” lodare il Signore. Sarà quando “ascolteranno le parole della tua bocca”, dove per “bocca” si deve intendere il futuro Messia.

I re, i popoli, celebreranno le vie del Signore annunciate dal Messia.
Il salmista ha grande fiducia in Dio, affinché la sua missione di re abbia successo: "Il Signore farà tutto per me". Il salmista termina invocando: “Non abbandonare l'opera delle tue mani”, cioè la dinastia di Davide.
Noi crediamo che giungerà il tempo della “civiltà dell'amore”, quando i popoli e i potenti che li governano, si apriranno a Cristo. Ogni cristiano deve adoperarsi per questo tempo con la forza (“hai accresciuto in me la forza”) che sgorga dalla partecipazione Eucaristica.
La nostra battaglia non è contro nemici fatti di carne e sangue, come ci dice san Paolo (Ef 6,12), ma “contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male”, cioè contro i demoni.

Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di P.Paolo Berti

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Vi proclamo, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano!
[ A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.
In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. ]
Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. [ Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto. ] 1Cor15,1-11

Nell’ultimo capitolo della 1^lettera ai Corinzi, Paolo affronta il problema del destino finale riservato a coloro che hanno abbracciato la fede in Cristo. Precedentemente egli aveva trattato situazioni specifiche riguardanti la vita personale o comunitaria. Ora invece va al cuore stesso del «vangelo», mostrando come in esso sia contenuta una salvezza che va oltre i limiti della vita fisica dell’uomo.
Il capitolo si divide in tre parti. Nella prima parte Paolo espone il contenuto essenziale del suo vangelo, che consiste nella morte e nella risurrezione di Cristo. Alla luce di questo dato di fede egli tratta poi, nella seconda parte, il tema della risurrezione di coloro che hanno creduto in lui (vv. 12-34). Nella terza parte spiega le modalità con cui avrà luogo la risurrezione (vv. 35-53). Conclude il capitolo un inno alla vittoria sulla morte (vv. 54-58).

In questo brano viene riportata la parte riguardante la risurrezione di Cristo. Paolo sottolinea il carattere tradizionale e quindi immutabile di ciò che ha annunziato a Corinto , riafferma poi la morte e la risurrezione di Cristo : “Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici”e infine dà un elenco delle apparizioni del Risorto apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Paolo ricorda per ultimo l’apparizione di cui è stato destinatario lui stesso e porta una sua considerazione personale: «Io infatti sono l’infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la chiesa di Dio. Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me»

In questi ultimi versetti si fondono umiltà e fierezza: alla sua condizione di persecutore, che lo pone all’ultimo posto nella scala degli apostoli, fa riscontro la grazia di Dio, alla quale Paolo unicamente attribuisce non solo il suo apostolato, ma anche la sua instancabile attività, in forza della quale non si sente inferiore a nessun degli altri apostoli.

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.

Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

Lc 5,1-11

Questo brano del Vangelo di Luca ci presenta la chiamata dei primi discepoli. Gesù si trova sulle rive del lago di Gennesaret, oltre a Lui c'è la folla e alcuni pescatori. Mentre la folla manifesta la volontà di ascoltare la Parola, i pescatori se ne stanno in disparte, distanti. Di fronte a questo scenario, Gesù dopo aver chiesto a Simone di salire sulla barca, lo prega poi di distaccarsi da terra per poter parlare meglio alla folla. Dopo aver terminato di parlare dice a Simone di prendere il largo e di calare di nuovo le reti per la pesca. Simone, esperto pescatore, sa che se non hanno pescato nulla durante la notte, tanto meno lo potrà fare ora di giorno, ma sente che può avere fiducia in quel giovane Rabbi, per cui risponde che sulla sua parola getterà di nuovo le reti. Il risultato fu che le reti quasi si rompevano... le barche quasi affondavano..

Simone comprende che ha di fronte non un semplice uomo, per cui intimorito , si getta alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me perché sono solo un peccatore!». Simone dà a Gesù il titolo di “Signore” (Kyrie), per lui Gesù non è solo il Maestro, che ammaestra le folle, ma è il Signore e per Luca è il primo che lo riconosce Signore. Gesù guardando Pietro così prostrato ha una reazione bellissima, non risponde: «Non è vero, non sei peccatore, non più degli altri», Gesù non giudica, non minimizza, neppure assolve. Pronuncia queste parole: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». In quel preciso momento per Simone termina un modo di vivere e ne comincia un altro. Si delinea per lui un futuro, che si protrarrà nel tempo.
Il racconto termina con questa annotazione: E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono. Nella prima parte della frase il tono ha un qualcosa di malinconico, come quando si lascia un lavoro, una professione, qualcosa di sicuro come le loro barche, ma per loro si apre una strada nuova un cammino irreversibile.

Il miracolo del lago di Gennesaret non consiste nelle barche riempite di pesci, neanche nelle barche abbandonate, il miracolo grande è Gesù che non si lascia impressionare dai difetti di quei semplici pescatori, ma li sceglie proprio perchè sono gente semplice, anche limitata, e li trasforma in discepoli per affidare a loro il Suo Vangelo

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Pietro non poteva ancora immaginare che un giorno sarebbe arrivato a Roma e sarebbe stato qui "pescatore di uomini" per il Signore. Egli accetta questa chiamata sorprendente, di lasciarsi coinvolgere in questa grande avventura: è generoso, si riconosce limitato, ma crede in colui che lo chiama e insegue il sogno del suo cuore. Dice di sì - un sì coraggioso e generoso -, e diventa discepolo di Gesù"
(Benedetto XVI, Udienza Generale, 17 Maggio 2006).

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Pro Memoria

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Titolo presbiterale: Card. Polycarp PENGO
Affidata a: Missionari di Nostra Signora di «La Salette» (M.S.)
 

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