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Martedì, 05 Gennaio 2021 12:22

EPIFANIA DEL SIGNORE - ANNO B - 6 gennaio 2021

Nel giorno dell’Epifania, o manifestazione del Signore, la Chiesa continua a contemplare il mistero della nascita di Gesù. Se a Natale, Dio ha vissuto il Suo pellegrinaggio, venendo ad abitare in mezzo a noi, nell’Epifania assistiamo al movimento corrispondete: gli uomini attratti dalla rivelazione del Suo mistero, si dirigono verso di Lui.
In questo consiste la missione universale della Chiesa: portare tutte le nazioni a raccogliersi attorno a Cristo per formare un solo popolo, il popolo di Dio. Questo giorno ricorre la Giornata dell’infanzia missionaria.
Nella prima lettura il profeta Isaia profetizza il giorno in cui “cammineranno le genti alla tua luce”. E’ un invito gioioso anche per noi. E’ il Signore che ci invita a lasciarci rivestire dalla volontà di bene che sprigiona la nascita del Suo Messia.
Nella seconda lettura, tratta dalla lettera agli Efesini, San Paolo afferma che tutte le genti sono chiamati “in Cristo Gesù” a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo..
Nel Vangelo, Matteo ci parla dei Magi che si lasciano guidare dalla stella cometa dall’Oriente verso Betlemme. I magi sono il simbolo del mondo che va in cerca di Dio, è la festa della scienza che si fa guidare dalla stella della fede. E’ la festa della manifestazione della gloria di Dio che si rivela nell’umiltà, in un bambino appena nato. E’ sorprendente come questi uomini sapienti, non rimasero delusi quando videro il bambino; l’evangelista Matteo infatti dice “Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono …” La scienza quando è illuminata dalla fede può raggiungere mete ancora più alte di quelle umanamente sperate.


Dal libro del profeta Isaìa
Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra,
nebbia fitta avvolge i popoli;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.
Cammineranno le genti alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.
Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli vengono da lontano,
le tue figlie sono portate in braccio.
Allora guarderai e sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,
perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te,
verrà a te la ricchezza delle genti.
Uno stuolo di cammelli ti invaderà,
dromedari di Màdian e di Efa,
tutti verranno da Saba, portando oro e incenso
e proclamando le glorie del Signore.
Is 60,1-6

La terza parte del libro di Isaia (capitoli 56-66), chiamata comunemente Terzo (o Trito) Isaia, il profeta della situazione successiva al ritorno dall'esilio, dopo l’editto di Ciro (538 a.C), contiene una raccolta di oracoli che si differenziano da quelli che compongono non solo la prima, ma anche la seconda parte del libro. In essi infatti il profeta si rivolge non più agli esiliati, ma ai giudei ritornati da Babilonia a Gerusalemme; il suo maggiore interesse non è più il nuovo esodo, ma il ristabilimento delle istituzioni teocratiche, le quali sono minacciate non da influenze esterne, ma dalla infedeltà del popolo.
I temi principali trattati sono l’universalismo della salvezza (56,1-9), la fedeltà al Signore (56,10-59,21), la rinascita di Gerusalemme (cc. 60-62), prospettive escatologiche (cc. 63-66).
I capitoli dal 60 al 62, da dove è tratto questo brano liturgico, contengono tre poemi riguardanti la gloria futura di Gerusalemme, al centro dei quali si trova un brano che narra la vocazione di un profeta che ha tratti molto simili a quelli del Servo di JHWH del Deuteroisaia.
Il brano che abbiamo si i apre con due imperativi:
“Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te”.
La luce, associata al concetto di gloria, è simbolo della presenza di Dio che aveva posto la Sua dimora nel tempio fatto costruire da Salomone in Gerusalemme. Quando però il peccato degli abitanti di Giuda era giunto al culmine, la gloria di Dio aveva abbandonato il tempio e la stessa città di Gerusalemme, ma aveva seguito gli esuli per stare accanto a loro in Mesopotamia (v. Ez 10,18-22; 11,22-25). In seguito all’editto di Ciro è Dio stesso che si mette a capo degli esuli e li riconduce nella terra promessa (Is 40,1-5). Ora la gloria del Signore è ritornata nella città santa, la quale perciò si riempie di luce. La luminosità della città santa provoca un contrasto stridente con tutte le altre regioni della terra, nelle quali invece dominano le tenebre. Questa nuova situazione pone le premesse del movimento che viene descritto in questi termini: “Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda:tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio”.
Coloro che si muovono attratti dalla luce che risplende a Gerusalemme sono anzitutto gli appartenenti a nazioni lontane, i quali giungono accompagnate dai loro re. Con questi stranieri vi sono anche i giudei dispersi tra di loro, i quali sono portati in braccio, quasi a indicare la stima e la protezione che le nazioni hanno verso di essi.
La descrizione qui riportata è ricavata dal pellegrinaggio annuale che tutti gli israeliti dovevano fare al santuario centrale, portando al Signore i loro doni. Ora però coloro che salgono in pellegrinaggio a Gerusalemme non sono più i giudei, ma le popolazioni straniere che portano con sé i giudei residenti in mezzo ad esse, quasi come un’offerta al Signore.
Portano anche i loro doni come oro e incenso, ossia un metallo prezioso e una pregiata resina, entrambi utilizzati per la costruzione del tempio e per l’esercizio del culto. Il tema del pellegrinaggio dei popoli al monte Sion era già stato menzionato all’inizio del libro di Isaia ( Is 2,2-5), e qui è ripreso e ampliato per incoraggiare i giudei che stavano ricostruendo Gerusalemme: Dio ha grandi progetti sulla città, alla quale darà una luce tale da illuminare e attrarre tutti i popoli. Il trionfo di Gerusalemme sarà anche il trionfo del popolo eletto, che dominerà su tutte le nazioni.
Il profeta prosegue affermando che tutte queste nazioni esprimeranno la loro fede nel Signore mettendosi al servizio del popolo giudaico e ricostruendo le mura della città, mentre altri nuovi popoli giungeranno portando i loro doni.
La glorificazione di Gerusalemme è presentata dal Terzo Isaia come un fenomeno escatologico che mette in luce la vittoria di Dio contro le potenze del male che dominano in questo mondo.
Nonostante la Sua apparente sconfitta, Dio è il vincitore, e ciò apparirà chiaramente alla fine della storia. Allora Dio creerà un mondo nuovo, nel quale prevarranno la giustizia e la pace. Di ciò beneficeranno non solo gli israeliti, ma tutte le nazioni della terra: il progetto di Dio infatti è universale e riguarda tutti gli uomini, nessuno escluso.
C’è da riconoscere che questa riflessione doveva essere alquanto importante in un periodo in cui le forze dell’intolleranza e del fanatismo erano sempre in agguato.
La prospettiva escatologica di questa profezia non deve condurci però ad una fuga della realtà di oggi. Quello che Dio un giorno farà deve diventare il punto di riferimento, la meta a cui tendere giorno per giorno sia sul piano individuale che su quello sociale. Per gli israeliti è soprattutto importante sottolineare il ruolo storicamente assegnato da Dio al Suo popolo. La luce che un giorno brillerà nella città santa deve essere anticipata mediante un’esistenza conforme alla volontà di Dio e la venuta delle nazioni non deve rappresentare un privilegio di cui ci si possa vantare, ma piuttosto fa parte di una visione migliore del mondo che deve essere tenuta viva anche a costo di grossi sacrifici, sapendo che essa un giorno è destinata a prevalere.

Salmo 72 (71) Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra.
Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto.

Nei suoi giorni fiorisca il giusto
e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E domini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.

I re di Tarsis e delle isole portino tributi,
i re di Saba e di Seba offrano doni.
Tutti i re si prostrino a lui,
lo servano tutte le genti.

Perché egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri.

Un re giusto è fonte di pace per questo il salmista invoca per il futuro re - “il figlio del re” - giustizia e rettitudine. Il salmo ha un’indubbia tensione messianica poiché non si possono che applicare al Messia alcuni passi fondamentali: “Ti faccia durare quanto il sole, come la luna, di generazione in generazione”; “Nei suoi giorni fiorisca il giusto e abbondi la pace, finché non si spenga la luna. E domini da mare a mare, dal fiume sino ai confini della terra”; “A lui si pieghino le tribù del deserto, mordano la polvere i suoi nemici ”; “In lui siano benedette tutte le stirpi della terra e tutte le genti lo dicano beato”. Il re è indubbiamente Davide, e il figlio del re è Salomone, ma la figura del re e i risultati del suo governo sono tanto alti e ampi da tratteggiare il futuro Messia, il figlio del re per eccellenza; certo, secondo la carne (Rm 1,3;Gal 3,16).
La giustizia e la rettitudine costruiscono la pace e così le montagne e le colline, cioè le frontiere di Israele, porteranno pace al popolo che ha un re di giustizia e di pace: “Le montagne portino pace al popolo e le colline giustizia”. I popoli confinanti cercheranno la pace con Israele. Grande nelle relazioni con le nazioni il re futuro avrà attenzione all’interno per i deboli contro gli oppressori. Un regno fondato sulla giustizia e sull’amore non potrà mai venire meno: “Ti faccia durare quanto il sole, come la luna, di generazione in generazione". I regni fondati sulla guerra e sull’oppressione non possono durare, prima o poi i popoli si ribellano; ma il regno del Messia fondato sulla giustizia che viene da Dio rimarrà per sempre. La giustizia si eserciterà nel Cristo con l’obbedienza al Padre, con l’espiazione delle colpe del genere umano.
La sua azione sarà benefica come l’acqua che scende sulla terra permettendo cibo e vita: “Scenda come pioggia sull’erba, come acqua che irrora la terra”.
Egli Principe della pace, farà fiorire la pace finché “non si spenga la luna”; questo perché la sua pace, presente nella Chiesa e trasmessa dalla Chiesa, rimarrà sempre, La pace, poi, è l’essere riconciliati con Dio e con i fratelli.
Il suo regno sarà immenso. Non ha precedenti nei regni già esistiti, poiché :”E domini da mare a mare, dal fiume (ndr. l’Eufrate, il fiume per eccellenza) sino ai confini della terra”.
Il Messia non solo avrà i territori, ma l’omaggio delle genti: “A lui si pieghino le tribù del deserto, mordano la polvere i suoi nemici”, sottoposti al suo giudizio. I popoli si sottometteranno al suo giogo: “I re di Tarsis e delle isole porteranno tributi; i re di Saba e di Seba offrrano doni” (Tarsis è comunemente identificata con Tartessos in Spagna; Saba con la zona del golfo Arabico). Si noti che offriranno tributi e porteranno offerte, il che vuol dire che non saranno nella costrizione dei vinti.
Ancora il salmista fa vedere come il futuro Messia non trascurerà i poveri e i miseri, anzi saranno pensiero costante della sua azione: “Li riscatti dalla violenza e dal sopruso, sia prezioso ai suoi occhi il loro sangue”.
“Vivrà”, dice il salmista, cioè anche se colpito dai suoi avversari vivrà, perché conoscerà la risurrezione gloriosa.
“Si preghi sempre per lui”, cioè per mezzo della sua azione sacerdotale, con la quale ha sacrificato se stesso.
“Sia benedetto ogni giorno” perché perenne salvatore di bontà infinita.
Il salmista passa ad un’invocazione a Dio per la grandezza del “figlio di re” su tutta la terra; ciò significa che l’estendersi del regno del Messia sarà dovuto anche all’azione, completamente subordinata alla salvezza operata da Cristo e con la forza data da lui, di coloro che lo amano: “Il suo nome duri in eterno, davanti al sole germogli il suo nome”.
Di nuovo il salmista passa al futuro: “In lui siano benedette tutte le stirpi della terra”. Cioè per mezzo del suo sacrificio riconciliatore il Padre benedirà tutte le genti della terra. “Tutte le genti lo dicano beato”, perché otterrà dal Padre onore e gloria per la sua obbedienza a lui, fino alla morte di croce.
Commento di P.Paolo Berti

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.
Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.
Ef 3,2-3.5-6

La Lettera agli Efesini è una delle lettere che la tradizione cristiana attribuisce a S.Paolo, che l'avrebbe scritta durante la sua prigionia a Roma intorno all'anno 62. Gli studiosi moderni però sono divisi su questa attribuzione e la maggioranza ritiene più probabile che la lettera sia stata composta da un altro autore appartenente alla scuola paolina,forse basandosi sulla lettera ai Colossesi, ma in questo caso la datazione della composizione può oscillare, tra l'anno 80 e il 100.
Nella prima parte della lettera è stato delineato il progetto salvifico che Dio ha realizzato mediante Cristo (Ef 1,2-2,22). Ora, giunto al centro della sua riflessione, l’apostolo si qualifica come “il prigioniero di Cristo per voi pagani” e prosegue “: “penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.”. Nel capitolo precede aveva detto che i cristiani provenienti dal paganesimo sono inseriti, a pari diritto dei giudei, nella comunità ecclesiale, di cui gli apostoli sono fondamento, ora qui viene evidenziato il ministero ricevuto da Paolo in favore dei pagani. L'espressione “ministero della grazia di Dio” indica con precisione l'oggetto della conoscenza degli efesini e il compito concreto di amministratore. Il fatto che viene aggiunto “della grazia di Dio” si spiega con il desiderio di ricordare come la grazia divina, dimensione essenziale del processo salvifico (Ef 1,6.7; 2,5.7.8), sia comunicata all'Apostolo proprio nell'esercizio del suo ministero.
Paolo sottolinea inoltre che questo ministero ha per oggetto un mistero che gli è stato fatto conoscere come effetto di un processo di rivelazione, e il contenuto del mistero è la partecipazione delle genti al corpo della Chiesa.
Nei versetti 3b-4 (omessi dalla liturgia) l‘apostolo passa ad esporre il contenuto di questo mistero, e poi osserva; “Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito” Il processo di rivelazione del mistero presuppone il suo occultamento nel tempo precedente a quello in cui è stato rivelato ai destinatari (apostoli e profeti agli uomini in generale). La congiunzione “come”, che lega le due frasi, non significa il grado di intensità (con maggiore chiarezza), ma di alterità assoluta (il mistero rivelato ora e non come al passato, in cui non è stato manifestato). Questo stesso concetto sarà ripreso ancora nei versetti successivi (vv. 9-10).
A questo punto l'apostolo arriva a definire l' oggetto del mistero che consiste nel fatto che “le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”. Il mistero è dunque la compartecipazione delle genti al corpo ecclesiale, all'eredità e alle promesse salvifiche. Già precedentemente era stata sottolineata la partecipazione dei pagani con i giudei all'unico corpo ecclesiale (2,13-19) e questo fa capire che anche qui si intende l'unità dei pagani con i giudeo-cristiani. Tutto questo infatti, avviene in forza della mediazione di Cristo (Ef 1,10) che implica non solo l'aspetto della strumentalità, ma anche quello dell'associazione a Lui. L’apostolo in questo brano dà un grande rilievo al progetto salvifico di Dio, che consiste per lui nell’unità di tutti gli esseri umani, al di là delle differenze di razza e di cultura. Egli mostra come solo eliminando le divisioni sia possibile trovare una pace vera. Per Paolo soprattutto è importante il superamento della divisione tra giudei e pagani, alla quale attribuisce un significato simbolico rispetto a tutte le barriere che dividono l’umanità. Egli vede realizzato l’incontro fra popoli e culture, oggetto primario del progetto di Dio, nella persona di Cristo, il quale perciò è presentato come l’espressione suprema dell’agire di Dio in questo mondo.
La novità di questo annunzio non consiste quindi nella manifestazione di qualcosa di mentalmente sconosciuto, ma in un’irruzione particolarmente potente della grazia di Dio in Cristo, a cui Paolo ha dato una risonanza universale. Queste potenzialità, che si sono manifestate all’inizio del cristianesimo, devono essere continuamente riscoperte nell’impegno dei cristiani, in unione con tutti gli altri credenti, per la pace nel mondo.

Dal vangelo secondo Matteo
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
“E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda:
da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
Mt 2,1-12

La Lettera agli Efesini è una delle lettere che la tradizione cristiana attribuisce a S.Paolo, che l'avrebbe scritta durante la sua prigionia a Roma intorno all'anno 62. Gli studiosi moderni però sono divisi su questa attribuzione e la maggioranza ritiene più probabile che la lettera sia stata composta da un altro autore appartenente alla scuola paolina,forse basandosi sulla lettera ai Colossesi, ma in questo caso la datazione della composizione può oscillare, tra l'anno 80 e il 100.
Nella prima parte della lettera è stato delineato il progetto salvifico che Dio ha realizzato mediante Cristo (Ef 1,2-2,22). Ora, giunto al centro della sua riflessione, l’apostolo si qualifica come “il prigioniero di Cristo per voi pagani” e prosegue “: “penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.”. Nel capitolo precede aveva detto che i cristiani provenienti dal paganesimo sono inseriti, a pari diritto dei giudei, nella comunità ecclesiale, di cui gli apostoli sono fondamento, ora qui viene evidenziato il ministero ricevuto da Paolo in favore dei pagani. L'espressione “ministero della grazia di Dio” indica con precisione l'oggetto della conoscenza degli efesini e il compito concreto di amministratore. Il fatto che viene aggiunto “della grazia di Dio” si spiega con il desiderio di ricordare come la grazia divina, dimensione essenziale del processo salvifico (Ef 1,6.7; 2,5.7.8), sia comunicata all'Apostolo proprio nell'esercizio del suo ministero.
Paolo sottolinea inoltre che questo ministero ha per oggetto un mistero che gli è stato fatto conoscere come effetto di un processo di rivelazione, e il contenuto del mistero è la partecipazione delle genti al corpo della Chiesa.
Nei versetti 3b-4 (omessi dalla liturgia) l‘apostolo passa ad esporre il contenuto di questo mistero, e poi osserva; “Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito” Il processo di rivelazione del mistero presuppone il suo occultamento nel tempo precedente a quello in cui è stato rivelato ai destinatari (apostoli e profeti agli uomini in generale). La congiunzione “come”, che lega le due frasi, non significa il grado di intensità (con maggiore chiarezza), ma di alterità assoluta (il mistero rivelato ora e non come al passato, in cui non è stato manifestato). Questo stesso concetto sarà ripreso ancora nei versetti successivi (vv. 9-10).
A questo punto l'apostolo arriva a definire l' oggetto del mistero che consiste nel fatto che “le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”. Il mistero è dunque la compartecipazione delle genti al corpo ecclesiale, all'eredità e alle promesse salvifiche. Già precedentemente era stata sottolineata la partecipazione dei pagani con i giudei all'unico corpo ecclesiale (2,13-19) e questo fa capire che anche qui si intende l'unità dei pagani con i giudeo-cristiani. Tutto questo infatti, avviene in forza della mediazione di Cristo (Ef 1,10) che implica non solo l'aspetto della strumentalità, ma anche quello dell'associazione a Lui. L’apostolo in questo brano dà un grande rilievo al progetto salvifico di Dio, che consiste per lui nell’unità di tutti gli esseri umani, al di là delle differenze di razza e di cultura. Egli mostra come solo eliminando le divisioni sia possibile trovare una pace vera. Per Paolo soprattutto è importante il superamento della divisione tra giudei e pagani, alla quale attribuisce un significato simbolico rispetto a tutte le barriere che dividono l’umanità. Egli vede realizzato l’incontro fra popoli e culture, oggetto primario del progetto di Dio, nella persona di Cristo, il quale perciò è presentato come l’espressione suprema dell’agire di Dio in questo mondo.
La novità di questo annunzio non consiste quindi nella manifestazione di qualcosa di mentalmente sconosciuto, ma in un’irruzione particolarmente potente della grazia di Dio in Cristo, a cui Paolo ha dato una risonanza universale. Queste potenzialità, che si sono manifestate all’inizio del cristianesimo, devono essere continuamente riscoperte nell’impegno dei cristiani, in unione con tutti gli altri credenti, per la pace nel mondo.
È chiaro che Matteo vuole sottolineare come tutto Israele, nei suoi rappresentanti più qualificati, abbia cercato la risposta da dare al re. Questa risposta si rifà a un oracolo profetico in cui si dice:
“E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”.
Nella citazione di Michea, Matteo fa alcuni ritocchi, come per es. sostituisce “Efrata” con “terra di Giuda”, forse per evitare la confusione con la Betlemme del nord (v. Gs 19,15); inoltre egli cambia la valutazione che viene data di Betlemme, forse per dare maggior gloria alla città, che sia il più piccolo tra i capoluoghi di Giuda.
Avuta l’informazione desiderata Erode convocò i magi, e “si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». (sappiamo come avrebbe voluto adorarlo!)
I magi, dunque informati da Erode circa il luogo di nascita del re dei giudei, si rimiserono in cammino e guidati nuovamente dalla stella, pieni di gioia, giunsero al luogo in cui si trovava “il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”.
Per Matteo i primi che vengono a contatto con Gesù non sono dunque i pastori di Betlemme, ma i misteriosi rappresentanti delle nazioni. I tre doni da loro portati hanno chiaramente valore simbolico: essi indicano da un lato i prodotti tipici dell’oriente, che i magi offrono a Gesù riconoscendo così in lui il loro re; dall’altro c’è un fortissimo richiamo al salmo 72 che la Liturgia ha inserito in questa celebrazione.
Rispetto al salmo l’evangelista aggiunge tra i doni dei magi anche la mirra, un unguento usato nella sepoltura. Non è escluso che con questa aggiunta voglia indicare il destino di morte che aspetta il neonato Messia proprio a causa del rifiuto del suo popolo.
Il testo è un chiaro esempio di come possa essere la chiamata alla fede:
- i Re-magi sono chiamati per mezzo della stella e la seguono;
- i sommi sacerdoti e gli scribi conoscono le scritture, sanno dare indicazioni, ma non si muovono;
- Erode tra la volontà di Dio e la sua, chiaramente sceglie la sua, conosce solo il suo tornaconto, non vede perché non vuole vedere!
Questa visione fortemente critica nei confronti di Israele, chiaramente dettata dal clima di rivalità che ha accompagnato il sorgere del cristianesimo, deve oggi essere sottoposta ad una più giusta ed illuminata considerazione. La nascita di Gesù e la conseguente apertura della Chiesa ai pagani non deve più essere vista come una sostituzione di Israele, infedele alle promesse divine, ma piuttosto come il mezzo attraverso il quale la chiamata religiosa di Israele è stata offerta a tutta l’umanità.

*****

“Celebriamo la solennità dell’Epifania, nel ricordo dei Magi venuti dall’Oriente a Betlemme, seguendo la stella, per far visita al neonato Messia. Alla fine del racconto evangelico, si dice che i Magi «avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese» Per un’altra strada.
Questi sapienti, provenienti da regioni lontane, dopo aver viaggiato molto, trovano colui che desideravano conoscere, dopo averlo a lungo cercato, sicuramente anche con fatiche e peripezie. E quando finalmente giungono alla loro meta, si prostrano davanti al Bambino, lo adorano, gli offrono i loro doni preziosi. Dopo di che si rimettono in cammino senza indugio per tornare nella loro terra. Ma quell’incontro con il Bambino li ha cambiati.
L’ incontro con Gesù non trattiene i Magi, anzi, infonde in loro una nuova spinta per ritornare al loro paese, per raccontare ciò che hanno visto e la gioia che hanno provato. In questo c’è una dimostrazione dello stile di Dio, del suo modo di manifestarsi nella storia. L’esperienza di Dio non ci blocca, ma ci libera; non ci imprigiona, ma ci rimette in cammino, ci riconsegna ai luoghi consueti della nostra esistenza. I luoghi sono e saranno gli stessi, ma noi, dopo l’incontro con Gesù, non siamo quelli di prima. L’incontro con Gesù ci cambia, ci trasforma. L’evangelista Matteo sottolinea che i Magi fecero ritorno «per un’altra strada» . Essi sono condotti a cambiare strada dall’avvertimento dell’angelo, per non imbattersi in Erode e nelle sue trame di potere.
Ogni esperienza di incontro con Gesù ci induce ad intraprendere vie diverse, perché da Lui proviene una forza buona che risana il cuore e ci distacca dal male.
C’è una dinamica sapiente tra continuità e novità: si ritorna “al proprio paese”, ma “per un’altra via”. Questo indica che siamo noi a dover cambiare, a trasformare il nostro modo di vivere pur nell’ambiente di sempre, a modificare i criteri di giudizio sulla realtà che ci circonda. Ecco la differenza tra il vero Dio e gli idoli traditori, come il denaro, il potere, il successo…; tra Dio e quanti promettono di darti questi idoli, come i maghi, i cartomanti, i fattucchieri. La differenza è che gli idoli ci legano a sé, ci rendono idoli-dipendenti, e noi ci impossessiamo di loro. Il vero Dio non ci trattiene né si lascia trattenere da noi: ci apre vie di novità e di libertà, perché Lui è Padre che è sempre con noi per farci crescere. Se tu incontri Gesù, se tu hai un incontro spirituale con Gesù, ricordati: devi tornare agli stessi luoghi di sempre, ma per un’altra via, con un altro stile. È così, è lo Spirito Santo, che Gesù ci dà, che ci cambia il cuore.
Chiediamo alla Vergine Santa che possiamo diventare testimoni di Cristo là dove siamo, con una vita nuova, trasformata dal suo amore. “

Papa Francesco Angelus del 6 gennaio 2020

Pubblicato in Liturgia
Venerdì, 03 Gennaio 2020 15:19

Epifania del Signore - Anno A - 6 gennaio 2020

Nel giorno dell’Epifania, o manifestazione del Signore, la Chiesa continua a contemplare il mistero della nascita di Gesù. Se a Natale, Dio ha vissuto il Suo pellegrinaggio, venendo ad abitare in mezzo a noi, nell’Epifania assistiamo al movimento corrispondete: gli uomini attratti dalla rivelazione del Suo mistero, si dirigono verso di Lui.
Nella prima lettura il profeta Isaia profetizza il giorno in cui “cammineranno le genti alla sua luce”. E’ un invito gioioso anche per noi. E’ il Signore che ci invita a lasciarci rivestire dalla volontà di bene che sprigiona la nascita del Suo Messia.
Nella seconda lettura, tratta dalla lettera agli Efesini, l’Apostolo Paolo afferma che tutte le genti sono chiamati “in Cristo Gesù” a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo..
Nel Vangelo di Matteo, leggiamo che i Magi si lasciano guidare dalla stella cometa dall’Oriente verso Betlemme. I magi sono il simbolo del mondo che va in cerca di Dio, è la festa della scienza che si fa guidare dalla stella della fede. E’ la festa della manifestazione della gloria di Dio che si rivela nell’umiltà, in un bambino appena nato. E’ sorprendente come questi uomini sapienti, non rimasero delusi quando videro il bambino; l’evangelista Matteo infatti dice “Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono …” La scienza quando è illuminata dalla fede può raggiungere mete ancora più alte di quelle umanamente sperate.

Dal libro del profeta Isaìa
Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra,
nebbia fitta avvolge i popoli;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.
Cammineranno le genti alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.
Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli vengono da lontano,
le tue figlie sono portate in braccio.
Allora guarderai e sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,
perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te,
verrà a te la ricchezza delle genti.
Uno stuolo di cammelli ti invaderà,
dromedari di Màdian e di Efa,
tutti verranno da Saba, portando oro e incenso
e proclamando le glorie del Signore.
Is 60,1-6

La terza parte del libro di Isaia (capitoli 56-66) contiene una raccolta di oracoli che, per lo stile e lo sfondo storico, sono attribuiti ad un anonimo profeta del postesilio, al quale perciò è stato dato il nome di Trito (Terzo) Isaia. Alcuni hanno ritenuto che egli fosse un discepolo del Deuteroisaia, mentre altri hanno pensato a un profeta vissuto più di un secolo dopo di lui. Dopo l’editto di Ciro (538 a.C) che autorizzò il ritorno dall’esilio e la ricostruzione di Gerusalemme, il profeta si rivolge non più agli esiliati, ma ai giudei ritornati da Babilonia in Gerusalemme; il suo centro di interesse non è più il nuovo esodo, ma il ristabilimento delle istituzioni teocratiche, le quali sono minacciate non da agenti esterni, ma dalla infedeltà del popolo.
In questo brano il profeta con linguaggio poetico invita Gerusalemme ad alzarsi e a trasfigurarsi nello splendore di una "luce" abbagliante che gli proviene dalla "gloria del Signore”.
“Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. ”
Le tenebre che "ricoprono la terra e l'oscurità, che avvolge i popoli", sono un metafora della mancanza della salvezza in cui si trovano i popoli pagani.
Il profeta continua a descrivere la nuova situazione in questi termini: “Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda:tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio”.
Coloro che si muovono attratti dalla luce che risplende a Gerusalemme, sono anzitutto gli appartenenti a nazioni lontane, i quali giungono accompagnati dai loro re. Con questi stranieri vi sono anche i giudei dispersi tra di loro, i quali sono portati in braccio, quasi a indicare la stima e la protezione che le nazioni hanno verso di essi.
L’immagine qui utilizzata si ispira al pellegrinaggio annuale che tutti gli ebrei dovevano fare al Tempio portando a Dio i loro doni. Ora però coloro che salgono in pellegrinaggio a Gerusalemme non sono più i giudei ma le popolazioni straniere che portano con sé i giudei residenti in mezzo ad esse, quasi come offerta.
”Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te”, verrà a te la ricchezza delle genti. Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Màdian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore”.
Gerusalemme, la grande città di Davide, sarà finalmente irradiata dalla luce, ritroverà i suoi figli e accoglierà una folla di stranieri. I tesori del mare provengono dall'ovest, con le navi fenicie o greche; le ricchezze dell'oriente e d'Egitto giungono con le carovane attraverso i deserti di Siria e del Sinai. Madian, Efa e Saba sono popoli dell'Arabia (cf.45,14;Gen 25,1-4).
Gli stuoli di cammelli e di dromedari erano stati l'incubo delle distruzioni, ora sono i segni della ricchezza e della speranza.
La glorificazione di Gerusalemme è presentata dal Profeta come un fenomeno escatologico che mette in luce la vittoria di Dio contro le potenze perverse che dominano in questo mondo. Nonostante la sua apparente sconfitta, Dio è il vincitore, e ciò apparirà chiaramente alla fine della storia. Allora Dio creerà un mondo nuovo, nel quale prevarranno la giustizia e la pace. Di ciò beneficeranno non solo gli israeliti, ma tutte le nazioni della terra: il progetto di Dio infatti è universalistico e riguarda tutti gli uomini. La luce che un giorno brillerà nella città santa deve essere però anticipata mediante un’esistenza conforme alla volontà di Dio.

Salmo 72 (71) Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra.

Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto.

Nei suoi giorni fiorisca il giusto
e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E domini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.

I re di Tarsis e delle isole portino tributi,
i re di Saba e di Seba offrano doni.
Tutti i re si prostrino a lui,
lo servano tutte le genti.

Perché egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri.

Un re giusto è fonte di pace per questo il salmista invoca per il futuro re - “il figlio del re” - giustizia e rettitudine. Il salmo ha un’indubbia tensione messianica poiché non si possono che applicare al Messia alcuni passi fondamentali: “Ti faccia durare quanto il sole, come la luna, di generazione in generazione”; “Nei suoi giorni fiorisca il giusto e abbondi la pace, finché non si spenga la luna. E domini da mare a mare, dal fiume sino ai confini della terra”; “A lui si pieghino le tribù del deserto, mordano la polvere i suoi nemici ”; “In lui siano benedette tutte le stirpi della terra e tutte le genti lo dicano beato”. Il re è indubbiamente Davide, e il figlio del re è Salomone, ma la figura del re e i risultati del suo governo sono tanto alti e ampi da tratteggiare il futuro Messia, il figlio del re per eccellenza; certo, secondo la carne (Rm 1,3;Gal 3,16).
La giustizia e la rettitudine costruiscono la pace e così le montagne e le colline, cioè le frontiere di Israele, porteranno pace al popolo che ha un re di giustizia e di pace: “Le montagne portino pace al popolo e le colline giustizia”. I popoli confinanti cercheranno la pace con Israele. Grande nelle relazioni con le nazioni il re futuro avrà attenzione all’interno per i deboli contro gli oppressori. Un regno fondato sulla giustizia e sull’amore non potrà mai venire meno: “Ti faccia durare quanto il sole, come la luna, di generazione in generazione". I regni fondati sulla guerra e sull’oppressione non possono durare, prima o poi i popoli si ribellano; ma il regno del Messia fondato sulla giustizia che viene da Dio rimarrà per sempre. La giustizia si eserciterà nel Cristo con l’obbedienza al Padre, con l’espiazione delle colpe del genere umano.
La sua azione sarà benefica come l’acqua che scende sulla terra permettendo cibo e vita: “Scenda come pioggia sull’erba, come acqua che irrora la terra”.
Egli Principe della pace, farà fiorire la pace finché “non si spenga la luna”; questo perché la sua pace, presente nella Chiesa e trasmessa dalla Chiesa, rimarrà sempre, La pace, poi, è l’essere riconciliati con Dio e con i fratelli.
Il suo regno sarà immenso. Non ha precedenti nei regni già esistiti, poiché :”E domini da mare a mare, dal fiume (ndr. l’Eufrate, il fiume per eccellenza) sino ai confini della terra”.
Il Messia non solo avrà i territori, ma l’omaggio delle genti: “A lui si pieghino le tribù del deserto, mordano la polvere i suoi nemici”, sottoposti al suo giudizio. I popoli si sottometteranno al suo giogo: “I re di Tarsis e delle isole porteranno tributi; i re di Saba e di Seba offrrano doni” (Tarsis è comunemente identificata con Tartessos in Spagna; Saba con la zona del golfo Arabico). Si noti che offriranno tributi e porteranno offerte, il che vuol dire che non saranno nella costrizione dei vinti.
Ancora il salmista fa vedere come il futuro Messia non trascurerà i poveri e i miseri, anzi saranno pensiero costante della sua azione: “Li riscatti dalla violenza e dal sopruso, sia prezioso ai suoi occhi il loro sangue”.
“Vivrà”, dice il salmista, cioè anche se colpito dai suoi avversari vivrà, perché conoscerà la risurrezione gloriosa.
“Si preghi sempre per lui”, cioè per mezzo della sua azione sacerdotale, con la quale ha sacrificato se stesso.
“Sia benedetto ogni giorno” perché perenne salvatore di bontà infinita.
Il salmista passa ad un’invocazione a Dio per la grandezza del “figlio di re” su tutta la terra; ciò significa che l’estendersi del regno del Messia sarà dovuto anche all’azione, completamente subordinata alla salvezza operata da Cristo e con la forza data da lui, di coloro che lo amano: “Il suo nome duri in eterno, davanti al sole germogli il suo nome”.
Di nuovo il salmista passa al futuro: “In lui siano benedette tutte le stirpi della terra”. Cioè per mezzo del suo sacrificio riconciliatore il Padre benedirà tutte le genti della terra. “Tutte le genti lo dicano beato”, perché otterrà dal Padre onore e gloria per la sua obbedienza a lui, fino alla morte di croce.
Commento di P.Paolo Berti

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.
Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.
Ef 3,2-3.5-6

Nella prima parte della lettera agli Efesini, Paolo ha delineato il progetto salvifico che Dio ha realizzato mediante Cristo (Ef 1,2-2,22). Ora, giunto al centro della sua riflessione, l’apostolo si qualifica (nel versetto precedente il brano) come
“il prigioniero di Cristo per voi pagani” e prosegue “:
“penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.”
Nel capitolo precede aveva detto che i cristiani provenienti dal paganesimo sono inseriti, a pari diritto dei giudei, nella comunità ecclesiale, di cui gli apostoli sono fondamento, ora qui viene evidenziato il ministero ricevuto da Paolo in favore dei pagani. L'espressione “ministero della grazia di Dio” indica con precisione l'oggetto della conoscenza degli efesini e il compito concreto di amministratore. Il fatto che viene aggiunto “della grazia di Dio” si spiega con il desiderio di ricordare come la grazia divina, dimensione essenziale del processo salvifico (Ef 1,6.7; 2,5.7.8), sia comunicata all'Apostolo proprio nell'esercizio del suo ministero.
Paolo sottolinea inoltre che questo ministero ha per oggetto un mistero che gli è stato fatto conoscere come effetto di un processo di rivelazione, e il contenuto del mistero è la partecipazione delle genti al corpo della Chiesa.
Nei versetti 3b-4 (omessi dalla liturgia) l‘apostolo passa ad esporre il contenuto di questo mistero, e poi osserva:
“ Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito” Il processo di rivelazione del mistero presuppone il suo occultamento nel tempo precedente a quello in cui è stato rivelato ai destinatari (apostoli e profeti agli uomini in generale). La congiunzione “come”, che lega le due frasi, non significa il grado di intensità (con maggiore chiarezza), ma di alterità assoluta (il mistero rivelato ora e non come al passato, in cui non è stato manifestato). Questo stesso concetto sarà ripreso ancora nei versetti successivi (vv. 9-10).
A questo punto l'apostolo arriva a definire l' oggetto del mistero che consiste nel fatto che
“le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”.
Il mistero è dunque la compartecipazione delle genti al corpo ecclesiale, all'eredità e alle promesse salvifiche.
Già precedentemente era stata sottolineata la partecipazione dei pagani con i giudei all'unico corpo ecclesiale (2,13-19) e questo fa capire che anche qui si intende l'unità dei pagani con i giudeo-cristiani. Tutto questo infatti, avviene in forza della mediazione di Cristo (Ef 1,10) che implica anche la completa adesione a Lui.
L’apostolo in questo brano dà un grande rilievo al progetto salvifico di Dio, che consiste per lui nell’unità di tutti gli esseri umani, al di là delle differenze di razza e di cultura. Egli mostra come solo eliminando le divisioni sia possibile trovare una pace vera. Per lui soprattutto è importante il superamento della divisione tra giudei e pagani, alla quale attribuisce un significato simbolico rispetto a tutte le barriere che dividono l’umanità. Egli vede realizzato l’incontro fra popoli e culture, oggetto primario del progetto di Dio, nella persona di Cristo, il quale perciò è presentato come l’espressione suprema dell’agire di Dio in questo mondo.
La novità di questo annunzio non consiste quindi nella manifestazione di qualcosa di mentalmente sconosciuto, ma in un’irruzione particolarmente potente della grazia di Dio in Cristo, a cui Paolo ha dato una risonanza universale.
Queste potenzialità, che si sono manifestate all’inizio del cristianesimo, devono essere continuamente riscoperte nell’impegno dei cristiani, in unione con tutti gli altri credenti, per la pace nel mondo.

Dal vangelo secondo Matteo
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
“E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda:
da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
Mt 2,1-12

L’evangelista Matteo continua a descrivere gli avvenimenti dell’infanzia di Gesù alla luce delle profezie ma, a differenza del 1^capitolo, racchiuso nella cornice del popolo giudaico, qui l’orizzonte diventa più ampio: i pagani sono attratti dalla luce di Gesù-re e vanno a Lui. La nuova Sion però non è Gerusalemme, ma Betlemme.
Il brano inizia riportando che: “Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme”.
Secondo Erodoto, i magi erano originari di una tribù dei medi divenuta casta sacerdotale tra i persiani. Praticavano la divinazione, la medicina e l'astrologia. Serse, ad esempio, turbato per un'eclissi di sole, ne domandò il significato ad alcuni magi. Anche se l'astrologia nella Bibbia non gode di una buona fama (Dn 1,20; 2,2-10) Matteo presenta i magi come personaggi importanti e di gran rispetto. La tradizione latina farà di loro dei re (Sal 72,10) e ne preciserà il numero, tre come i doni offerti al bambino, e ne indicherà i nomi: Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Anche il loro paese d'origine non è chiaro, c’è da considerare però che per un giudeo il termine “oriente” indica tutto quello che c'è al di là del Giordano.
Giunti dunque a Gerusalemme i magi chiedono: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”.
Questa stella che appare e scompare al momento giusto, non corrisponde particolarmente a qualche fenomeno naturale, ma è forse un espediente narrativo che aveva un certo significato nell’ambito della comunità giudeo-cristiana per la quale l'evangelista scriveva. Già nel mondo greco-romano si utilizzava l'immagine dell'astro per indicare il destino di un personaggio. La tesi della stella che appare alla nascita di un grande uomo (es.Alessandro, Giulio Cesare) era molto diffuso e per i testi biblici la stella è la metafora del re Messia.
Anche nell’Apocalisse Gesù dichiara: “Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino”. (Ap.22,16)
In Matteo, tuttavia, la stella non è soltanto una metafora o un'immagine del Messia: è anche la guida del magi, uno strumento di cui Dio si serve per indicare loro ciò che gli scribi non potranno scoprire nel testo del profeta Michea.
Gli antichi consideravano le stelle come esseri animati dotati di natura spirituale e i giudeo-cristiani vedevano in essi degli angeli. Si possono fare dei collegamenti fra la stella che guida i magi a Betlemme e gli angeli di Luca che guidano i pastori “al un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”. In ambedue i casi è sempre la Provvidenza di Dio che guida l'uomo.
Le parole dei magi provocano in Erode un certo turbamento condiviso da tutta la città di Gerusalemme Il motivo del turbamento di Erode è comprensibile, tenuto conto della sua paura per un aspirante al trono, meno comprensibile è lo sbigottimento dei cittadini di Gerusalemme. Questo si potrebbe anche spiegare come paura di violenze da parte di Erode, ma più probabilmente si tratta di un espediente narrativo con cui Matteo anticipa l’opposizione di Gerusalemme nei confronti di Gesù, che alla fine farà di Gerusalemme la città deicida.
Erode convoca allora tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo per sapere dove sarebbe dovuto nascere il Messia.
È chiaro che Matteo vuole sottolineare come tutto Israele, nei suoi rappresentanti più qualificati, abbia cercato la risposta da dare al re. Questa risposta si rifà a un oracolo profetico in cui si dice:
“E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”.
Nella citazione di Michea, Matteo fa alcuni ritocchi, come per es. sostituisce “Efrata” con “terra di Giuda”, forse per evitare la confusione con la Betlemme del nord (v. Gs 19,15); inoltre egli cambia la valutazione che viene data di Betlemme, forse per dare maggior gloria alla città, che sia il più piccolo tra i capoluoghi di Giuda.
Avuta l’informazione desiderata Erode convocò i magi, e “si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo»”. (sappiamo come avrebbe voluto adorarlo!)
I magi, dunque informati da Erode circa il luogo di nascita del re dei giudei, si rimiserono in cammino e guidati nuovamente dalla stella, pieni di gioia, giunsero al luogo in cui si trovava “il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”.
Per Matteo i primi che vengono a contatto con Gesù non sono dunque i pastori di Betlemme, ma i misteriosi rappresentanti delle nazioni. I tre doni da loro portati hanno chiaramente valore simbolico: essi indicano da un lato i prodotti tipici dell’oriente, che i magi offrono a Gesù riconoscendo così in lui il loro re; dall’altro c’è un fortissimo richiamo al salmo 72 che la Liturgia ha inserito in questa celebrazione.
Rispetto al salmo l’evangelista aggiunge tra i doni dei magi anche la mirra, un unguento usato nella sepoltura. Non è escluso che con questa aggiunta voglia indicare il destino di morte che aspetta il neonato Messia proprio a causa del rifiuto del suo popolo.
Il testo è un chiaro esempio di come possa essere la chiamata alla fede:
- i Re-magi sono chiamati per mezzo della stella e la seguono;
- i sommi sacerdoti e gli scribi conoscono le scritture, sanno dare indicazioni, ma non si muovono;
- Erode tra la volontà di Dio e la sua, chiaramente sceglie la sua, conosce solo il suo tornaconto, non vede perché non vuole vedere!
Questa visione fortemente critica nei confronti di Israele, chiaramente dettata dal clima di rivalità che ha accompagnato il sorgere del cristianesimo, deve oggi essere sottoposta ad una più giusta ed illuminata considerazione. La nascita di Gesù e la conseguente apertura della Chiesa ai pagani non deve più essere vista come una sostituzione di Israele, infedele alle promesse divine, ma piuttosto come il mezzo attraverso il quale la chiamata religiosa di Israele è stata offerta a tutta l’umanità.

 

*****

Le parole di Papa Francesco

“Oggi, solennità dell’Epifania del Signore, è la festa della manifestazione di Gesù, simboleggiata dalla luce.
Nei testi profetici questa luce è promessa: si promette la luce. Isaia, infatti, si rivolge a Gerusalemme con queste parole: «Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te». L’invito del profeta – ad alzarsi perché viene la luce – appare sorprendente, perché si colloca all’indomani del duro esilio e delle numerose vessazioni che il popolo aveva sperimentato.
Questo invito, oggi, risuona anche per noi che abbiamo celebrato il Natale di Gesù e ci incoraggia a lasciarci raggiungere dalla luce di Betlemme. Anche noi veniamo invitati a non fermarci ai segni esteriori dell’avvenimento, ma a ripartire da esso e percorrere in novità di vita il nostro cammino di uomini e di credenti.
La luce che il profeta Isaia aveva preannunciato, nel Vangelo è presente e incontrata. E Gesù, nato a Betlemme, città di Davide, è venuto a portare salvezza ai vicini e ai lontani: a tutti.
L’evangelista Matteo mostra diversi modi con cui si può incontrare Cristo e reagire alla sua presenza. Per esempio, Erode e gli scribi di Gerusalemme hanno un cuore duro, che si ostina e rifiuta la visita di quel Bambino. È una possibilità: chiudersi alla luce. Essi rappresentano quanti, anche ai nostri giorni, hanno paura della venuta di Gesù e chiudono il cuore ai fratelli e alle sorelle che hanno bisogno di aiuto. Erode ha paura di perdere il potere e non pensa al vero bene della gente, ma al proprio tornaconto personale. Gli scribi e i capi del popolo hanno paura perché non sanno guardare oltre le proprie certezze, non riuscendo così a cogliere la novità che è in Gesù.
Invece, ben diversa è l’esperienza dei Magi. Venuti dall’Oriente, essi rappresentano tutti i popoli lontani dalla fede ebraica tradizionale. Eppure, si lasciano guidare dalla stella e affrontano un viaggio lungo e rischioso pur di approdare alla meta e conoscere la verità sul Messia. I Magi erano aperti alla “novità”, e a loro si svela la più grande e sorprendente novità della storia: Dio fatto uomo. I Magi si prostrano davanti a Gesù e gli offrono doni simbolici: oro, incenso e mirra; perché la ricerca del Signore implica non solo la perseveranza nel cammino, ma anche la generosità del cuore. E infine, ritornarono «al loro paese»; e dice il Vangelo che ritornarono per “un’altra strada”.
Fratelli e sorelle, ogni volta che un uomo o una donna incontra Gesù, cambia strada, torna alla vita in un modo differente, torna rinnovato, “per un’altra strada”. Ritornarono «al loro paese» portando dentro di sé il mistero di quel Re umile e povero; noi possiamo immaginare che raccontarono a tutti l’esperienza vissuta: la salvezza offerta da Dio in Cristo è per tutti gli uomini, vicini e lontani. Non è possibile “impossessarsi” di quel Bambino: Egli è un dono per tutti.
Anche noi, facciamo un po’ di silenzio nel nostro cuore e lasciamoci illuminare dalla luce di Gesù che proviene da Betlemme. Non permettiamo alle nostre paure di chiuderci il cuore, ma abbiamo il coraggio di aprirci a questa luce che è mite e discreta. Allora, come i Magi, proveremo «una gioia grandissima» che non potremo tenere per noi.
Ci sostenga in questo cammino la Vergine Maria, stella che ci conduce a Gesù, e Madre che fa vedere Gesù ai Magi e a tutti coloro che si avvicinano a lei.”

Papa Francesco Angelus del 6 gennaio 2019

Pubblicato in Liturgia
Sabato, 05 Gennaio 2019 15:45

Epifania del Signore - 6 gennaio 2019

Nel giorno dell’Epifania, o manifestazione del Signore, la Chiesa continua a contemplare il mistero della nascita di Gesù. Se a Natale, Dio ha vissuto il Suo pellegrinaggio, venendo ad abitare in mezzo a noi, nell’Epifania assistiamo al movimento corrispondete: gli uomini attratti dalla rivelazione del Suo mistero, si dirigono verso di Lui.
Nella prima lettura il profeta Isaia profetizza il giorno in cui “cammineranno le genti alla sua luce”. E’ un invito gioioso anche per noi. E’ il Signore che ci invita a lasciarci rivestire dalla volontà di bene che sprigiona la nascita del Suo Messia.
Nella seconda lettura, tratta dalla lettera agli Efesini, l’Apostolo Paolo afferma che tutte le genti sono chiamati “in Cristo Gesù” a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo..
Nel Vangelo di Matteo, leggiamo che i Magi si lasciano guidare dalla stella cometa dall’Oriente verso Betlemme. I magi sono il simbolo del mondo che va in cerca di Dio, è la festa della scienza che si fa guidare dalla stella della fede. E’ la festa della manifestazione della gloria di Dio che si rivela nell’umiltà, in un bambino appena nato. E’ sorprendente come questi uomini sapienti, non rimasero delusi quando videro il bambino; l’evangelista Matteo infatti dice “Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono …” La scienza quando è illuminata dalla fede può raggiungere mete ancora più alte di quelle umanamente sperate.

Dal libro del profeta Isaìa
Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra,
nebbia fitta avvolge i popoli;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.
Cammineranno le genti alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.
Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli vengono da lontano,
le tue figlie sono portate in braccio.
Allora guarderai e sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,
perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te,
verrà a te la ricchezza delle genti.
Uno stuolo di cammelli ti invaderà,
dromedari di Màdian e di Efa,
tutti verranno da Saba, portando oro e incenso
e proclamando le glorie del Signore.
Is 60,1-6

La terza parte del libro di Isaia (capitoli 56-66) contiene una raccolta di oracoli che, per lo stile e lo sfondo storico, sono attribuiti ad un anonimo profeta del postesilio, al quale perciò è stato dato il nome di Trito (Terzo) Isaia. Alcuni hanno ritenuto che egli fosse un discepolo del Deuteroisaia, mentre altri hanno pensato a un profeta vissuto più di un secolo dopo di lui. Dopo l’editto di Ciro (538 a.C) che autorizzò il ritorno dall’esilio e la ricostruzione di Gerusalemme, il profeta si rivolge non più agli esiliati, ma ai giudei ritornati da Babilonia in Gerusalemme; il suo centro di interesse non è più il nuovo esodo, ma il ristabilimento delle istituzioni teocratiche, le quali sono minacciate non da agenti esterni, ma dalla infedeltà del popolo.
In questo brano il profeta con linguaggio poetico invita Gerusalemme ad alzarsi e a trasfigurarsi nello splendore di una "luce" abbagliante che gli proviene dalla "gloria del Signore”.
“Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te.” Le tenebre che "ricoprono la terra e l'oscurità, che avvolge i popoli", sono un metafora della mancanza della salvezza in cui si trovano i popoli pagani. Il profeta invita ad osservare le schiere di dispersi che fanno ritorno a Gerusalemme nonché l'infinito numero di carovane, di cammelli e dromedari di Madian e Efa' che giungono da Saba, portando oro, per i vasi sacri per il culto, e incenso per le cerimonie del tempio di Gerusalemme. Inoltre le innumerevoli navi da trasporto che portano i tesori delle città marinare della Grecia e della Fenicia.
Il profeta continua a descrivere la nuova situazione in questi termini: “Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda:tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio”.
Coloro che si muovono attratti dalla luce che risplende a Gerusalemme sono anzitutto gli appartenenti a nazioni lontane, i quali giungono accompagnate dai loro re. Con questi stranieri vi sono anche i giudei dispersi tra di loro, i quali sono portati in braccio, quasi a indicare la stima e la protezione che le nazioni hanno verso di essi.
L’immagine qui utilizzata è ricavata dal pellegrinaggio annuale che tutti gli israeliti dovevano fare al santuario centrale, portando a Dio i loro doni. Ora però coloro che salgono in pellegrinaggio a Gerusalemme non sono più i giudei ma le popolazioni straniere che portano con sé i giudei residenti in mezzo ad esse, quasi come offerta.
La glorificazione di Gerusalemme è presentata dal Terzo Isaia come un fenomeno escatologico che mette in luce la vittoria di Dio contro le potenze perverse che dominano in questo mondo. Nonostante la sua apparente sconfitta, Dio è il vincitore, e ciò apparirà chiaramente alla fine della storia. Allora Dio creerà un mondo nuovo, nel quale prevarranno la giustizia e la pace. Di ciò beneficeranno non solo gli israeliti, ma tutte le nazioni della terra: il progetto di Dio infatti è universalistico e riguarda tutti gli uomini. La luce che un giorno brillerà nella città santa deve essere però anticipata mediante un’esistenza conforme alla volontà di Dio.

Salmo 72 (71) Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra.

Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto.

Nei suoi giorni fiorisca il giusto
e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E domini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.

I re di Tarsis e delle isole portino tributi,
i re di Saba e di Seba offrano doni.
Tutti i re si prostrino a lui,
lo servano tutte le genti.

Perché egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri.

Un re giusto è fonte di pace per questo il salmista invoca per il futuro re - “il figlio del re” - giustizia e rettitudine. Il salmo ha un’indubbia tensione messianica poiché non si possono che applicare al Messia alcuni passi fondamentali: “Ti faccia durare quanto il sole, come la luna, di generazione in generazione”; “Nei suoi giorni fiorisca il giusto e abbondi la pace, finché non si spenga la luna. E domini da mare a mare, dal fiume sino ai confini della terra”; “A lui si pieghino le tribù del deserto, mordano la polvere i suoi nemici ”; “In lui siano benedette tutte le stirpi della terra e tutte le genti lo dicano beato”. Il re è indubbiamente Davide, e il figlio del re è Salomone, ma la figura del re e i risultati del suo governo sono tanto alti e ampi da tratteggiare il futuro Messia, il figlio del re per eccellenza; certo, secondo la carne (Rm 1,3;Gal 3,16).
La giustizia e la rettitudine costruiscono la pace e così le montagne e le colline, cioè le frontiere di Israele, porteranno pace al popolo che ha un re di giustizia e di pace: “Le montagne portino pace al popolo e le colline giustizia”. I popoli confinanti cercheranno la pace con Israele. Grande nelle relazioni con le nazioni il re futuro avrà attenzione all’interno per i deboli contro gli oppressori. Un regno fondato sulla giustizia e sull’amore non potrà mai venire meno: “Ti faccia durare quanto il sole, come la luna, di generazione in generazione". I regni fondati sulla guerra e sull’oppressione non possono durare, prima o poi i popoli si ribellano; ma il regno del Messia fondato sulla giustizia che viene da Dio rimarrà per sempre. La giustizia si eserciterà nel Cristo con l’obbedienza al Padre, con l’espiazione delle colpe del genere umano.
La sua azione sarà benefica come l’acqua che scende sulla terra permettendo cibo e vita: “Scenda come pioggia sull’erba, come acqua che irrora la terra”.
Egli Principe della pace, farà fiorire la pace finché “non si spenga la luna”; questo perché la sua pace, presente nella Chiesa e trasmessa dalla Chiesa, rimarrà sempre, La pace, poi, è l’essere riconciliati con Dio e con i fratelli.
Il suo regno sarà immenso. Non ha precedenti nei regni già esistiti, poiché :”E domini da mare a mare, dal fiume (ndr. l’Eufrate, il fiume per eccellenza) sino ai confini della terra”.
Il Messia non solo avrà i territori, ma l’omaggio delle genti: “A lui si pieghino le tribù del deserto, mordano la polvere i suoi nemici”, sottoposti al suo giudizio. I popoli si sottometteranno al suo giogo: “I re di Tarsis e delle isole porteranno tributi; i re di Saba e di Seba offrrano doni” (Tarsis è comunemente identificata con Tartessos in Spagna; Saba con la zona del golfo Arabico). Si noti che offriranno tributi e porteranno offerte, il che vuol dire che non saranno nella costrizione dei vinti.
Ancora il salmista fa vedere come il futuro Messia non trascurerà i poveri e i miseri, anzi saranno pensiero costante della sua azione: “Li riscatti dalla violenza e dal sopruso, sia prezioso ai suoi occhi il loro sangue”.
“Vivrà”, dice il salmista, cioè anche se colpito dai suoi avversari vivrà, perché conoscerà la risurrezione gloriosa.
“Si preghi sempre per lui”, cioè per mezzo della sua azione sacerdotale, con la quale ha sacrificato se stesso.
“Sia benedetto ogni giorno” perché perenne salvatore di bontà infinita.
Il salmista passa ad un’invocazione a Dio per la grandezza del “figlio di re” su tutta la terra; ciò significa che l’estendersi del regno del Messia sarà dovuto anche all’azione, completamente subordinata alla salvezza operata da Cristo e con la forza data da lui, di coloro che lo amano: “Il suo nome duri in eterno, davanti al sole germogli il suo nome”.
Di nuovo il salmista passa al futuro: “In lui siano benedette tutte le stirpi della terra”. Cioè per mezzo del suo sacrificio riconciliatore il Padre benedirà tutte le genti della terra. “Tutte le genti lo dicano beato”, perché otterrà dal Padre onore e gloria per la sua obbedienza a lui, fino alla morte di croce.
Commento di P.Paolo Berti

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.
Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.
Ef 3,2-3.5-6

La Lettera agli Efesini è una delle lettere che la tradizione cristiana attribuisce a S.Paolo, che l'avrebbe scritta durante la sua prigionia a Roma intorno all'anno 62. Gli studiosi moderni però sono divisi su questa attribuzione e la maggioranza ritiene più probabile che la lettera sia stata composta da un altro autore appartenente alla scuola paolina,forse basandosi sulla lettera ai Colossesi, ma in questo caso la datazione della composizione può oscillare, tra l'anno 80 e il 100.
Nella prima parte della lettera è stato delineato il progetto salvifico che Dio ha realizzato mediante Cristo (Ef 1,2-2,22). Ora, giunto al centro della sua riflessione, l’apostolo si qualifica come “il prigioniero di Cristo per voi pagani” e prosegue “: “penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.”. Nel capitolo precede aveva detto che i cristiani provenienti dal paganesimo sono inseriti, a pari diritto dei giudei, nella comunità ecclesiale, di cui gli apostoli sono fondamento, ora qui viene evidenziato il ministero ricevuto da Paolo in favore dei pagani. L'espressione “ministero della grazia di Dio” indica con precisione l'oggetto della conoscenza degli efesini e il compito concreto di amministratore. Il fatto che viene aggiunto “della grazia di Dio” si spiega con il desiderio di ricordare come la grazia divina, dimensione essenziale del processo salvifico (Ef 1,6.7; 2,5.7.8), sia comunicata all'Apostolo proprio nell'esercizio del suo ministero.
Paolo sottolinea inoltre che questo ministero ha per oggetto un mistero che gli è stato fatto conoscere come effetto di un processo di rivelazione, e il contenuto del mistero è la partecipazione delle genti al corpo della Chiesa.
Nei versetti 3b-4 (omessi dalla liturgia) l‘apostolo passa ad esporre il contenuto di questo mistero, e poi osserva; : Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito” Il processo di rivelazione del mistero presuppone il suo occultamento nel tempo precedente a quello in cui è stato rivelato ai destinatari (apostoli e profeti agli uomini in generale). La congiunzione “come”, che lega le due frasi, non significa il grado di intensità (con maggiore chiarezza), ma di alterità assoluta (il mistero rivelato ora e non come al passato, in cui non è stato manifestato). Questo stesso concetto sarà ripreso ancora nei versetti successivi (vv. 9-10).
A questo punto l'apostolo arriva a definire l' oggetto del mistero che consiste nel fatto che “le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”. Il mistero è dunque la compartecipazione delle genti al corpo ecclesiale, all'eredità e alle promesse salvifiche. Già precedentemente era stata sottolineata la partecipazione dei pagani con i giudei all'unico corpo ecclesiale (2,13-19) e questo fa capire che anche qui si intende l'unità dei pagani con i giudeo-cristiani. Tutto questo infatti, avviene in forza della mediazione di Cristo (Ef 1,10) che implica non solo l'aspetto della strumentalità, ma anche quello dell'associazione a Lui. L’apostolo in questo brano dà un grande rilievo al progetto salvifico di Dio, che consiste per lui nell’unità di tutti gli esseri umani, al di là delle differenze di razza e di cultura. Egli mostra come solo eliminando le divisioni sia possibile trovare una pace vera. Per lui soprattutto è importante il superamento della divisione tra giudei e pagani, alla quale attribuisce un significato simbolico rispetto a tutte le barriere che dividono l’umanità. Egli vede realizzato l’incontro fra popoli e culture, oggetto primario del progetto di Dio, nella persona di Cristo, il quale perciò è presentato come l’espressione suprema dell’agire di Dio in questo mondo.
La novità di questo annunzio non consiste quindi nella manifestazione di qualcosa di mentalmente sconosciuto, ma in un’irruzione particolarmente potente della grazia di Dio in Cristo, a cui Paolo ha dato una risonanza universale. Queste potenzialità, che si sono manifestate all’inizio del cristianesimo, devono essere continuamente riscoperte nell’impegno dei cristiani, in unione con tutti gli altri credenti, per la pace nel mondo.

Dal vangelo secondo Matteo
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
“E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda:
da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
Mt 2,1-12

L’evangelista Matteo continua a descrivere gli avvenimenti dell’infanzia di Gesù alla luce delle profezie ma, a differenza del 1^capitolo, racchiuso nella cornice del popolo giudaico, qui l’orizzonte diventa più ampio: i pagani sono attratti dalla luce di Gesù-re e vanno a Lui. La nuova Sion però non è Gerusalemme, ma Betlemme.
Il brano inizia riportando che “Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme”.
Secondo Erodoto, i magi erano originari di una tribù dei medi divenuta casta sacerdotale tra i persiani. Praticavano la divinazione, la medicina e l'astrologia. Serse, ad esempio, turbato per un'eclissi di sole, ne domandò il significato ad alcuni magi. Anche se l'astrologia nella Bibbia non gode di una buona fama (Dn 1,20; 2,2-10) Matteo presenta i magi come personaggi importanti e di gran rispetto. La tradizione latina farà di loro dei re (Sal 72,10) e ne preciserà il numero, tre come i doni offerti al bambino, e ne indicherà i nomi: Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Anche il loro paese d'origine non è chiaro, c’è da considerare però che per un giudeo il termine “oriente” indica tutto quello che c'è al di là del Giordano.
Giunti dunque a Gerusalemme i magi chiedono: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”.
Questa stella che appare e scompare al momento giusto, non corrisponde particolarmente a qualche fenomeno naturale, ma è forse un espediente narrativo che aveva un certo significato nell’ambito della comunità giudeo-cristiana per la quale l'evangelista scriveva. Già nel mondo greco-romano si utilizzava l'immagine dell'astro per indicare il destino di un personaggio. La tesi della stella che appare alla nascita di un grande uomo (es.Alessandro, Giulio Cesare) era molto diffuso e per i testi biblici la stella è la metafora del re Messia. Anche nell’Apocalisse Gesù dichiara: “Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino”. (Ap.22,16)
In Matteo, tuttavia, la stella non è soltanto una metafora o un'immagine del Messia: è anche la guida del magi, uno strumento di cui Dio si serve per indicare loro ciò che gli scribi non potranno scoprire nel testo del profeta Michea.
Gli antichi consideravano le stelle come esseri animati dotati di natura spirituale e i giudeo-cristiani vedevano in essi degli angeli. Si possono fare dei collegamenti fra la stella che guida i magi a Betlemme e gli angeli di Luca che guidano i pastori “al un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”.
In ambedue i casi è sempre la Provvidenza di Dio che guida l'uomo.
Le parole dei magi provocano in Erode un certo turbamento condiviso da tutta la città di Gerusalemme Il motivo del turbamento di Erode è comprensibile, tenuto conto della sua paura per un aspirante al trono, meno comprensibile è lo sbigottimento dei cittadini di Gerusalemme. Questo si potrebbe anche spiegare come paura di violenze da parte di Erode, ma più probabilmente si tratta di un espediente narrativo con cui Matteo anticipa l’opposizione di Gerusalemme nei confronti di Gesù, che alla fine farà di Gerusalemme la città deicida.
Erode convoca allora tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo per sapere dove sarebbe dovuto nascere il Messia.
È chiaro che Matteo vuole sottolineare come tutto Israele, nei suoi rappresentanti più qualificati, abbia cercato la risposta da dare al re. Questa risposta si rifà a un oracolo profetico in cui si dice:
“E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”.
Nella citazione di Michea, Matteo fa alcuni ritocchi, come per es. sostituisce “Efrata” con “terra di Giuda”, forse per evitare la confusione con la Betlemme del nord (v. Gs 19,15); inoltre egli cambia la valutazione che viene data di Betlemme, forse per dare maggior gloria alla città, che sia il più piccolo tra i capoluoghi di Giuda.
Avuta l’informazione desiderata Erode convocò i magi, e “si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». (sappiamo come avrebbe voluto adorarlo!)
I magi, dunque informati da Erode circa il luogo di nascita del re dei giudei, si rimiserono in cammino e guidati nuovamente dalla stella, pieni di gioia, giunsero al luogo in cui si trovava “il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”.
Per Matteo i primi che vengono a contatto con Gesù non sono dunque i pastori di Betlemme, ma i misteriosi rappresentanti delle nazioni. I tre doni da loro portati hanno chiaramente valore simbolico: essi indicano da un lato i prodotti tipici dell’oriente, che i magi offrono a Gesù riconoscendo così in lui il loro re; dall’altro c’è un fortissimo richiamo al salmo 72 che la Liturgia ha inserito in questa celebrazione.
Rispetto al salmo l’evangelista aggiunge tra i doni dei magi anche la mirra, un unguento usato nella sepoltura. Non è escluso che con questa aggiunta voglia indicare il destino di morte che aspetta il neonato Messia proprio a causa del rifiuto del suo popolo.
Il testo è un chiaro esempio di come possa essere la chiamata alla fede:
- i Re-magi sono chiamati per mezzo della stella e la seguono;
- i sommi sacerdoti e gli scribi conoscono le scritture, sanno dare indicazioni, ma non si muovono;
- Erode tra la volontà di Dio e la sua, chiaramente sceglie la sua, conosce solo il suo tornaconto, non vede perché non vuole vedere!
Questa visione fortemente critica nei confronti di Israele, chiaramente dettata dal clima di rivalità che ha accompagnato il sorgere del cristianesimo, deve oggi essere sottoposta ad una più giusta ed illuminata considerazione. La nascita di Gesù e la conseguente apertura della Chiesa ai pagani non deve più essere vista come una sostituzione di Israele, infedele alle promesse divine, ma piuttosto come il mezzo attraverso il quale la chiamata religiosa di Israele è stata offerta a tutta l’umanità.

*****

Le parole di Papa Francesco

“Oggi, festa dell’Epifania del Signore, il Vangelo ci presenta tre atteggiamenti con i quali è stata accolta la venuta di Cristo Gesù e la sua manifestazione al mondo. Il primo atteggiamento: ricerca, ricerca premurosa; il secondo: indifferenza; il terzo: paura.
Ricerca premurosa: i Magi non esitano a mettersi in cammino per cercare il Messia. Giunti a Gerusalemme chiedono: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». Hanno fatto un lungo viaggio e adesso con grande premura cercano di individuare dove si possa trovare il Re neonato. A Gerusalemme si rivolgono al re Erode, il quale chiede ai sommi sacerdoti e agli scribi di informarsi sul luogo in cui doveva nascere il Messia.
A questa ricerca premurosa dei Magi, si contrappone il secondo atteggiamento: l’indifferenza dei sommi sacerdoti e degli scribi. Erano molto comodi questi. Essi conoscono le Scritture e sono in grado di dare la risposta giusta sul luogo della nascita: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta» sanno, ma non si scomodano per andare a trovare il Messia. E Betlemme è a pochi chilometri, ma loro non si muovono.
Ancora più negativo è il terzo atteggiamento, quello di Erode: la paura. Lui ha paura che quel Bambino gli tolga il potere. Chiama i Magi e si fa dire quando era apparsa loro la stella, e li invia a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi […] sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo”» . In realtà, Erode non voleva andare ad adorare Gesù; Erode vuole sapere dove si trova il bambino non per adorarlo, ma per eliminarlo, perché lo considera un rivale. E guardate bene: la paura porta sempre all’ipocrisia. Gli ipocriti sono così perché hanno paura nel cuore.
Questi sono i tre atteggiamenti che troviamo nel Vangelo: ricerca premurosa dei Magi, indifferenza dei sommi sacerdoti, degli scribi di quelli che conoscevano la teologia; e paura, di Erode. E anche noi possiamo pensare e scegliere: quale dei tre assumere. Io voglio andare con premura da Gesù? “Ma a me Gesù non dice nulla… sto tranquillo…”. Oppure ho paura di Gesù e nel mio cuore vorrei farlo fuori?
L’egoismo può indurre a considerare la venuta di Gesù nella propria vita come una minaccia. Allora si cerca di sopprimere o di far tacere il messaggio di Gesù. Quando si seguono le ambizioni umane, le prospettive più comode, le inclinazioni del male, Gesù viene avvertito come un ostacolo.
D’altra parte, è sempre presente anche la tentazione dell’indifferenza. Pur sapendo che Gesù è il Salvatore – nostro, di noi tutti -, si preferisce vivere come se non lo fosse: invece di comportarsi in coerenza alla propria fede cristiana, si seguono i principi del mondo, che inducono a soddisfare le inclinazioni alla prepotenza, alla sete di potere, alle ricchezze.
Siamo invece chiamati a seguire l’esempio dei Magi: essere premurosi nella ricerca, pronti a scomodarci per incontrare Gesù nella nostra vita. Ricercarlo per adorarlo, per riconoscere che Lui è il nostro Signore, Colui che indica la vera via da seguire. Se abbiamo questo atteggiamento, Gesù realmente ci salva, e noi possiamo vivere una vita bella, possiamo crescere nella fede, nella speranza, nella carità verso Dio e verso i nostri fratelli.
Invochiamo l’intercessione di Maria Santissima, stella dell’umanità pellegrina nel tempo. Con il suo aiuto materno, possa ogni uomo giungere a Cristo, Luce di verità, e il mondo progredire sulla via della giustizia e della pace."
Papa Francesco Angelus del 6 gennaio 2018

Pubblicato in Liturgia

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L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
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