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Apr 19, 2019

Domenica di Pasqua: Risurrezione del Signore - Anno C - 21 aprile 2019

La liturgia della domenica di Pasqua, che è la massima celebrazione cristiana, offre un’ampia possibilità di scelta perché le varie celebrazioni, che hanno inizio nella notte, definita “la veglia madre di tutte le veglie”, ripropongono la profondità del mistero, di un evento straordinario che riguarda la risurrezione di un uomo, quella stessa risurrezione che, quando San Paolo ne parlò agli ateniesi, fu deriso.
Nella celebrazione del giorno, nella prima lettura, tratta dal Libro degli Atti degli Apostoli, leggiamo che Pietro, in casa del centurione Cornelio, annuncia che Dio ha risuscitato Gesù dai morti e loro, i discepoli, ne sono i testimoni.
Nella seconda lettura, Paolo scrivendo ai Colossesi, afferma che il cristiano è già risorto con Cristo quando è uscito dalle acque purificatrici del Battesimo. Questo vuol dire che uniti a Cristo nel sacramento del Battesimo, già partecipiamo alla Sua vita divina.
Nel Vangelo di Giovanni, il primo annuncio della resurrezione ci viene dalle donne, in particolare da Maria di Màgdala, poi da Pietro e dal “discepolo che Gesù amava” che corrono al sepolcro. Ma per primo è proprio questo discepolo che vide e credette, alla luce delle Scritture, che avevano preannunciato la risurrezione di Gesù Cristo. Questo discepolo, raffigura il volto del discepolo di Cristo di tutti i tempi. Egli riceve da Dio la certezza anche della propria risurrezione, che ha sua radice visibile in Gesù morto, risorto e libero per sempre dalla tomba, ma il cui trionfo pieno è nel grande evento della Pasqua in cui sono coinvolti tutti gli uomini, fratelli di Cristo nella carne.
Nel Vangelo di Luca, che la Liturgia ci propone nella Messa Vespertina, troviamo il racconto dei discepoli di Emmaus in cui Gesù si fa loro compagno di viaggio. Questo racconto ci aiuta a ricordare che noi esseri umani siamo in cammino e bisognosi di risposte alle nostre domande; che in questo percorso siamo chiamati a riconoscere la Parola di Dio che ci interpella continuamente sulle scelte del nostro viaggio per spiegarcene il senso; che la libertà e la felicità di noi umani consiste nell’accogliere questa Parola, nel non rifiutarla, nell’aprire gli occhi e il cuore al disegno di Dio rivelatoci pienamente nel mistero del Suo Figlio Gesù morto e risorto per noi, vivo e operante in mezzo a noi.

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: «Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti.
E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome».
At 10,34a.37-43

Il libro degli Atti degli Apostoli, la cui redazione definitiva risale probabilmente attorno al 70-80, è attribuita all’evangelista Luca, che è anche autore del Vangelo che porta il suo nome. Il libro è composto da 28 capitoli e narra la storia della comunità cristiana dall'ascensione di Gesù fino all'arrivo di Paolo a Roma e copre un periodo che spazia approssimativamente dal 30 al 63 d.C.. Oltre che su Paolo, l'opera si sofferma diffusamente anche sull'operato dell'apostolo Pietro e descrive il rapido sviluppo, l'espansione e l'organizzazione della testimonianza cristiana prima ai giudei e poi agli uomini di ogni popolo e nazione.
Nella seconda parte dell’opera viene delineata l’espandersi dell’annunzio evangelico al di fuori di Gerusalemme. A tal fine Luca presenta l’opera di Filippo in Samaria, la conversione dell’eunuco della regina d’Etiopia, e la straordinaria conversione del persecutore Saulo di Tarso sulla via di Damasco. Infine egli racconta un viaggio apostolico di Pietro nella zona costiera della Palestina, a conclusione del quale mette la conversione del centurione Cornelio, con tutti i suoi famigliari, facendo di loro i primi pagani che aderiscono al cristianesimo senza passare attraverso la circoncisione. Per Luca è importante sottolineare come questo evento, che apre la porta della Chiesa ai pagani, sia accaduto per opera dello stesso Pietro.
Questo brano ci riporta parte del discorso che Pietro tenne nella casa del centurione Cornelio, noto come uomo pio, alla ricerca di Dio, che viveva con tutta la sua famiglia nella città sede del governatore, Cesarea. Cornelio aveva accettato le credenze e i principi morali del giudaismo, senza però arrivare alla circoncisione con tutti gli obblighi morali che essa comportava. Luca riporta nei versetti precedenti il brano che Cornelio a seguito di una visione di un angelo, che lo aveva chiamato per nome, invitò Pietro nella sua casa, per appagare questa sua sete di verità. In questo discorso che Pietro fa, sono chiaramente delineati i tratti fondamentali della vita di Gesù, dal battesimo, fino alla Sua morte e resurrezione. Pietro e gli altri discepoli sono dei testimoni e possono perciò affermare la storicità di Gesù che annunzia la buona novella nella Galilea e nella Giudea negli anni 30-36 non solo, ma possono anche affermarne la Sua divinità.
Per testimoniare la Sua morte e resurrezione Pietro a nome degli altri discepoli afferma: “noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti.”
Pietro continua dicendo che Gesù è giudice dei vivi e dei morti, e questa espressione indica la totalità del potere acquisito da Cristo nella Sua opera di salvezza. “A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome”.
Oltre agli apostoli, anche le Scritture profetiche sono testimoni della risurrezione di Cristo.
Nel suo stile Luca presenta la salvezza come "perdono dei peccati“ e la novità sta nell'estendere la salvezza cristiana a "chiunque crede in lui“.

Salmo 117 Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo

Rendete grazie al Signore perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
Dica Israele: «Il suo amore è per sempre».

La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.

La destra del Signore si è innalzata,la destra del Signore ha fatto prodezze.
Non morirò, ma resterò in vita
e annuncerò le opere del Signore.

La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.

Il salmo è stato composto per essere recitato con cori alterni e da un solista. Esso celebra una vittoria contro nemici numerosi. Probabilmente è stato scritto al tempo di Giuda Maccabeo dopo la vittoria su Nicanore e la purificazione del tempio di Gerusalemme (1Mac7,33; 2Mac 10,1s) (165 a.C). Si è condotti a questa collocazione storica, a preferenza di quella del tempo della ricostruzione delle mura di Gerusalemme con Neemia (445 a.C), dal fatto che si parla di “grida di giubilo e di vittoria”, che sono proprie di una vittoria militare. Inoltre le “tende dei giusti” non possono essere né le case, né le capanne di frasche per la festa delle Capanne, ma le tende di un accampamento militare.
Il salmo inizia con l'invito a celebrare l'eterna misericordia di Dio. A questo viene invitato tutto il popolo: “Dica Israele il suo amore è per sempre"; i leviti e i sacerdoti: “Dica la casa di Aronne”; i “timorati di Dio”: “Dicano quelli che temono il Signore” (Cf. Ps 113 B).
Il solista - storicamente Giuda Maccabeo – presenta come Dio lo ha aiutato dandogli la forza, nella confidenza in lui, di sfidare i suoi nemici.
Egli non ha confidato, né intende confidare, in alleanze con potenti della terra, che lo avrebbero trascinato agli idoli, ma ha confidato nel Signore. Era circondato dal fronte compatto delle genti vicine asservite al dominio dei Seleucidi, ma “Nel nome del Signore le ho distrutte". L'urto contro di lui era stato forte, ma aveva vinto nel nome del Signore: “Mi avevano spinto con forza per farmi cadere, ma il Signore è stato il mio aiuto”. “Cadere” significa cedere all'idolatria.
Egli sa che deve continuare la lotta, ma è fiducioso nel Signore: “Non morirò, ma resterò in vita e annuncerò le opere del Signore”. “Le opere del Signore” sono la liberazione dall'Egitto, l'alleanza del Sinai e la conquista della Terra Promessa.
Il solista, che è alla testa di un corteo chiede che gli vengano aperte le porte del tempio purificato dopo le profanazioni di Nicanore per “ringraziare il Signore”: “Apritemi le porte della giustizia...”.
“La pietra scartata dai costruttori”, è Giuda Maccabeo e i suoi, scartati da tanti di Israele che si erano fatti conquistare dai costumi ellenistici (1Mac 1,11s). Tale pietra per la forza di Dio era diventata “pietra d'angolo”, per Israele.
“Questo è il giorno che fatto il Signore”; il giorno della vittoria, del ripristino del culto nel tempio, è dovuto al Signore. Per noi cristiani quel giorno è il giorno della risurrezione; della vittoria di Cristo contro il male.
Il corteo viene invitato a disporsi con ordine fino all'altare: “Formate il corteo con rami frondosi fino agli angoli dell'altare”.
Il salmo si conclude ripetendo l'invito a celebrare la misericordia del Signore.
Il salmo è messianico nel senso che esso profeticamente riguarda il Cristo: (Mt 21,42; Mc 12,10; Lc 20,17; At 4,11; Rm 9,23; 1Pt 2,7).
Commento di P.Paolo Berti

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi
Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra.
Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria.
Col 3,1-4

La Lettera ai Colossesi (come la lettera agli Efesini) secondo la tradizione cristiana fu scritta con tutta probabilità da Paolo a Roma durante la sua prima prigionia, probabilmente nel 62-63. Colosse era allora una piccola città dell’entroterra dell’Asia minore, meno importante delle vicine Laodicea e Ierapoli. In tutti e tre questi centri si erano costituite delle chiese cristiane (v.4:13). Paolo aveva attraversato la regione già due volte, nel secondo e nel terzo viaggio missionario (Att. 16:6, 18:23). Con molta probabilità, la Chiesa fu il risultato dell’opera di Paolo a Efeso, distante circa 160 chilometri da Colosse. L’effetto della predicazione di Paolo a Efeso fu di notevole e vasta portata, possiamo dunque immaginare che qualche cittadino di Colosse, avendo udito il Vangelo a Efeso e accettato la fede in Cristo, avesse in seguito fondato una chiesa nella sua città di origine.
Il primo capitolo della lettera contiene i saluti di Paolo (Col 1,1-23) e termina con una esposizione dei temi che si vogliono trattare. Essi sono: l’opera di Cristo per la santità dei credenti, la fedeltà al vangelo ricevuto. L’ultimo di questi temi è quello trattato per primo (1,24-2,5). Successivamente Paolo affronta il secondo tema, che riguarda la fedeltà al vangelo (2,6-23) e infine si concentra sull’opera di Cristo a vantaggio dei credenti (3,1-4,1).
Il brano liturgico riprende la prima parte del terzo capitolo in cui presenta l’opera di Cristo. Nella parte precedente Paolo aveva esposto una critica sulle teorie che mettono a rischio la fedeltà al vangelo, con l’esortazione ad abbandonare le false dottrine che venivano proposte. Queste inculcavamo la sottomissione agli elementi di questo mondo, verso i quali i Colossesi dovevano ritenersi ormai “morti.” Questa morte però prelude a una vita nuova, che essi hanno già ottenuta.
Da qui ha inizio il brano liturgico:
“se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra”.
La risurrezione dai morti non è più vista da Paolo come un evento escatologico, collegato con il ritorno di Gesù, ma come una realtà già realizzata. Con Cristo, anche i credenti in Lui sono già risorti, e godono la stessa vita nuova di cui Egli è entrato in possesso mediante la Sua risurrezione e ascensione al cielo.
È questa una convinzione tipica della seconda generazione cristiana, per la quale la parusia è vista ormai come un evento che si perde nella notte dei tempi, ma che ha già avuto una realizzazione anticipata mediante l’associazione del credente a Cristo Proprio per questo motivo i credenti devono considerarsi come già risorti con Cristo e sono invitati a cercare anche loro “le cose di lassù”, cioè quelle che stanno a cuore a Cristo nella Sua nuova situazione di Messia che siede alla destra del Padre. Sulle cose di lassù, dunque essi devono concentrare il loro pensiero, non più sulle cose della terra ma alle “cose di lassù”.
La situazione di morte e di vita tipica dei credenti in Cristo viene poi ulteriormente specificata con queste parole: “Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! “
Ciò che è visibile per il momento è solo la loro morte, perché la loro nuova vita, in quanto partecipazione alla vita di Cristo in Dio, non è visibile agli occhi del corpo. Ma “Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria”.
Paolo ha già spiegato che la risurrezione dei morti non avrà luogo al momento del ritorno di Gesù, ma è già avvenuta. Tuttavia qui egli sottolinea che solo quando Cristo verrà, la loro nuova vita sarà manifestata, in quanto anche loro parteciperanno alla Sua gloria. Non è più necessario quindi aspettare con impazienza la realizzazione degli eventi escatologici. Infatti la risurrezione, che avrebbe dovuto realizzarsi con il ritorno di Gesù, si è già attuata per coloro che, mediante la partecipazione alla morte e alla risurrezione di Gesù, sono diventati un’unica cosa con Lui.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.
Gv 20,1-9

Questo brano tratto dal Vangelo di Giovanni inizia raccontandoci che
“Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro”..
Si può immaginare in che stato d’animo Maria di Màgdala sia andata al sepolcro: il suo cuore era angosciato, prigioniero della disperazione, forse non le sarà neanche venuto in mente l’idea della resurrezione di cui sicuramente Gesù le aveva parlato. Non ce la faceva a staccarsi da quel Gesù che aveva seguito e amato, sapeva solo che ora era morto, ma voleva almeno un luogo dove poterlo piangere. Ma, arrivata là, vide la pietra ribaltata! Non ha bisogno neppure di entrare, percepisce già che il corpo non c’è più. Ha visto semplicemente una tomba aperta, ma la sua immaginazione corre più avanti: qualcuno ha rubato il corpo del suo Signore.
“Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro.”
Si percepisce subito molto movimento in questo racconto: Pietro uscì insieme all’altro discepolo e iniziano a correre per arrivare al sepolcro, ma il discepolo amato corre più veloce di Pietro e giunse per primo alla tomba, ma non entrò, si limitò a chinarsi e a vedere i teli posati là per terra, questi oggetti, visti dal di fuori, non gli dicono nulla. Egli attese Pietro per entrare nel sepolcro. Forse con questo gesto si vuole sottolineare il primato di Pietro
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Il discepolo, a cui l’evangelista Giovanni non dà un nome, arrivò per primo, ma non entra perché aspetta Pietro, che Gesù ha scelto come capo. Pietro entrò nel sepolcro e vide i lenzuoli per terra come aveva visto l'altro discepolo, ma vide anche il sudario, che era stato sul capo di Gesù, piegato a parte, ma ancora non capisce: quei segni erano muti per lui.. A questo punto entra anche questo discepolo che “vide e credette”.
Il suo sguardo non si sofferma su un oggetto, o sul luogo, il suo è un vedere che coglie l’insieme, è un vedere la luce, cioè è lo sguardo della fede, ecco perché: vide e credette. Vide qualcosa che va al di là, vide l’invisibile. Prima, sulla soglia il suo sguardo si era soffermato su degli oggetti, ma senza comprendere, ora, entrato nel sepolcro, cioè nella realtà della morte, ricordando le parole di Gesù, comprende le Scritture, quelle Scritture che Gesù tante volte aveva spiegato.
E’ importante che l’Evangelista riporti la presenza di due uomini per testimoniare la verità del sepolcro vuoto perché risponde alle esigenze del diritto ebraico secondo il quale per la validità di una testimonianza devono essere almeno due i testimoni oculari (Dt 19,15; Mt 18,16; 2Cor 13,1ss).
Come impressione conclusiva si può dire che Maria di Màgdala è mossa dall’amore, arriva fino al sepolcro, ma non ha il coraggio di entrare. Occorre entrare nella morte, nel dolore, nei segni di morte che ci sbarrano la via.
Pietro ha un rapporto con Gesù più razionale, più materiale; ha il coraggio di entrare nel sepolcro, nella morte, ma questo non basta.
Giovanni ama con lo stile di Gesù, entra, vede con gli occhi della fede e del cuore! La fede dunque è sì fede nella vita, nella potenza della resurrezione, nell’amore fino all’estremo, ma soprattutto è fede nella Scrittura, in quella Parola del Signore che ci permette di vedere e interpretare la vita dentro i segni della sofferenza, del dolore e morte, che troviamo sul nostro cammino.

Dal vangelo secondo Luca
Ed ecco, in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo.
Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?».
E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista.
Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Lc 24,13-35

Questo brano del vangelo di Luca ci riporta l’episodio molto conosciuto dell’apparizione di Gesù ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo tenere presente che Luca scrive negli anni 80 per le comunità sorte in Grecia che erano formate in gran parte da pagani convertiti. Gli anni 60 e 70 erano stati molto difficili: c’era stata la grande persecuzione di Nerone nell’anno 64, sei anni dopo, nel 70, Gerusalemme fu totalmente distrutta dai romani e per finire nel 72, a Masada, nel deserto di Giuda, ci fu il massacro degli ultimi giudei ribelli. In quegli anni, gli apostoli, testimoni della resurrezione, stavano scomparendo e si cominciava a sentire la stanchezza del cammino.
Con la narrazione dell’apparizione di Gesù ai discepoli di Emmaus, Luca cerca di dare una risposta a queste domande angoscianti e ad insegnare alle comunità come interpretare la Scrittura per poter riscoprire la presenza di Gesù nella loro vita.
Il racconto inizia riportando che in quello stesso giorno (quello della resurrezione), due del gruppo dei discepoli si erano messi “in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme”
I due protagonisti di questo racconto erano "due di loro", cioè "degli altri" che stavano insieme agli Undici e hanno ricevuto l'annuncio della risurrezione da parte delle donne. Il giorno di cui si parla è dunque quello della risurrezione di Gesù, il primo della settimana, il giorno in cui Luca mette tutte le apparizioni riferite nel suo vangelo. La destinazione dei due discepoli, Emmaus, non è un luogo inventato da Luca, però è incerta la sua identificazione perché la località che dista da Gerusalemme proprio 11 km, si chiama Qubeiheh. Questa è stata identificata dal Medioevo come Emmaus a motivo della distanza esatta. E' possibile che Luca avesse a sua disposizione una certa tradizione riguardante il nome della località, senza però avere una conoscenza esatta dei luoghi e delle distanze.
“e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro”.
La conversazione dei due discepoli verteva sull’evento della crocifissione di Gesù e la scoperta della tomba vuota.
Gesù, come perfetto sconosciuto si avvicina ai due discepoli, ma loro non sono ancora in grado ri riconoscerlo. Questo particolare ha un certo significato soprattutto per noi oggi: in compagnia del Risorto la vita degli uomini continua nella sua semplicità, nella quotidianità e negli imprevisti. Gesù risorto è con noi sempre anche se non ce ne accorgiamo.
“Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo”.
Nel loro situazione di delusione, di mancanza di fede, i due discepoli non erano in grado di comprendere che Gesù è risorto. Il passivo "erano impediti“ si configura nel fatto che nelle apparizioni narrate da Luca e Giovanni, i discepoli non riconoscono il Signore a prima vista, ma solo dietro una parola o un segno (Lc 24,30ds, Lc 24,35,; Gv 20,14,ss,, Gv 21,ss). Pur restando identico a se stesso il corpo del Risuscitato si trova in un nuovo stato che modifica la sua forma esterna e la libera dalle condizioni corporei di questo mondo (Gv 20,19).
“Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste;”
Lo sconosciuto si introduce nella discussione con una domanda. I due discepoli quando lo sconosciuto rivolge loro la domanda, si fermano ed hanno un aspetto lugubre, sono tristi o arrabbiati.
“uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?».
Luca ci rivela il nome di uno di loro: Cleopa, che è un nome greco, abbreviazione di Cleopatro. L'altro discepolo resta anonimo e permette ad ognuno di noi di identificarsi in lui. Con la domanda retorica di Cleopa, Luca presenta l'evento della passione e morte di Gesù come un fatto a conoscenza di tutti.
“Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo”;
Le parole che usano i discepoli per rispondere sono le stesse che leggiamo negli Atti, usate dagli Apostoli per annunciare l'evento Gesù, ma a questo annuncio manca il riferimento alle scritture e la notizia della risurrezione. La delusione per la morte scandalosa di Gesù non ha indotto comunque i due discepoli a dare un giudizio negativo nei suoi confronti. Gesù rimane per loro un "uomo profeta", non un profeta qualsiasi, ma uno simile a Mosè come è scritto nel Deuteronomio (18,15).
“come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso”
La morte di Gesù, anche se avvenuta per crocifissione (la condanna peggiore) non è considerata segno di maledizione divina. I discepoli l'attribuiscono alle autorità giudaiche di Gerusalemme, i sommi sacerdoti e i capi, che i discepoli chiamano " nostre autorità ", Luca qui esprime la sua opinione:: mentre il popolo era favorevole a Gesù, furono le autorità giudaiche le dirette responsabili della crocifissione.
“Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo.
La morte di Gesù ha spento la speranza dei discepoli, una speranza di liberazione dal giogo romano: Gesù avrebbe dovuto essere anche un capo politico capace di cacciare i romani e ristabilire il ruolo di Israele come luce delle nazioni.
Dopo “tre giorni” … ecco il segno della tomba vuota! Luca evidenzia l’incapacità di comprendere dei due discepoli, incapacità che verrà rimproverata da Gesù
“Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto”.
I discepoli che sono andati alla tomba hanno confermato la testimonianza delle donne sulla tomba vuota, ma non sono arrivati ancora a credere alla resurrezione di Gesù. La frase finale " ma lui non l’hanno visto " riassume bene tutta la delusione e l'incomprensione espresse nei versetti precedenti.
“Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?».
Gesù qui spiega tutto ciò che i discepoli conoscevano ma non sapevano interpretare. Luca riprendendo le parole con cui i due discepoli hanno esordito, lo riformula secondo un linguaggio caratteristico dell'epoca: la necessità della sofferenza di Gesù come inizio per entrare nella gloria, cioè la condizione di esistenza celeste presso Dio, ottenuta con la risurrezione. Però l'attesa di un Messia sofferente non era affatto contemplato nell'AT, quindi si può dire che i discepoli di Emmaus avevano ragione a non comprendere. Le Scritture possono illuminare il destino di Gesù solo se prima la fede illumina le Scritture!

 

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“… Il Signore è vivo e vuole essere cercato tra i vivi. Dopo averlo incontrato, ciascuno viene inviato da Lui a portare l’annuncio di Pasqua, a suscitare e risuscitare la speranza nei cuori appesantiti dalla tristezza, in chi fatica a trovare la luce della vita. Ce n’è tanto bisogno oggi.
Dimentichi di noi stessi, come servi gioiosi della speranza, siamo chiamati ad annunciare il Risorto con la vita e mediante l’amore; altrimenti saremmo una struttura internazionale con un grande numero di adepti e delle buone regole, ma incapace di donare la speranza di cui il mondo è assetato.
Come possiamo nutrire la nostra speranza? La Liturgia di questa notte ci dà un buon consiglio. Ci insegna a fare memoria delle opere di Dio. Le letture ci hanno narrato, infatti, la sua fedeltà, la storia del suo amore verso di noi. La Parola di Dio viva è capace di coinvolgerci in questa storia di amore, alimentando la speranza e ravvivando la gioia. Ce lo ricorda anche il Vangelo che abbiamo ascoltato: gli angeli, per infondere speranza alle donne, dicono: «Ricordatevi come [Gesù] vi parlò» Fare memoria delle parole di Gesù, fare memoria di tutto quello che Lui ha fatto nella nostra vita. Non dimentichiamo la sua Parola e le sue opere, altrimenti perderemo la speranza e diventeremo cristiani senza speranza; facciamo invece memoria del Signore, della sua bontà e delle sue parole di vita che ci hanno toccato; ricordiamole e facciamole nostre, per essere sentinelle del mattino che sanno scorgere i segni del Risorto.
Cari fratelli e sorelle, Cristo è risorto! E noi abbiamo la possibilità di aprirci e ricevere il suo dono di speranza. Apriamoci alla speranza e mettiamoci in cammino; la memoria delle sue opere e delle sue parole sia luce sfolgorante, che orienta i nostri passi nella fiducia, verso quella Pasqua che non avrà fine.”
Papa Francesco Parte dell’Omelia tenuta del Papa per la Pasqua del 2016

 

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