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Feb 28, 2020

I Domenica di Quaresima - Anno A - "Con Cristo vinciamo le seduzioni del Maligno" - 1 marzo 2020

Siamo entrati in quaresima, “tempo forte” dell’anno liturgico. La quaresima ci è donata per aiutarci a smascherare e rifiutare i nostri idoli, cioè le nostre false speranze e scoprire sempre di più l'unico vero Dio, cioè l'unico che è in grado di darci una speranza per il futuro e un sostegno nel presente.
Nella prima lettura, tratta dal Libro della Genesi, leggiamo che Adamo ed Eva, cedendo alla tentazione del serpente, si allontanano da Dio, facendo entrare il peccato nel mondo.
Nella seconda lettura, tratta dalla lettera ai Romani, Paolo afferma che da Adamo vennero la disobbedienza, la condanna e la morte, da Cristo, nuovo Adamo e origine di una nuova umanità, è scaturita una sovrabbondanza di ricchezza e di grazia, che ci ha riconciliati con Dio.
Nel Vangelo di Matteo troviamo il racconto delle tentazioni che Gesù ebbe dopo quaranta giorni di digiuno nel deserto. In quella situazione di debolezza il demonio osò provarlo con tentazioni che ogni creatura umana di ogni tempo può subire. Gesù non si lascò sedurre dalle lusinghe del diavolo e rispose affidandosi interamente al Padre. La vittoria di Gesù diventa così speranza per ogni uomo che vuole combattere e vincere le tentazioni.

Dal libro della Genesi
Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male.
Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male».
Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.
Gn 2,7-9; 3,1-7

Il Libro della Genesi (in ebraico בראשית bereshìt, "in principio"), è il primo libro del Pentateuco (cinque libri; in origine tutti in un unico rotolo: la Torà) e tratta delle origini dell’universo, del genere umano, del peccato originale, della storia dei patriarchi prediluviani, della chiamata di Abramo fino alla morte di Giacobbe. È stato scritto in ebraico e, secondo gli esperti, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte. Nei primi 11, dei suoi 50 capitoli, descrive la cosiddetta "preistoria biblica" (creazione, peccato originale, diluvio universale), e nei rimanenti la storia dei patriarchi, Abramo, Isacco, Giacobbe-Israele e di Giuseppe, le cui vite si collocano nel vicino oriente del II millennio a.C. (attorno al 1800-1700 a.C).
Questo brano tratto dal 2^ capitolo appartiene alla fonte jahvista. Non è, come si dice spesso, un “secondo racconto della creazione” seguito da un “racconto della caduta”, sono, invece, due racconti combinati insieme e che utilizzano tradizioni diverse; ossia un racconto della creazione dell’uomo distinta dalla creazione del mondo e che non è completa se non con la creazione della donna e l’apparizione della prima coppia umana. Ossia è un racconto sul paradiso perduto, la caduta e il castigo. Dio plasma l’uomo servendosi della terra (’adamah), dalla quale appunto viene fatto derivare il suo nome (’adam, uomo) In forza del soffio vitale ricevuto da Dio, l’uomo diventa un «essere vivente»
Dopo aver compiuto la sua prima opera, “Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato..(oriente naturalmente rispetto agli israeliti, che vivono in Palestina). Le caratteristiche del giardino e la collocazione in esso dell’uomo sono descritte in modo dettagliato nei versetti 9-15, omessi dalla liturgia. Gli alberi del giardino hanno frutti che sono “graditi alla vista e buoni da mangiare”. In mezzo al giardino vi è “l’albero della vita” e “l’albero della conoscenza del bene e del male”. Nel racconto che prosegue nei versetti omessi dalla liturgia, dopo aver creato il giardino, Dio “prende” l’uomo creato nella terra arida, e lo “colloca” nel giardino con lo scopo di “coltivarlo e custodirlo”. L’uomo dunque, anche prima del peccato, deve svolgere, nel luogo assegnatogli da Dio, un ruolo attivo ed è logico considerare il giardino come il luogo in cui l’uomo esercita la propria fedeltà a Dio.
Il primo uomo riceve da Dio un comando: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti”.«(vv. 16-17). Chi scrive intende qui semplicemente affermare che l’uomo, come risposta al dono ricevuto da Dio, era chiamato a rendere visibile e concreta la comunione con Lui mediante un’obbedienza incondizionata.
I versetti riportati dal brano liturgico presentano due soli personaggi: la donna e il serpente, fra i quali si apre un dialogo pieno di tensione. Il serpente entra in azione ed è descritto come una delle bestie selvatiche che Dio aveva creato: non è dunque un essere soprannaturale decaduto ma piuttosto l’immagine di una inclinazione cattiva che si trova nell’uomo.
Solo in un secondo tempo il serpente sarà identificato con il “diavolo” (Sap 2,24). Il ruolo di tentatore è assegnato proprio al serpente a motivo della sua fama di animale scaltrissimo, e soprattutto al fatto che nel mondo orientale esso fosse, come il toro, una raffigurazione del dio della fecondità; in Israele il culto del serpente era stato introdotto persino nel tempio di Gerusalemme (2Re 18,4)
Il racconto della tentazione rivela una fine psicologia: anzitutto il serpente insinua che Dio abbia proibito di mangiare tutti i frutti del giardino e la donna apre il dialogo con lui per respingere con fermezza l’insinuazione del serpente affermando che Dio ha proibito di mangiare il frutto di un solo albero, dopo aver messo a disposizione quelli di tutti gli altri.
Visto che il suo tentativo di negare il dono di Dio è stato respinto, il serpente, fa la seconda mossa e insinuando il dubbio afferma: “Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male” Se mangiando il frutto dell’albero non si incorre in conseguenze negative, ciò significa che Dio, togliendo questa possibilità, dimostra di essere un tiranno geloso, che mente per difendere le proprie prerogative. Alla seconda insinuazione del serpente la donna non risponde, in lei si era insinuato il dubbio: se Dio aveva mentito, dall’essere Dio positivo era diventato un incubo da cui fuggire. Il testo riporta: “vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture” Per chi scrive la responsabilità dell’uomo non è per nulla inferiore a quella della donna e come conseguenza del loro peccato, i progenitori si rendono conto di essere nudi e questo è il segno di un turbamento interiore che d’ora in poi condizionerà i loro rapporti.
In questo brano si parla solo apparentemente di eventi capitati all’inizio della storia. In realtà chi scrive usa uno stile simile a quello dei miti, ha voluto dire qualcosa che riguarda l’uomo di tutti i tempi e di tutte le culture, e cioè ha voluto spiegare la sua situazione di sofferenza e di morte. A tale scopo egli ha immaginato che all’inizio della storia l’uomo si trovasse in una situazione ideale, dalla quale è decaduto a causa di un suo peccato. Così facendo egli vuol far vedere che la presenza del male, in tutti i suoi aspetti, non deriva da Dio, ma dall’uomo stesso, il quale si è precluso quella felicità che Dio gli aveva concesso sin dall’inizio.
Questo modo di presentare il racconto, tendente in un certo senso a scagionare Dio, ha uno scopo ben preciso: mostrare come Dio, non essendo responsabile del male presente in questo mondo, continua a offrire all’uomo la possibilità di superare i suoi limiti e di raggiungere una condizione di vita adeguata alla sua dignità. Emerge così che Dio sin dal principio ha creato l’uomo per vivere in un dialogo di amore con lui; ma l’ha voluto anche realizzatore del suo destino.

Salmo 50 - Perdonaci, Signore: abbiamo peccato.

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.

Sì, le mie iniquità io le riconosco,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
Contro di te, contro te solo ho peccato,
quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto.

Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.

Rendimi la gioia della tua salvezza,
sostienimi con uno spirito generoso.
Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode.

Questo salmo la tradizione lo dice scritto da Davide dopo il suo peccato, e mi pare di dovere aggiungere durante la congiura del figlio Assalonne, dove Davide vide avverarsi la sventura sulla sua casa annunciatagli dal profeta Natan (2Sam 12,10). Fa un po’ di difficoltà all’attribuzione a Davide del salmo l’ultimo versetto dove l’orante invoca che siano rialzate le mura di Gerusalemme, poiché questo porterebbe al tempo del ritorno dall’esilio. E’ comune, tuttavia, risolvere il caso dicendo che è un’aggiunta messa durante l’esilio per un adattamento del salmo alla situazione di distruzione di Gerusalemme.
Ma considerando che il salmo non poteva essere adatto in tutto alla situazione dell’esilio, poiché sacrifici ed olocausti (“non gradisci il sacrificio; se offro olocausti, non li accetti”) in terra straniera non potevano essere fatti, bisogna pensare che le mura abbattute sono un’immagine drammatica della presa di possesso di Gerusalemme da parte di Assalonne; Gerusalemme era conquistata e come “Città di Davide” veniva a finire.
L’orante si apre a Dio in un invocazione di misericordia. Domanda pietà.
Si sente imbrattato interiormente. Il rimorso lo attanaglia, si sente nella sventura. Non ricorre alla presentazioni di circostanze, di spinte al peccato, lui coscientemente l’ha fatto: “Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto”. Tuttavia presenta a Dio la sua debolezza di creatura ferita dall’antica colpa che destò al senso la carne: “Ecco, nella colpa sono io stato nato, nel peccato mi ha concepito mia madre”. Con ciò non intende scusarsi poiché aggiunge che Dio vuole la sincerità nell'intimo, cioè nel cuore, e che anche illumina intimamente il cuore dell’uomo affinché non ceda alle lusinghe del peccato: “Ma tu gradisci la sincerità nel mio intimo, nel segreto del cuore mi insegni la sapienza”.
Ancora l’orante innalza a Dio un grido per essere purificato, per essere liberato dalle sventure che lo colpiscono.
Egli prosegue la sua supplica chiedendo: “Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo”. Il peccato lo ha indebolito, gli sta sempre dinanzi e vorrebbe non averlo commesso.
E’ umile, pienamente umile, e domanda a Dio di non essere respinto dalla sua presenza e privato del dono del suo “santo spirito”; quel “santo spirito” che aveva ricevuto al momento della sua consacrazione a re. Quel “santo spirito” che gli dava forza e sapienza nel governare e nel guidare i sudditi al bene, all’osservanza della legge.
Consapevole della sua debolezza ora domanda umilmente di essere aiutato: “sostieni con me un spirito generoso”.
Ha creato del male ad Israele col suo peccato, ma rimedierà, con l’aiuto di Dio: “Insegnerò ai ribelli le tue vie e i peccatori a te ritorneranno”.
Ma il peccato veramente gli “sta sempre dinanzi”. Egli non solo è stato adultero, ma anche omicida: “Liberami dal sangue, o Dio, Dio mia salvezza”. Salvato dal peccato che l’opprime, egli esalterà la giustizia di Dio, che si attua nella misericordia. Salvato, dal peso del peccato e dalla rottura con Dio egli potrà di nuovo lodare Dio: “La mia bocca proclami la tua lode”.
Ha provato a presentare a Dio sacrifici e olocausti, ma è stato rifiutato. Così ha percependo il rifiuto di Dio è arrivato al massimo del dolore, e questo dolore di contrito lo presenta a Dio: “Uno spirito contrito è sacrificio a Dio”. Egli sa che Dio non disprezza “un cuore contrito e affranto”.
Davide presenta infine Sion, Gerusalemme, che è stata occupata e con ciò è stata messa in difficoltà l’unità di Israele che con tanta fatica aveva saputo costruire.
Riedificate le mura di Gerusalemme, nel senso di ricomposta la forza di Gerusalemme, sede dell’arca e del trono, e attuato un risveglio religioso in Israele, allora i sacrifici e gli olocausti torneranno ad essere graditi a Dio perché fatti nell’osservanza alla legge, nella corrispondenza al dono dell’alleanza.
Commento di P.Paolo Berti

Dalla lettera di S.Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato. Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire.
Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti. E nel caso del dono non è come nel caso di quel solo che ha peccato: il giudizio infatti viene da uno solo, ed è per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute, ed è per la giustificazione. Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo.
Come dunque per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti.
Rm 5,12-19

San Paolo scrisse la lettera ai Romani da Corinto probabilmente tra gli anni 58-59. La comunità dei cristiani di Roma era già ben formata e coordinata, ma lui ancora non la conosceva. Forse il primo annuncio fu portato a Roma da quei “Giudei di Roma”, presenti a Gerusalemme nel giorno della Pentecoste e che accolsero il messaggio di Pietro e il Battesimo da lui amministrato, diventando cristiani. Nacque subito la necessità di avere a Roma dei presbiteri e questi non poterono che essere istituiti a Gerusalemme.
La Lettera ai Romani è uno dei testi più alti e più impegnativi degli scritti di Paolo parchè affronta grandi temi teologici: l'universalità e la gratuità del dono della salvezza che si ottiene per mezzo della fede in Cristo; la fedeltà di Dio; i rapporti tra giudaismo e cristianesimo; la libertà di aderire alla legge dello Spirito che dà vita. Nei primi 4 capitoli Paolo ha affrontato la giustificazione che si ottiene mediante la fede e non più attraverso l'osservanza della legge e attraverso la fede e la giustificazione si ottiene la vita. .
In questo brano, in particolare Paolo tratta la dottrina del peccato originale e afferma che il peccato stesso è entrato nell’umanità per mezzo di questa colpa iniziale.
“Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato”.
Dopo aver descritto la consolante situazione di coloro che sono stati giustificati grazie alla fede (5,1-11), Paolo illustra il dramma dell'opposto destino morte-vita che attende l'umanità in Adamo e quella riscattata da Cristo. Il paragone è fondato su Adamo e Cristo. E' stato Adamo con la sua disobbedienza a far entrare il peccato nel mondo e come conseguenza del peccato la morte. Tutti i discendenti di Adamo perciò sono partecipi del peccato e anche della morte.
“Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge”,
Paolo riconosce però una certa cronologia. Da Adamo a Mosè, cioè fin quando Dio non ha dato una legge al Suo popolo, il peccato c'era ma chi lo commetteva non aveva capo di imputazione. Era una situazione di caos, una mancanza di ordine, un peccato che si commetteva senza sapere, una morte inconsapevole.
“la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire”
Quindi non c'era la legge ma c'era il peccato e gli uomini continuavano a peccare come aveva fatto Adamo, la cui unica caratteristica positiva è quella di essere stato figura (tipo) di Gesù Cristo, l'uomo perfetto, il capostipite di “Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti.”.
Il parallelo Gesù-Adamo però non è giusto Si somigliano solo per il loro essere a capo di una numerosa discendenza. Il dono della grazia che viene da Gesù è molto più grande delle conseguenze della caduta.
“E nel caso del dono non è come nel caso di quel solo che ha peccato: il giudizio infatti viene da uno solo, ed è per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute, ed è per la giustificazione”
Paolo ribadisce nuovamente la superiorità del dono che ci viene dato in Cristo. Questo dono ci giustifica, ci rende giusti davanti a Dio.
“Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo”.
Così tutti quelli che ricevono la grazia in virtù del sacrificio di Cristo e sono giustificati non solo riceveranno la vita, ma regneranno, cioè saranno resi partecipi della signoria di Cristo sul tutto il mondo.
“Come dunque per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita”.
L'opera giusta di uno solo dona a tutti gli uomini la giustificazione che dà vita, ma questo uno solo non è un uomo qualsiasi, è Gesù Cristo.
“Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti.”
Come la disobbedienza di Adamo ha reso tutti peccatori, così l'obbedienza di Gesù Cristo ha reso tutti giusti.
E’ stupendo il parallelo che l’apostolo fa tra l’opera nefasta del primo Adamo e la riparazione sovrabbondante dell’ultimo Adamo. Il primo Adamo volle essere signore del bene e del male ed ottenne come risultato la morte. Cristo, al contrario, riconobbe la propria dipendenza da Dio, fu sempre fedele e obbediente al Padre e divenne Signore della vita. Tutti coloro che lo seguono e ne imitano l’obbedienza saranno costituiti giusti. Fra questi due modi di essere uomini ognuno è invitato a fare la sua sceltauna nuova generazione.

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo,
ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”».
Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”».
Gesù gli rispose: «Sta scritto anche:
“Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti:
“Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.
Mt 4, 1-11

Matteo, dopo aver presentato i racconti dell’infanzia di Gesù, apre il suo vangelo con tre quadri che riguardano la predicazione di Giovanni il Battista, il battesimo di Gesù e la tentazione nel deserto che è presente in tutti e tre i vangeli sinottici.
Il brano si apre presentando Gesù che viene condotto nel deserto dallo Spirito, ed è lo stesso Spirito che era disceso su di lui in occasione del battesimo.
“Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».”
Si può subito notare che sebbene sia lo Spirito a condurre Gesù nel deserto, colui però che lo sottopone alla tentazione è il diavolo; viene inoltre precisato che nel deserto Gesù rimane quaranta giorni e quaranta notti. Quaranta è un termine di tempo biblico che richiama sia i quarant’anni trascorsi dal popolo di Israele nel deserto (v. Dt 8,2), sia i quaranta giorni e quaranta notti in cui Mosè è rimasto sul monte Sinai, prima di ricevere le tavole della Legge (Es 24,18). .
Il sintomo naturale della fame, che subentra al lungo digiuno, fornisce l’occasione della prima tentazione. Il tentatore si avvicina a Gesù e gli chiede di dimostrare la sua qualifica di Figlio di Dio trasformando le pietre in pane.
A questa tentazione Gesù risponde con una citazione biblica: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Dt 8,3).
La seconda tentazione ha come sfondo il tempio di Gerusalemme, quello che era il centro spirituale del giudaismo. Essa si svolge sul pinnacolo del tempio, dove si incrociavano le mura del portico di Salomone e di quello regio, con uno strapiombo nella vallata del Cedron. Da lì venivano precipitati i bestemmiatori.
Qui il diavolo fa la sua richiesta: “Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”, cita la Scrittura (salmo 91,11-12) dove si parla del soccorso che gli angeli garantiscono a chi confida in Dio. Gesù risponde: “Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». ed anche questa è citazione della Scrittura, che rievoca l’episodio dell’acqua scaturita dalla roccia (Dt 6,16).
La terza tentazione costituisce il culmine dell’assalto diabolico contro Gesù . Il tentatore lo porta su di un monte assai alto, dal quale si possano contemplare tutti i regni del mondo e qui il diavolo gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». con questa richiesta vuole non solo che Gesù si sottometta a lui, ma che riconosca il suo potere sul mondo.
Gesù allora smaschera il seduttore, e gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Chiamandolo con il suo vero nome, satana, Gesù gli ordina energicamente di andarsene via. Anche questa volta Gesù fa ricorso a una citazione biblica,” Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”. rifacendosi al testo in cui Mosè esorta il popolo di Israele a non dimenticare il Signore, che l’aveva liberato dall’Egitto, e temere e a servire Lui solo (Dt 6,13).
Queste tre tentazioni abbracciano in sintesi tutti i tipi di tentazione che ogni creatura umana di ogni tempo e di ogni luogo può subire: la tentazione materialistica, la tentazione spiritualistica e la tentazione del dominio sugli altri.
Gesù ha replicato alle tre sfide di satana con un’unica arma, quella della Parola di Dio., non ha usato nessuna parola Sua ma solo quella della Sacra Scrittura.
Anche il cristiano, sia religioso che laico, che cammina nella “foresta” della vita, popolata dalle provocazioni sottili o evidenti del benessere, del successo e del potere, deve avere come guida la Parola di Dio.

 

*****

“In questa prima domenica di Quaresima, il Vangelo ci introduce nel cammino verso la Pasqua, mostrando Gesù che rimane per quaranta giorni nel deserto, sottoposto alle tentazioni del diavolo .
Questo episodio si colloca in un momento preciso della vita di Gesù: subito dopo il battesimo nel fiume Giordano e prima del ministero pubblico. Egli ha appena ricevuto la solenne investitura: lo Spirito di Dio è sceso su di Lui, il Padre dal cielo lo ha dichiarato «Figlio mio, l’amato» (Mt 3,17). Gesù è ormai pronto per iniziare la sua missione; e poiché essa ha un nemico dichiarato, cioè Satana, Lui lo affronta subito, “corpo a corpo”.
Il diavolo fa leva proprio sul titolo di “Figlio di Dio” per allontanare Gesù dall’adempimento della sua missione: «Se tu sei Figlio di Dio…», gli ripete e gli propone di fare gesti miracolosi - di fare il “mago” - come trasformare le pietre in pane per saziare la sua fame, e buttarsi giù dalle mura del tempio facendosi salvare dagli angeli. A queste due tentazioni, segue la terza: adorare lui, il diavolo, per avere il dominio sul mondo.
Mediante questa triplice tentazione, Satana vuole distogliere Gesù dalla via dell’obbedienza e dell’umiliazione – perché sa che così, per questa via, il male sarà sconfitto – e portarlo sulla falsa scorciatoia del successo e della gloria. Ma le frecce velenose del diavolo vengono tutte “parate” da Gesù con lo scudo della Parola di Dio, che esprime la volontà del Padre.
Gesù non dice alcuna parola propria: risponde soltanto con la Parola di Dio. E così il Figlio, pieno della forza dello Spirito Santo, esce vittorioso dal deserto.
Durante i quaranta giorni della Quaresima, come cristiani siamo invitati a seguire le orme di Gesù e affrontare il combattimento spirituale contro il Maligno con la forza della Parola di Dio. Non con la nostra parola, non serve. La Parola di Dio: quella ha la forza per sconfiggere Satana. Per questo bisogna prendere confidenza con la Bibbia: leggerla spesso, meditarla, assimilarla.
La Bibbia contiene la Parola di Dio, che è sempre attuale ed efficace. Qualcuno ha detto: cosa succederebbe se trattassimo la Bibbia come trattiamo il nostro telefono cellulare? Se la portassimo sempre con noi, o almeno il piccolo Vangelo tascabile, cosa succederebbe? ; se tornassimo indietro quando la dimentichiamo: tu ti dimentichi il telefono cellulare - oh!, non ce l’ho, torno indietro a cercarlo; se la aprissimo diverse volte al giorno; se leggessimo i messaggi di Dio contenuti nella Bibbia come leggiamo i messaggi del telefonino, cosa succederebbe?
Chiaramente il paragone è paradossale, ma fa riflettere. In effetti, se avessimo la Parola di Dio sempre nel cuore, nessuna tentazione potrebbe allontanarci da Dio e nessun ostacolo ci potrebbe far deviare dalla strada del bene; sapremmo vincere le quotidiane suggestioni del male che è in noi e fuori di noi; ci troveremmo più capaci di vivere una vita risuscitata secondo lo Spirito, accogliendo e amando i nostri fratelli, specialmente quelli più deboli e bisognosi, e anche i nostri nemici.
La Vergine Maria, icona perfetta dell’obbedienza a Dio e della fiducia incondizionata al suo volere, ci sostenga nel cammino quaresimale, affinché ci poniamo in docile ascolto della Parola di Dio per realizzare una vera conversione del cuore.”
Papa Francesco Angelus 5 marzo 2017

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