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Mar 30, 2016

II domenica di Pasqua – Anno C – 3 aprile 2016

La prima domenica dopo Pasqua, prima di chiamarsi della Divina Misericordia, era chiamata "domenica in albis". Questo nome era dovuto perchè ai primi tempi della Chiesa il battesimo era amministrato durante la notte di Pasqua, ed i battezzandi indossavano una tunica bianca che portavano poi per tutta la settimana successiva, fino alla prima domenica dopo Pasqua, detta perciò "domenica in cui si depongono le vesti bianche" ("in albis depositis"). Questa domenica dal 2000 è stata proclamata Festa della Divina Misericordia per volontà del Papa Giovanni Paolo II, come testimonia la sua seconda Enciclica “Dives in Misericordia”, scritta nel 1980.

Le letture liturgiche però non hanno subito variazioni.

Nella prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, Luca sottolinea la crescita della prima comunità e colpisce l’immagine dei malati che si accostano a Pietro per farsi almeno coprire con la sua ombra nella speranza della guarigione.

Nella seconda lettura tratta dal libro dell’Apocalisse, Gesù risorto appare a Giovanni in visione come giudice universale, e gli affida la missione per le sette Chiese, raffigurate simbolicamente in sette candelabri d’oro. A Giovanni quasi privo di sensi Gesù lo rassicura dicendo: «Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente…” Gesù è l’eterno vivente e ad ogni celebrazione liturgica noi lo possiamo incontrare!

Il Vangelo di Giovanni riporta l’incontro di Gesù risorto con gli apostoli e il Suo saluto: Pace a Voi ! L’episodio di Tommaso, con i suoi umanissimi dubbi, è particolarmente utile per tutti coloro che procedono a tentoni in una valle oscura alla ricerca di Dio. Tommaso alla fine è stato in grado di proclamare la sua fede con una purezza straordinaria, forse la più alta del quarto Vangelo: “Mio Signore e mio Dio!”

Dagli Atti degli Apostoli
Molti segni e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; nessuno degli altri osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava.
Sempre più, però, venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne, tanto che portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle, perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro.
Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti impuri, e tutti venivano guariti.
At 5,12-16

Siamo al terzo sommario degli Atti (negli anni A e B si trovano i primi due ) e come nei prededenti si descrive il senso di unità della prima comunità cristiana di Gerusalemme tutta protesa a dare testimonianza pubblica con i fatti e la Parola.

Si verificano degli avvenimenti prodigiosi che rivelano la potenza dello Spirito di Gesù operante nei suoi testimoni qualificati, gli apostoli. Come avveniva al tempo di Gesù in Galilea (Lc 4,40), così ora l’azione potente di Dio si manifesta come forza di redenzione, che guarisce corpi malati e dà la liberazione agli uomini oppressi dalle potenze del male.
Di fronte a questa testimonianza pubblica Luca registra due tipi di reazione: quella del popolo e quella dei capi. Nel popolo ci sono persone intimorite ed impressionate che hanno persino timore di avvicinare il gruppo dei discepoli e nello stesso tempo altri, forse le persone più umili e semplici, sono attirate dalla nuova esperienza religiosa. Così si spiega l’aumento costante e progressivo di quelli che entrano a far parte della nuova comunità.

La comunità qui appare in tutta la sua bellezza e la sua unità: Apostoli e discepoli insieme e concordi e, allo stesso tempo, si presenta come un gruppo giudaico ben separato dagli altri e in continua crescita.
Questa realtà è tutta opera di Dio che compie prodigi per mezzo degli Apostoli e che suscita la fede in molti altri. Il loro inserimento nella tradizione ebraica è evidente. Si riuniscono, infatti, nel Tempio, il luogo più sacro del giudaismo e partecipano alle preghiere prescritte a tutti gli Ebrei.
Luca evidenzia in modo particolare la figura di Pietro e continuerà a farlo anche in seguito.
È Pietro che più degli altri opera prodigi tanto che la gente porta i suoi ammalati e li depone dove pensavano che passasse affinché almeno la sua ombra toccasse qualcuno di loro.
L’ombra era vista come continuazione della persona con tutti i suoi poteri.
Questa immagine della comunità è quella che più sottolinea il favore e l’entusiasmo del popolo e questo non poteva non infastidire i detentori del potere.

Salmo 117 - Rendete grazie al Signore perché è buono:il suo amore è per sempre
Dica Israele:«Il suo amore è per sempre».
Dica la casa di Aronne:
«Il suo amore è per sempre».
Dicano quelli che temono il Signore:
«Il suo amore è per sempre».

La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il giorno che ha fatto il Signore:
rallegriamoci in esso ed esultiamo!

Ti preghiamo, Signore: dona la salvezza!
Ti preghiamo, Signore: dona la vittoria!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Vi benediciamo dalla casa del Signore.
Il Signore è Dio, egli ci illumina.

Il salmo è stato composto per essere recitato con cori alterni e da un solista. Esso celebra una vittoria contro nemici numerosi. Probabilmente è stato scritto al tempo di Giuda Maccabeo dopo la vittoria su Nicanore e la purificazione del tempio di Gerusalemme (1Mac7,33; 2Mac 10,1s) (165 a.C). Si è condotti a questa collocazione storica, a preferenza di quella del tempo della ricostruzione delle mura di Gerusalemme con Neemia (445 a.C), dal fatto che si parla di “grida di giubilo e di vittoria”, che sono proprie di una vittoria militare. Inoltre le “tende dei giusti” non possono essere né le case, né le capanne di frasche per la festa delle Capanne, ma le tende di un accampamento militare.
Il salmo inizia con l'invito a celebrare l'eterna misericordia di Dio. A questo viene invitato tutto il popolo: “Dica Israele il suo amore è per sempre"; i leviti e i sacerdoti: “Dica la casa di Aronne”; i “timorati di Dio”: “Dicano quelli che temono il Signore” (Cf. Ps 113 B).

Il solista - storicamente Giuda Maccabeo – presenta come Dio lo ha aiutato dandogli la forza, nella confidenza in lui, di sfidare i suoi nemici. Egli non ha confidato, né intende confidare, in alleanze con potenti della terra, che lo avrebbero trascinato agli idoli, ma ha confidato nel Signore. Era circondato dal fronte compatto delle genti vicine asservite al dominio dei Seleucidi, ma “Nel nome del Signore le ho distrutte". L'urto contro di lui era stato forte, ma aveva vinto nel nome del Signore: “Mi avevano spinto con forza per farmi cadere, ma il Signore è stato il mio aiuto”. “Cadere” significa cedere all'idolatria.
Egli sa che deve continuare la lotta, ma è fiducioso nel Signore: “Non morirò, ma resterò in vita e annuncerò le opere del Signore”. “Le opere del Signore” sono la liberazione dall'Egitto, l'alleanza del Sinai e la conquista della Terra Promessa.

Il solista, che è alla testa di un corteo chiede che gli vengano aperte le porte del tempio purificato dopo le profanazioni di Nicanore per “ringraziare il Signore”: “Apritemi le porte della giustizia...”.
“La pietra scartata dai costruttori”, è Giuda Maccabeo e i suoi, scartati da tanti di Israele che si erano fatti conquistare dai costumi ellenistici (1Mac 1,11s). Tale pietra per la forza di Dio era diventata “pietra d'angolo”, per Israele.

“Questo è il giorno che fatto il Signore”; il giorno della vittoria, del ripristino del culto nel tempio, è dovuto al Signore. Per noi cristiani quel giorno è il giorno della risurrezione; della vittoria di Cristo contro il male. Il corteo viene invitato a disporsi con ordine fino all'altare: “Formate il corteo con rami frondosi fino agli angoli dell'altare”. Il salmo si conclude ripetendo l'invito a celebrare la misericordia del Signore. Il salmo è messianico nel senso che esso profeticamente riguarda il Cristo: (Mt 21,42; Mc 12,10; Lc 20,17; At 4,11; Rm 9,23; 1Pt 2,7).
Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di P.Paolo Berti

Dal libro dell’Apocalisse di S.Giovanni apostolo
Io,Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù.Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: «Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese».
Mi voltai per vedere la voce che parlava con me, e appena voltato vidi sette candelabri d’oro e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d’uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro.
Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la sua destra, disse: «Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente.
Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito».
Ap 1,9-11a, 12-13, 17-19

Il libro dell'Apocalisse, che è stato scritto dall’Apostolo Giovanni o da un suo discepolo nell’Anno 95, quando si trovava in esilio all’isola di Patmos, si compone di 22 capitoli, ed è il libro in cui Gesù si rivela (da qui il nome Apocalisse=rivelazione) così come Egli è, quale Re vittorioso sulla morte, il male ed il nemico di Dio e dell'umanità: Satana.
Questo libro inizia con i messaggi che Gesù Cristo invia alle "sette chiese" dell’Asia Minore dopo la Sua resurrezione ed ascensione. Questi messaggi, dice il libro, sono stati inviati da Cristo "per mezzo del suo angelo al suo servitore Giovanni."
Questo brano presenta la prima rivelazione avuta da Giovanni, durante un’estasi, nel giorno di domenica (nel giorno del Signore) e questo particolare riveste molta importanza. Egli la descrive seguendo il comune stile delle apocalissi e teofanie ma puntualizza in modo chiaro le caratteristiche del Risorto: ..il Primo e l’Ultimo, e il Vivente. Il risorto ha la pienezza della vita; ha il potere, e le chiavi: Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. Questo lo ha dimostrato risorgendo da morte e lo dimostrerà ancora con la risurrezione degli eletti. (V.Gv 5,26)

Dal vangelo secondo Giovanni
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.

Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!».
Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Gv 20, 19-31

Giovanni, in questo brano, ci racconta che i discepoli dopo la morte di Gesù, vivono nella paura e si sono chiusi nel cenacolo, ma Gesù entra nella casa a porte chiuse, perché il corpo del Risorto non ha più nessuno ostacolo, e rivolge loro il saluto messianico: "Pace a voi!“ Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco per far vedere le ferite dei chiodi e del colpo di lancia. (Giovanni è l'unico evangelista che riporta questo episodio e parla anche del colpo di lancia che ha trafitto il fianco di Cristo sulla croce). Dopo aver dato loro per la seconda volta il saluto della pace, il Risorto affida ai discepoli la missione di essere suoi messaggeri, e con il dono dello Spirito, che li consacra alla missione, i discepoli ricevono anche il potere di rimettere i peccati.
Giovanni, dopo aver descritto il primo incontro di Gesù con i suoi la sera di Pasqua, precisa che Tommaso, quando venne Gesù, era assente e da, uomo molto concreto, non crede a quanto i compagni gli riferiscono, anzi dice che vuol vedere con i suoi occhi e toccare con le sue mani; non solo ma precisa che vuole persino mettere il dito al posto dei chiodi e la mano nella ferita del costato.
Nella seconda apparizione ai discepoli nel cenacolo, otto giorni dopo, Gesù, dopo aver salutato gli amici col dono della pace, si rivolge all'apostolo incredulo esortandolo a toccare le Sue ferite per credere, e in questo invito il Signore prende quasi alla lettera le parole di Tommaso.

A questo invito Tommaso esclama : «Mio Signore e mio Dio!» facendo la sua professione, non solo, ma l’aggettivo "mio" davanti a Signore e Dio denota anche un accento d'amore e di appartenenza. Gesù allora conclude: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Tommaso è dunque entrato nel gruppo di coloro che, avendo visto, hanno creduto. Le parole di Gesù non rappresentano certo una critica nei confronti di coloro che appartengono a questa categoria, ma piuttosto esprimono un grande apprezzamento per tutti quelli che, pur non avendo avuto un’esperienza diretta di Gesù, hanno creduto sulla parola dei testimoni oculari .
L’evangelista pensa qui a coloro che essendo privi dell’esperienza diretta di Gesù, possono pensare di essere cristiani di seconda categoria: ad essi egli, con le parole del Risorto, dice: .. beati quelli che pur non avendo visto crederanno!
***

..all’apostolo Tommaso viene concesso di toccare le ferite di Gesù e così egli lo riconosce – lo riconosce, al di là dell’identità umana del Gesù di Nazareth, nella sua vera e più profonda identità: "Mio Signore e mio Dio!" (Gv 20,28).
Il Signore ha portato con sé le sue ferite nell’eternità. Egli è un Dio ferito; si è lasciato ferire dall’amore verso di noi. Le ferite sono per noi il segno che Egli ci comprende e che si lascia ferire dall’amore verso di noi. Queste sue ferite – come possiamo noi toccarle nella storia di questo nostro tempo! Egli, infatti, si lascia sempre di nuovo ferire per noi. Quale certezza della sua misericordia e quale consolazione esse significano per noi! E quale sicurezza ci danno circa quello che Egli è: "Mio Signore e mio Dio!" E come costituiscono per noi un dovere di lasciarci ferire a nostra volta per Lui!

Stralcio del discorso di Benedetto XVI nella II domenica dopo Pasqua 15 aprile 2007

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