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Apr 14, 2016

IV domenica di Pasqua – Anno C – Gesù buon Pastore – 17 aprile 2016

Con la quarta domenica di Pasqua ogni anno si celebra la Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni e il tema questa volta è suggerito da Papa Francesco nella Evangeliumm Gaudium : “Vocazioni e santità: grati perchè amati”

E’ conosciuta anche come giornata del Pastore e della vocazione, in particolare quella sacerdotale e religiosa.

Nella prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli, ci viene descritta l’opera missionaria di Paolo e Barnaba ad Antiochia: i discepoli “pieni di gioia e di Spirito Santo” erano attivissimi nel formare una comunità unita. Di fronte alla reazione dei Giudei del luogo, essi dichiarano che si sarebbero rivolti per il futuro ai pagani annunciando loro il Vangelo.

Nella seconda lettura, tratta dal libro dell’Apocalisse, Cristo viene presentato come l’agnello sacrificale che si trasforma in pastore: l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita.

Nel vangelo di Giovanni, Gesù viene presentato come il Buon Pastore che afferma: “Le mie pecore ascoltano la mia voce”. La conoscenza di Gesù si può raggiungere ascoltando la sua voce, obbedendo alla sua parola, come fa il gregge che segue il suo pastore.

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Paolo e Bàrnaba, proseguendo da Perge, arrivarono ad Antiochia in Pisìdia e, entrati nella sinagoga nel giorno di sabato, sedettero.
Molti Giudei e prosèliti credenti in Dio seguirono Paolo e Bàrnaba ed essi, intrattenendosi con loro, cercavano di persuaderli a perseverare nella grazia di Dio.
Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola del Signore. Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo. Allora Paolo e Barnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore:
“Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra”».
Nell’udire ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore, e tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero. La parola del Signore si diffondeva per tutta la regione. Ma i Giudei sobillarono le pie donne della nobiltà e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li cacciarono dal loro territorio. Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Icònio. I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.

At 13,14, 43-52
Dal capitolo 13 inizia una nuova suddivisione del libro degli Atti e la Chiesa d’Antiochia diventa il punto di partenza dell’opera che sta per compiersi fra le nazioni. Barnaba e Paolo dopo aver fatto la prima tappa all’isola di Cipro, giungono in Panfilia e proseguendo poi da Perge, arrivano ad Antiochia in Pisìdia.
Ancora una volta Paolo e Barnaba si confrontano con i cristiani di Antiochia. ma mentre questa moltitudine di credenti pende dalle labbra dei due missionari, i Giudei, morsi dalla gelosia, si affannano a contraddire le loro affermazioni. Il testo annota: i Giudei furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo. E' lo scontro penoso tra il cuore indurito di Israele e la docilità dei pagani, il rifiuto dei figli e l'assenso degli stranieri.

Paolo e Barnaba allora dichiararono: “Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani” Poi richiamando quanto diceva Isaia affermano: “Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra”..(Is 49,6) per dimostrare come ogni distruzione delle barriere nazionali o razziali entri nel piano salvifico di Dio.
La decisione di Paolo e di Barnaba rallegra i pagani, i quali “glorificavano” la parola di Dio. Luca osserva che tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero. E questo vuol dire che questi pagani, che hanno aderito a Paolo e Barnaba, non si limitano ad una reazione di simpatia, ma intraprendono un vero cammino di fede che presuppone un dono speciale da parte di Dio, perchè l’adesione alla fede è sempre opera di Dio.

Luca dopo aver commentato che La Parola del Signore si diffondeva per tutta la regione, annota che i giudei scatenarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba, che sono costretti ad andarsene. Essi allora si recano ad Iconio, non prima però di aver “scosso contro di loro la polvere dei piedi” . Questo gesto, fa riferimento a quanto aveva detto Gesù (Lc 9,5; 10,11), per significare che su coloro che hanno rifiutato il messaggio incombeva una dura condanna.
Il brano termina sottolineando che ”I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo” perchè, nonostante il rifiuto dei giudei e la loro espulsione, era sorta in Antiochia di Pisidia una fervente comunità cristiana.

Salmo 99- Noi siamo suo popolo, gregge che egli guida
Acclamate al Signore, voi tutti della terra,
servite il Signore nella gioia,
presentatevi a lui con esultanza.

Riconoscete che solo il Signore è Dio:
egli ci ha fatti e noi siamo suoi,
suo popolo e gregge del suo pascolo.

Perché buono è il Signore,
Il suo amore è per sempre,
la sua fedeltà di generazione in generazione.

Questo salmo è un invito a tutti i popoli della terra a riconoscere l'unico Dio e a servirlo, cioè obbedire al suo disegno, che ha come oggetto l'uomo stesso. Il salmista invita a servirlo nella gioia, cioè con la gratitudine, l'esultanza di chi si riconosce amato e salvato da Dio. Il salmista desidera che i popoli della terra riconoscano l'identità d Israele per poterne partecipare: “Riconoscete che solo il Signore è Dio: egli ci ha fatti e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo”. L'invito al tempio di Gerusalemme non ha confini. E' un invito espresso nell'attesa messianica, poiché a Gerusalemme, per mezzo del Messia, avverrà la ricomposizione dell'unità tra tutti i popoli. I popoli pagani sono invitati a orientarsi al Dio di Israele, al vero Dio, la cui gloria dimora nel tempio di Gerusalemme: “Varcate le sue porte con inni di grazie, i suoi atri con canti di lode...”. Tutti devono benedire la sua identità, (il suo nome), perché Dio è buono, misericordioso, fedele alla sua parola alle sue promesse.
Nel giorno della Pentecoste veramente si è avverato un andare a Gerusalemme di tanti e tanti, che, non Giudei, avevano abbracciato la religione di Israele (At 2,9s). A questi - i proseliti - vanno aggiunti i timorati di Dio, che non intendevano giungere al rito della circoncisione e alla pratica rituale della legge mosaica (At 10,2).
Noi in Cristo invitiamo i popoli ad accogliere il messaggio di Cristo, a riconoscere il vero Dio e a far parte col battesimo della Chiesa, le cui porte e atri sono aperte all'ingresso di tutti i popoli.
Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di P. Paolo Berti

Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo
Io, Giovanni, vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani.
E uno degli anziani disse: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro.
Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna,
perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono,
sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita.
E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi».
Ap. 7,9, 14b-17

Questo brano è l’intermezzo della sezione che va sotto il nome di “i sette sigilli”. Essi vengono aperti dall’Agnello immolato, cioè da Cristo che si presenta così, per mezzo della sua passione, come il rivelatore del disegno salvifico di Dio. In questo contesto la visione di Giovanni, ha lo scopo di indicare come i “segnati” dell’Israele ideale, cioè della Chiesa, sono benedetti e protetti da Dio.
La conclusione ci riporta alla fase finale della salvezza:
I redenti, passati attraverso il mare della tribolazione, ora sono con Dio. Tutta la loro vita non è che un rimanere con Dio ed Egli li accoglie sotto una medesima tenda, li consola e abita con loro per sempre.
Poi riporta immagini, correnti nella tradizione profetica, per descrivere la felicità escatologica:
Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi.
***
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Gv 10, 27-30

Questo brano tratto dal capitolo 10 del Vangelo di Giovanni è la continuazione del tema “Gesù, Buon pastore” (meditato nella IV domenica di Pasqua – anno A e anno B) e cerca di indicare il fine dell’agire amoroso di Gesù “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”.
Da una parte dunque c’è Gesù che conosce le sue pecore, dall’altra esse ascoltano la sua voce e lo seguono. Gesù conosce le sue pecore come Dio conosce il suo popolo. Questa conoscenza consiste in un rapporto di amore molto personale e profondo in forza del quale Gesù conduce i Suoi verso la salvezza come un giorno Dio aveva guidato il Suo popolo verso la Terra promessa. L’ascolto della Sua parola da parte delle pecore significa che i credenti in Lui non si limitano a eseguire le Sue direttive, ma entrano in profonda sintonia con Lui con i valori che hanno ispirato la Sua vita e che lo hanno portato a donarsi fino in fondo.
La conoscenza che Gesù ha delle sue pecore viene poi ulteriormente specificata: Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. L’espressione «Io do loro la vita» indica l’amore che lo ha portato a morire sulla croce e di conseguenza la vita nuova che Egli dà a chi crede in Lui.
Questo pensiero viene ulteriormente approfondito nella frase seguente: “Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre”. Coloro che credono in Gesù non possono essere strappati da Lui perché per mezzo Suo essi hanno stabilito un rapporto strettissimo con il Padre, che è amore e potenza infinita..
Gesù conclude affermando: “Io e il Padre siamo una cosa”. Questa espressione indica la perfetta sintonia che esiste tra Dio Padre e il Suo inviato, Suo Figlio Gesù. Essa appare dal fatto che in Lui e per mezzo Suo si è attuata pienamente la salvezza promessa da Dio nelle Scritture. I Suoi discepoli perciò hanno visto in Lui la manifestazione della “Parola-Sapienza” mediante la quale Dio ha creato il mondo e conduce gli esseri umani alla comunione con sé.
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Gesù, è il “Pastore di cento pecore, non di novantanove”, e “le vuole tutte”: “La misericordia non è solo l’agire del padre, ma diventa il criterio per capire chi sono i suoi veri figli”, e la Chiesa “non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa”.
Papa Francesco

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