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Giu 27, 2017

Vestire gli ignudi

“Vestire gli ignudi” possiamo dire che ad adempiere a questa opera di misericordia corporale è stato Dio stesso che, nel Paradiso Terrestre, “fece all’uomo ed a sua moglie tuniche di pelle e li vestì” (Gen. 3,21). I nostri progenitori, infatti, solo dopo aver commesso la disobbedienza ed aver perso la loro innocenza, si sono accorti di essere nudi e “ne provarono vergogna” (Gen. 2,25).

L’essere nudo, nella Bibbia, è considerato una negatività, è segno di disprezzo e di umiliazione. Il vestito, oltre ad essere una necessità per proteggersi dal freddo, assume sempre di più un carattere distintivo: la veste diventa così un paramento, un simbolo che denota una carica, una funzione, una dignità. L’investitura è, infatti, la cerimonia in cui si affida ad una persona un determinato compito, gli si dà una veste: il Padre Misericordioso, appena vede il figlio ritornare, ordina ai servi di “portare il vestito più bello e farglielo indossare, mettergli l’anello al dito ed i sandali ai piedi” (Lc. 15,22); le vesti di Gesù durante la Trasfigurazione “diventano candide come la luce” (Mt. 17,2); significativa è la differenza tra il giovane che ha addosso soltanto un lenzuolo e, durante la cattura di Gesù, lo lascia cadere fuggendo nudo ed “il giovane vestito di bianca veste” che “seduto sulla destra” del Sepolcro annuncia alle Donne la Resurrezione del Nazzareno (Mc. 16,5): il primo è la morte l’altro è la vita. Paolo ci ricorda che “siamo figli di Dio mediante la fede in Cristo e, in quanto battezzati in Cristo, siamo rivestiti di Cristo” (Gal. 3,27). Cristo è diventato il nostro vestito.

GLI ABITI DI GESU’

Gesù sembra non curarsi molto dell’abbigliamento infatti, in quella bellissima esortazione ad abbandonarsi alla Provvidenza, esorta i suoi discepoli a non preoccuparsi di ciò che indosseranno ma a guardare la bellezza dei gigli del campo che Dio veste meglio di quanto fossero i vestiti dello stesso Re Salomone (Cfr. Mt. 6,28-30). Invece i Vangeli ci parlano degli abiti di Gesù, a partire dalle fasce in cui fu avvolto alla nascita da sua Madre; sappiamo del suo mantello e della sua tunica. Gli abitanti di Gennèsaret corrono per toccare il mantello di Gesù e Matteo riferisce che “quanti lo toccarono furono guariti” (Mt. 14,25) e, anche la timida emorroissa, per aver toccato con fede il mantello di Gesù, è risanata.

Gesù, però, depone le vesti e si cinge con un asciugamano a mò di grembiule per poter meglio lavare i piedi ai discepoli. Anche la Vergine che appare a La Salette indossa un grembiule. Il Grembiule è simbolo di amore e di servizio, è un’ efficace immagine dell’esercizio delle Opere di Misericordia.

I soldati, nel Pretorio, spogliano Gesù e gli fanno indossare un mantello scarlatto, gli pongono sul capo una corona di spine per deriderlo, gli rimettono le sue vesti e lo conducono alla crocifissione. Arrivato sul Gòlgota, Gesù “fu spogliato delle sue vesti” come ce lo ricorda la X Stazione del pio esercizio della Via Crucis.

“I soldati, quando ebbero crocefisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato... e tirarono a sorte la tunica perché era senza cuciture” (Gv. 19,23-24).

Gesù muore nudo. Nudi venivano venduti gli schiavi, nudi avviati i deportati alle camere a gas.

 

VESTIRSI

Saggiamente Giobbe dice (1,21) “nudo uscii dal grembo di mia madre e nudo vi tornerò”. Tutti, nell’arco della vita, ci dobbiamo vestire. Questo bisogno è passato dall’essere una necessità naturale al diventare, non solo una necessità sociale, ma anche un’espressione culturale. Ai nostri giorni è diventato un vero e proprio status symbol, cioè un mezzo per dimostrare il proprio decoro e la propria condizione.

Per apparire riempiamo i nostri armadi e, per aggiornarci agli ultimi dettami della moda, siamo disposti a qualsiasi sacrificio. Moda che spesso, più che mirare all’eleganza, stimola all’esibizione e certo non invoglia alla sobrietà ed alla modestia. Molte volte si ha l’impressione che l’umanità abbia perso il senso del pudore e che non abbia più rispetto per sé e per gli altri, insomma che “non provi più vergogna”. Pensiamo agli spettacoli televisivi ed agli spot pubblicitari dove non si perde occasione per mostrare corpi più o meno vestiti. Per non vedere le nudità del loro padre Noè, Sem e Jafet camminarono all’indietro e con il loro mantello lo coprirono.

Lodiamo e ringraziamo sempre il Signore per il meraviglioso corpo che ci ha dato: capolavoro di perfezione estetica e funzionale. Proprio per questa “perfezione” cerchiamo di curarlo, custodirlo, rispettarlo ed onorarlo con vestiti che...vestano.

 

SAN MARTINO

Quando pensiamo a questa Opera di Misericordia, ricordiamo la storia di San Martino di Tours che taglia a metà il suo mantello per darlo ad un povero infreddolito, rivelatosi poi Gesù. Quanti “straccioni” vestiti di “stracci” dormono sulle panchine dei viali; in genere sono assistiti dai tanti e valorosi volontari della Caritas o di altre associazioni ed enti filantropici. Purtroppo qualche nostro fratello “senza fissa dimora” la mattina è trovato morto: ad ucciderlo è stato non solo il rigore della notte ma anche il gelo della solitudine, della mancanza di affetto, del non sentirsi amato e dell’avere nessuno da amare.

Quando facciamo il “cambio di stagione” evitiamo di regalare indumenti eccessivamente logori. Cerchiamo, con questo nostro gesto, di aiutare le persone a riappropriarsi della loro dignità di uomini e donne amati da quel Cristo che un giorno ci dirà: “Ero nudo e mi hai vestito”.

Acquistiamo con giusto criterio abiti ed accessori costosi e griffati che probabilmente useremo per poco tempo e pensiamo a quello che ha detto una grande maestra dell’arte del vestire Coco Chanel “La moda è quella cosa che passa di moda”.... mentre la carità è eterna.

I Laici Salettini

 

 

 

 

 

 Si ringrazia Famiglia Luce Sia per la foto

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