1. Domani, Sabato, 1° Gennaio, si celebra la Solennità di Maria Santissima Madre di Dio. La messa a cui avete partecipato questa sera, è quella vespertina, quindi valida per la festività di domani. Sempre domani, la Chiesa celebra la Giornata mondiale della Pace. Per le messe seguiamo l’orario delle domeniche (08.30; 10.00; 11.30 e 18,30).
2. Il 2 Gennaio, domenica, celebriamo la II domenica dopo Natale, seguendo l’orario delle domeniche.
3. Il 6 Gennaio, giovedì, si celebra la Solennità dell’Epifania del Signore, con le messe nello stesso orario delle domeniche (08.30; 10.00; 11.30 e 18,30). Nello stesso giorno si celebra anche la Giornata dell’Infanzia Missionaria. La messa vespertina è mercoledì 5 gennaio alle 18.30. Il 6 gennaio, termina anche la gara dei presepi. Potete ancora inviare le vostre foto all'indirizzo mail dell'oratorio.
4. Il 9 Gennaio, domenica, celebriamo la festa del Battesimo del Signore. L’orario delle celebrazione, seguirà come sempre quello delle domeniche (08.30; 10.00; 11.30 e 18,30). Nello stesso giorno, dalle 11.00 alle 12.15 riprenderà l'animazione domenicale in oratorio, con la premiazione della gara dei presepi.
5. L'oratorio ringrazia tutta la comunità parrocchiale per l'impegno profuso nella realizzazione delle Scatole di Natale. Le scatole sono state consegnate dai ragazzi, domenica 26 dicembre in zona San Pietro, regalando un sorriso a circa 20 bisognosi, abitanti in strada.
La liturgia di questa II domenica dopo Natale ci invita ad approfondire il significato della festa del Natale contemplando l'incarnazione, l'umanizzazione di Dio nel figlio unigenito.
La prima lettura tratta dal libro del Siracide esalta la "sapienza divina" e la relazione che intercorre tra Dio e il creato, opera delle sue mani. Parla del viaggio che ha compiuto per porre la sua dimora tra gli uomini: "fissa la tenda in Giacobbe e prendi in eredità Israele".
La seconda lettura tratta dalla lettera agli Efesini, Paolo nella prima parte, in armonia con il Siracide e il Salmista, effonde il suo canto di benedizione nell'inno di ringraziamento a Dio, che "ci ha benedetti" in Cristo Gesù e per mezzo di Lui ci ha predestinati ad essere "figli adottivi" del Padre suo. Nella seconda parte, Paolo parla ai fedeli dei propri sentimenti di gratitudine a Dio nei loro riguardi e del contenuto della sua incessante preghiera perche migliorino nella conoscenza pratica dei doni concessi da Dio in Cristo.
Nel Vangelo di Giovanni, l’evangelista nel suo mirabile prologo, che abbiamo già ascoltato nella Messa del giorno di Natale, dando l’annuncio dell’incarnazione ci rivela l'identità di quel misterioso bambino, che oggi la Chiesa ci invita a meditare: " In principio era la Parola, la Parola era presso Dio e la Parola era Dio... ". La parola di Dio ci chiama continuamente ad una scelta davanti alla luce e alla tenebra. E’ una scelta quotidiana e spesso sofferta, ma deve essere senza compromessi, altrimenti è come non accogliere Cristo, pur essendo dei “suoi” membri della sua gente”.
Dal libro del Siracide
La sapienza fa il proprio elogio,
in Dio trova il proprio vanto,
in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria,
Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca,
dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria
in mezzo al suo popolo viene esaltata,
nella santa assemblea viene ammirata,
nella moltitudine degli eletti trova la sua lode
e tra i benedetti è benedetta, …..
Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine,
colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda
e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe
e prendi eredità in Israele
affonda le tue radici tra i miei eletti. ”.
Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato,
per tutta l’eternità non verrò meno.
Nella tenda santa davanti a lui ho officiato
e così mi sono stabilita in Sion.
Nella città che egli ama mi ha fatto abitare
e in Gerusalemme è il mio potere.
Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso,
nella porzione del Signore è la mia eredità,
Nell’assemblea dei santi ho preso dimora”.
Sir 24,1-4.8-12
Il libro del Siracide è un libro un po’ particolare perché fa parte della Bibbia cristiana, ma non figura nel canone ebraico. Si tratta di un testo deuterocanonico che, assieme ai libri di Rut, Tobia, Maccabei I e II, Giuditta, Sapienza e le parti greche del libro di Ester e di Daniele, è considerato ispirato nella tradizione cattolica e ortodossa, per cui è stato accolto dalla Chiesa Cattolica, mentre la tradizione protestante lo considera apocrifo.
È stato scritto originariamente in ebraico a Gerusalemme attorno al 196-175 a.C. da Yehoshua ben Sira (tradotto "Gesù figlio di Sirach", da qui il nome del libro "Siracide"), un giudeo di Gerusalemme, in seguito fu tradotto in greco dal nipote poco dopo il 132 a.C..
È composto da 51 capitoli con vari detti di genere sapienziale, sintesi della religione ebraica tradizionale e della sapienza comune. Benché non sia stato accolto nel canone ebraico, il Siracide è citato frequentemente negli scritti rabbinici; nel Nuovo Testamento la lettera di Giacomo vi attinge molte espressioni, ed anche la saggezza popolare fa proprie alcune massime.
Il contenuto di questo brano rappresenta il centro e il culmine di tutto l’insegnamento contenuto nel libro del Siracide. Dopo aver espresso il frutto delle sue ricerche e riflessioni, l’autore introduce la sapienza che “fa il proprio elogio,in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria“ e al tempo stesso prende la parola nell’assemblea dell’Altissimo” e si glorifica davanti alla sua potenza.
Il popolo a cui la sapienza appartiene e al quale si presenta è la comunità di Israele, come apparirà più chiaramente nei versetti seguenti; ma all’interno di questo popolo essa sta alla presenza di Dio, che abita nel Suo tempio, in Gerusalemme.
Dopo questa presentazione la sapienza stessa prende la parola e pronunzia il suo poema.
Nei versetti (“Io sono uscita dalla bocca dell’Altissimo ….3-7) omessi dalla liturgia, descrive la propria origine e il ruolo cosmico che le è stato assegnato . Essa è uscita dalla bocca dell’Altissimo come la parola, mediante la quale Dio ha creato l’universo (Gn 1), e forse come lo spirito di Dio che aleggia sul caos primordiale (Gn 1,2). Essa ha ricoperto “come nube” la terra! (la nube è una nota immagine biblica di Dio). La sapienza ha preso dimora (ha posto la sua tenda) nei cieli più alti, abitazione di Dio, ma ciò non le ha impedito di percorre i cieli e gli abissi, prendendo possesso sia del cosmo che dell’umanità che lo abita, Essa ha svolto dunque un ruolo determinante come mediatrice di Dio nella creazione e continua a svolgerlo nel governo di tutte le cose
La sapienza narra poi, la sua venuta sulla terra “Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine,colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele affonda le tue radici tra i miei eletti. ”.
Sebbene fosse già presente in tutto l’universo e in ogni nazione, la sapienza ha cercato un luogo di riposo un possedimento speciale in cui stabilirsi; allora il creatore dell’universo, che è anche suo creatore, le ha comandato di fissare la tenda (skênoô, porre la tenda) in Giacobbe e di prendere in eredità Israele.
“Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l’eternità non verrò meno.
Nella tenda santa davanti a lui ho officiato e così mi sono stabilita in Sion. Nella città che egli ama mi ha fatto abitare e in Gerusalemme è il mio potere”.
Dopo aver nuovamente sottolineato di essere stata creata da Dio prima dei secoli, fin da principio, la sapienza specifica il luogo della sua dimora: essa si è stabilita “nella tenda santa”, che si trova in Sion, dove svolge un servizio cultuale; essa ha posto così il suo potere in Gerusalemme, la città amata da Dio, e si è legato ad un popolo, inaugurando la storia della salvezza,
Per Siracide la Sapienza che abita in Israele è la Scrittura, la Legge, mentre nella rilettura fatta dal Nuovo Testamento essa è il Verbo che rivela a noi non solo il volere del Padre, ma il Padre stesso, come ci conferma Giovanni nel suo Vangelo (Gv 1,18)
Salmo 147 - Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi.
Celebra il Signore, Gerusalemme,
loda il tuo Dio, Sion,
perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli.
Egli mette pace nei tuoi confini
e ti sazia con fiore di frumento.
Manda sulla terra il suo messaggio:
la sua parola corre veloce.
Annuncia a Giacobbe la sua parola,
i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.
Così non ha fatto con nessun’altra nazione,
non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi.
Il salmo è stato composto nel postesilio durante la ricostruzione morale ed economica di Gerusalemme, che era di invito ad altri esuli di intraprendere il viaggio di rientro in patria.
Il salmista invita alla lode dicendo che “È bello cantare inni al nostro Dio, è dolce innalzare la lode". A lui conviene la lode, e una lode adeguata, cioè che sgorga da un cuore aperto a lui, senza donazioni parziali di sé. Lodare è celebrare la bontà del Signore manifestata nelle sue opere. Lodare è rivolgersi a lui pieni di fede, compresi della sua misericordia, della sua giustizia, della sua provvidenza, della sua volontà di comunione con l'uomo;.).
“Il Signore ricostruisce Gerusalemme”; ciò non riguarda la ricostruzione delle mura, ma l'organizzazione interna della città, la sua solidità economica, la sua capacità difensiva.
“Risana i cuori affranti e fascia le loro ferite”; con l'avvento di una normalità di vita i cuori ritornano a guardare con serenità al futuro.
Il pietoso Dio che fascia le ferite dei cuori affranti è anche colui che è sovrano dell'universo, poiché “Egli conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome”. Egli conosce il numero sterminato degli astri (in Terra Santa le condizioni atmosferiche permettono di vedere un cielo denso di stelle) e ogni stella è conosciuta da lui nella sua realtà: “chiama ciascuna per nome”.
Dallo sguardo all'immensità del numero delle stelle, il salmista sale a considerare la grandezza, l'onnipotenza e la sapienza di Dio: “Grande è il Signore nostro, grande nella sua potenza; la sua sapienza non si può calcolare”.
Il salmista prosegue considerando come Dio sostiene gli umili, e abbatte gli empi. Perché l'umiltà è il porsi giusto davanti al Creatore, che è pure salvatore; è il vincere il voler essere come Dio; è gioia e gratitudine di essere amati e perdonati. L'umile sa amare, sa lodare, sa riconoscere i benefici ricevuti; così il salmista invita a cantare un “canto di grazie” a Dio perché regola le stagioni a favore dell'uomo
”. Il bestiame tenuto al pascolo ha così cibo, ma anche gli uccelli di cui nessuno se ne cura hanno cibo dalla provvidenza di Dio.
Inutile pensare che Dio deleghi la sua assistenza contro i nemici del suo popolo alla forza dei cavalli e all'agilità dei guerrieri, quasi che non potesse agire in altro modo che per mezzo di un esercito. Questo Dio l'aveva dimostrato molte volte, e di recente sventando la coalizione armata contro Gerusalemme mentre stava ricostruendo le sue mura (Ne 4,9).
Dio non si compiace dell'autosufficienza di chi crede di salvarsi per la forza dei cavalli o l'abilità dei guerrieri, ma si compiace di “chi lo teme, chi spera nel suo amore”.
Gerusalemme riedificata ha visto consolidata la sua sicurezza di fronte ai popoli confinanti che ora la temono e hanno sospeso le ostilità contro di essa: “Ha rinforzato le sbarre delle tue porte (...). Egli mette pace nei tuoi confini”.
Dio ha benedetto i gli abitanti di Gerusalemme - “in mezzo a te” - e di riverbero tutti gli abitanti di Giuda. Non manca per questo la prosperità materiale: “Ti sazia con fiore di frumento”, cioè con la miglior qualità di farina.
Egli invia la sua Parola a Israele per mezzo dei profeti postesilici, ed essa si diffonde velocemente.
Ma la sua Parola oltre che essere luce per gli uomini è anche creatrice. E' per la sua parola creatrice che viene il freddo, scende la neve, la grandine, la brina, ma segue però il caldo, lo scioglimento delle nevi, lo scorrere delle acque dai nevai. Inverno, temporali, bel tempo sono sotto il comando della sua Parola. La natura non è lasciata a se stessa, ma governata da Dio a favore dell'uomo (Cf. At 14,17).
“Annuncia a Giacobbe la sua parola”; il salmista riprende il tema della parola data ad Israele per mezzo dei profeti. La legge di Mosè e i suoi decreti sono ripresentati con forza dai profeti e dai sacerdoti.
“Così non ha fatto con nessun'altra nazione...”; Israele è oggetto di un'elezione divina, che lo costituisce segno di Dio in mezzo ai popoli.
La Chiesa è invitata a lodare Dio, a glorificarlo, perché ha inviato e dato il suo Figlio, la sua Parola perfetta. Egli l'assiste fortificandola con la forza dello Spirito Santo, e la nutre con fior di frumento, cioè con il pane che non è più pane, se non nelle apparenze, essendo realmente diventato il Corpo del Signore.
Commento tratto da “Il volto dell’’Umile”
Dalla lettera di S.Paolo apostolo agli Efesini
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale
nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d’amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
Perciò anch’io, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi
Ef 1,3-6, 15-18
La Lettera agli Efesini è una delle lettere che la tradizione cristiana attribuisce a S.Paolo, che l'avrebbe scritta durante la sua prigionia a Roma intorno all'anno 62. Gli studiosi moderni però sono divisi su questa attribuzione e la maggioranza ritiene più probabile che la lettera sia stata composta da un altro autore appartenente alla scuola paolina,forse basandosi sulla lettera ai Colossesi, ma in questo caso la datazione della composizione può oscillare, tra l'anno 80 e il 100. La lettera agli Efesini si può dire che è la” lettera della Chiesa” del suo mistero e vita, tanto che anche il Concilio Vaticano II se ne è ampiamente ispirato
Il brano che abbiamo, è uno dei tre grandi inni Cristologici, che preghiamo anche durante i Vespri ogni settimana e che ci fa riflettere sul ruolo di Gesù nel progetto di amore del Padre. In particolare questo inno ci parla della predestinazione dei credenti. E' il Padre che sin dall'inizio dei tempi aveva pensato a noi, per renderci santi, per renderci suoi figli.
Il brano inizia con una invocazione benedicente: “Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.”
La benedizione di Dio significa comunicazione di vita, e trova il suo compimento quando torna a Dio sotto forma di benedizione da parte dell'uomo. Il movimento della benedizione è prima discendente, poi ascendente: il dono è infatti completo solo quando è riconosciuto come tale, e il segno del riconoscimento è la lode. La comunicazione di vita, la benedizione, consiste nella chiamata alla santità.
“In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità”. Paolo ci spiega ora in cosa consista questa benedizione: Dio ci ha scelti, ci ha eletto, come aveva scelto il popolo di Israele. C'è un'iniziativa gratuita di Dio che previene ogni pretesa umana. E' una gratuità che parte dal Padre e ha avuto inizio prima della creazione del mondo!
“predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato”.
Il progetto di Dio si attua per mezzo di Gesù Cristo e consiste nel far partecipare tutti i credenti alla sua condizione di figlio unico e amato. Se si parla di adozione, non è per sminuire la realtà dell'essere figli ma per sottolineare la differenza con la figliolanza di Gesù, che è modello e fonte di quella di t Il testo liturgico salta buona parte dell’inno per arrivare alla preghiera dell’apostolo
“Perciò anch’io, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere”,
Dopo aver benedetto il Signore, Paolo eleva la sua preghiera di ringraziamento. Egli ha saputo che ad Efeso e Colossi la fede prospera e si concretizza in opere di bene nei confronti dei fratelli della comunità, quindi ringrazia ininterrottamente il Signore e prega per i Colossesi e gli Efesini.
“affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui”;
Paolo chiede che sia dato loro lo Spirito di sapienza, di rivelazione, affinché conoscano Dio sempre più profondamente. Questi tre elementi sono un’unica realtà spirituale, dove è privilegiata l’esperienza e una maturazione della fede, per arrivare ad una amicizia sempre più vera con Dio che si concretizza nella vita quotidiana.
“comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi” Si tratta di un’esperienza che non rimane solo al presente, ma si apre al futuro, alla gloria di tutti i santi.
Questa preghiera per i cristiani di Colossi e di Efeso è quanto mai viva e valida oggi anche per tutti noi
Dal vangelo secondo Giovanni
In principio era il Verbo,e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.
Gv 1, 1-18 .
In questo mirabile prologo, l’evangelista Giovanni colloca il Verbo in Dio, presentandone la preesistenza eterna, l'intimità di vita con il Padre e la sua natura divina.
(Il termine "Verbo" ha come sottofondo la letteratura sapienziale e il tema biblico della parola di Dio nell'Antico Testamento, dove sia la Sapienza che la Parola vengono presentate come "persona" legata a Dio e mandata da Dio nel mondo per orientarlo verso la vita. Il Verbo è forza che crea, rivelazione che illumina, persona che comunica la vita di Dio).
Dopo i primi due versetti introduttivi, Giovanni ci presenta il ruolo del Verbo nella creazione dell'universo e nella storia della salvezza: "tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.” Tutta la storia appartiene a Lui. Tutte le cose sono opera del Figlio di Dio, di Gesù di Nazareth.
“In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta.” Ogni uomo è fatto per la luce ed è chiamato ad essere illuminato dal Verbo con la luce eterna di Dio, che è la vita stessa del Padre donata al Figlio. La luce di Cristo splende su ogni uomo che viene nel mondo e le tenebre lottano per eliminarla. Tuttavia l'ambiente del male, che si oppone alla luce di Dio e alla parola di Gesù-Verbo, non riesce ad avere il sopravvento e a vincere.
“Venne un uomo mandato da Dio:il suo nome era Giovanni.”La luce venuta nel mondo è preceduta da un testimone, Giovanni il Battista, che ha la missione di parlare a favore della luce.
Il ruolo del Battista è unico: “Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui”. Giovanni è il testimone di Gesù che riceve la testimonianza che il Padre dà al Figlio nel battesimo e che vede lo Spirito scendere e rimanere su Gesù (Gv 1,32-34).
“Non era lui la luce,ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera,quella che illumina ogni uomo”. Gesù è la luce autentica e perfetta che appaga le aspirazioni umane; la sola che dà senso a tutte le altre luci che appaiono nella scena del mondo. Questa luce divina illumina ogni uomo che nasce in questo mondo. E' la luce che si offre nell'intimo di ogni essere come presenza, stimolo e salvezza.
“Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui” Gesù-Verbo, presente tra gli uomini con la Sua venuta, è vicino ad ogni uomo. Benché fosse già nel mondo come creatore e come centro della storia,
“eppure il mondo non lo ha riconosciuto”, cioè gli uomini non hanno creduto nel Verbo incarnato e nella Sua missione di salvatore. Al rifiuto del mondo, si aggiunge un altro ben più grave:
"Venne fra i suoi,e i suoi non lo hanno accolto”. ossia la Parola del Signore è andata prima al popolo ebraico, ma Israele l'ha respinta.
Se il comportamento dell'umanità, e in particolare quello d'Israele, è stato di netto rifiuto di Gesù-Verbo, tuttavia, un gruppo di persone, un "resto di Israele", l'ha accolto e ha dato una risposta positiva al suo messaggio, stabilendo un nuovo rapporto con Dio:
“A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”:
Solo coloro che accolgono il Verbo e credono nella Sua persona divina diventano figli di Dio, perché sono nati da Dio e non da elementi umani.
“A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”:
Solo coloro che accolgono il Verbo e credono nella Sua persona divina diventano figli di Dio, perché sono nati da Dio e non da elementi umani.
Segue poi come la sintesi di tutto l'inno perché si afferma solennemente l'incarnazione del Figlio di Dio:
"la Parola si è fatta uomo, nella sua fragilità e impotenza come ogni creatura, nascendo “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” cioè da una donna, la vergine Maria.
L'espressione "e venne ad abitare in mezzo a noi”" sottolinea lo scopo dell'incarnazione: Dio dimora con il Suo popolo stabilmente e per sempre (Ap 7,15). La Sua presenza è nella vita stessa dell'uomo e nella carne visibile di Gesù (Gv 2,19-22).
“e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.” I discepoli hanno contemplato nella fede il mistero di Gesù-Verbo, cioè la gloria che Egli possiede come Unigenito venuto dal Padre. Gesù è la rivelazione di Dio, ma in un modo nascosto e umile.
Nel vangelo di Giovanni la gloria del Signore è qualcosa di interiore che solo l'uomo di fede può comprendere.
La "gloria" di Cristo è la verità del Suo mistero: la rivelazione nell'uomo-Gesù del Figlio di Dio venuto dal Padre. La "grazia della verità“ nel linguaggio biblico è il dono della rivelazione che Dio ha offerto all'uomo. La verità, in Giovanni, indica la rivelazione piena e perfetta della vita divina. Il Verbo incarnato è "pieno della verità", ossia è tutto quanto rivelazione. Gesù è "la verità" (Gv 14,6) ossia la rivelazione definitiva e totale. E questa verità è la "grazia" del Padre, il dono supremo che ci ha fatto il Padre.
“Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia.”
Tutta la vita di Gesù è manifestazione di Dio, ma per l'evangelista il momento centrale in cui si manifesta la gloria di Dio in tutta la sua potenza, è la croce: l'innalzamento di Gesù è la Sua glorificazione.
Può sembrare insensato dire che la croce è la glorificazione, ma tutto diventa luminoso se pensiamo che Dio è Amore (1Gv 4, 8) e la Sua manifestazione è dunque là dove appare l'Amore, ed è sulla croce che l'amore di Dio rifulge in tutta la Sua penetrante luce e pienezza.
“Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre,è lui che lo ha rivelato”.
Il finale del prologo offre un'ulteriore spiegazione del perché Gesù è il compimento della legge di Mosè: perché Dio si rivela in Gesù. Solo il Figlio unigenito ha potuto rivelare il Padre perché nessuno ha mai visto Dio se non il Figlio unigenito che ce l'ha rivelato.
Il "seno" del Padre nel linguaggio biblico è l'immagine tipica dell'amore e dell'intimità: tutta la vita di Gesù si svolse come vita filiale in un atteggiamento di ascolto e di obbedienza al Padre, in un rapporto di amore con il Padre e come manifestazione del Padre.
*****************
“In questa seconda domenica dopo Natale la Parola di Dio non ci offre un episodio della vita di Gesù, ma ci parla di Lui prima che nascesse. Ci porta indietro, per svelarci qualcosa su Gesù prima che venisse tra noi. Lo fa soprattutto nel prologo del Vangelo di Giovanni, che inizia così: «In principio era il Verbo». In principio: sono le prime parole della Bibbia, le stesse con cui comincia il racconto della creazione: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gen 1,1). Oggi il Vangelo dice che Colui che abbiamo contemplato nel suo Natale, come bambino, Gesù, esisteva prima: prima dell’inizio delle cose, prima dell’universo, prima di tutto. Egli è prima dello spazio e del tempo. «In Lui era la vita» prima che la vita apparisse.
San Giovanni lo chiama Verbo, cioè Parola. Che cosa vuole dirci con ciò? La parola serve per comunicare: non si parla da soli, si parla a qualcuno. Sempre si parla a qualcuno. Quando noi per la strada vediamo gente che parla da sola, diciamo: “Questa persona, qualcosa le succede…”. No, noi parliamo sempre a qualcuno. Ora, il fatto che Gesù sia fin dal principio la Parola significa che dall’inizio Dio vuole comunicare con noi, vuole parlarci. Il Figlio unigenito del Padre vuole dirci la bellezza di essere figli di Dio; è «la luce vera» e vuole allontanarci dalle tenebre del male; è «la vita», che conosce le nostre vite e vuole dirci che da sempre le ama. Ci ama tutti. Ecco lo stupendo messaggio di oggi: Gesù è la Parola, la Parola eterna di Dio, che da sempre pensa a noi e desidera comunicare con noi.
E per farlo, è andato oltre le parole. Infatti, al cuore del Vangelo di oggi ci viene detto che la Parola «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». Si fece carne: perché san Giovanni usa questa espressione, “carne”? Non poteva dire, in modo più elegante, che si fece uomo? No, utilizza la parola carne perché essa indica la nostra condizione umana in tutta la sua debolezza, in tutta la sua fragilità. Ci dice che Dio si è fatto fragilità per toccare da vicino le nostre fragilità. Dunque, dal momento che il Signore si è fatto carne, niente della nostra vita gli è estraneo. Non c’è nulla che Egli disdegni, tutto possiamo condividere con Lui, tutto.
Caro fratello, cara sorella, Dio si è fatto carne per dirci, per dirti che ti ama proprio lì, che ci ama proprio lì, nelle nostre fragilità, nelle tue fragilità; proprio lì, dove noi ci vergogniamo di più, dove tu ti vergogni di più. È audace questo, è audace la decisione di Dio: si fece carne proprio lì dove noi tante volte ci vergogniamo; entra nella nostra vergogna, per farsi fratello nostro, per condividere la strada della vita.
Si fece carne e non è tornato indietro. Non ha preso la nostra umanità come un vestito, che si mette e si toglie. No, non si è più staccato dalla nostra carne. E non se ne separerà mai: ora e per sempre Egli è in cielo con il suo corpo di carne umana. Si è unito per sempre alla nostra umanità, potremmo dire che l’ha “sposata”. A me piace pensare che quando il Signore prega il Padre per noi, non soltanto parla: gli fa vedere le ferite della carne, gli fa vedere le piaghe che ha sofferto per noi. Questo è Gesù: con la sua carne è l’intercessore, ha voluto portare anche i segni della sofferenza. Gesù, con la sua carne è davanti al Padre. Il Vangelo dice infatti che venne ad abitare in mezzo a noi. Non è venuto a farci una visita e poi se n’è andato, è venuto ad abitare con noi, a stare con noi. Che cosa desidera allora da noi? Desidera una grande intimità. Vuole che noi condividiamo con Lui gioie e dolori, desideri e paure, speranze e tristezze, persone e situazioni. Facciamolo, con fiducia: apriamogli il cuore, raccontiamogli tutto. Fermiamoci in silenzio davanti al presepe a gustare la tenerezza di Dio fattosi vicino, fattosi carne. E senza timore invitiamolo da noi, a casa nostra, nella nostra famiglia. E anche – ognuno lo sa bene – invitiamolo nelle nostre fragilità. Invitiamolo, che Lui veda le nostre piaghe. Verrà e la vita cambierà.La Santa Madre di Dio, nella quale il Verbo si fece carne, ci aiuti ad accogliere Gesù, che bussa alla porta del cuore per abitare con noi.
Papa Francesco
Parte dell’Angelus del 3 gennaio 2021
Con questa celebrazione iniziamo il nuovo anno accanto a Maria, Madre di Dio e Madre nostra con la viva speranza che in fondo a questo tunnel oscuro che con il vecchio anno stiamo lasciando, si apra un po’ di luce Questa ricorrenza liturgica, strettamente collegata con il titolo mariano di Theotókos, dogma mariano solennemente proclamato dal concilio di Efeso il 22 giugno dell'anno 431, celebra la tematica della Divina Maternità di Maria, ed è la festa più antica in suo onore.
La liturgia odierna, è anche connessa alla celebrazione della pace, istituita da papa S.Paolo VI l’8 dicembre 1967 ed oggi ricorre la 55^Giornata. La pace è il grande dono atteso e annunziato dagli angeli nel cantico della notte di Natale e questo tema ci viene proposto oggi dalle letture liturgiche.
La prima lettura, tratta dal Libro dei Numeri, riporta la formula di benedizione che veniva pronunciata dai -sacerdoti sul popolo eletto per attirate la benevolenza di Dio.
Nella seconda lettura, San Paolo, scrivendo ai Galati, svela il piano di Dio che ha voluto che Suo Figlio nascesse da una donna, e sotto la legge, perché tutti diventassimo Suoi figli e vivessimo riconciliati nella libertà e nell’amore.
Il Vangelo di Luca ci parla dei pastori che vanno a Betlemme e rendono omaggio al divino bambino e subito dopo, pieni di gioia, annunciano a tutti il lieto evento.
E’ nel nome di Maria, Madre di Dio e madre degli uomini, che si celebra in tutto il mondo la “giornata della pace”, ed oggi ricorre la 54^ giornata.
La pace, in senso biblico, è il dono messianico per eccellenza, è la salvezza portata da Gesù. La pace è anche un valore umano da realizzare sul piano sociale e politico, ma affonda le sue radici nel mistero di Cristo. E’ stato Lui a dire: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. “ E’ questo il senso della pace che ognuno di noi deve sentire prima nel proprio cuore per poterla poi augurare agli altri!
Dal libro dei Numeri
Il Signore parlò a Mosè e disse: “Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro:
Ti benedica il Signore e ti custodisca.
Il Signore faccia risplendere per te il suo volto
E ti faccia grazia.
Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace.”
Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò”.
Nm 6,22-27
Il libro dei Numeri, il quarto libro della Bibbia, è stato scritto in ebraico e, secondo molti studiosi, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte. La tradizione ebraica e varie confessioni religiose cristiane, ritengono persino che sarebbe stato scritto da Mosè in persona, ma la maggioranza degli esegeti moderni ritiene che tutto il Pentateuco sia in realtà una raccolta, formatasi in epoca post-esilica, di vari scritti di epoche diverse. “Numeri” è il titolo che l'antica traduzione greca ha dato a questo libro perché contiene elenchi e censimenti degli Israeliti in cammino verso la "Terra promessa".
È composto da 36 capitoli descriventi la storia degli Ebrei durante il loro soggiorno nel deserto del Sinai (circa 1200 a.C.). Infatti molti eventi del Libro avvengono nel deserto, principalmente tra il secondo ed il quarantesimo anno del vagabondare degli Israeliti. I primi 25 capitoli riportano le esperienze della prima generazione d’Israele nel deserto, mentre il resto del libro descrive le esperienze della seconda generazione.
Il brano che abbiamo inizia con queste parole:
“Il Signore parlò a Mosè e disse: “Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro …”
Diversamente da quanto avviene in altri testi in cui la parola o l’ordine è dato a Mosè e ad Aronne insieme, qui Mosè riceve l’incarico di affidare un compito specifico proprio ad Aronne e, per mezzo suo, a tutto l’ordine sacerdotale. La facoltà di benedire il popolo è presentata qui come una prerogativa che compete ai sacerdoti (V. Lv 9,22) e non ai re, come appare in due testi dove sono Davide (V. 2Sam 6,18) e Salomone (1Re 8,14.55-61) a benedire il popolo, o ai leviti (Dt 10,8).
Ancora una volta si fa risalire all’epoca del deserto, con tutta l’autorevolezza della mediazione mosaica una consuetudine dell’epoca in cui è stato composto il libro.
È probabile però che la formula di benedizione qui riportata sia antica perché ha avuto un gran rilievo sulla preghiera di Israele (V. Sal 4,7 e 67,2). La benedizione divina riguardo tutto il popolo e ciascuno dei suoi membri.
“Ti benedica il Signore e ti custodisca.”
La benedizione (berakah) invocata da Dio rappresenta una parola efficace che conferisce benessere e felicità. Come conseguenza della benedizione divina si chiede a Dio di “custodire” Israele. Questo verbo esprime non tanto la protezione del Signore contro un immediato pericolo, ma soprattutto la Sua premura per Israele in ogni momento della sua esistenza.
La benedizione prosegue con una invocazione:
” Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia”.
Il volto splendente del Signore è un’immagine per indicare il sorriso con cui si rivolge al Suo popolo. L'immagine del volto luminoso di Dio è frequente nei salmi anche come invocazione (Sal 31,17; 80,4.8.20; 119,135).
Il sorriso del Signore è auspicio di prosperità, di benevolenza e di protezione e la “grazia” consiste appunto nella benevolenza di Dio verso il Suo popolo.
La benedizione continua poi con una terza richiesta:
“ Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace.”
Si riprende qui quanto era già stato espresso nel versetto precedente, con l'auspicio che il volto di Dio resti rivolto verso Israele, segno di attenzione e di benevolenza, perché in caso contrario il popolo cade nella disperazione: La benevolenza e l'attenzione di Dio sono premessa del dono della “pace” (shalôm). Questo termine in ebraico ha un significato molto profondo perchè indica non semplicemente l’assenza di guerra, ma soprattutto la pienezza di vita, cioè quello stato di grazia in cui si è liberi dalla necessità e dal male; nelle forme di saluto diventa augurio di una vita serena, equilibrata nella felicità materiale e spirituale.
Il brano termina con queste parole:
“Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò”.
Questa espressione vuol dire rendere Dio presente e benevolo in mezzo al popolo.
Si comprende perchè questo testo sia stato adottato, nella recente riforma liturgica, come ampliamento (libero) della benedizione del sacerdote nel congedare il popolo dopo la Messa.
Salmo 67 (66) Dio abbia pietà di noi e ci benedica
Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
fra tutte le genti la tua salvezza.
Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra.
Ti lodino i popoli, Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra.
Il salmista presenta come Dio abbia benedetto il suo popolo con un raccolto abbondante: “La terra ha dato il suo frutto”. Ma questo non chiude il salmista nell’appagamento dei beni dati dalla terra, poiché egli manifesta, fin dall’inizio del salmo, il desiderio di un ben più alto dono: quello della presenza del Messia. Per tale presenza il popolo sarà rinnovato e si avrà che tutti i popoli giungeranno a conoscere il vero Dio e a lodarlo: “Su di noi faccia splendere il suo volto; perché si conosca sulla terra la tua via, la tua salvezza fra tutte le genti ”. Il salmista conclude il salmo ripresentando il suo desiderio dei tempi messianici: “Ci benedica Dio; il nostro Dio, ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra”. Noi, in Cristo, desideriamo vivamente una terra rinnovata dalla conoscenza di Cristo e dall’azione del suo Spirito, e dobbiamo, nella viva appartenenza alla Chiesa, adoperarci incessantemente per questo.
Dalla lettera di S.Paolo ai Galati
Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a figli.
E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio il quale che grida: Abbà, Padre!
Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per grazia di Dio.
Gal 4,4-7
Paolo scrive la lettera ai Galati probabilmente da Efeso tra il 54 e il 57 e lo fa per controbattere ad una predicazione fatta da alcuni ebrei cristiani dopo che l'apostolo aveva lasciato la comunità: questi missionari avevano convinto alcuni galati che l'insegnamento di Paolo era incompleto e che la salvezza richiedeva il rispetto della Legge di Mosè, in particolare della circoncisione. Paolo condanna tale orientamento, proclamando la libertà dei credenti e la salvezza per mezzo della fede.
In questo brano in particolare Paolo delinea la svolta che si è verificata con l’avvento di Cristo ed inizia affermando: “quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a figli.”
In queste parole è compendiato il mistero dell’incarnazione ed è definito anche il cuore della mariologia. Maria non è grande in se stessa, è infatti “donna”, cioè una creatura nostra sorella nel dolore e nella morte; eppure è grande perché è madre del Figlio di Dio, ed è per questo che è al di sopra di noi: immacolata per grazia, sempre fedele al progetto divino, madre di tutti noi nella fede.
Per Paolo, è chiaro, che Gesù è fin dall’eternità il “Figlio di Dio”, che è nato non solo “da donna”, assumendo così fino in fondo un’umanità limitata e sofferente, ma anche “sotto la Legge”, al punto tale da portarne in modo unico e drammatico la maledizione (Gal 3,13) così la Sua vita è stata contrassegnata dalla solidarietà più piena con la situazione di tutta l’umanità. In questo cammino di abbassamento Gesù però non ha mai cessato di essere Figlio, e se Egli si è messo sullo stesso piano dell’umanità peccatrice, lo ha fatto, non per adeguarsi ad essa, ma “per riscattare quelli che erano sotto la Legge”, cioè per portare a termine, come Dio un giorno aveva fatto con il popolo di Israele schiavo in Egitto, una grande opera di liberazione, i cui destinatari non sono soltanto i giudei, ma anche i pagani. Egli ha potuto raggiungere il Suo scopo facendo sì che essi ricevessero l’adozione a figli, cioè diventassero partecipi della Sua stessa qualità di Figlio. Il Figlio di Dio ha dunque manifestato pienamente la Sua “potenza” quando, risuscitando dai morti, ha comunicato a tutti gli uomini la Sua filiazione divina (Rm 1,3).
Paolo sottolinea poi l’efficacia della missione del Figlio affermando ancora : “E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio il quale che grida: Abbà, Padre!” La filiazione divina perciò comporta la presenza e l’opera dello Spirito, che viene designato come “Spirito del suo Figlio”, e come tale è stato “mandato” da Dio “nei nostri cuori”.
La filiazione divina dei credenti appare dal fatto che lo Spirito, presente in essi, grida “Abbà, Padre”:
E’ da notare che il termine Abbà era normalmente usato dai bambini in Palestina per rivolgersi al loro papà, mentre i giudei si rivolgevano a Dio con formule più solenni e rispettose, come Abì (Padre mio) o Abinû (Padre nostro). L’iniziativa di pregare Dio con l’appellativo di Abbà è solo di Gesù, quando ha dato ai suoi discepoli il comando di rivolgersi a Dio chiamandolo “Padre nostro”, coinvolgendoli così nel rapporto che Egli, in quanto unico Figlio, ha con il Padre.
“Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per grazia di Dio”.
Essere figli ed eredi di Dio significa incarnare il Suo amore per tutti, praticare la fratellanza; significa onorare la paternità di Dio, la fratellanza in Cristo e il calore di maternità che s’irradia da Maria, testimoniando e vivendo il messaggio di pace di Betlemme. Per questo motivo S. Paolo VI dal 1968 ha invitato i cristiani a vivere tutti gli anni il capodanno come “giornata mondiale della pace”.
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, i pastori andarono senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo.
Lc 2,16-21
Questo breve brano tratto dal Vangelo di Luca riprende la seconda parte del racconto della nascita di Gesù, nella quale viene raccontata la visita che i pastori, avvisati dall’angelo, hanno fatto al bambino Gesù. La scelta del testo per la solennità della Madre di Dio è significativa perché cade proprio l'ottavo giorno dopo la nascita del figlio Gesù, che ricorda il rito della circoncisione e dell'imposizione del nome al bambino.
Il brano inizia riportando che
“i pastori andarono senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia”.
Invitati dagli angeli a rallegrarsi per la nascita del Salvatore e sollecitati a verificarne il segno, i pastori si muovono ”senza indugio, affrettandosi”, come Maria nell'episodio della visitazione, anche loro spinti in obbedienza alla parola che è stata loro annunciata. Citando per prima Maria, nel nominare le persone che i pastori incontrano, Luca ci mostra ancora una volta la sua grande venerazione per la Madre di Gesù.
“E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori.”
E' importante notare gli atteggiamenti dei pastori: prima ascoltano, poi si muovono e trovano il segno. A questo punto lo guardano e diventano a loro volta annunciatori, riferendo quanto avevano udito.
Si può comprendere che Luca non sta parlando solo dell'esperienza dei pastori di Betlemme, ma del diffondersi del vangelo. Coloro che accoglieranno la predicazione degli apostoli e faranno esperienza dell'incontro con Gesù e crederanno, potranno comunicare a loro volta questa buona notizia.
“Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.”
Solo Maria non parla, ma conserva in se stessa tutte queste cose meditandole nel suo cuore. Maria non si perde in vane parole, ma pone se stessa e tutta la sua vita in sintonia con quanto Dio aveva detto e stava operando nella storia del Suo popolo mediante quel bambino che lei stessa aveva generato.
Luca conclude annotando che i pastori, dopo aver visto il bambino e aver riferito il messaggio che avevano udito, “se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro”. Non solo perciò per quello che avevano udito, ma anche per quello che avevano visto con i loro occhi, a conferma di quanto era stato detto loro.
Il brano si conclude menzionando il rito della circoncisione (attraverso il quale il Bambino è inserito ufficialmente nel popolo di Dio) e l'imposizione del nome, a cui Luca dà un risalto particolare:
"Gli fu messo nome Gesù come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo”.
Il nome nella Bibbia è la realtà stessa della persona che lo porta: tanti nella storia di Israele avevano portato il nome Gesù, ma nessuno poteva dire di attuarne in pieno il significato: Yehôsua‘ “YHWH salva” il Signore salva. Si ha quindi in Cristo Gesù l’intreccio di due dimensioni: quella umana dell’essere legato ad un popolo e quella divina dell’essere il Salvatore.
Tramite la Vergine Maria, che partecipa cosciente e attiva al progetto divino della ri-creazione della vita, si realizza la salvezza dell’umanità. Con il battesimo noi tutti acquisiamo l’identità di cristiani e in quanto tali, scegliendo Maria come modello, dobbiamo vivere la fede come l’energia di cosciente confidenza che fa nascere e rinascere Dio nei nostri cuori.
****************
“Iniziamo il nuovo anno ponendoci sotto lo sguardo materno e amorevole di Maria Santissima, che la liturgia oggi celebra come Madre di Dio. Riprendiamo così il cammino lungo i sentieri del tempo, affidando le nostre angosce e i nostri tormenti a Colei che tutto può. Maria ci guarda con tenerezza materna così come guardava il suo Figlio Gesù. E se noi guardiamo il presepe [si volta verso il presepe allestito nella sala], vediamo che Gesù non è nella culla, e mi dicono che la Madonna ha detto: “Me lo fate tenere un po’ in braccio questo figlio mio?”. E così fa la Madonna con noi: vuole tenerci tra le braccia, per custodirci come ha custodito e amato il suo Figlio. Lo sguardo rassicurante e consolante della Vergine Santa è un incoraggiamento a far sì che questo tempo, donatoci dal Signore, sia speso per la nostra crescita umana e spirituale, sia tempo per appianare gli odi e le divisioni – ce ne sono tante – sia tempo per sentirci tutti più fratelli, sia tempo di costruire e non di distruggere, prendendoci cura gli uni degli altri e del creato. Un tempo per far crescere, un tempo di pace.
È proprio alla cura del prossimo e del creato che è dedicato il tema della Giornata Mondiale della Pace, che oggi celebriamo: La cultura della cura come percorso di pace. I dolorosi eventi che hanno segnato il cammino dell’umanità nell’anno trascorso, specialmente la pandemia, ci insegnano quanto sia necessario interessarsi dei problemi degli altri e condividere le loro preoccupazioni. Questo atteggiamento rappresenta la strada che conduce alla pace, perché favorisce la costruzione di una società fondata su rapporti di fratellanza. Ciascuno di noi, uomini e donne di questo tempo, è chiamato a realizzare la pace: ognuno di noi, non siamo indifferenti a questo. Noi siamo tutti chiamati a realizzare la pace e a realizzarla ogni giorno e in ogni ambiente di vita, tendendo la mano al fratello che ha bisogno di una parola di conforto, di un gesto di tenerezza, di un aiuto solidale. E questo per noi è un compito dato da Dio. Il Signore ci dà il compito di essere operatori di pace.
E la pace si può costruire se cominceremo ad essere in pace con noi stessi – in pace dentro, nel cuore – e con chi ci sta vicino, togliendo gli ostacoli che impediscono di prenderci cura di quanti si trovano nel bisogno e nell’indigenza. Si tratta di sviluppare una mentalità e una cultura del “prendersi cura”, al fine di sconfiggere l’indifferenza, di sconfiggere lo scarto e la rivalità – indifferenza, scarto, rivalità –, che purtroppo prevalgono. Togliere questi atteggiamenti. E così la pace non è solo assenza di guerra. La pace mai è asettica, no, non esiste la pace del quirofano [spagnolo: “sala operatoria”]. La pace è nella vita: non è solo assenza di guerra, ma è vita ricca di senso, impostata e vissuta nella realizzazione personale e nella condivisione fraterna con gli altri. Allora quella pace tanto sospirata e sempre messa in pericolo dalla violenza, dall’egoismo e dalla malvagità, quella pace messa in pericolo diventa possibile e realizzabile se io la prendo come compito datomi da Dio.
La Vergine Maria, che ha dato alla luce il «Principe della pace» (Is 9,6) e che lo coccola così, con tanta tenerezza, tra le sue braccia, ci ottenga dal Cielo il bene prezioso della pace, che con le sole forze umane non si riesce a perseguire in pienezza. Le sole forze umane non bastano, perché la pace è anzitutto dono, un dono di Dio; va implorata con incessante preghiera, sostenuta con un dialogo paziente e rispettoso, costruita con una collaborazione aperta alla verità e alla giustizia e sempre attenta alle legittime aspirazioni delle persone e dei popoli. Il mio auspicio è che regni la pace nel cuore degli uomini e nelle famiglie; nei luoghi di lavoro e di svago; nelle comunità e nelle nazioni. Nelle famiglie, nel lavoro, nelle nazioni: pace, pace
Sulla soglia di questo inizio, a tutti rivolgo il mio cordiale augurio di un felice e sereno. Ognuno di noi cerchi di far sì che sia un anno di fraterna solidarietà e di pace per tutti; un anno carico di fiduciosa attesa e di speranze, che affidiamo alla protezione di Maria, madre di Dio e madre nostra.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 1 gennaio 2021
Questa domenica, la prima che viene tra il Natale e il primo dell'anno, la Chiesa ci invita a celebrare la festa della santa Famiglia di Nazareth, costituita da Giuseppe, Maria e Gesù: padre, madre e figlio. Questa non è una semplice festa di devozione, ma un “mistero della vita di Cristo”. Insieme con l’assunzione dell’umanità, infatti è anche assunto in Cristo tutto ciò che è umano e, in particolare, la famiglia, quale prima dimensione della sua esistenza terrena, appunto perché parte integrante del mistero dell’Incarnazione, diventa essa stessa, mistero, ossia fondamenta, e realtà umana assunta per essere purificata e santificata
Nella prima lettura, tratta dal primo libro di Samuele - Anna, che nella sua sterilità ha ricevuto in dono un figlio, Samuele, dopo due anni dalla nascita, adempie al suo voto conducendo il bambino al tempio, restituendolo così a Dio.
Nella seconda lettura, l’apostolo Giovanni nella sua prima lettera ci dice che in Gesù Cristo siamo figli di Dio. Nella misura in cui crediamo e ci amiamo reciprocamente, Dio ci dà il Suo Spirito, in forza del quale diventiamo Suoi figli.
Nel Vangelo, Luca descrive un momento di religiosità vissuto dalla santa Famiglia. L’episodio dello smarrimento e del ritrovamento di Gesù al Tempio è causa di preoccupazione e di angoscia per Maria e Giuseppe, i quali non comprendono né il comportamento né le parole di Gesù e la sua determinazione nel fare la volontà del Padre.
Dal primo libro di Samuele
Al finir dell’anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele, «perché – diceva – al Signore l’ho richiesto». Quando poi Elkanà andò con tutta la famiglia a offrire il sacrificio di ogni anno al Signore e a soddisfare il suo voto, Anna non andò, perché disse al marito: «Non verrò, finché il bambino non sia svezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre».
Dopo averlo svezzato, lo portò con sé, con un giovenco di tre anni, un’efa di farina e un otre di vino, e lo introdusse nel tempio del Signore a Silo: era ancora un fanciullo. Immolato il giovenco, presentarono il fanciullo a Eli e lei disse: «Perdona, mio signore. Per la tua vita, mio signore, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto. Anch’io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore». E si prostrarono là davanti al Signore.
1 Sam 1,20-22.24-28
Il Libro di Samuele, diviso in due parti solo parchè era troppo lungo (31 capitoli il primo e 24 capitoli il secondo) nella traduzione greca detta dei settanta (LXX) furono uniti ai due libri dei Re, tutti e quattro furono chiamati “libri dei Regni”.
Questi due libri prendono il nome da Samuele, ultimo giudice d’Israele, che visse attorno all’anno 1000 a.C. Fu lui che, come profeta di Dio, conferì l’unzione regale a Saul e, dopo di lui, a Davide. Samuele segna, dunque, il passaggio dalla fine del periodo dei giudici all'istituzione della monarchia.
Sono stati scritti in ebraico e secondo molti studiosi, la loro redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte.
Sia i libri di Samuele che quelli dei Re hanno come unico progetto, quello di tratteggiare la vicenda storica di Israele dalla fine dell'epoca dei Giudici fino alla fine della monarchia con l'invasione babilonese di Nabucodonosor: un arco di tempo che comprende ben sei secoli.
Il primo libro, da cui questo brano viene tratto, descrive l'abbandono dell'ordinamento giuridico dei Giudici, con cui spesso le tribù si governavano in modo indipendente l'una dall'altra, e la storia di due personaggi: il profeta Samuele e Saul, il primo re d’Israele ma anche l’ingresso nella narrazione di quello che sarà il re più importante del Regno a cui è dedicato tutto il secondo libro di Samuele: Davide.
In questo brano, nella prima parte troviamo il racconto della nascita di Samuele.
Anna, dopo tante preghiere e sofferenze “concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele, che significa “il nome di Dio”, ma secondo il significato dato da Anna ”al Signore l’ho richiesto.“ Il racconto continua riportando che Elkanà, sposo di Anna, “andò con tutta la famiglia a offrire il sacrificio di ogni anno al Signore e a soddisfare il suo voto, ma Anna non andò, perché disse al marito: «Non verrò, finché il bambino non sia svezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore; poi resterà là per sempre».
Nella seconda parte è evidenziato l’atteggiamento di Anna che, dopo aver nutrito e cresciuto il figlio per circa due anni, fedele alla promessa fatta al Signore, lo riporta al tempio. Il Signore le ha donato un figlio ed ella sente ora il bisogno di restituirglielo. Offre un sacrificio e poi incontra Eli e si presenta a lui dicendo: “io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto. Anch’io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore”. L’espressione finale “egli è richiesto per il Signore” anticipa il cantico di Anna, (versetti non riportati dalla liturgia) che sono la sinesi i del comportamento paradossale di Dio nella storia della salvezza e straordinaria anticipazione del Magnificat pronunciato da Maria .
Salmo 83 - Beato chi abita nella tua casa, Signore
Quanto sono amabili le tue dimore,
Signore degli eserciti!
L’anima mia anela e desidera gli atri del Signore
Il mio cuore e la mia carne
esultano nel Dio vivente.
Beato chi abita nella tua casa;
senza fine canta le tue lodi
Beato l’uomo che trova in te il suo rifugio
E ha le tue vie nel suo cuore
Signore, Dio degli eserciti, ascolta la mia preghiera
Porgi l’orecchio, Dio di Giacobbe.
Guarda, o Dio, colui che è il nostro scudo
Guarda il volto del tuo consacrato
Il salmo è una celebrazione del pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme. Il riferimento alla “prima pioggia” pone il pellegrinaggio in occasione della feste delle Capanne, che si svolgeva in autunno; le prime piogge toglievano l'aridità dell'estate e rilanciavano il verde anche nelle zone desertiche.
Il salmo è stato scritto in tempo di pace, prima delle invasioni Assire e Babilonesi, ma già in Israele vi sono “tende dei malvagi”, che al culto a Jahvéh uniscono quello agli idoli.
La scelta del salmista per gli “atri del Signore” è decisa, piena di frutti di pace e di letizia del cuore.
Egli guarda al tempio di Gerusalemme come luogo di refrigerio spirituale, come centro di irradiazione di pace. Egli nota che sotto i portici dei cortili le rondini fanno i loro nidi, rendendo delicatamente inserito nel creato il tempio; e la cosa è anche presso gli altri santuari di Dio nel paese.
Il pellegrino, dice il salmista, è beato quando “trova in te il suo rifugio e ha le tue vie nel suo cuore".
Il pellegrino passava per “la valle del pianto” (Gdc 2,5), che ricordava tristi calamità, ma che veniva trasformata dalla presenza orante dei pellegrini in “una sorgente”, cioè in un luogo di letizia; ne seguiva, regolare, la pioggia d'autunno. Tutto questo era segno della benevolenza di Dio.
Il salmista chiede a Dio di guardare “il volto del suo consacrato”, cioè di dare benedizioni al re, figura del futuro Re-Messia.
“Sole e scudo è Il Signore Dio” dice il salmista, poiché egli è fonte di vita ed è difesa del suo popolo. “Grazia e gloria” concede il Signore, cioè forza per rifiutare il male e perseguire il bene, e buon nome a chi gli è fedele, in attesa del premio perfetto ed eterno in cielo.
Commento tratto da “Perfetta Letizia”
Dalla prima lettera di S.Giovanni apostolo
Carissimi, Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.
Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato.
1Gv 3,1-2.21-24
La Prima lettera di S. Giovanni è una lettera tradizionalmente attribuita a Giovanni apostolo ed evangelista ed inclusa tra i libri del Nuovo Testamento (la quarta delle cosiddette “lettere cattoliche”). La lettera nella sua redazione finale dovrebbe essere stata scritta verso la fine del I secolo, probabilmente ad Efeso.I destinatari della lettera sono pagani delle comunità dell‘Asia Minore che si sono convertiti al Cristianesimo. Lo scopo che Giovanni si prefigge è quello di richiamare le comunità cristiane all’amore fraterno e di metterle in guardia verso i falsi maestri gnostici ed eretici, che negavano l’incarnazione di Gesù Cristo.
La comunione con Dio e con Suo Figlio, che si realizza con la verità, l'obbedienza, la purezza, la fede e l'amore, è al centro della dottrina della prima lettera.
In questo capitolo da dove è stato tratto il brano liturgico, Giovanni esorta a vivere sin d’ora come figli ed inizia con questo invito:
“Carissimi,Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.”
Nel momento della prova chi ha aderito a Cristo è stato il destinatario di un amore grandissimo. Siamo figli di Dio e se questa espressione così forte per noi nel XXI secolo ha perso forse un po' di significato, resta sempre di vitale importanza e di sostegno nei momenti della prova, che non mancano per nessuno. Dio ci ha dato un grande dono, oltre al suo amore che non conosce limiti, ci ha dato anche il dono della libertà di accettare o rifiutare il suo amore. Questo è il paradosso dell'amore di Dio, che lascia libere le persone di riconoscerlo come il Signore del mondo e della vita.
“Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.”
In questo passo si percepisce una certa tensione tra l'oggi e il futuro dei figli di Dio. Adesso è una situazione un po' nascosta. Non si sa bene come saremo quando Cristo si manifesterà nella gloria. Una cosa sappiamo: saremo simili a Lui, ricolmi di gloria e di felicità perché lo vedremo faccia a faccia. Questa anticipazione della gloria futura ci può bastare. Il desiderio dei credenti è quello di vedere il Signore. La sua gloria e la sua bellezza ci investirà completamente e noi parteciperemo di questa sua gloria.
Il brano non riporta i versetti in cui Giovanni presenta due condizione la prima di rompere con il peccato e la seconda di osservare i comandamenti, soprattutto quello della carità e cos i prosegue:
“Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio”
Quindi il cuore non può rimproverarci nulla se abbiamo amore verso gli altri. Questo ci libera dagli scrupoli e rafforza la fiducia in Dio. Siamo in comunione con Lui!
“qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito.
Se siamo in comunione con Dio, vivendo della sua stessa capacità di amore, possiamo chiedere qualsiasi cosa. Come i figli obbedienti siamo a Lui graditi perché compiamo la Sua volontà. Egli ci viene incontro nelle nostre richieste.
“Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato”.
Questi sono i suoi comandamenti. Il primo e più importante è quello di avere fede, di credere nel nome del suo Figlio. Sappiamo che nella mentalità orientale il nome è tutta quanta la persona, la sua forza, la sua vera natura. Credere nel nome è credere nella persona stessa. In quale nome dobbiamo credere? In quello del Figlio Gesù. L'altro comandamento è quello di amarci gli uni gli altri. Questo è uno dei motivi più importanti degli scritti di Giovanni.
“Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato”.
Se si osservano questi comandamenti si rimane in comunione con Dio. C'è un'unità di intenti che ci aiuta a restare dentro questa comunione di amore. E' una comunione che si manifesta in una reciprocità: noi rimaniamo in Lui, Lui rimane in noi. In questa comunione reciproca c'è anche lo Spirito che ci permette di vivere e operare secondo la volontà di Dio.
Dal Vangelo secondo Luca
I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo».
Ed egli rispose loro:
«Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?».
Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. e la grazia di Dio era su di lui.
Lc 2,41-52
Questo brano dell’evangelista Luca, che riporta l’unico episodio della vita di Gesù, tra la nascita e l’inizio della vita pubblica, si apre con una introduzione nella quale leggiamo che
“i genitori di Gesù si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua”.
Tre volte all'anno c'erano celebrazioni che richiamavano a Gerusalemme i pellegrini, secondo il comando del Signore riportato nel libro dell’Esodo: “Tre volte all’anno farai festa in mio onore: Osserverai la festa degli azzimi: mangerai azzimi durante sette giorni, come ti ho ordinato, nella ricorrenza del mese di Abib, perché in esso sei uscito dall’Egitto. Non si dovrà comparire davanti a me a mani vuote. Osserverai la festa della mietitura, delle primizie dei tuoi lavori, di ciò che semini nel campo; la festa del raccolto, al termine dell’anno, quando raccoglierai il frutto dei tuoi lavori nei campi. Tre volte all’anno ogni tuo maschio comparirà alla presenza del Signore Dio. (Es 23,14-17). La Santa Famiglia di Nazareth fece più di quanto esigeva la legge perchè anche Maria partecipa a questo pellegrinaggio, sebbene non fosse obbligatorio per le donne. Gesù viene dunque condotto a Gerusalemme affinché si abitui a osservare la Legge.
“Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. ” A dodici anni, Gesù ha l’età per partecipare alla cerimonia che si chiama Bar Mitzvah( (figlio del comandamento) che è la cerimonia della maturità religiosa; da quel momento il ragazzo, diventato religiosamente maggiorenne, può leggere la Parola di Dio nella sinagoga, solennemente, nelle riunioni della comunità di Israele.
“Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero”. La festa pasquale durava sette giorni. La partenza avveniva solo dopo il secondo giorno festivo. Si viaggiava suddivisi in gruppi di parenti e conoscenti, e Gesù sottraendosi all'attenzione premurosa di Maria e Giuseppe si ferma nel tempio, nella casa di suo Padre.
“Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti, non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. . Giuseppe e Maria non possono non pensare che Gesù sia nella comitiva. Per Maria questo episodio rappresenta il primo distacco da suo figlio, un distacco in cui pian piano il Bambino appare come colui che non appartiene a lei, alla madre, ma a Dio per compiere la sua missione nel mondo.
“Dopo tre giorni “Si può notare che Luca usa spesso l’espressione “tre giorni” o “terzo giorno” in relazione alla morte e resurrezione di Gesù. Poiché l’episodio di “Gesù tra i dottori” è ricco di riferimenti alla vita adulta di Gesù, è possibile intravedere nei tre giorni di ricerca di Gesù da parte di Maria e Giuseppe un riferimento alla scomparsa di Gesù per tre giorni nella morte e al suo ritrovamento nella risurrezione.
“ lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava” Facendoci vedere Gesù giovinetto che sta seduto nel tempio ad insegnare, Luca anticipa il punto d’arrivo della missione di Gesù e il punto di partenza della missione della Chiesa. Gesù è trovato seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. Gesù è un fanciullo sapiente e intelligente riguardo alle Sacre Scritture; in lui è nascosta e presente la volontà di Dio.
“E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte”. Il dialogo con i dottori del tempio, rappresenta il legame di continuità tra l’Antico e il Nuovo Testamento, e nello stesso tempo, però, lo stupore dei maestri di Gerusalemme “per la sua intelligenza e le sue risposte” mostra la superiorità della parola di Gesù e la sua conoscenza profonda della legge su quanto conosciuto dai maestri del tempio.
“Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo».”Le parole di Maria sono l'espressione spontanea del dolore e dell'angoscia di una madre per quelle lunghe ore di affannosa ricerca. Maria da vera madre parla a Gesù come se fosse un bambino anche se è già un ragazzo. Comincia ad comporsi il mistero che circonda Gesù, di una coscienza che supera quella di ogni altro uomo.
“Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”.
La prima parola che i vangeli riportano sulla bocca di Gesù è una parola che prova una profonda coscienza di sé. Gesù ha la coscienza di essere Figlio di Dio secondo la Scrittura, come è scritto nel Libro della Sapienza : “Proclama di possedere la conoscenza di Dio e si dichiara figlio del Signore” (Sap 2,13).
Gesù chiama Dio “Padre”, e in questo: “Padre mio”sembra incominciare a formarsi una forza di attrazione più grande che non la famiglia della casa di Nazareth, i suoi genitori.
“Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro”. Maria e Giuseppe non compresero le parole del figlio. Maria è cresciuta nella conoscenza del Figlio, per mezzo dell'angelo, dei profeti e della Sacra Scrittura. Ma qui, nonostante tutto rimane per lei un enigma. Per Maria e Giuseppe, non comprendere l’agire del loro figlio equivale a non comprendere per noi l’agire di Dio.
Maria e Giuseppe sono per noi un modello perché si sono rimasti fedeli alla loro vocazione anche quando non comprendono.
“Scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso” Gesù ritorna a Nazareth e sta sottomesso i genitori; questi non sanno quale sia la missione di quel bambino; lui la conosce, sa quello che loro non sanno, però si sottomette a loro. Ma si sottomette a loro con una missione nuova e grande, quella missione che lo pone in un rapporto unico ed esclusivo con Dio.
“Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore”. Maria capisce ora che anche per lei deve iniziare quel faticoso itinerario di fede che le farà scoprire il mistero del suo Figlio e che le farà perdere sempre più il Figlio come possesso per averlo come dono salvifico di Dio ai piedi della croce. Maria inizia a comprendere che il suo distacco dal Figlio non è segno di lontananza ma di vicinanza perché con la fede ella entra sempre più nel progetto di salvezza che il Cristo, suo Figlio sta attuando. Maria ha custodito e amato “queste cose” nel suo cuore e pian piano dentro di lei le hanno rivelato il disegno di Dio: il loro pieno e vero significato.
“Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. e la grazia di Dio era su di lui”.
L'evangelista Luca usa per Gesù l'esperienza del giovane Samuele: “andava crescendo in statura e in bontà davanti al Signore e agli uomini.” (1Sam 2,26). Gesù però deve attendere che giunga la sua ora, l'ora in cui la crescita sarà compiuta; allora si presenterà come il profeta che supera tutti i profeti per la sapienza della Sua conoscenza di Dio.
Per concludere possiamo dire che l’atteggiamento di Maria esprime lo sviluppo della fede di chi vuole crescere e progredire per poter comprendere il mistero che circonda la vita di ogni essere umano.
Gesù rivela che l’obbedienza a Dio è la condizione essenziale per realizzarsi nella vita, per un cammino di condivisione nella famiglia e nelle comunità. L’obbedienza al Padre è ciò che ci rende fratelli e sorelle, c’insegna a obbedirci l’un l’altro, ad ascoltarci l’un l’altro e a riconoscere l’uno nell’altro il progetto di Dio. In questo clima si creano le condizioni per crescere “in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” e camminare insieme..
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo».”Le parole di Maria sono l'espressione spontanea del dolore e dell'angoscia di una madre per quelle lunghe ore di affannosa ricerca. Maria da vera madre parla a Gesù come se fosse un bambino anche se è già un ragazzo. Comincia ad comporsi il mistero che circonda Gesù, di una coscienza che supera quella di ogni altro uomo.
“Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”.
La prima parola che i vangeli riportano sulla bocca di Gesù è una parola che prova una profonda coscienza di sé. Gesù ha la coscienza di essere Figlio di Dio secondo la Scrittura, come è scritto nel Libro della Sapienza : “Proclama di possedere la conoscenza di Dio e si dichiara figlio del Signore” (Sap 2,13).
Gesù chiama Dio “Padre”, e in questo: “Padre mio”sembra incominciare a formarsi una forza di attrazione più grande che non la famiglia della casa di Nazareth, i suoi genitori.
“Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro”. Maria e Giuseppe non compresero le parole del figlio. Maria è cresciuta nella conoscenza del Figlio, per mezzo dell'angelo, dei profeti e della Sacra Scrittura. Ma qui, nonostante tutto rimane per lei un enigma. Per Maria e Giuseppe, non comprendere l’agire del loro figlio equivale a non comprendere per noi l’agire di Dio.
Maria e Giuseppe sono per noi un modello perché si sono rimasti fedeli alla loro vocazione anche quando non comprendono.
“Scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso” Gesù ritorna a Nazareth e sta sottomesso i genitori; questi non sanno quale sia la missione di quel bambino; lui la conosce, sa quello che loro non sanno, però si sottomette a loro. Ma si sottomette a loro con una missione nuova e grande, quella missione che lo pone in un rapporto unico ed esclusivo con Dio.
“Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore”. Maria capisce ora che anche per lei deve iniziare quel faticoso itinerario di fede che le farà scoprire il mistero del suo Figlio e che le farà perdere sempre più il Figlio come possesso per averlo come dono salvifico di Dio ai piedi della croce. Maria inizia a comprendere che il suo distacco dal Figlio non è segno di lontananza ma di vicinanza perché con la fede ella entra sempre più nel progetto di salvezza che il Cristo, suo Figlio sta attuando. Maria ha custodito e amato “queste cose” nel suo cuore e pian piano dentro di lei le hanno rivelato il disegno di Dio: il loro pieno e vero significato.
“Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. e la grazia di Dio era su di lui”.
L'evangelista Luca usa per Gesù l'esperienza del giovane Samuele: “andava crescendo in statura e in bontà davanti al Signore e agli uomini.” (1Sam 2,26). Gesù però deve attendere che giunga la sua ora, l'ora in cui la crescita sarà compiuta; allora si presenterà come il profeta che supera tutti i profeti per la sapienza della Sua conoscenza di Dio.
Per concludere possiamo dire che l’atteggiamento di Maria esprime lo sviluppo della fede di chi vuole crescere e progredire per poter comprendere il mistero che circonda la vita di ogni essere umano.
Gesù rivela che l’obbedienza a Dio è la condizione essenziale per realizzarsi nella vita, per un cammino di condivisione nella famiglia e nelle comunità. L’obbedienza al Padre è ciò che ci rende fratelli e sorelle, c’insegna a obbedirci l’un l’altro, ad ascoltarci l’un l’altro e a riconoscere l’uno nell’altro il progetto di Dio. In questo clima si creano le condizioni per crescere “in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” e camminare insieme..
*****
Le parole di Papa Francesco
Oggi celebriamo la festa della Santa Famiglia e la liturgia ci invita a riflettere sull’esperienza di Maria, Giuseppe e Gesù, uniti da un amore immenso e animati da grande fiducia in Dio. L’odierno brano evangelico racconta il viaggio della famiglia di Nazareth verso Gerusalemme, per la festa di Pasqua. Ma, nel viaggio di ritorno, i genitori si accorgono che il figlio dodicenne non è nella carovana. Dopo tre giorni di ricerca e di timore, lo trovano nel tempio, seduto tra i dottori, intento a discutere con essi. Alla vista del Figlio, Maria e Giuseppe «restarono stupiti» e la Madre gli manifestò la loro apprensione dicendo: «Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» .
Lo stupore – loro «restarono stupiti» – e l’angoscia – «tuo padre e io, angosciati» – sono i due elementi sui quali vorrei richiamare la vostra attenzione: stupore e angoscia.
Nella famiglia di Nazareth non è mai venuto meno lo stupore, neanche in un momento drammatico come lo smarrimento di Gesù: è la capacità di stupirsi di fronte alla graduale manifestazione del Figlio di Dio. È lo stesso stupore che colpisce anche i dottori del tempio, ammirati «per la sua intelligenza e le sue risposte». Ma cos’è lo stupore, cos’è stupirsi? Stupirsi e meravigliarsi è il contrario del dare tutto per scontato, è il contrario dell’interpretare la realtà che ci circonda e gli avvenimenti della storia solo secondo i nostri criteri. E una persona che fa questo non sa cosa sia la meraviglia, cosa sia lo stupore. Stupirsi è aprirsi agli altri, comprendere le ragioni degli altri: questo atteggiamento è importante per sanare i rapporti compromessi tra le persone, ed è indispensabile anche per guarire le ferite aperte nell’ambito familiare.
Quando ci sono dei problemi nelle famiglie, diamo per scontato che noi abbiamo ragione e chiudiamo la porta agli altri. Invece, bisogna pensare: “Ma che cos’ha di buono questa persona?”, e meravigliarsi per questo “buono”. E questo aiuta l’unità della famiglia. Se voi avete problemi nella famiglia, pensate alle cose buone che ha il famigliare con cui avete dei problemi, e meravigliatevi di questo. E questo aiuterà a guarire le ferite familiari.
Il secondo elemento che vorrei cogliere dal Vangelo è l’angoscia che sperimentarono Maria e Giuseppe quando non riuscivano a trovare Gesù. Questa angoscia manifesta la centralità di Gesù nella Santa Famiglia. La Vergine e il suo sposo avevano accolto quel Figlio, lo custodivano e lo vedevano crescere in età, sapienza e grazia in mezzo a loro, ma soprattutto Egli cresceva dentro il loro cuore; e, a poco a poco, aumentavano il loro affetto e la loro comprensione nei suoi confronti. Ecco perché la famiglia di Nazareth è santa: perché era centrata su Gesù, a Lui erano rivolte tutte le attenzioni e le sollecitudini di Maria e di Giuseppe.
Quell’angoscia che essi provarono nei tre giorni dello smarrimento di Gesù, dovrebbe essere anche la nostra angoscia quando siamo lontani da Lui, quando siamo lontani da Gesù. Dovremmo provare angoscia quando per più di tre giorni ci dimentichiamo di Gesù, senza pregare, senza leggere il Vangelo, senza sentire il bisogno della sua presenza e della sua consolante amicizia. E tante volte passano i giorni senza che io ricordi Gesù. Ma questo è brutto, questo è molto brutto.
Dovremmo sentire angoscia quando succedono queste cose. Maria e Giuseppe lo cercarono e lo trovarono nel tempio mentre insegnava: anche noi, è soprattutto nella casa di Dio che possiamo incontrare il divino Maestro e accogliere il suo messaggio di salvezza. Nella celebrazione eucaristica facciamo esperienza viva di Cristo; Egli ci parla, ci offre la sua Parola, ci illumina, illumina il nostro cammino, ci dona il suo Corpo nell’Eucaristia da cui attingiamo vigore per affrontare le difficoltà di ogni giorno.
E oggi torniamo a casa con queste due parole: stupore e angoscia. Io so avere stupore, quando vedo le cose buone degli altri, e così risolvere i problemi familiari? Io sento angoscia quando mi sono allontanato da Gesù?
Preghiamo per tutte le famiglie del mondo, specialmente quelle in cui, per vari motivi, mancano la pace e l’armonia. E le affidiamo alla protezione della Santa Famiglia di Nazareth.
Papa Francesco
Parte dell’Angelus del 30 dicembre 2018
*****
Gesù, Maria e Giuseppe
A voi, Santa Famiglia di Nazareth,
oggi, volgiamo lo sguardo con ammirazione e confidenza;
in voi contempliamola bellezza della comunione nell'amore vero;
a voi raccomandiamo tutte le nostre famiglie,
perché si rinnovino in esse le meraviglie della grazia.
Santa Famiglia di Nazareth,scuola attraente del santo Vangelo:
insegnaci a imitare le tue virtù con una saggia disciplina spirituale,
donaci lo sguardo limpido che sa riconoscere l'opera della Provvidenza
nelle realtà quotidiane della vita.
Santa Famiglia di Nazareth, custode fedele del mistero della salvezza:
fa' rinascere in noi la stima del silenzio,
rendi le nostre famiglie cenacoli di preghiera e trasformale
in piccole Chiese domestiche,
rinnova il desiderio della santità, sostieni la nobile fatica del lavoro, dell'educazione,
dell'ascolto, della reciproca comprensione e del perdono.
Santa Famiglia di Nazareth, ridesta nella nostra società la consapevolezza
del carattere sacro e inviolabile della famiglia, bene inestimabile e insostituibile.
Ogni famiglia sia dimora accogliente di bontà e di pace
per i bambini e per gli anziani, per chi è malato e solo,
per chi è povero e bisognoso.
Gesù, Maria e Giuseppe
voi con fiducia preghiamo, a voi con gioia ci affidiamo.
Preghiera di Papa Francesco per il Sinodo sulla Famiglia (27 ottobre 2013)
L'umanità è una grande e immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)