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S.Messe (settimana)
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KRZYZ

Elena Tasso

Elena Tasso

La “Chiesa domestica” in cammino con il Risorto.

Con la tappa incentrata sulle parole “ricevere – Spirito – dono” si conclude il percorso per il “Tempo pasquale”.

Pensate per le famiglie con bambini e ragazzi, ma anche per adolescenti e giovani che vogliano dedicare un po’ di tempo a meditare il Vangelo, anche queste ultime tracce – corredate da video e foto – contengono il testo del Vangelo della domenica, un commento di tipo pastorale, alcune note catechistiche e azioni pratiche da compiere nelle proprie case.

Nella solennità della Pentecoste, la Chiesa ricorda la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli, avvenuta, secondo il racconto degli Atti, nel giorno della festa ebraica dallo stesso nome, cinquanta giorni dopo la Pasqua.

 

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Nella solennità della Pentecoste, la Chiesa ricorda la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli, avvenuta, secondo il racconto degli Atti, nel giorno della festa ebraica dallo stesso nome, cinquanta giorni dopo la Pasqua. Il Vangelo di Giovanni proposto oggi racconta di una prima effusione dello Spirito avvenuta la sera stessa del giorno della risurrezione. Narrazioni differenti, ma un unico messaggio di fondo: che siano cinquanta giorni o uno solo, è chiaro che per gli evangelisti lo Spirito Santo è un dono reso possibile dalla risurrezione. La scelta di Giovanni, che colloca tutto in uno stesso giorno, rende però più evidente il legame tra Risorto e Spirito.
Il primo frutto della risurrezione e dello Spirito è la pace. I discepoli stanno ben chiusi in casa, per paura, come viene espressamente specificato. E le prime parole di Gesù sono un incoraggiante «pace a voi». Lo stesso «mettersi in mezzo» del Signore vuole confortare e sostenere: io ci sono, sembra dire Gesù ai suoi impauriti. E sono proprio io! – continua ad affermare con i suoi gesti, mostrando le mani e il fianco, recanti i segni della passione. Dopo il dono, il compito: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Parole molto simili a quelle udite domenica scorsa in Matteo, perché in fondo sempre di tale missione si tratta: portare Gesù, portare Dio e il Vangelo al mondo intero. Lo Spirito serve (anche) a questo, come il racconto degli Atti mostra chiaramente, legando la sua discesa sugli apostoli al meraviglioso annuncio di Pietro in tutte le lingue del mondo. Gesù è il primo mandato, dal Padre, e noi suoi discepoli siamo inviati da lui e come lui... (continua a leggere)

Sussidio per la famiglia

 

 

È sabato mattina quando, mentre Lea è chiusa in camera sua, la finestra sbatte improvvisamente insieme alla porta. La bambina e il fratellino che è con lei sussultano sulla sedia e si guardano un po’ sorpresi e spaventati. La mamma, rientrando dalla spesa, dice che fuori si è alzato un gran vento. È solo nel pomeriggio che la burrasca pare calmarsi, lasciando il cielo di un bell’azzurro. Papà e mamma annunciano ai bambini di mettersi le scarpe da ginnastica per andare nel parco vicino casa a farsi un corsetta. Marco si lamenta un po’, perché ha appena iniziato a giocare con il videogioco ma i suoi sono irremovibili: “Forza pigrone; hai tanto atteso il tempo di uscire e ora non vuoi più farlo? So che non ti va molto di mettere la mascherina ma abbiamo già parlato di questo e inoltre vedrai che il sole e l’aria ti faranno bene”. Così i due bambini escono con i genitori verso il parco; lì fanno una lunga passeggiata. Mentre stanno camminando... (continua a leggere)

Sussidio per i bambini e i ragazzi

 

 

Due amici, al tramonto di Pasqua, andando verso Emmaus ti avevano chiesto: “Resta con noi, Signore”. Noi, oggi possiamo dirti molto di più: “Grazie, perché resti con noi, Signore”. Sì, ora non sei più soltanto in un luogo, in un tempo; ora tu vieni dove siamo noi, cammini con noi, grazie allo Spirito Santo, dono di te, Signore Risorto. Tu entri a porte chiuse, squarciando la nostra pigrizia, la debolezza, la paura, e ci doni la tua forza, il tuo Amore, il tuo Santo Spirito... (continua a leggere)

Sussidio per gli adolescenti e i giovani

Grazie alla CEI e alla sua relativa pagina facebook

Questa domenica, 31 maggio, alle ore 10, il Santo Padre celebrerà la Santa Messa nel giorno di Pentecoste, senza concorso di fedeli, presso la cappella del Santissimo Sacramento nella basilica vaticana.
Alle ore 12, dalla finestra dello studio privato, riprenderà la recita della preghiera del Regina Caeli con i fedeli in piazza San Pietro. Le forze dell’ordine garantiranno l’accesso in sicurezza alla piazza e avranno cura che i fedeli presenti possano rispettare la necessaria distanza interpersonale.

Grazie all’Sir agenzia

Uniti nella preghiera per invocare nella pandemia l’aiuto e il soccorso della Vergine Maria e per affidare al Signore l’umanità intera. Il 30 maggio 2020, alle ore 17.30, Papa Francesco presiederà la recita del Santo Rosario dalla Grotta di Lourdes, nei Giardini Vaticani. La celebrazione mariana, trasmessa in diretta mondovisione, è promossa dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, sul tema: “Assidui e concordi nella preghiera, insieme con Maria (At 1,14)”. Si uniranno alla preghiera i Santuari del mondo, con uno speciale coinvolgimento delle famiglie. Un momento di preghiera mondiale per quanti intendono unirsi con Papa Francesco alla vigilia della domenica di Pentecoste.

Le decine saranno recitate da alcune donne e uomini in rappresentanza di varie categorie di persone particolarmente toccate dal virus. Ci saranno un medico e un’infermiera, per tutto il personale sanitario impegnato in prima linea negli ospedali; una persona guarita e una che ha perso un famigliare, per tutti coloro che sono stati toccati personalmente dal coronavirus; un sacerdote, cappellano ospedaliero, e una suora infermiera, per tutti i sacerdoti e le persone consacrate vicini a quanti sono provati dalla malattia; una farmacista e una giornalista, per tutte le persone che anche nel periodo della pandemia hanno continuato a svolgere il proprio servizio in favore degli altri; un volontario della Protezione Civile con la propria famiglia, per quanti si sono adoperati per far fronte a questa emergenza e per tutto il vasto mondo del volontariato; e una giovane famiglia, a cui è nato, proprio in questo periodo, un bambino, segno di speranza e della vittoria della vita sulla morte.

Ai piedi di Maria il Santo Padre porrà i tanti affanni e dolori dell’umanità, ulteriormente aggravati dalla diffusione del Covid-19. L’appuntamento per la fine del mese mariano è un ulteriore segno di vicinanza e consolazione per quanti, in vari modi, sono stati colpiti dal coronavirus, nella certezza che la Madre Celeste non disattende le richieste di protezione.

Saranno in collegamento i più grandi Santuari da tutti e cinque i continenti. Ad esempio dall’Europa, Lourdes, Fatima, San Giovanni Rotondo, Pompei e Czestochowa (Polonia); dagli Stati Uniti d’America il Santuario di Immaculate Conception (Washington D.C.); dall’Africa il Santuario di Elele (Nigeria) e di Notre-Dame de la Paix (Costa d’Avorio); dall’America Latina il Santuario di Nostra Signora di Guadalupe (Messico), di Chiquinquira (Colombia), di Lujan e di Milagro (Argentina).

Grazie a CEI

Sussidio del Santo Rosario

La festa della Pentecoste rievoca la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli e la loro investitura missionaria, avvenuta cinquanta giorni dopo la Pasqua di resurrezione.
Nella prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, viene sottolineato che lo Spirito scendendo sugli apostoli dà loro il potere di esprimersi in tutte le lingue. Da quel momento la Chiesa proclama un unico linguaggio, quello di Cristo e dell’amore. La diversità delle culture, delle razze e dei doni personali non è sorgente di incomprensione e di ostilità, ma diventa una “sinfonia” di voci che secondo i timbri e totalità differenti annunziano la stessa gioia e la stessa speranza.
Nella seconda lettura, tratta dalla 1^ lettera ai Corinzi, Paolo affronta il tema dell'unità nella diversità paragonando la comunità al corpo umano. E’ lo Spirito Santo l’anima del corpo che è la Chiesa. E’ lo Spirito il criterio di verifica dell’autenticità della fede.
Nel Vangelo, Giovanni presenta la prima Pentecoste ambientata nella stessa sera del giorno di Pasqua. Nel cenacolo, il Cristo risorto compie innanzitutto un atto simbolico “soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo….” Lo Spirito di Dio è soffio della vita, la sorgente della creazione, il principio di una nuova esistenza interiore. Nella Pentecoste narrata da Giovanni Cristo appare come il creatore dell’uomo nuovo, libero dal peccato e dal male. Infatti le parole che accompagnano il gesto simbolico del soffio sono emblematiche: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”.

Dagli Atti degli Apostoli
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».
At 2,1-11

Luca inizia il suo racconto indicando il momento e il luogo in cui si è verificato l’evento: “Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste si trovavano tutti insieme nello stesso luogo.” In realtà stava per compiersi non tanto il giorno di Pentecoste, che era solo iniziato, ma il conto delle sette settimane, a partire dalla Pasqua, al termine delle quali ha luogo la Pentecoste . 1*
Anche se non viene precisato chi fosse presente all’avvenimento, si può supporre che insieme ai discepoli fosse presente Maria insieme ad altre donne. Luca dicendo “si trovavano tutti insieme” vuole sottolineare non solo la presenza fisica nello stesso luogo ma anche l’unione che regnava tra coloro che costituivano il primo nucleo della Chiesa.
“Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano”.
I termini che Luca usa si ricollegano alla terminologia usata per descrivere la teofania
(V. 1Re 19,11), e il termine “vento” allude già allo Spirito (pneuma), che ad esso viene spesso assimilato (Ez 37,9; Gv 3,8). Il fragore venuto dal cielo “riempie” tutta la casa, così come lo Spirito “riempirà” tutti i presenti.
“Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi”.
Il fuoco, a cui le lingue assomigliavano, è anch’esso un’immagine ricavata dalla rappresentazione biblica della teofania (Es 19,18). È indicativo inoltre che, la parola di Dio ha preso la forma di una torcia di fuoco.
Il fatto che i presenti parlino “altre lingue” richiama la leggenda giudaica secondo la quale al Sinai la parola di Dio si divideva in 70 lingue. A prima vista sembra quindi che essi parlassero ognuno una lingua diversa dall’altra, ma dal seguito del racconto appare che si trattava piuttosto di un miracolo di audizione, simile a quello che, secondo le leggende giudaiche, si era verificato al Sinai: in realtà essi parlavano normalmente e i presenti li comprendevano nella propria lingua originaria.
Questo fenomeno non è conosciuto altrove nel N.T- perciò diversi studiosi pensano che originariamente si trattasse non di un ”parlare in altre lingue”, ma del “parlare in lingue”, cioè della “glossolalia”, un carisma che consiste nel lodare Dio in una lingua sconosciuta.
Il fragore della teofania viene udito anche all’esterno della casa in cui si trovavano gli apostoli, e subito si raduna una piccola folla di curiosi, pieni di stupore e di meraviglia, “perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua… delle grandi opere di Dio”. La gente che si era radunata era composta di giudei della diaspora e di proseliti, cioè pagani convertiti in modo pieno al giudaismo, venuti a stabilirsi a Gerusalemme. I loro paesi di origine sono elencati in modo tale da dare l’impressione che si tratti di tutto il mondo allora conosciuto. Pur essendo giudei di nascita o di religione, i testimoni della Pentecoste cristiana sono presentati come i rappresentanti delle nazioni alle quali sarà rivolto l’annunzio evangelico.
Lo Spirito Santo con la Sua discesa sugli Apostoli e Maria ha completato l’opera dell’Incarnazione di Dio: al momento della Sua prima discesa, lo Spirito Santo aveva compiuto nella santa Vergine l’Incarnazione del Verbo, permettendo che il Verbo divenisse, nel suo corpo, il Dio-Uomo, per esserlo nell’eternità. Al momento della Sua seconda discesa, durante la Pentecoste, lo Spirito Santo discende per dimorare nel Suo corpo che è la Chiesa.
Maria è presente poiché è l’unica che possa confermare la presenza e l’azione dello Spirito, in quanto lei è la sola che ne ha già fatto esperienza, avendo, per opera dello Spirito Santo, generato al mondo il Verbo consustanziale al Padre.
Gli Apostoli sono rivestiti di Spirito Santo e annunciano al mondo quel Verbo eterno, crocifisso e risorto che Maria ha generato nella carne. Essi proclamano, lei conferma! Loro annunciano, a lei è stato annunciato! Essi diffondo la Parola di Vita, lei ha dato vita alla Parola!

Salmo 103 Manda il tuo Spirito, Signore,

Benedici il Signore, anima mia!
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature.

Togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.
Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra.

Sia per sempre la gloria del Signore;
gioisca il Signore delle sue opere.
A lui sia gradito il mio canto,
io gioirò nel Signore.

Il fatto che i presenti parlino “altre lingue” richiama la leggenda giudaica secondo la quale al Sinai la parola di Dio si divideva in 70 lingue. A prima vista sembra quindi che essi parlassero ognuno una lingua diversa dall’altra, ma dal seguito del racconto appare che si trattava piuttosto di un miracolo di audizione, simile a quello che, secondo le leggende giudaiche, si era verificato al Sinai: in realtà essi parlavano normalmente e i presenti li comprendevano nella propria lingua originaria.
Questo fenomeno non è conosciuto altrove nel N.T- perciò diversi studiosi pensano che originariamente si trattasse non di un ”parlare in altre lingue”, ma del “parlare in lingue”, cioè della “glossolalia”, un carisma che consiste nel lodare Dio in una lingua sconosciuta.
Il fragore della teofania viene udito anche all’esterno della casa in cui si trovavano gli apostoli, e subito si raduna una piccola folla di curiosi, pieni di stupore e di meraviglia, “perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua… delle grandi opere di Dio”. La gente che si era radunata era composta di giudei della diaspora e di proseliti, cioè pagani convertiti in modo pieno al giudaismo, venuti a stabilirsi a Gerusalemme. I loro paesi di origine sono elencati in modo tale da dare l’impressione che si tratti di tutto il mondo allora conosciuto. Pur essendo giudei di nascita o di religione, i testimoni della Pentecoste cristiana sono presentati come i rappresentanti delle nazioni alle quali sarà rivolto l’annunzio evangelico.
Lo Spirito Santo con la Sua discesa sugli Apostoli e Maria ha completato l’opera dell’Incarnazione di Dio: al momento della Sua prima discesa, lo Spirito Santo aveva compiuto nella santa Vergine l’Incarnazione del Verbo, permettendo che il Verbo divenisse, nel suo corpo, il Dio-Uomo, per esserlo nell’eternità. Al momento della Sua seconda discesa, durante la Pentecoste, lo Spirito Santo discende per dimorare nel Suo corpo che è la Chiesa.
Maria è presente poiché è l’unica che possa confermare la presenza e l’azione dello Spirito, in quanto lei è la sola che ne ha già fatto esperienza, avendo, per opera dello Spirito Santo, generato al mondo il Verbo consustanziale al Padre.
Gli Apostoli sono rivestiti di Spirito Santo e annunciano al mondo quel Verbo eterno, crocifisso e risorto che Maria ha generato nella carne. Essi proclamano, lei conferma! Loro annunciano, a lei è stato annunciato! Essi diffondo la Parola di Vita, lei ha dato vita alla Parola!
Dio per segnare le stagioni ha fatto il sole e la luna. Ritirando a sera la luce stende “le tenebre e viene la notte”; e anche nella notte prosegue la vita: “si aggirano tutte le bestie della foresta; ruggiscono i giovani leoni in cerca di preda”. Con i loro ruggiti “chiedono a Dio il loro cibo”. Il salmo presenta che gli animali carnivori sono stati creati così da Dio. Il libro della Genesi (1,30) presenta un mondo animale che si cibava di erbe nella situazione Edenica; ma è un'immagine rivolta a presentare come all'inizio non ci fosse la ferocia tra gli animali, benché non mancassero animali carnivori, creati da Dio, come il nostro salmo presenta.
L'uomo comincia il suo lavoro col sorgere del sole: “Allora l'uomo esce per il suo lavoro, per la sua fatica fino a sera”.
Il salmista loda ancora il Signore per le sue opere.
Passa quindi a considerare le creature del mare; in particolare il Leviatan, nome col quale l'autore designa la balena.
Il mondo animale è oggetto pure esso dell'assistenza divina: “Nascondi il tuo volto: li assale il terrore; togli loro il respiro: muoiono, e ritornano nella loro polvere”. Se Dio ritrae la sua assistenza gli animali periscono, non hanno più l'alito delle narici “togli loro il respiro”.
Ma se manda il suo Spirito creatore sono creati. Lo Spirito di Dio è all'origine della creazione: (Gn 1,2).
Il salmista chiede che sulla terra ci sia la pace tra gli uomini, affinché “gioisca il Signore delle sue opere”. “Scompaiano i peccatori dalla terra e i malvagi non esistano più” dice, augurandosi un tempo dove gli uomini cessino di combattersi. Questo sarà nel tempo di pace che abbraccerà tutta la terra, quando la Chiesa porterà Cristo a tutte le genti; sarà la società della verità e dell'amore. Noi dobbiamo incessantemente impegnarci con la preghiera e la testimonianza per questo tempo che invochiamo nel Padre Nostro dicendo: “Venga il tuo regno”.
Commento di P.Paolo Berti
(Per avere un’idea più completa della bellezza di questo salmo è stato riportato il commento nella sua interezza e non solo per i versetti proposti dalla liturgia)

Dalla prima lettera di S.Paolo Apostolo ai Corinzi
Fratelli, nessuno può dire «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo.
Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito. Vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.
A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune.
Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo.
Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.
1Cor 12,3b-7.12-13

La Prima lettera ai Corinzi, che Paolo scrisse da Efeso nel 53-54, è una delle più lunghe fra quelle scritte da Paolo, paragonabile a quella dei Romani, ambedue infatti sono suddivise in 16 capitoli.
La lettera si contraddistingue per la molteplicità dei temi che Paolo vi affronta per chiarire dubbi o difficoltà della comunità e per correggere abusi e deviazioni. In essa l’apostolo dovrà prendere posizioni anche piuttosto critiche, che potrebbero compromettergli la simpatia dei destinatari.
In questo brano tratto dal capitolo 12, scelto per la solennità di Pentecoste, è indicata l'azione dello Spirito Santo come garanzia per l'appartenenza dei credenti alla Chiesa. Qui l'Apostolo affronta il tema dell'unità nella diversità paragonando la comunità al corpo umano. Ai Corinti che aspiravano al dono della profezia Paolo ricorda che nella Chiesa vi sono diversi doni, la cui fonte è sempre lo Spirito Santo, che servono tutti alla vita e alla crescita della Chiesa.
Il brano inizia con una dichiarazione iniziata nel versetto precedente “Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare senza alcun controllo verso gli idoli muti. Perciò io vi dichiaro: nessuno che parli sotto l’azione dello Spirito di Dio può dire: «Gesù è anàtema!, “1Cor 12,2) così
“nessuno può dire «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo”
Lo Spirito non è neutrale, è lo Spirito di Dio e parla sempre in favore di Gesù Cristo perché lo riconosce Signore. E' questo il criterio per discernere i doni di profezia all'interno della Chiesa. L'appartenenza al Signore porta alla professione di fede, a riconoscere la centralità, la signoria di Cristo.
“Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito”.
I carismi sono i doni dello Spirito, si contrappongono alle esperienze estatiche che non hanno nessuna fecondità.
“Vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore”;
Per ministeri qui s’intende i servizi, la diaconia, che richiama un ministero preciso all'interno della Chiesa, giunto fino ad oggi.
“vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti”.
La Chiesa è un organismo che ha bisogno di diverse attività, ma tutte hanno come fonte Dio e sono volte al bene di tutti i credenti.
“A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune”.
I Corinzi amavano avere qualche manifestazione spirituale, e il Signore ne aveva donate loro, ma l'unica fonte di tali doni è lo Spirito e l'unica destinazione di questi doni è il bene comune. Coloro che avevano il dono di parlare in lingue diverse sotto l'influsso di qualche spirito venivano ammirati ma non apportavano nessun bene alla Chiesa.
“Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo”.
Paolo utilizzando ampiamente l’apologo classico,che paragona la società a un corpo, il quale resta unito nonostante la diversità delle sue membra, introduce la famosa allegoria della Chiesa come corpo di Cristo: nessun membro può agire per se stesso, ma agisce in virtù della sua appartenenza alla Chiesa e compie ciò che è necessario al bene di tutto il corpo.
“Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito”.
L'evento vincolante per tutte le membra della Chiesa è il Battesimo. Grazie al battesimo si è formato questo corpo, le distinzioni etniche e sociali restano, ma perdono la loro importanza.
Ciò che ci accomuna è lo Spirito che ci ha dissetati, ci ha tolti cioè da una situazione di dolorosa precarietà e ci ha resi partecipi dello stesso corpo di Cristo.
Come i Corinzi allora, anche noi oggi, dobbiamo imparare a riconoscere non solo nei fenomeni straordinari, ma anche in quelli meno straordinari, l'azione carismatica dello Spirito; dobbiamo sapere che i fatti spettacolari, i miracoli più strepitosi, non sono l'unico modo in cui si manifestano la presenza e l'azione dello Spirito Santo.

Dal Vangelo secondo Giovanni
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Gv 20,19-23

L’evangelista Giovanni, dopo la visita dei due discepoli al sepolcro (20,1-10) e la manifestazione del Risorto a Maria Maddalena (20,11-18), narra in questo brano la duplice apparizione di Gesù agli Undici, a cui fa seguito immediatamente la prima conclusione del suo vangelo.
In questa apparizione Gesù si presenta ai discepoli per conferire loro, insieme al mandato missionario, anche il dono dello Spirito che li guiderà nel loro cammino. L’evento ha luogo nello stesso giorno della risurrezione, cioè il primo dopo il sabato: si tratta dunque del primo giorno della settimana, che, come l’inizio della creazione, segna la nascita di un mondo nuovo.
Sebbene le porte del luogo in cui si trovano i discepoli siano chiuse per timore dei giudei, Gesù non ha difficoltà a entrare perchè il Suo corpo ormai spiritualizzato non è più legato ai limiti propri dell’esistenza fisica, tipica di questo mondo. Egli presentandosi in mezzo ai discepoli, dice loro: “Pace a voi” (shalôm). Questo saluto è tipico del costume ebraico, ma qui Gesù intende esprimere qualcosa di più di un semplice saluto. Dopo essersi presentato ai discepoli, Gesù mostra loro le mani e il costato. Con questo gesto egli intende non soltanto dimostrare la realtà della Sua presenza, ma anche ricordare come sia proprio in forza della Sua morte in croce, che Egli si presenta a loro nella Sua nuova realtà.
L’apparizione di Gesù provoca nei discepoli una reazione di incontenibile e profonda gioia. Non si tratta semplicemente della soddisfazione di rivedere in vita una persona tanto amata, ma piuttosto di una gioia indescrivibile, perchè ultraterrena, che solo la presenza di Gesù porta con sé.
Poi Gesù ripete il saluto: “Pace a voi” e prosegue: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Manda proprio loro, che lo hanno abbandonato e che hanno avuto paura, a continuare la sua missione: donare agli uomini il perdono del Padre. Chi ha sperimentato la forza risanante del perdono è chiamato a donare agli altri la possibilità di vivere la stessa esperienza, testimoniando il volto di un Dio che perdona.
Gesù poi, alitando sui discepoli, dice: “Ricevete lo Spirito Santo”.
Gesù aveva promesso anche il dono dello Spirito Santo. Ne aveva parlato a più riprese nel discorso di addio dell'ultima cena. Il Paraclito sarebbe rimasto sempre con i discepoli (Gv 14,1-17); avrebbe reso testimonianza al mistero di Gesù per accompagnare i discepoli suoi testimoni (Gv 15,26), li avrebbe condotti alla verità tutta intera (Gv 16,13-15).
Ora Gesù dona questo Spirito, e lo dona come DIO ha fatto nel giorno in cui ha soffiato la vita nelle narici di Adamo. E' una nuova creazione, la storia ricomincia!
Solo lo Spirito è in grado di accomunare profondamente i discepoli al Maestro e come conseguenza di questo dono Egli dà ai discepoli il potere di rimettere i peccati: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Anche la remissione dei peccati, come la pace, era un dono promesso da DIO.. In particolare era messa in relazione con l'effusione dello Spirito di Dio. Con il suo soffio Gesù ha inaugurato una nuova creazione, una rinascita dell'uomo e dunque il perdono dei suoi peccati. Gesù aveva già detto: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. Gv 5,24
Ora dunque il potere di rimettere i peccati passa ai discepoli. E’ alquanto difficile pensare che la misericordia del Padre possa avere dei limiti ma esiste il perdono, ma esiste anche l’esclusione perché l’uomo è libero, anche di rifiutare l’amore di Dio. (È l’uomo che con la sua libertà può scegliere anche la propria rovina definitiva, la sua “morte seconda” di cui parla l’Apocalisse (Ap 20, 6).
La missione di Gesù non ha limiti e così la missione di tutti i Suoi discepoli, di ogni tempo e di ogni luogo. Uniti dobbiamo chiedere al Padre, che nel mistero della Pentecoste santifichi la Sua Chiesa in ogni popolo e nazione, diffondendo sino ai confini della terra i doni dello Spirito Santo.

 

*****

LE PAROLE DI PAPA FRANCESCO

“Pentecoste arrivò, per i discepoli, dopo cinquanta giorni incerti. Da un lato Gesù era Risorto, pieni di gioia lo avevano visto e ascoltato, e avevano pure mangiato con Lui. Dall’altro lato, non avevano ancora superato dubbi e paure: stavano a porte chiuse con poche prospettive, incapaci di annunciare il Vivente.
Poi arriva lo Spirito Santo e le preoccupazioni svaniscono: ora gli Apostoli non hanno timore nemmeno davanti a chi li arresta; prima preoccupati di salvarsi la vita, ora non hanno più paura di morire; prima rinchiusi nel Cenacolo, ora annunciano a tutte le genti. Fino all’Ascensione di Gesù attendevano un Regno di Dio per loro (cfr At 1,6), ora sono impazienti di raggiungere confini ignoti. Prima non avevano quasi mai parlato in pubblico e quando l’avevano fatto avevano spesso combinato guai, come Pietro rinnegando Gesù; ora parlano con parresia a tutti.
La vicenda dei discepoli, che sembrava al capolinea, viene insomma rinnovata dalla giovinezza dello Spirito: quei giovani, che in preda all’incertezza si sentivano arrivati, sono stati trasformati da una gioia che li ha fatti rinascere. Lo Spirito Santo ha fatto questo. Lo Spirito non è, come potrebbe sembrare, una cosa astratta; è la Persona più concreta, più vicina, quella che ci cambia la vita. Come fa? Guardiamo agli Apostoli. Lo Spirito non ha reso loro le cose più facili, non ha fatto miracoli spettacolari, non ha tolto di mezzo problemi e oppositori, ma lo Spirito ha portato nelle vite dei discepoli un’armonia che mancava, la sua, perché Egli è armonia.
Armonia dentro l’uomo. Dentro, nel cuore i discepoli avevano bisogno di essere cambiati. La loro storia ci dice che persino vedere il Risorto non basta, se non Lo si accoglie nel cuore. Non serve sapere che il Risorto è vivo se non si vive da Risorti. Ed è lo Spirito che fa vivere e rivivere Gesù in noi, che ci risuscita dentro. Per questo Gesù, incontrando i suoi, ripete: «Pace a voi!» e dona lo Spirito. La pace non consiste nel sistemare i problemi di fuori – Dio non toglie ai suoi tribolazioni e persecuzioni – ma nel ricevere lo Spirito Santo. In questo consiste la pace, quella pace data agli Apostoli, quella pace che non libera dai problemi ma nei problemi, è offerta a ciascuno di noi. È una pace che rende il cuore simile al mare profondo, che è sempre tranquillo anche quando in superficie le onde si agitano. È un’armonia così profonda che può trasformare persino le persecuzioni in beatitudini. Quante volte, invece, rimaniamo in superficie! Anziché cercare lo Spirito tentiamo di rimanere a galla, pensando che tutto andrà meglio se passerà quel guaio, se non vedrò più quella persona, se migliorerà quella situazione. Ma questo è rimanere in superficie: passato un problema ne arriverà un altro e l’inquietudine ritornerà. Non è prendendo le distanze da chi non la pensa come noi che saremo sereni, non è risolvendo il guaio del momento che staremo in pace. La svolta è la pace di Gesù, è l’armonia dello Spirito.
Oggi, nella fretta che il nostro tempo ci impone, sembra che l’armonia sia emarginata: tirati da mille parti rischiamo di scoppiare, sollecitati da un nervosismo continuo che fa reagire male a ogni cosa. E si cerca la soluzione rapida, una pastiglia dietro l’altra per andare avanti, un’emozione dietro l’altra per sentirsi vivi. Ma abbiamo soprattutto bisogno dello Spirito: è Lui che mette ordine nella frenesia. Egli è pace nell’inquietudine, fiducia nello scoraggiamento, gioia nella tristezza, gioventù nella vecchiaia, coraggio nella prova. È Colui che, tra le correnti tempestose della vita, fissa l’ancora della speranza. È lo Spirito che, come dice oggi San Paolo, ci impedisce di ricadere nella paura perché ci fa sentire figli amati (cfr Rm 8,15).
È il Consolatore, che ci trasmette la tenerezza di Dio. Senza lo Spirito la vita cristiana è sfilacciata, priva dell’amore che tutto unisce. Senza lo Spirito Gesù rimane un personaggio del passato, con lo Spirito è persona viva oggi; senza lo Spirito la Scrittura è lettera morta, con lo Spirito è Parola di vita. Un cristianesimo senza lo Spirito è un moralismo senza gioia; con lo Spirito è vita.
Lo Spirito Santo non porta solo armonia dentro, ma anche fuori, tra gli uomini. Ci fa Chiesa, compone parti diverse in un unico edificio armonico. Lo spiega bene San Paolo che, parlando della Chiesa, ripete spesso una parola, “diversi”: «diversi carismi, diverse attività, diversi ministeri» (1 Cor 12,4-6).
Siamo diversi, nella varietà delle qualità e dei doni. Lo Spirito li distribuisce con fantasia, senza appiattire, senza omologare. E, a partire da queste diversità, costruisce l’unità. Fa così, fin dalla creazione, perché è specialista nel trasformare il caos in cosmo, nel mettere armonia. È specialista nel creare le diversità, le ricchezze; ognuno la sua, diversa. Lui è il creatore di questa diversità e, allo stesso tempo, è Colui che armonizza, che dà l’armonia e dà unità alla diversità. Soltanto Lui può fare queste due cose.
Oggi nel mondo le disarmonie sono diventate vere e proprie divisioni: c’è chi ha troppo e c’è chi nulla, c’è chi cerca di vivere cent’anni e chi non può venire alla luce. Nell’era dei computer si sta a distanza: più “social” ma meno sociali. Abbiamo bisogno dello Spirito di unità, che ci rigeneri come Chiesa, come Popolo di Dio, e come umanità intera. Che ci rigeneri. Sempre c’è la tentazione di costruire “nidi”: di raccogliersi attorno al proprio gruppo, alle proprie preferenze, il simile col simile, allergici a ogni contaminazione. E dal nido alla setta il passo è breve, anche dentro la Chiesa. Quante volte si definisce la propria identità contro qualcuno o contro qualcosa! Lo Spirito Santo, invece, congiunge i distanti, unisce i lontani, riconduce i dispersi. Fonde tonalità diverse in un’unica armonia, perché vede anzitutto il bene, guarda all’uomo prima che ai suoi errori, alle persone prima che alle loro azioni. Lo Spirito plasma la Chiesa, plasma il mondo come luoghi di figli e di fratelli. Figli e fratelli: sostantivi che vengono prima di ogni altro aggettivo. Va di moda aggettivare, purtroppo anche insultare. Possiamo dire che noi viviamo una cultura dell’aggettivo che dimentica il sostantivo delle cose; e anche in una cultura dell’insulto, che è la prima risposta ad un’opinione che io non condivido. Poi ci rendiamo conto che fa male, a chi è insultato ma anche a chi insulta. Rendendo male per male, passando da vittime a carnefici, non si vive bene. Chi vive secondo lo Spirito, invece, porta pace dov’è discordia, concordia dov’è conflitto. Gli uomini spirituali rendono bene per male, rispondono all’arroganza con mitezza, alla cattiveria con bontà, al frastuono col silenzio, alle chiacchiere con la preghiera, al disfattismo col sorriso.
Per essere spirituali, per gustare l’armonia dello Spirito, occorre mettere il suo sguardo davanti al nostro. Allora le cose cambiano: con lo Spirito la Chiesa è il Popolo santo di Dio, la missione il contagio della gioia, non il proselitismo, gli altri fratelli e sorelle amati dallo stesso Padre. Ma senza lo Spirito la Chiesa è un’organizzazione, la missione propaganda, la comunione uno sforzo. E tante Chiese fanno azioni programmatiche in questo senso di piani pastorali, di discussioni su tutte le cose. Sembra che sia quella strada ad unirci, ma questa non è la strada dello Spirito, è la strada della divisione. ……. Egli «viene dov’è amato, dov’è invitato, dov’è atteso» (S. Bonaventura, Sermone per la IV Domenica dopo Pasqua). Fratelli e sorelle, preghiamolo ogni giorno. Spirito Santo, armonia di Dio, Tu che trasformi la paura in fiducia e la chiusura in dono, vieni in noi. Dacci la gioia della risurrezione, la perenne giovinezza del cuore. Spirito Santo, armonia nostra, Tu che fai di noi un corpo solo, infondi la tua pace nella Chiesa e nel mondo. Spirito Santo, rendici artigiani di concordia, seminatori di bene, apostoli di speranza.”

Papa Francesco Parte dell’Omelia del 9 giugno 2019

 

1 Nota L'origine della festa di Pentecoste è ebraica e si riferisce allo Shavuot, celebrata sette settimane dopo la Pasqua ebraica.

La festività era legata alle primizie del raccolto e alla rivelazione di Dio sul Monte Sinai, dove Dio ha donato al popolo ebraico la Torah.

Siamo alla Vigilia di Pentecoste che rievoca l’attesa della discesa dello Spirito Santo sugli apostoli radunati con Maria, nel Cenacolo in attesa del compimento della promessa di Gesù.
Nella prima lettura, tratta dal libro del profeta Ezechiele, vediamo come agli ebrei esiliati il profeta Ezechiele infonde speranza. Viene descritta una visione surreale e paurosa: in una valle infernale, c’è una distesa di scheletri. Ma su di loro irrompe lo spirito creatore di Dio e sulle ossa inaridite si intesse la carne, cioè la vita. Alla fine un popolo immenso si erge in piedi, pronto per una nuova esistenza. Ciò che viene descritto è però una parabola destinata ad illustrare il ritorno-resurrezione di Israele dalla “tomba” dell’esilio di Babilonia. E’ quindi una risurrezione morale, una rinascita del coraggio e della speranza.
Nella seconda lettura, tratta dalla lettera ai Romani, l’Apostolo Paolo afferma che la nostra speranza della gloria di Dio, non paragonabile con le attuali sofferenze, non sarà delusa r tutta la vita cristiana è protesa tra il già e il non-ancora. Poi riferendosi allo Spirito Santo afferma che noi non sappiamo nemmeno come pregare, cosa chiedere al Signore, ma lo Spirito viene in nostro aiuto e intercedendo per noi, si mette in mezzo tra noi e Dio e chiede a Lui ciò che è meglio per noi, con un linguaggio che noi non sappiamo comprendere, ma che è ben chiaro al Signore.
Nel Vangelo di Giovanni, le parole di Gesù prendono spunto dal rito dell’acqua che aveva luogo durante la festa delle capanne. Gesù osserva il rito e rivolto alle folle afferma “Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva, chi crede in me. Come dice la Scrittura: dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva”. Gesù è la fonte dell'acqua viva, il credente che si è rivolto a Lui e che ha bevuto diventa a sua volta sorgente grazie al suo legame con Gesù.

Dal Libro del profeta Ezechiele
In quei giorni la mano del Signore fu sopra di me e il Signore mi portò fuori in spirito e mi depose nella pianura che era piena di ossa; mi fece passare accanto a esse da ogni parte. Vidi che erano in grandissima quantità nella distesa della valle e tutte inaridite.
Mi disse: «Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere?». Io risposi: «Signore Dio, tu lo sai». Egli mi replicò: «Profetizza su queste ossa e annuncia loro: “Ossa inaridite, udite la parola del Signore. Così dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete. Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò in voi lo spirito e rivivrete. Saprete che io sono il Signore”».Io profetizzai come mi era stato ordinato; mentre profetizzavo, sentii un rumore e vidi un movimento fra le ossa, che si accostavano l’uno all’altro, ciascuno al suo corrispondente. Guardai, ed ecco apparire sopra di esse i nervi; la carne cresceva e la pelle le ricopriva, ma non c’era spirito in loro.
Egli aggiunse: «Profetizza allo spirito, profetizza, figlio dell’uomo, e annuncia allo spirito: “Così dice il Signore Dio: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano”». Io profetizzai come mi aveva comandato e lo spirito entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande, sterminato.
Mi disse: «Figlio dell’uomo, queste ossa sono tutta la casa d’Israele.Ecco, essi vanno dicendo: “Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti”. Perciò profetizza e annuncia loro: “Così dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele. Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò”».
Ez 37,1-14

Il profeta Ezechiele nacque intorno al 620 a.C. verso la fine del regno di Giuda. Fu deportato in Babilonia nel 597 a.C. assieme al re Ioiachin, stabilendosi nel villaggio di Tel Aviv sul fiume Chebar. Cinque anni più tardi ricevette la chiamata alla missione di profeta, con il compito di rincuorare i Giudei in esilio e quelli rimasti a Gerusalemme.
Il libro di Ezechiele contiene due raccolte di oracoli, quelli composti prima della caduta di Gerusalemme (cc. 1-24) e quelli posteriori ad essa (cc. 33-39). Tra queste due raccolte si situano gli oracoli contro le nazioni (cc. 25-32). Al termine c’è una sezione chiamata “Torah di Ezechiele” (cc. 40-48), dove sono descritte le istituzioni future. Gli oracoli posteriori alla caduta di Gerusalemme hanno come tema la conversione e il ritorno degli esuli nella loro terra. I temi svolti in questa raccolta sono: il ruolo del profeta (Ez 33), Dio unico pastore di Israele (Ez 34), la rinascita del popolo (Ez 35-37), la vittoria finale sui suoi nemici (Ez 38-39). Nella sezione in cui si parla della rinascita di Israele, questa viene presentata come effetto di un dono dello Spirito (Ez 36,24-32), al quale viene poi attribuita la risurrezione di un popolo ridotto a una distesa di ossa inaridite (Ez 37,1-10).
Il questo brano Ezechiele descrive una visione surreale e paurosa: in una valle infernale una distesa di scheletri calcificati, ossa inaridite. Il testo inizia con la domanda alquanto retorica rivolta dal Signore ad Ezechiele “Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere?” C’è da tenere presente che al tempo di Ezechiele non c'era ancora una fede nella risurrezione, per cui la risposta poteva essere solo negativa. Ezechiele risponde in modo alquanto vago “Signore Dio, tu lo sai” lasciando aperto una possibilità alla potenza infinita di Dio. Ezechiele riceve allora l'ordine di profetizzare su quelle ossa inaridite con le parole stesse del Signore “Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete. Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò in voi lo spirito e rivivrete. Saprete che io sono il Signore”. Poi c’è la descrizione di ciò che avviene: il rumore e un movimento fra le ossa, che si accostano l’uno all’altro, ciascuno al suo corrispondente, il ritorno poi dei nervi, carne e pelle, ma mancava a quei corpi lo spirito, principio di vita.
Poi c’è il secondo comando del Signore indirizzato allo spirito di vita. Ezechiele obbedisce al comando e lo spirito di vita entra in quei corpi inanimati che tornano in vita e si alzano in piedi: “erano un esercito grande, sterminato”, è il commento del profeta.
In questo testo Ezechiele si serve del linguaggio della risurrezione per spiegare la liberazione del popolo dall’esilio. Non si tratta certo di una risurrezione vera e propria, ma del ritorno a una vita piena dopo l’esperienza di una sofferenza che può essere considerata come una morte, perché senza libertà la vita non è degna di essere vissuta.
La liberazione promessa è un dono gratuito di Dio, che se anche ha una componente politica, si identifica anche con la ripresa di un rapporto con Dio, che comporta una fedeltà continua a Lui. È proprio nel riconoscere in Dio, il garante della sua liberazione, che il popolo eviterà di cadere schiavo di potenze straniere, anche quando sarà politicamente sottomesso ad esse. Pur non riferendosi alla risurrezione individuale dopo la morte, l’immagine suggestiva usata da Ezechiele, anche con la solenne promessa di Dio; “Saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò”, ha posto le premesse per il successivo sviluppo della fede di Israele. Quando la restaurazione del popolo apparirà come un evento che si attuerà alla fine dei tempi, sorgerà il problema del destino di coloro che sono morti prima che questo evento si realizzasse, e soprattutto dei martiri che hanno dato la vita perché si attuasse la gloria finale del popolo. È allora che l’immagine della risurrezione sarà utilizzata per indicare la partecipazione di tutti i defunti alla beatitudine finale di Israele, quando alla fine tutti i giusti torneranno in vita per entrare nella beatitudine del regno di Dio.

Salmo 50 Rinnovami, Signore, con la tua grazia.
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.

Tu gradisci la sincerità nel mio animo,
nel segreto del cuore m’insegna la sapienza.
Aspergimi con rami d’issopo e sarò puro;
Lavami e sarò più bianco della neve.

Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito

Rendimi la gioia della tua salvezza,
sostienimi con uno spirito generoso.
Signore apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode

Questo salmo la tradizione lo dice scritto da Davide dopo il suo peccato, e mi pare di dovere aggiungere durante la congiura del figlio Assalonne, dove Davide vide avverarsi la sventura sulla sua casa annunciatagli dal profeta Natan (2Sam 12,10).
Fa un po’ di difficoltà all’attribuzione a Davide del salmo l’ultimo versetto dove l’orante invoca che siano rialzate le mura di Gerusalemme, poiché questo porterebbe al tempo del ritorno dall’esilio. E’ comune, tuttavia, risolvere il caso dicendo che è un’aggiunta messa durante l’esilio per un adattamento del salmo alla situazione di distruzione di Gerusalemme.
Ma considerando che il salmo non poteva essere adatto in tutto alla situazione dell’esilio, poiché sacrifici ed olocausti (“non gradisci il sacrificio; se offro olocausti, non li accetti”) in terra straniera non potevano essere fatti, bisogna pensare che le mura abbattute sono un’immagine drammatica della presa di possesso di Gerusalemme da parte di Assalonne; Gerusalemme era conquistata e come “Città di Davide” veniva a finire.
L’orante si apre a Dio in un invocazione di misericordia. Domanda pietà.
Si sente imbrattato interiormente. Il rimorso lo attanaglia, si sente nella sventura. Non ricorre alla presentazioni di circostanze, di spinte al peccato, lui coscientemente l’ha fatto: “Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto”. Tuttavia presenta a Dio la sua debolezza di creatura ferita dall’antica colpa che destò al senso la carne: “Ecco, nella colpa sono io stato nato, nel peccato mi ha concepito mia madre”. Con ciò non intende scusarsi poiché aggiunge che Dio vuole la sincerità nell'intimo, cioè nel cuore, e che anche illumina intimamente il cuore dell’uomo affinché non ceda alle lusinghe del peccato: “Ma tu gradisci la sincerità nel mio intimo, nel segreto del cuore mi insegni la sapienza”.
Ancora l’orante innalza a Dio un grido per essere purificato, per essere liberato dalle sventure che lo colpiscono.
Egli prosegue la sua supplica chiedendo: “Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo”. Il peccato lo ha indebolito, gli sta sempre dinanzi e vorrebbe non averlo commesso.
E’ umile, pienamente umile, e domanda a Dio di non essere respinto dalla sua presenza e privato del dono del suo “santo spirito”; quel “santo spirito” che aveva ricevuto al momento della sua consacrazione a re. Quel “santo spirito” che gli dava forza e sapienza nel governare e nel guidare i sudditi al bene, all’osservanza della legge.
Consapevole della sua debolezza ora domanda umilmente di essere aiutato: “sostieni con me un spirito generoso”.
Ha creato del male ad Israele col suo peccato, ma rimedierà, con l’aiuto di Dio: “Insegnerò ai ribelli le tue vie e i peccatori a te ritorneranno”.
Ma il peccato veramente gli “sta sempre dinanzi”. Egli non solo è stato adultero, ma anche omicida: “Liberami dal sangue, o Dio, Dio mia salvezza”. Salvato dal peccato che l’opprime, egli esalterà la giustizia di Dio, che si attua nella misericordia. Salvato, dal peso del peccato e dalla rottura con Dio egli potrà di nuovo lodare Dio: “La mia bocca proclami la tua lode”.
Ha provato a presentare a Dio sacrifici e olocausti, ma è stato rifiutato. Così ha percependo il rifiuto di Dio è arrivato al massimo del dolore, e questo dolore di contrito lo presenta a Dio: “Uno spirito contrito è sacrificio a Dio”. Egli sa che Dio non disprezza “un cuore contrito e affranto”.
Davide presenta infine Sion, Gerusalemme, che è stata occupata e con ciò è stata messa in difficoltà l’unità di Israele che con tanta fatica aveva saputo costruire.
Riedificate le mura di Gerusalemme, nel senso di ricomposta la forza di Gerusalemme, sede dell’arca e del trono, e attuato un risveglio religioso in Israele, allora i sacrifici e gli olocausti torneranno ad essere graditi a Dio perché fatti nell’osservanza alla legge, nella corrispondenza al dono dell’alleanza.
Commento di p.Paolo Berti

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi.
Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati.
Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.
Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio.
Rm 8,22-27

San Paolo scrisse la lettera ai Romani da Corinto probabilmente tra gli anni 58-59. La comunità dei cristiani di Roma era già ben formata e coordinata, ma lui ancora non la conosceva. Forse il primo annuncio fu portato a Roma da quei “Giudei di Roma”, presenti a Gerusalemme nel giorno della Pentecoste e che accolsero il messaggio di Pietro e il Battesimo da lui amministrato, diventando cristiani. Nacque subito la necessità di avere a Roma dei presbiteri e questi non poterono che essere nominati a Gerusalemme.
La Lettera ai Romani, che è uno dei testi più alti e più impegnativi degli scritti di Paolo, ed è anche la più lunga e più importante come contenuto teologico, è composta da 16 capitoli: i primi 11 contengono insegnamenti sull'importanza della fede in Gesù per la salvezza, contrapposta alla vanità delle opere della Legge; il seguito è composto da esortazioni morali. Paolo, in particolare, fornisce indicazioni di comportamento per i cristiani all'interno e all'esterno della loro comunità.
Questo brano, tratto dal capitolo 8, è dedicato al tema dello Spirito che anima l'esistenza cristiana.
Nei versetti precedenti, non riportati dalla liturgia, l’Apostolo esprime alcune considerazioni sulla sofferenza che i cristiani di Roma stavano sopportando a causa delle persecuzioni.
“sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi.”
C'è una situazione di sofferenza che dura sin dalla fondazione del mondo, del mondo materiale, creato per l’uomo, che partecipa al suo destino. Ma come il corpo dell’uomo è destinato alla gloria, così anche il mondo sarà oggetto di redenzione e parteciperà alla “libertà” dello stato glorioso.
(La filosofia greca voleva liberare lo spirito dalla materia considerata come cattiva; il cristianesimo libera la stessa materia. Uguale estensione della salvezza va al mondo non umano, ossia al mondo animale!
Su questo Paolo VI commentava: “Anche gli animali sono creature di Dio, che nella loro muta sofferenza sono un segno dell’impronta universale del peccato e dell’universale attesa della redenzione”, e ancora: “li ritroveremo i nostri amici animali nel mistero di Cristo risorto”).
“Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati.”
Coloro che hanno aderito a Cristo nella fede possiedono già le primizie dello Spirito, cioè una anticipazione della gloria futura e questo li aiuta a vivere nel tempo presente con gioia e speranza,. Ma nonostante questo anche loro gemono nella sofferenza, perché anche loro dovranno passare attraverso la morte prima che questa presenza dello Spirito si manifesti completamente.
“Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.”
Tutta la vita cristiana è protesa tra il già e il non-ancora. Paolo lo sottolinea contro ogni tentativo di poter comprendere umanamente il dono dello Spirito, come liberazione dai drammi della storia e come ansia verso il futuro. Egli parla di speranza, perché mediante la speranza siamo stati salvati. E' un fatto che è già avvenuto nel passato e che al tempo stesso riguarda il futuro. Si è realizzato in parte, ma per il suo pieno compimento dobbiamo ancora aspettare. Ciò che si spera mantiene viva l'attesa, ma è anche vero che ciò che si è realizzato non si spera più.
Paolo evidenzia qui ancora una volta la tensione che anima la vita del cristiano.
“Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili;”
I cristiani vivono dunque in questa attesa verso la loro completa liberazione. Se si sentono scoraggiati per le difficoltà che incontrano nel loro quotidiano, Paolo ora li aiuta a rafforzare e completare i motivi di fiducia nella glorificazione finale.
Al doloroso gemito del mondo e dei credenti, si aggiungono i gemiti inimmaginabili dello stesso Spirito, che entra attivamente nel sofferenza dell'umanità per sostenere e indirizzare l’ansia dei cristiani. Infatti noi non sappiamo nemmeno come pregare, cosa chiedere al Signore, ma lo Spirito viene in nostro aiuto e intercedendo per noi, si pone tra noi e Dio e chiede a Lui ciò che è meglio per noi, con un linguaggio che noi non sappiamo comprendere, ma che è ben chiaro al Signore.
“e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio”.
Infatti lo Spirito è il Signore stesso e tra queste due persone della Trinità vi è una perfetta intesa. Lo Spirito aiuta i santi e i santi per Paolo sono i cristiani, cioè coloro che sono stati resi santi grazie alla loro fede in Dio. Lo Spirito intercede dunque per i santi seguendo i disegni di Dio e il Signore è dunque fedele al Suo progetto e aiuta i Suoi figli a giungere alla sua piena realizzazione.

Dal vangelo secondo Giovanni
Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù, ritto in piedi, gridò:
«Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva, chi crede in me. Come dice la Scrittura:
Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva».
Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché
Gesù non era ancora stato glorificato.
Gv 7,37-39

L’evangelista Giovanni ambienta il capitolo 7, da dove è tratto questo brano, a Gerusalemme durante la festa delle Capanne. Gesù era salito a Gerusalemme quasi di nascosto e solo a metà dei giorni di festa aveva cominciato a insegnare nel tempio. La gente cominciava a credere in lui, e commentava sottovoce: “Il Cristo, quando verrà, compirà forse segni più grandi di quelli che ha fatto costui?” (Gv 7,31). I farisei udirono che la gente andava dicendo queste cose di lui, perciò i capi dei sacerdoti e i farisei mandarono delle guardie per arrestarlo, ma nessuno riusciva a mettere le mani su di lui.
Il brano inizia riportando che: “Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa,… “
Negli insegnamenti di Gesù riportati in questo capitolo Gesù aveva parlato della sua origine (7,25-29) e della sua prossima dipartita (7,33-36). Ora annuncia il dono dello Spirito Santo: si completa così la rivelazione del disegno di Dio a favore degli uomini.
Questo ultimo annuncio Giovanni lo ambienta nell'ultimo giorno della festa delle Capanne e in quel giorno il rito prevedeva una solenne libazione fatta con l'acqua attinta alla piscina di Siloe. Si intendeva in questo modo implorare la pioggia per l'annata che incominciava, ma si chiedeva anche il rinnovamento spirituale della città santa, annunciato da Ezechiele con il simbolo dell'acqua che scaturiva dal tempio e fecondava tutta la terra al suo passaggio (Ez 47,1-12).
Giovanni continua evidenziando: “Gesù, ritto in piedi, gridò:”
Gesù si pone dunque all'interno di una delle attese del suo popolo. Mettendosi in piedi assume l'atteggiamento del profeta che sta per annunciare cose importanti per la vita di tutto il popolo.
Anche il grido rientra nell'atteggiamento del profeta, che non può mantenere per sé la parola, la deve gridare perché tutti la sentano.
“Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me”.
La sete è un elemento forte in tutte le culture. Dio aveva legato alla sete del popolo nel deserto una manifestazione della Sua fedeltà. Da allora in poi la sete ha nella Scrittura un aspetto molto importante.
“Come dice la Scrittura:Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva”.
“Fiumi di acqua viva”: è lo Spirito Santo che, quando noi riascoltiamo e imitiamo Gesù Cristo, prende del suo e ce lo riferisce” (Gv 16,14) così che noi viviamo con i Suoi pensieri, con la Sua carità senza limiti. La Chiesa ha questa vita senza limiti, come un fiume che irriga e non si può fermare!
I fiumi d'acqua viva sono anche la "vita" che Israele desiderava. Spesso nella Bibbia l'acqua è simbolo della Legge vivificante, di cui era preannunciato che, al tempo della nuova Alleanza, sarebbe stata incisa nel cuore. Gesù si presenta come colui che realizza la Promessa.
“Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato.”
L’annotazione di Giovanni evidenzia come solo dopo la glorificazione di Gesù sarebbe stato donato lo Spirito. Il messaggio del Signore, perciò, resta - secondo l’Evangelista - indirizzato alla Chiesa che nascerà, cioè a noi. Gesù, dunque, annuncia che è iniziato il tempo dello Spirito..

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LE PAROLE DI PAPA FRANCESCO

“Anche stasera, vigilia dell’ultimo giorno del tempo di Pasqua, festa di Pentecoste, Gesù è in mezzo a noi e proclama ad alta voce: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva».
È “il fiume d’acqua viva” dello Spirito Santo che scaturisce dal grembo di Gesù, dal suo fianco trafitto dalla lancia (cfr Gv 19,36), e che lava e feconda la Chiesa, mistica sposa rappresentata da Maria, nuova Eva, ai piedi della croce.
Lo Spirito Santo sgorga dal grembo di misericordia di Gesù Risorto, riempie il nostro grembo di una “misura buona, pigiata, colma e traboccante” di misericordia (cfr Lc 6,38) e ci trasforma in Chiesa-grembo di misericordia, cioè in una “madre dal cuore aperto” per tutti!
Quanto vorrei che la gente che abita a Roma riconoscesse la Chiesa, ci riconoscesse per questo di più di misericordia – non per altre cose –, per questo di più di umanità e di tenerezza, di cui c’è tanto bisogno! Si sentirebbe come a casa, la “casa materna” dove si è sempre benvenuti e dove si può sempre ritornare. Si sentirebbe sempre accolta, ascoltata, ben interpretata, aiutata a fare un passo avanti nella direzione del regno di Dio… Come sa fare una madre, anche con i figli diventati ormai grandi.
Questo pensiero alla maternità della Chiesa mi fa ricordare che 75 anni fa, l’11 giugno del 1944, il Papa Pio XII compì uno speciale atto di ringraziamento e di supplica alla Vergine, per la protezione della città di Roma ..
Lo fece nella chiesa di Sant’Ignazio, dove era stata portata la venerata immagine della Madonna del Divino Amore. L’Amore Divino è lo Spirito Santo, che scaturisce dal Cuore di Cristo. È Lui la “roccia spirituale” che accompagna il popolo di Dio nel deserto, perché attingendone l’acqua viva possa dissetarsi lungo il cammino (cfr 1 Cor 10,4).
Nel roveto che non si consuma, immagine di Maria Vergine e Madre, c’è il Cristo Risorto che ci parla, ci comunica il fuoco dello Spirito Santo, ci invita a scendere in mezzo al popolo per ascoltare il grido, ci invia per aprire il varco a cammini di libertà che portano a terre promesse da Dio.
Lo sappiamo: c’è anche oggi, come in ogni tempo, chi cerca di costruire “una città e una torre che arrivi fino al cielo” (cfr Gen 11,4). Sono i progetti umani, anche i nostri progetti, fatti al servizio di un “io” sempre più grande, verso un cielo dove non c’è più spazio per Dio.
Dio ci lascia fare per un po’, in modo da farci sperimentare fino a che punto di male e di tristezza siamo capaci di arrivare senza di Lui… Ma lo Spirito del Cristo, Signore della storia, non vede l’ora di buttare all’aria tutto, per farci ricominciare! Noi siamo sempre un po’ “stretti” di sguardo e di cuore; lasciati a noi stessi finiamo per perdere l’orizzonte; arriviamo a convincerci di aver compreso tutto, di aver preso in considerazione tutte le variabili, di aver previsto cosa accadrà e come accadrà… Sono tutte costruzioni nostre che si illudono di toccare il cielo. Invece lo Spirito irrompe nel mondo dall’Alto, dal grembo di Dio, lì dove il Figlio è stato generato, e fa nuove tutte le cose.
Che cosa celebriamo oggi, tutti insieme, in questa nostra città di Roma? Celebriamo il primato dello Spirito, che ci fa ammutolire di fronte all’imprevedibilità del piano di Dio, e poi trasalire di gioia: “Allora era questo che Dio aveva in grembo per noi!”: questo cammino di Chiesa, questo passaggio, questo Esodo, questo arrivo alla terra promessa, la città-Gerusalemme dalle porte sempre aperte per tutti, dove le varie lingue dell’uomo si compongono nell’armonia dello Spirito, perché lo Spirito è l’armonia.
E se abbiamo presenti le doglie del parto, comprendiamo che il nostro gemito, quello del popolo che abita in questa città e il gemito del creato intero non sono altro che il gemito stesso dello Spirito: è il parto del mondo nuovo. Dio è il Padre e la madre, Dio è la levatrice, Dio è il gemito, Dio è il Figlio generato nel mondo e noi, Chiesa, siamo al servizio di questo parto. Non al servizio di noi stessi, non al servizio delle nostre ambizioni, di tanti sogni di potere, no: al servizio di questo che Dio fa, di queste meraviglie che Dio fa.
«Se l’orgoglio e la presunta superiorità morale non ci ottundono l’udito, ci renderemo conto che sotto il grido di tanta gente non c’è altro che un gemito autentico dello Spirito Santo. È lo Spirito che spinge ancora una volta a non accontentarsi, a cercare di rimettersi in cammino; è lo Spirito che ci salverà da ogni “risistematizzazione” diocesana» (Discorso al Convengo diocesano , 9 maggio 2019).
Il pericolo è questa voglia di confondere le novità dello Spirito con un metodo di “risistematizzare” tutto. No, questo non è lo Spirito di Dio. Lo Spirito di Dio sconvolge tutto e ci fa incominciare non da capo, ma da un nuovo cammino.
Lasciamoci allora prendere per mano dallo Spirito e portare in mezzo al cuore della città per ascoltarne il grido, il gemito.
A Mosè Dio dice che questo grido nascosto del Popolo è arrivato sino a Lui: Egli lo ha udito, ha visto l’oppressione e le sofferenze… E ha deciso di intervenire inviando Mosè per suscitare e alimentare il sogno di libertà degli Israeliti e rivelare loro che questo sogno è la sua stessa volontà: fare di Israele un Popolo libero, il suo Popolo, legato a Lui da un’alleanza d’amore, chiamato a testimoniare la fedeltà del Signore davanti a tutte le genti.
Ma perché Mosè possa realizzare la sua missione, Dio vuole invece che egli “scenda” con Lui in mezzo agli Israeliti. Il cuore di Mosè deve diventare come quello di Dio, attento e sensibile alle sofferenze e ai sogni degli uomini, a quello che gridano di nascosto quando alzano le mani verso il Cielo, perché non hanno più appigli sulla terra. È il gemito dello Spirito, e Mosè deve ascoltare, non con l’orecchio, con il cuore.
Oggi chiede a noi, cristiani, di imparare ad ascoltare con il cuore. E il Maestro di questo ascolto è lo Spirito. Aprire il cuore perché Lui ci insegni ad ascoltare con il cuore. Aprirlo.
E per metterci in ascolto del grido della città di Roma, anche noi abbiamo bisogno che il Signore ci prenda per mano e ci faccia “scendere”, scendere dalle nostre posizioni, scendere in mezzo ai fratelli che abitano nella nostra città, per ascoltare il loro bisogno di salvezza, il grido che arriva fino a Lui e che noi abitualmente non udiamo.
Non si tratta di spiegare cose intellettuali, ideologiche. A me fa piangere quando vedo una Chiesa che crede di essere fedele al Signore, di aggiornarsi quando cerca strade puramente funzionalistiche, strade che non vengono dallo Spirito di Dio. Questa Chiesa non sa scendere, e se non si scende non è lo Spirito che comanda. Si tratta di aprire occhi e orecchie, ma soprattutto il cuore, ascoltare con il cuore. Allora ci metteremo in cammino davvero. Allora sentiremo dentro di noi il fuoco della Pentecoste, che ci spinge a gridare agli uomini e alle donne di questa città che è finita la loro schiavitù e che è Cristo la via che porta alla città del Cielo. Per questo ci vuole la fede, fratelli e sorelle. Chiediamo oggi il dono della fede per andare su questa strada.”

Papa Francesco Parte dell’Omelia dell’8 giugno 2019

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L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

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