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Elena Tasso

Elena Tasso

Giovedì, 22 Dicembre 2022 14:00

Natale del Signore - 25 dicembre 2022

Siamo giunti a Natale con tutto il carico di preoccupazioni, gioie e dolori che abbiamo accumulato nell’anno che fra poco terminerà.
La tradizione giudaica usava distinguere quattro notti fondamentali nella storia dell’umanità. La prima era stata quella della creazione, quando le tenebre furono spezzate via dalla parola di Dio “Sia la luce!”- La seconda notte era stata quella dell’alleanza con Abramo: “Mentre il sole stava per tramontare, … si era fatto buio fitto, …il Signore concluse questa alleanza con Abramo” (Gen.15). La terza notte è legata alla liberazione dalla schiavitù d’Egitto, è la notte della pasqua e della libertà. La quarta e ultima notte sarà quella del Messia, una notte a cui succederà un giorno che non avrà più tenebre “sarà sempre giorno… non ci sarà né giorno né notte; verso sera risplenderà la luce” (Zc 14,7).
Nella Chiesa latina, per l'occasione, si celebrano quattro messe: la Vespertina, la sera della vigilia, la Messa di mezzanotte (Dominus dixit ad me); la Messa dell'aurora (Lux fulgebit); Messa del giorno (Puer natus).. Questa tradizione, risalente ai primi anni del VII° sec., è dovuta dalla necessità del Papa, di celebrare la messa in diverse chiese di Roma.
In ognuna, tramite le letture proposte, viene presentato un’immagine diversa del mistero, in modo da avere di esso una visione in un certo senso tridimensionale.
La Messa della sera, riassume in se stessa tutta l’attesa di Israele e dell’umanità;
La Messa della Notte, ci presenta la nascita di Gesù e le circostanze in cui avvenne.
La Messa dell’aurora, con i pastori che vanno a Betlemme, ci indica quale deve essere la nostra risposta al richiamo degli angeli: andare senza indugio anche noi ad adorare il bambino.
La Messa del giorno è riservata ad una riflessione più approfondita del mistero.
Nelle prima messa l’evangelista Matteo presenta la Genealogia di Gesù come apice della storia di Israele, con i suoi momenti di gloria e con le sue durezze, dall’altra come intervento soprannaturale dell’Onnipotente. Nelle messe della notte e dell’aurora è l’evangelista Luca a narrarci la nascita di Gesù da Maria, mentre la Messa del giorno, è l’evangelista Giovanni con il glorioso inno del Prologo del suo Vangelo a rivelarci la realtà di Colui che è nato: il Verbo eterno di Dio esistente prima della creazione del mondo.
Sta terminando un anno in cui abbiamo vissuto l’inimmaginabile, dalla prova dovuta alla pandemia (da cui non siamo ancora fuori)siamo passati al terrore della guerra in Ucraina che non accenna a finire. Da tutto questo dolore, da questa sofferenza possiamo però trarre un prezioso insegnamento: Dio è sempre presente nella storia per condurla al suo fine ultimo, per condurla alla sua pienezza. Egli è l’Emmanuele il “Dio con noi”! Dio non è lontano, è sempre con noi, al punto che tante volte bussa alle porte del nostro cuore, anche quando è passato e non lo abbiamo riconosciuto.

*****
Messa della Notte


Dal libro del profeta Isaia
Il popolo che camminava nelle tenebre
ha visto una grande luce;
su coloro che abitavano in terra tenebrosa
una luce rifulse.
Hai moltiplicato la gioia,hai aumentato la letizia.
Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete
e come si esulta quando si divide la preda.
Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva,
la sbarra sulle sue spalle,
e il bastone del suo aguzzino,
come nel giorno di Madian.
Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando
e ogni mantello intriso di sangue
saranno bruciati, dati in pasto al fuoco.
Perché un bambino è nato per noi,
ci è stato dato un figlio.
Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà:
Consigliere mirabile, Dio potente,
Padre per sempre, Principe della pace.
Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine
sul trono di Davide e sul suo regno,
che egli viene a consolidare e rafforzare
con il diritto e la giustizia, ora e per sempre.
Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti.
Is 9,1-6

Isaia (il cui nome in ebraico vuol dire Jahvè salva ) nacque verso il 770 a. C., probabilmente a Gerusalemme, città che conosceva molto bene. Si pensa appartenesse a una famiglia aristocratica, date le strette relazioni con la corte di Giuda. Era sposato con una profetessa e padre di almeno due figli.
Profetizzò per circa 60 anni. Fu chiamato a diventare profeta “nell’anno della morte del re Uzzia” (6:1) e cioè intorno al 740 a. C. e il libro che porta il suo nome riporta in modo emozionante questa chiamata alla quale Isaia risponde immediatamente proclamando il suo messaggio con tono vivo e incisivo.
Durante il suo ministero Isaia assiste alla crescente minaccia degli Assiri, vede la caduta di Samaria e del regno del Nord nel 721 a.C. e passerò alla storia come colui che ha mantenuto la speranza durante l’assedio di Gerusalemme nel 701 a.C. Fra tutti questi avvenimenti Isaia proclama una certezza che per lui è folgorante: la grandezza e la santità di Dio. Forte di questa sicurezza affronta i potenti che considera i primi responsabili dello sfaldamento politico e religioso. Patriota ardente, Isaia crede nella perennità di Gerusalemme e nel ceppo dinastico inaugurato da Davide. Qualunque cosa accada, la discendenza di Davide e il popolo di Dio non possono perire definitivamente. L’Alleanza rimane e un “Resto” sopravvivrà per portare la promessa del Signore a tutte le genti. Animato da questa convinzione Isaia diviene il cantore del Messia, egli sarà il vero rappresentante di Dio e su lui si poserà lo Spirito del Signore.
Il questo celebre brano, Isaia, dopo le minacce e i tristi presagi che prima aveva espresso, si apre ad un canto di speranza e di liberazione per confortare gli ebrei deportati dal Re di Assiria nel 732 a.C. (2Re 15,29). All’umanità che cammina nelle tenebre, simbolo del nulla e del male, annuncia che apparirà una grande luce, che il profeta accompagna con tre grandi promesse.
La prima è la gioia, una felicità primitiva, intatta, quasi istintiva e genuina: “come si gioisce quando si miete e come si esulta quando si divide la preda.”
La seconda sorpresa della luce di Dio è rappresentata dalla pace e dalla libertà : “Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, la sbarra sulle sue spalle, e il bastone del suo aguzzino, come nel giorno di Madian.” Le catene, le sbarre, i bastoni dei torturatori e degli oppressi sono finalmente spezzati dal Signore dei poveri e degli oppressi,
Ma la sorpresa più straordinaria è la terza: “un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio”. Un bimbo straordinario, segno di un mondo nuovo, i cui nomi saranno: “Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace.”.
Questo principe senza pari, sapiente come Salomone, coraggioso come Davide, di cui assicura la successione, inaugura il tempo della felicità. La certezza e la gioia dissipano ora il dolore.
Il profeta Isaia, sette secoli prima di Cristo, oltre ad anticiparci il giubilo per i giorni in cui il Messia si manifesterà e dissiperà le tenebre, per la natività di Colui che porterà sulla terra la pace, ci lascia anche percepire qualche cosa del mistero e della missione del Cristo.

Salmo 96 (95) Oggi è nato per noi il Salvatore.

Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
Cantate al Signore, benedite il suo nome.

Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie.

Gioiscano i cieli, esulti la terra,
risuoni il mare e quanto racchiude;
sia in festa la campagna e quanto contiene,
acclamino tutti gli alberi della foresta

Davanti al Signore che viene:
sì, egli viene a giudicare la terra;
giudicherà il mondo con giustizia
e nella sua fedeltà i popoli.

Il salmo è un invito all'assemblea dei popoli a riconoscere la grandezza di Dio. L'universalismo del salmo ha come base l'unicità di Dio, e la consapevolezza che tutti i popoli della terra hanno un'origine comune, e che, allontanatisi da Dio, ne hanno in qualche misura un ricordo nelle loro concezioni religiose, infettate di politeismo e di idolatria. Ora Dio chiama a raccolta tutte le famiglie dei popoli a ritornare a lui (Cf. Ps 21,28), che ha formato un popolo quale suo testimone, radunato attorno al tempio di Gerusalemme.
Il popolo di Israele è invitato a diffondere la conoscenza del vero Dio in mezzo ai popoli. Una certezza deve avere Israele, che egli è “terribile sopra tutti gli dei”, e che “tutti gli dei dei popoli sono un nulla”. Dietro gli dei concepiti dalle nazioni sono presenti i demoni sui quali Dio esercita pieno dominio.
L'invito ai popoli non è solo quello di aprirsi a Dio, ma di andare pellegrini “nei suoi atri”, e prostrarsi davanti a lui. Il “suo atrio santo”, sono quelli del tempio di Gerusalemme. I “sacri ornamenti”, sono vesti degne del tempio.
Tutta la terra deve essere presa dal timore di Dio: “Tremi davanti a lui tutta la terra”.
L'annuncio di Israele ai popoli deve affermare la regalità di Dio su di loro: “Dite tra le genti: ”.
Egli è colui che con la sua provvidenza regge il mondo, e agisce con giustizia sui popoli: “È stabile il mondo, non potrà vacillare! Egli giudica i popoli con rettitudine”.
Il Signore “viene a giudicare la terra”; questo avverrà con la venuta di Cristo, re di giustizia e di pace il quale affermerà la giustizia (Cf. Ps 93). “Viene”, dice il salmista. Ora è venuto il Cristo, il Figlio di Dio incarnatosi nel grembo verginale di Maria. Egli viene continuamente con la sua grazia (Ap 1,8); poi, alla fine del mondo, verrà per il giudizio finale: “Giudicherà il mondo con giustizia e nella sua fedeltà i popoli”. “Nella sua fedeltà”, cioè per dare la risurrezione gloriosa a coloro che lo hanno accolto.
Difficile poter dire la data di composizione del salmo; probabilmente è stato scritto in un tempo di grande compattezza di Israele, poco dopo la costruzione del tempio di Salomone, prima che avvenisse lo scisma delle tribù del nord (1Re 11,26s).
Commento tratto da “Perfetta Letizia”

Dalla lettera di san Paolo apostolo a Tito
Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.
Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone.
Tt 2,11-14

Durante la sua prigionia a Roma attorno all’anno 66, è possibile che Paolo, o un suo discepolo qualche anno dopo, abbia scritto questa lettera a Tito, collaboratore di Paolo e da lui convertito. Tito fu presente alla grande assemblea di Gerusalemme (50 d.C.) e Paolo lo prepose alla comunità cristiana di Creta quale “vescovo”. La lettera a Tito fa parte del gruppo delle tre lettere "pastorali" (La lettera a Tito e le due a Timoteo), così chiamate perché rivolte a dei capi responsabili di comunità con un discorso di carattere ufficiale e autorevole che riguarda l'intera comunità. Più che delle lettere sembrano delle raccolte di norme per l'organizzazione della comunità, di consigli per le varie categorie di persone e suggerimenti generali per la vita pratica o la soluzione di problemi ecclesiali.. Nella lettera a Tito si trovano due brani che fanno riferimento all'incarnazione del Verbo di Dio e per questo motivo sono inserite nella liturgia di Natale
In questo brano Paolo indica a Tito il motivo per cui deve impegnarsi a fondo nella sua opera pastorale. Egli si riferisce a un evento di importanza determinante per tutta l’umanità:
«è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini»
Tutto è cominciato per iniziativa di Dio, il quale ha manifestato la Sua grazia, cioè la Sua bontà e il Suo amore conferendo la “salvezza” a tutti gli uomini.
«e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo». L’insegnamento di Dio non consiste in norme o leggi imposte con la sua autorità, ma in una istruzione analoga a quella data dai saggi, che si incarna nella vita e nell’esperienza umana. L’insegnamento di Dio ha come effetto una rottura con il passato, che consiste nel rinnegamento dell’empietà, cioè della negazione di Dio, e dei desideri mondani cioè dell’attaccamento alle cose di questo mondo. In positivo esso dà al credente la possibilità di vivere in questo mondo con sobrietà, giustizia e pietà, cioè esercitando correttamente il proprio rapporto con se stesso, con il prossimo e con Dio.
Da questo dono di Dio in Cristo deriva per i credenti la possibilità di distaccarsi dai desideri egoistici tipici dell’umanità per vivere una vita santa. L’esercizio delle virtù non deriva dunque né dalla legge né dallo sforzo della volontà, ma da un dono interiore che trasforma l’uomo cambiando in profondità la sua mentalità e spingendolo spontaneamente al bene.
«Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone».
Il sacrificio di Cristo sulla croce ha avuto un esito simile a quello dell'Esodo, ci ha liberati dalla schiavitù per dare vita a un popolo libero, che gli appartenga, che sia puro e quindi voglia realizzare in sé le virtù della vita cristiana.
E tra queste virtù la più importante è certo la carità, cioè l’amore per l'impegno nelle opere buone.
Questo permette di superare la staticità delle virtù della cultura greca e apre alla pratica cristiana, che non si appiattisce sull'autocompiacimento, né si perde nell'attivismo, ma è rivolta al cielo e al giorno della piena manifestazione di Cristo.

Dal Vangelo secondo Luca
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
Lc 2,1-14

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NATALE del Signore 2021
Messa del giorno

Dal libro del profeta Isaia
Come sono belli sui monti
i piedi del messaggero che annuncia la pace,
del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza,
che dice a Sion: «Regna il tuo Dio».
Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce,
insieme esultano,
poiché vedono con gli occhi
il ritorno del Signore a Sion.
Prorompete insieme in canti di gioia,
rovine di Gerusalemme,
perché il Signore ha consolato il suo popolo,
ha riscattato Gerusalemme.
Il Signore ha snudato il suo santo braccio
davanti a tutte le nazioni;
+tutti i confini della terra vedranno
la salvezza del nostro Dio.
Is 52,7-10

Questo brano fa parte dei testi contenuti nei capitoli 40-55, attribuiti ad un autore, rimasto anonimo, a cui è stato dato il nome di “Secondo Isaia ” o “deutero Isaia ”. Di lui si sa solo che il suo messaggio si colloca attorno al 538 a.C., l’anno in cui Ciro, re dei Persiani, ha permesso agli Ebrei, esiliati a Babilonia, di ritornare al loro paese. Gli è stato dato questo nome perchè il suo pensiero s’ispirava a una tradizione che risale al grande profeta Isaia (740-700 a.C.).
Questo brano, in particolare, fa parte del libro della Consolazione, e annunzia come nei due precedenti brani della Messa “della notte” e “dell’aurora”, la buona novella. Si apre con l’immagine di un messaggero che, correndo sui monti, porta a Gerusalemme il lieto messaggio del ritorno degli esuli. «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: «Regna il tuo Dio». La bellezza di questo messaggio viene proiettata sui piedi stessi del messaggero, che gli permettono di raggiungere velocemente la città santa. Il messaggio che egli porta ha direttamente come oggetto la salvezza, che si attua mediante un nuovo esodo non più dall’Egitto ma da Babilonia. Questa salvezza coincide con la pace, intesa qui come simbolo di prosperità e di gioia. Infine questa salvezza viene attribuita al fatto che il Signore regna.
«Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce, insieme esultano, poiché vedono con gli occhi il ritorno del Signore a Sion». In questo versetto viene ripreso il tema del messaggero, ma questa volta non si tratta però di un messaggero che giunge correndo, ma delle sentinelle, poste a custodia della città, le quali prorompono di gioia e lanciano forti grida perché vedono l’arrivo degli esuli. Il profeta però non parla direttamente delle carovane che giungono a Gerusalemme, ma del ritorno del Signore in Sion.
(Secondo Ezechiele (10,18-22) prima della caduta di Gerusalemme il Signore aveva abbandonato il tempio e la città e si era diretto nel luogo in cui si trovavano gli esiliati; ora è il Signore stesso che ritorna portando con sé coloro che ritornano dall’esilio).
«Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme». Alla gioia delle sentinelle fa eco quella della città santa, di cui sono rimaste solo delle rovine. Il profeta immagina che queste rovine cantino di gioia perché il Signore ha consolato il suo popolo e ha riscattato Gerusalemme, cioè le ha dato nuovamente il privilegio di essere il luogo della sua dimora.
«Il Signore ha snudato il suo santo braccio davanti a tutte le nazioni; tutti i confini della terra vedranno
la salvezza del nostro Dio».
La regalità del Signore si manifesta non tanto nel fatto di aver reso possibile il ritorno dei giudei nella loro patria, quanto piuttosto nell’aver riunito un popolo ormai disperso, incapace di ritrovare la sua identità. La sua forza, rappresentata nel suo santo braccio snudato che si alza contro i nemici, non si riferisce come altre volte ad eventi di guerra, ma alla rinascita religiosa e civile del Suo popolo.
Per noi cristiani la risposta di Dio ai problemi del mondo è un bambino nella mangiatoia, il segno della misericordia di Dio sulla storia dell'umanità e di ogni singolo uomo. Segno che, se rimane rifiutato e ignorato, lascia nel buio e nella solitudine; mentre se é compreso e accolto, fa rinascere la gioia di sapere che la vita – ogni vita dal suo sorgere fino al suo spegnersi - è nelle mani del Signore.

Salmo 98 (97) - Tutta la terra ha veduto la salvezza del nostro Dio

Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra e il suo braccio santo

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele
Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!

Cantate inni al Signore con la cetra,
con la cetra e al suono di strumenti a corde;
con le trombe e al suono del corno
acclamate davanti al re, il Signore

Il tempo della composizione di questo salmo è probabilmente quello del postesilio. Il motivo del suo invito ad un “canto nuovo” non è però ristretto al solo ritorno dall'esilio, ma nasce da tutti gli interventi di Dio per la liberazione di Israele dagli oppressori e dai nemici.
E' Dio stesso che, come prode guerriero, ha vinto i suoi nemici, che sono gli stessi nemici di Israele: “Gli ha dato vittoria la sua destra”.
Il “canto nuovo” celebra le “meraviglie” di Dio, tuttavia è aperto al futuro messianico, che abbraccerà tutti i popoli.
“La sua salvezza”, mostrata ai popoli per mezzo di Israele, ridonda già su di loro: “Tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio”. Il Signore è colui che viene, che viene costantemente a giudicare la terra; e che verrà nel futuro per mezzo dell'azione del Messia, al quale darà il potere di giudicare nell'ultimo giorno la terra: “Giudicherà il mondo con giustizia e i popoli con rettitudine”.
Ogni episodio di liberazione il salmo lo vede come preparazione della diffusione a tutte le genti della salvezza del Signore. E' una salvezza universale che tocca anche il creato, che deve fremere di fronte agli eventi finali che lo sconvolgeranno: “Frema il mare...”; ma anche esultare, perché sarà sottratto dalla caducità introdotta da Adamo (Cf. Rm 8,19):
“I fiumi battano le mani, esultino insieme le montagne”.
Noi, in Cristo, recitiamo il salmo nell'avvento messianico. La salvezza di Dio, quella che ci libera dal peccato - male supremo - è quella donataci per mezzo di Cristo. La giustizia che si è mostrata a noi è Cristo, che per noi è morto e ci ha resi giusti davanti al Padre per mezzo del lavacro del suo sangue. Dio, è il Dio che viene (Cf. Ap 1,7; 4,8) per mezzo dell'azione dello Spirito Santo, che presenta Cristo, nostra salvezza e giustizia.
Commento tratto da “Perfetta Letiziai”

Dalla lettera agli Ebrei
Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.
Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.
Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto:
«Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»?
E ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»?
Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice:
«Lo adorino tutti gli angeli di Dio».
Eb 1,1-6

L’ autore della Lettera agli Ebrei è rimasto anonimo, anche se nei primi tempi si è pensato a Paolo di Tarzo, ma sia la critica antica che moderna, ha escluso quasi concordemente questa attribuzione.
L’autore è certamente di origine giudaica, perché conosce perfettamente la Sacra Scrittura, ha una fede integra e profonda, una grande cultura, ma tutte le congetture fatte sul suo nome rimangono congetture, si può solo dedurre che nel cristianesimo primitivo ci furono notevoli personalità oltre agli apostoli, anche se sono rimaste sconosciute.
Quanto ai destinatari – ebrei – è certo che l’autore non si rivolge agli ebrei per invitarli a credere in Cristo, il suo scopo è invece quello di ravviare la fede e il coraggio ai convertiti di antica data, con tutta probabilità di origine giudaica. Infatti per discutere con essi, l’autore cita in continuazione la Scrittura e richiama incessantemente le idee e le realtà più importanti della religione giudaica.
Questo brano, presenta la venuta di Cristo come il culmine della rivelazione che Dio ha fatto agli uomini. Inizia con una frase magistrale: “Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti,”
In questo primo versetto il protagonista è Dio, che durante i secoli ha parlato di sé agli uomini. Si tratta di una lunga storia, fatta di diverse tappe, diversi incontri tra Dio e i nostri padri. ossia i nostri antenati. Ha parlato attraverso degli intermediari, cioè i profeti e a tutti coloro con cuore sincero che si avvicinavano a Lui.
“ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo”
Ultimamente e definitivamente Dio ha parlato attraverso il Figlio, che è la Sua parola vivente. Nella tradizione biblica l'eredità era molto importante e già a partire da Abramo il popolo di Israele viveva in situazioni precarie in cui avere un erede non era sempre facile (la storia di Abramo ce lo insegna). Il Figlio qui è l'erede universale, il legittimo Signore dell'universo ma anche Colui nel quale si compiono le promesse messianiche di pace e libertà. Inoltre il Figlio sta all'origine dell'universo creato e della storia, poiché è associato in modo intimo e unico al primo gesto salvifico di Dio: la creazione del mondo.
“Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli,”
Vengono qui date le indicazioni fondamentali per comprendere il rapporto tra il Padre e il Figlio. Il Figlio è irradiazione della gloria di Dio: questa espressione è presa dal Libro della Sapienza (7,25-26) e sottolinea il rapporto inseparabile che esiste tra Dio e il Figlio. Il culmine della descrizione del Figlio si raggiunge nell’espressione “e tutto sostiene con la sua parola potente”.
Quanto qui viene affermato lo si comprenderà meglio nel corso della lettera agli Ebrei che dà molto spazio all'idea di Gesù come del sacerdote perfetto che compie il sacrificio di espiazione per i peccati una volta per tutte.
Questo atto di espiazione ha tolto di mezzo i peccati, cioè tutto quello che ostacolava il rapporto tra Dio e gli uomini. Perciò egli è degno di sedere sul trono accanto al Padre
“divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato”.
Il Figlio è superiore alle creature celesti che circondano il trono divino, perché ben più importante è il nome che egli ha ricevuto.
“Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»? E ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»? “
Il Figlio è superiore agli angeli proprio perché è Figlio, è stato “generato” da Dio. Gli angeli invece fanno parte di tutte le realtà del mondo, ma sempre “create” da Dio.
Gli esperti notano qui una certa polemica verso l'angelologia giudaica che assegnava agli esseri celesti un ruolo mediatore nel governo del mondo o nella creazione, nel dono della legge, nell'intercessione a favore degli uomini. Tutte queste attribuzioni anche se sono legittime, non rendono gli angeli superiori al Figlio, il mediatore perfetto.
“Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio».”
Con questo ultimo versetto l'autore ribadisce la superiorità del Figlio rispetto agli angeli che lo hanno adorato nella notte di Natale, quando hanno portato l'annuncio ai pastori della nascita di Gesù.

Dal vangelo secondo Giovanni
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue né da volere di carne
né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama: “Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me è avanti a me,
perché era prima di me”.
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità
vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.
Gv 1, 1-18

L’Antico Testamento conosceva il tema della Parola (Verbo) di Dio e quello della Sapienza, che, in Dio, esisteva prima della creazione del mondo. Mediante la Sapienza ogni cosa è stata creata, ed è stata mandata sulla terra per rivelare i segreti della volontà divina.
In questo meraviglioso prologo, c’è il riassunto concentrato del contenuto del vangelo di Giovanni. L’evangelista presenta il Verbo in Dio, sottolineandone la preesistenza eterna, l'intimità di vita con il Padre e la Sua natura divina. Il Verbo non solo è vicino al Padre, ma rivolto verso il Padre in atteggiamento di ascolto e di obbedienza. Giovanni afferma con chiarezza, fin dalle prime parole del suo vangelo, che nel Dio unico esiste una pluralità di persone.
Dopo i primi due versetti introduttivi, Giovanni ci presenta il ruolo del Verbo nella creazione dell'universo e nella storia della salvezza: " tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.” Tutta la storia appartiene a Lui: tutte le cose sono opera del Figlio di Dio, di Gesù di Nazareth! Ogni uomo è fatto per la luce ed è chiamato ad essere illuminato dal Verbo con la luce eterna di Dio, che è la vita stessa del Padre donata al Figlio. La luce di Cristo splende su ogni uomo che viene nel mondo e le tenebre combattono per eliminarla. Tuttavia l'ambiente del male, che si oppone alla luce di Dio e alla parola di Gesù-Verbo, non riesce ad avere il sopravvento e a vincere.
La luce venuta nel mondo è preceduta da un testimone, Giovanni il Battista, che ha la missione di parlare a favore della luce. Il ruolo del Battista è unico: " Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.” Giovanni è il testimone di Gesù che riceve la testimonianza che il Padre dà al Figlio nel battesimo e che vede lo Spirito scendere e rimanere su Gesù . Gesù è la luce autentica e perfetta che appaga le aspirazioni umane; la sola che dà senso a tutte le altre luci che appaiono nella scena del mondo.
Gesù-Verbo, presente tra gli uomini con la Sua venuta, è vicino ad ogni uomo. Benché fosse già nel mondo come creatore e come centro della storia, "… il mondo non lo ha riconosciuto, cioè gli uomini non hanno creduto nel Verbo incarnato e nella Sua missione di Salvatore. Al rifiuto del mondo, c’è un rifiuto ancora più grave: " Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto.“ ossia la Parola del Signore è venuta nel popolo ebraico, ma Israele l'ha respinta. Vediamo qui il lungo cammino dell'umanità che, nonostante il progetto di amore e di vita voluto da Dio, ha perso col peccato l'orientamento di tutto il suo essere e non ha riconosciuto il piano salvifico di Dio.
Se il comportamento dell'umanità, e in particolare quello d'Israele, è stato di netto rifiuto di Gesù-Verbo, tuttavia, un gruppo di persone, un "resto di Israele", l'ha accolto e ha risposto al Suo messaggio, stabilendo un nuovo rapporto con Dio: " A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio” Solo coloro che accolgono il Verbo e credono nella Sua persona divina diventano figli di Dio, perché sono nati da Dio.
Questo dono della figliolanza divina si accoglie credendo nel Cristo e approfondendo la nostra vita di fede in Lui. Accogliere il Verbo significa "credere nel nome" di Gesù, ossia aderire pienamente alla Sua persona, impegnare la propria vita al Suo servizio.
Ciò che segue è come la sintesi di tutto l'inno perchè vi si afferma solennemente l'incarnazione del Figlio di Dio. Il vangelo afferma che " E il Verbo si fece carne “cioè che la Parola si è fatta uomo, nella sua fragilità e impotenza come ogni creatura, nascendo da una donna, Maria.
L'espressione " e venne ad abitare in mezzo a noi” sottolinea lo scopo dell'incarnazione: Dio dimora con il Suo popolo stabilmente e per sempre. La Sua presenza è nella vita stessa dell'uomo e nella carne visibile di Gesù..
I discepoli hanno contemplato nella fede il mistero di Gesù-Verbo, cioè la gloria che Egli possiede come Unigenito venuto dal Padre. Gesù è la rivelazione di Dio, ma in un modo nascosto e umile. Nel vangelo di Giovanni la gloria del Signore è qualcosa di interiore che solo l'uomo di fede può comprendere.
“Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia”. Le due grazie sono la legge di Mosè e quella di Cristo. Per Giovanni, la storia della salvezza abbraccia due momenti fondamentali: il dono della legge nella rivelazione provvisoria del Sinai e "la grazia della verità" nella rivelazione definitiva di Gesù. Le due tappe della rivelazione non sono in contrasto tra loro: Mosè è il rivelatore imperfetto della legge e il mediatore umano tra Dio e Israele, Gesù invece è il Rivelatore perfetto e definitivo della Parola e il Mediatore umano-divino tra il Padre e l'umanità.
Infine il versetto finale del prologo offre un'ulteriore spiegazione: Dio nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.
Il "seno" del Padre nel linguaggio biblico è l'immagine tipica dell'amore e dell'intimità: tutta la vita di Gesù si svolse come vita filiale in un atteggiamento di ascolto e di obbedienza al Padre, in un rapporto di amore con il Padre e come Sua manifestazione.

 

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Le Parole di Papa Francesco

"Nella notte si accende una luce. Un angelo appare, la gloria del Signore avvolge i pastori e finalmente arriva l’annuncio atteso da secoli: «Oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore». Sorprende, però, quello che l’angelo aggiunge. Indica ai pastori come trovare Dio venuto in terra: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» . Ecco il segno: un bambino. Tutto qui: un bambino nella cruda povertà di una mangiatoia. Non ci sono più luci, fulgore, cori di angeli. Solo un bimbo. Nient’altro, come aveva preannunciato Isaia: «Un bambino è nato per noi» .
Il Vangelo insiste su questo contrasto. Racconta la nascita di Gesù cominciando da Cesare Augusto, che fa il censimento di tutta la terra: mostra il primo imperatore nella sua grandezza. Ma, subito dopo, ci porta a Betlemme, dove di grande non c’è nulla: solo un povero bambino avvolto in fasce, con dei pastori attorno. E lì c’è Dio, nella piccolezza. Ecco il messaggio: Dio non cavalca la grandezza, ma si cala nella piccolezza. La piccolezza è la via che ha scelto per raggiungerci, per toccarci il cuore, per salvarci e riportarci a quello che conta.
Fratelli e sorelle, sostando davanti al presepe guardiamo al centro: andiamo oltre le luci e le decorazioni, che sono belle, e contempliamo il Bambino. Nella sua piccolezza c’è tutto Dio. Riconosciamolo: “Bambino, Tu sei Dio, Dio-bambino”. Lasciamoci attraversare da questo scandaloso stupore. Colui che abbraccia l’universo ha bisogno di essere tenuto in braccio. Lui, che ha fatto il sole, deve essere scaldato. La tenerezza in persona ha bisogno di essere coccolata. L’amore infinito ha un cuore minuscolo, che emette lievi battiti. La Parola eterna è infante, cioè incapace di parlare. Il Pane della vita deve essere nutrito. Il creatore del mondo è senza dimora. Oggi tutto si ribalta: Dio viene al mondo piccolo. La sua grandezza si offre nella piccolezza.
E noi – chiediamoci – sappiamo accogliere questa via di Dio? È la sfida di Natale: Dio si rivela, ma gli uomini non lo capiscono. Lui si fa piccolo agli occhi del mondo e noi continuiamo a ricercare la grandezza secondo il mondo, magari persino in nome suo. Dio si abbassa e noi vogliamo salire sul piedistallo. L’Altissimo indica l’umiltà e noi pretendiamo di apparire. Dio va in cerca dei pastori, degli invisibili; noi cerchiamo visibilità, farci vedere. Gesù nasce per servire e noi passiamo gli anni a inseguire il successo. Dio non ricerca forza e potere, domanda tenerezza e piccolezza interiore.
Ecco che cosa chiedere a Gesù per Natale: la grazia della piccolezza. “Signore, insegnaci ad amare la piccolezza. Aiutaci a capire che è la via per la vera grandezza”. Ma che cosa vuol dire, concretamente, accogliere la piccolezza? Per prima cosa vuol dire credere che Dio vuole venire nelle piccole cose della nostra vita, vuole abitare le realtà quotidiane, i semplici gesti che compiamo a casa, in famiglia, a scuola, al lavoro. È nel nostro vissuto ordinario che vuole realizzare cose straordinarie. Ed è un messaggio di grande speranza: Gesù ci invita a valorizzare e riscoprire le piccole cose della vita. Se Lui è con noi lì, che cosa ci manca? Lasciamoci allora alle spalle i rimpianti per la grandezza che non abbiamo. Rinunciamo alle lamentele e ai musi lunghi, all’avidità che lascia insoddisfatti! La piccolezza, lo stupore di quel bambino piccolo: questo è il messaggio.
Ma c’è di più. Gesù non desidera venire solo nelle piccole cose della nostra vita, ma anche nella nostra piccolezza: nel nostro sentirci deboli, fragili, inadeguati, magari persino sbagliati.
Sorella e fratello, se, come a Betlemme, il buio della notte ti circonda, se avverti intorno una fredda indifferenza, se le ferite che ti porti dentro gridano: “Conti poco, non vali niente, non sarai mai amato come vuoi”, questa notte, se tu senti questo, Dio risponde e ti dice: “Ti amo così come sei. La tua piccolezza non mi spaventa, le tue fragilità non mi inquietano. Mi sono fatto piccolo per te. Per essere il tuo Dio sono diventato tuo fratello.
Fratello amato, sorella amata, non avere paura di me, ma ritrova in me la tua grandezza. Ti sono vicino e solo questo ti chiedo: fidati di me e aprimi il cuore”.
Accogliere la piccolezza significa ancora una cosa: abbracciare Gesù nei piccoli di oggi. Amarlo, cioè, negli ultimi, servirlo nei poveri. Sono loro i più simili a Gesù, nato povero. Ed è in loro che Lui vuole essere onorato. In questa notte di amore un unico timore ci assalga: ferire l’amore di Dio, ferirlo disprezzando i poveri con la nostra indifferenza. Sono i prediletti di Gesù, che ci accoglieranno un giorno in Cielo. Una poetessa ha scritto: «Chi non ha trovato il Cielo quaggiù lo mancherà lassù» (E. Dickinson, Poems, P96-17). Non perdiamo di vista il Cielo, prendiamoci cura di Gesù adesso, accarezzandolo nei bisognosi, perché in loro si è identificato.
Guardiamo ancora una volta al presepe e vediamo che Gesù alla nascita è circondato proprio dai piccoli, dai poveri. Sono i pastori. Erano i più semplici e sono stati i più vicini al Signore. Lo hanno trovato perché, «pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge» (Lc 2,8). Stavano lì per lavorare, perché erano poveri e la loro vita non aveva orari, ma dipendeva dal gregge. Non potevano vivere come e dove volevano, ma si regolavano in base alle esigenze delle pecore che accudivano. E Gesù nasce lì, vicino a loro, vicino ai dimenticati delle periferie. Viene dove la dignità dell’uomo è messa alla prova. Viene a nobilitare gli esclusi e si rivela anzitutto a loro: non a personaggi colti e importanti, ma a gente povera che lavorava. Dio stanotte viene a colmare di dignità la durezza del lavoro. Ci ricorda quanto è importante dare dignità all’uomo con il lavoro, ma anche dare dignità al lavoro dell’uomo, perché l’uomo è signore e non schiavo del lavoro. Nel giorno della Vita ripetiamo: basta morti sul lavoro! E impegniamoci per questo.
Guardiamo un’ultima volta al presepe, allargando lo sguardo fino ai suoi confini, dove si intravedono i magi, in pellegrinaggio per adorare il Signore. Guardiamo e capiamo che attorno a Gesù tutto si ricompone in unità: non ci sono solo gli ultimi, i pastori, ma anche i dotti e i ricchi, i magi. A Betlemme stanno insieme poveri e ricchi, chi adora come i magi e chi lavora come i pastori. Tutto si ricompone quando al centro c’è Gesù: non le nostre idee su Gesù, ma Lui, il Vivente.
Allora, cari fratelli e sorelle, torniamo a Betlemme, torniamo alle origini: all’essenzialità della fede, al primo amore, all’adorazione e alla carità. Guardiamo i magi che peregrinano e come Chiesa sinodale, in cammino, andiamo a Betlemme, dove c’è Dio nell’uomo e l’uomo in Dio; dove il Signore è al primo posto e viene adorato; dove gli ultimi occupano il posto più vicino a Lui; dove pastori e magi stanno insieme in una fraternità più forte di ogni classificazione. Dio ci conceda di essere una Chiesa adoratrice, povera, fraterna. Questo è l’essenziale. Torniamo a Betlemme.
Ci fa bene andare lì, docili al Vangelo di Natale, che presenta la Santa Famiglia, i pastori e i magi: tutta gente in cammino. Fratelli e sorelle, mettiamoci in cammino, perché la vita è un pellegrinaggio. Alziamoci, ridestiamoci perché stanotte una luce si è accesa. È una luce gentile e ci ricorda che nella nostra piccolezza siamo figli amati, figli della luce (cfr 1 Ts 5,5).
Fratelli e sorelle, gioiamo insieme, perché nessuno spegnerà mai questa luce, la luce di Gesù, che da stanotte brilla nel mondo."

Omelia di Papa Francesco nella Santa Notte del 24 dicembre 2021

 

 

Domenica, 18 Dicembre 2022 22:20

IV Domenica di Avvento - 18 dicembre 2022

1. Al termine di questa celebrazione e dopo le messe delle 10:00 e delle 11:30, all'uscita della chiesa troverete i ragazzi dell'oratorio disponibili per farvi partecipare alla Lotteria di Natale. L'estrazione si terrà oggi domenica 18 dicembre alle ore 13:00. Il ricavato della Lotteria permetterà ai nostri ragazzi di finanziare il viaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù con Papa Francesco, che si terrà a Lisbona ad agosto prossimo.

2. Oggi dalle 11:00 alle 14:00 prosegue il Villaggio Oratorio Natalizio. Per la giornata di domani sono previsti, Mercatini di Natale con regali e dolci tipici e l'estrazione della Lotteria. È invitata tutta la comunità parrocchiale.

3. I gruppi del catechismo terminano gli incontri questa settimana, rispettivamente martedì 20, mercoledì 21 e giovedì 22 dicembre negli orari previsti. Gli appuntamenti per le celebrazioni del Santo Natale saranno poi comunicati dalle catechiste dei rispettivi gruppi.

 

4. Il 24 Dicembre, sabato, avremo due messe di NATALE DEL SIGNORE:
   - alle ore 18,30 la Messa vespertina
   - alle ore 23,30 la Messa della notte.

5. Il 25 Dicembre, domenica NATALE DEL SIGNORE, seguiamo l'orario delle domeniche e solennità:

     08;30, 10;00, 11;30 e 18;30.

 

6. Vi ricordiamo che fino al 6 gennaio 2023 è attiva la gara “Scatta il Presepe". Per conoscere il regolamento, potete consultare le bacheche in chiesa o in oratorio.

7. Quest'anno pastorale, nella solennità dell'Epifania, riprendiamo l’iniziativa “VIVA LA BEFANA", portando il quadro della Sacra famiglia in Piazza S.Pietro-Vaticano.

1 - Al termine di questa celebrazione (7.12, 18:30), all'uscita della chiesa troverete i ragazzi dell'oratorio disponibili per farvi partecipare alla Lotteria di Natale. L'estrazione si terrà domenica 18 dicembre. I biglietti saranno in vendita anche domani (8.12) dopo le messe della giornata. Il ricavato della Lotteria permetterà ai nostri ragazzi di finanziare il viaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù con Papa Francesco, che si terrà a Lisbona ad agosto prossimo.

2 - Giovedì 8 dicembre al termine della messa delle 10:00, l'oratorio vi aspetta con i Mercatini di Natale. I mercatini saranno presenti anche domenica 11 dicembre dalle 11 alle 12:3O.

3 - Sabato 17 e domenica 18 dicembre, l'oratorio invita tutta la comunità a partecipare a due giorni di festa, per vivere insieme in parrocchia lo spirito del Natale. I dettagli del programma dei due giorni, li trovate nelle bacheche in chiesa e in oratorio.

4 – E’ salito al cielo, il 7 dicembre verso le ore 19;30, il nostro confratello P. JONES NEAL, l’americano che seguiva la comunità filippina che si raduna nella sala Gabbiano ogni domenica.
Il funerale di P. Neil si celebrerà il 9 dicembre, venerdì, alle ore 14:30 nella chiesa Parrocchiale. La comunità è invitata ad essere partecipe.

Preghiamo per lui e per il suo riposo eterno.

 

PadreNeilG.JonesMs

Celebriamo oggi, la solennità dell’Immacolata Concezione della beata Vergine Maria, il cui dogma fu promulgato da Pio IX nel 1854, ma già nel IX secolo si celebrava in Inghilterra e Normandia una festa della Concezione di Maria e il Concilio di Basilea (1439) sancì questo evento come verità di fede. Si afferma che Maria è nata senza colpa originale, concepita senza peccato: colei che doveva dare alla luce il Figlio di Dio fu preservata da ogni macchia di peccato per essere la degna dimora di Gesù.
Celebrare l’Immacolata Concezione nel tempo di Avvento è quanto mai rilevante perché ci prepara a rivivere il “mistero della Redenzione” in avvenimenti dove la grazia fa irruzione in modo sovrabbondante sull’umanità.
Nella prima lettura, tratta dal libro della Genesi al primo peccato, dovuto alla disobbedienza di Adamo ed Eva, Dio non rimane indifferente e nella pienezza dei tempi manda la nuova Eva, Maria, che schiaccerà la testa al serpente.
Nella seconda lettura, tratta dalla lettera di S. Paolo agli Efesini, possiamo comprendere che ciò che si è realizzato in Maria attende oggi di realizzarsi in ciascuno di noi, anche se non come lei al momento del concepimento, ma a quello del battesimo. E’ un dono e una chiamata che ci proietta nella meravigliosa avventura della costruzione prima di noi stessi e poi del mondo, secondo il progetto di Dio e quindi nella direzione dell’amore che non conosce tramonto.
Nel Vangelo di Luca troviamo il racconto dell’annunciazione dell’Angelo Gabriele a Maria, che obbedì totalmente all’annunzio della sua maternità divina.
In questa giornata che celebra la sua concezione, e quindi tutta la sua esistenza immacolata e gradita a Dio, la liturgia ci conduce nelle stradine di questa cittadina della Galilea, alla ricerca delle tracce di Maria e di quel grande giorno in cui ha pronunciato il suo sì e nella onniscienza di Dio tutti noi eravamo presenti.

Dal Libro della Genesi
Dopo che l'uomo ebbe mangiato del frutto dell'albero, il Signore Dio lo chiamò e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l'uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato».
Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno».
L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.
Gen 3,9-15.20

Il Libro della Genesi (che significa: "nascita", "creazione", "origine"), è il primo libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana. E’ stato scritto in ebraico, e secondo molti studiosi, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata intorno al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte. Nei primi 11 dei suoi 50 capitoli, descrive la cosiddetta "preistoria biblica" (creazione, peccato originale, diluvio universale), e nei rimanenti la storia dei patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe-Israele e di Giuseppe, le cui vite si collocano nel vicino oriente (soprattutto in Palestina) del II millennio a.C. (la datazione dei patriarchi, tradizionale ma ipotetica, è attorno al 1800-1700).
Il libro della Genesi è suddiviso in due grandi sezioni. La prima, corrispondente ai capitoli 1-11, comprende il racconto della creazione e la storia del genere umano. La seconda sezione, dal capitolo 12 al capitolo 50, narra la storia del popolo eletto, mediante i racconti sui patriarchi.
Questo brano tratto dal Capitolo 3 descrive la convinzione d’Israele che la condizione umana (quale appariva allora) fosse una partecipazione alla punizione meritata dalla prima trasgressione.
La scena inizia subito dopo che «Adamo ebbe mangiato dell’albero», quando Dio scende nel giardino e l'uomo e la donna si nascondono per non farsi vedere. La venuta di Dio evidenzia l'intimità, ormai distrutta, che univa Dio ai nostri progenitori! Dio chiama l'uomo come se non sapesse cosa fosse successo e gli chiede persino “Dove sei?”. L'uomo risponde di aver avuto paura e di essersi nascosto perché era nudo. Più che la paura del castigo, possiamo anche pensare che ciò che lo trattiene dal presentarsi a Dio è anche il timore reverenziale, lo stesso che in Israele impediva di esporre il proprio corpo in un luogo sacro (v. Es 20,26).
Dio allora gli chiede: “Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?”. L'uomo però non si assume la responsabilità di ciò che ha fatto e risponde: “La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato”, quasi per evidenziare che il vero colpevole è Dio stesso, che gliel'ha data come compagna. Il peccato, invece di provocare solidarietà fra coloro che lo commettono, li pone inevitabilmente l'uno contro l'altro.
Anche la donna non assume la sua responsabilità quando risponde: “Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato” gettando la colpa sul serpente.
Dio emettendo la sentenza comincia col condannare il serpente, anche se non era stato neppure interrogato, che viene maledetto con una sentenza irrevocabile: “Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita”. Poi Dio continua affermando: “Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”,
Leggendo questo brano nel contesto di tutta la Bibbia, che narra la storia della salvezza, il testo diventa un annunzio di speranza per l'umanità peccatrice. Il racconto termina riportando alcuni dettagli complementari.: “L’’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi”.
La donna è chiamata Eva (vita), poiché è destinata a diventare la madre di tutti i viventi: nonostante il peccato continua dunque la vita, che è il più grande dono di Dio!
Leggiamo nei versetti successivi che l'uomo e la donna sono rivestiti da Dio con tuniche di pelle, e ciò vuol dire che l’amore di Dio per loro non è venuto meno. Infine, perché l'uomo non abbia accesso all'albero della vita, Dio lo scaccia dal giardino e lo manda a coltivare la terra “perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto” (3,23)
I cherubini posti a custodia del giardino e dell'albero della vita sono figure mitologiche reminiscenza delle figure babilonesi, mentre la fiamma della spada folgorante rappresenta il fulmine (vv. 22-24). L'allontanamento dal giardino si ispira al tema della rottura dell'alleanza, che comportava per Israele l'abbandono della terra donatagli da Dio (Vv. Dt 11,17; 28,15-68).
L’autore con questo racconto ha voluto dirci qualcosa riguardo l’uomo di tutti i tempi e di tutte le culture, e cioè ha voluto spiegare la sua situazione di sofferenza e di morte. A tale scopo egli ha immaginato che all’inizio della storia l’uomo si trovasse in una situazione ideale, dalla quale è decaduto a causa di un suo peccato. Così facendo egli vuol far vedere che la presenza del male, in tutti i suoi aspetti, non deriva da Dio, ma dall’uomo stesso, il quale si è precluso quella felicità che Dio gli aveva concesso all’inizio.
Questo modo di raccontare, tendente in qualche modo a scagionare Dio, ha uno scopo ben preciso: mostrare come Dio, non essendo responsabile del male presente in questo mondo, continua ad offrire all’uomo la possibilità di superare i suoi limiti e di raggiungere una condizione di vita adeguata alla sua dignità.
I profeti annunzieranno una salvezza piena che si attuerà in un futuro imprecisato (vv. Is 11,6-9) e quello che per l’autore della Genesi era un paradiso perduto, per i profeti diventa un paradiso che Dio donerà un giorno al Suo popolo e a tutta l’umanità: agli esseri umani non resta che prepararsi a questo evento finale. Mediante questi due modi simbolici di esprimersi gli autori biblici vogliono semplicemente far comprendere che l’uomo è chiamato alla felicità, ma la raggiunge solo se saprà distaccarsi da tutta una serie di pesanti condizionamenti, che provengono dal suo intimo e dalla società in cui vive.
Il rapporto con Dio ha quindi significato e deve essere vissuto in questa prospettiva: il “paradiso terrestre” è sempre disponibile a tutta l’umanità, pur in mezzo a tante difficoltà e sofferenze, a patto però che sia fedele a quei principi di amore e di giustizia che Dio ha scritto nel cuore di ogni uomo.

Salmo 98 (97) Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie.
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.

Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!

Il tempo della composizione di questo salmo è probabilmente quello del postesilio. Il motivo del suo invito ad un “canto nuovo” non è però ristretto al solo ritorno dall'esilio, ma nasce da tutti gli interventi di Dio per la liberazione di Israele dagli oppressori e dai nemici.
E' Dio stesso che, come prode guerriero, ha vinto i suoi nemici, che sono gli stessi nemici di Israele: “Gli ha dato vittoria la sua destra”.
Il “canto nuovo” celebra le “meraviglie” di Dio, tuttavia è aperto al futuro messianico, che abbraccerà tutti i popoli.
“La sua salvezza”, mostrata ai popoli per mezzo di Israele, ridonda già su di loro: “Tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio”. Il Signore è colui che viene, che viene costantemente a giudicare la terra; e che verrà nel futuro per mezzo dell'azione del Messia, al quale darà il potere di giudicare nell'ultimo giorno la terra: “Giudicherà il mondo con giustizia e i popoli con rettitudine”.
Ogni episodio di liberazione il salmo lo vede come preparazione della diffusione a tutte le genti della salvezza del Signore. E' una salvezza universale che tocca anche il creato, che deve fremere di fronte agli eventi finali che lo sconvolgeranno: “Frema il mare...”; ma anche esultare, perché sarà sottratto dalla caducità introdotta da Adamo (Cf. Rm 8,19): “I fiumi battano le mani, esultino insieme le montagne”.
Noi, in Cristo, recitiamo il salmo nell'avvento messianico. La salvezza di Dio, quella che ci libera dal peccato - male supremo - è quella donataci per mezzo di Cristo.
La giustizia che si è mostrata a noi è Cristo, che per noi è morto e ci ha resi giusti davanti al Padre per mezzo del lavacro del suo sangue. Dio, è il Dio che viene (Cf. Ap 1,7; 4,8) per mezzo dell'azione dello Spirito Santo, che presenta Cristo, nostra salvezza e giustizia.
Commento tratto da Perfetta Letizia

Dalla lettera di S.Paolo apostolo agli Efesini
Benedetto Dio,
Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati
di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d’amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
In lui siamo stati fatti anche eredi,
predestinati – secondo il progetto di colui
che tutto opera secondo la sua volontà –
a essere lode della sua gloria,
noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.
Ef 1,3-6.11-12

La Lettera agli Efesini è una delle lettere che la tradizione cristiana attribuisce a S.Paolo, che l'avrebbe scritta durante la sua prigionia a Roma intorno all'anno 62. Gli studiosi moderni però sono divisi su questa attribuzione e la maggioranza ritiene più probabile che la lettera sia stata composta da un altro autore appartenente alla scuola paolina, forse basandosi sulla lettera ai Colossesi, ma in questo caso la datazione della composizione può oscillare, tra l'anno 80 e il 100. La lettera agli Efesini si può dire che è la” lettera della Chiesa” del suo mistero e vita, tanto che anche il Concilio Vaticano II se ne è ampiamente ispirato
Il brano che abbiamo, è uno dei tre grandi inni Cristologici, che preghiamo anche durante i Vespri ogni settimana e che ci fa riflettere sul ruolo di Gesù nel progetto di amore del Padre. In particolare questo inno ci parla della predestinazione dei credenti. E' il Padre che sin dall'inizio dei tempi aveva pensato a noi, per renderci santi, per renderci suoi figli. Questo inno si adatta bene in particolare a Maria che nel piano della creazione-redenzione del mondo ha avuto un ruolo molto importante perché Dio Padre l‘ha scelta per essere santa e immacolata sin dal concepimento.
Il brano inizia con una invocazione benedicente: “Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.”
La benedizione di Dio significa comunicazione di vita, e trova il suo compimento quando torna a Dio sotto forma di benedizione da parte dell'uomo. Il movimento della benedizione è prima discendente, poi ascendente: il dono è infatti completo solo quando è riconosciuto come tale, e il segno del riconoscimento è la lode. La comunicazione di vita, la benedizione, consiste nella chiamata alla santità. C’è un invito a contemplare in Maria la primizia, colei in cui il sogno di Dio ha trovato piena attuazione.
“In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità”,
Paolo ci spiega ora in cosa consista questa benedizione: Dio ci ha scelti, ci ha eletto, per essere santi e immacolati nella carità, come aveva scelto il popolo di Israele. C'è un'iniziativa gratuita di Dio che previene ogni pretesa umana. E' una gratuità che parte dal Padre e ha avuto inizio prima della creazione del mondo!
“predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato”.
Il progetto di Dio si attua per mezzo di Gesù Cristo e consiste nel far partecipare tutti i credenti alla sua condizione di figlio unico e amato. Se si parla di adozione, non è per sminuire la realtà dell'essere figli ma per sottolineare la differenza con la figliolanza di Gesù, che è modello e fonte di quella di tutti gli altri figli. C'è un amore gratuito che si espande in tutta la sua pienezza!
“In lui siamo stati fatti anche eredi,predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo”
Non sono riportati i vv 7-10, che parlano del perdono dei peccati che abbiamo ricevuto grazie a Cristo. Con il v. 11 torniamo all'argomento dell'adozione e dell'eredità che riceviamo in quanto figli di Dio.
L’essere preservata immacolata fin dal concepimento non ha esonerato Maria dall’impegno di corrispondere alla grazia. Se l’onda che aveva preso a scorrere in lei ha potuto diventare torrente e traboccare benefica su tutta l’umanità, è stato per il suo incondizionato abbandonarsi allo Spirito. Questo è il potere di un “Sì” che eleva a collaboratori di Dio, non solo nel tessere la nostra santità, ma anche nel portare avanti il Suo disegno di salvezza a favore dell’umanità intera.
Ciò che si è realizzato in Maria attende oggi di realizzarsi in ciascuno di noi, anche se non come lei al momento del concepimento, ma a quello del battesimo.
Ognuno di noi è chiamato a questa via di santità, cioè a quella relazione di amore forte e incondizionato che ha legato Maria con il Signore. Riflettendo su di lei, sulla sua esperienza di vita e di fede riusciremo a camminare nelle vie che portano alla nostra pienezza e felicità.

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Sato scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
Lc 1,26-38

L’evangelista Luca inizia così il suo racconto:“l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.” L’angelo Gabriele, il cui nome derivante dall’ebraico significa “la forza di Dio” “Dio è forte”, viene mandato da Dio a Nazareth, che era in realtà un piccolo villaggio rurale della Galilea, ad una vergine , e al tempo stesso promessa sposa.
L’angelo apparendo a Maria si rivolge a lei con l’usuale saluto greco: kaire, che significa “Rallègrati” e aggiunge un elogio inusuale, unico “piena di grazia: il Signore è con te”. Le parole che l’angelo le rivolge, provocano il turbamento di Maria, per cui l’angelo la invita a non temere, sottolineando che ha “trovato grazia presso Dio” per cui Dio vuole stabilire un rapporto speciale con lei per assegnarle un compito unico e straordinario nel Suo progetto di salvezza.
L’angelo glielo annunzia con queste parole: “concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”
Queste parole alludono all’oracolo di Isaia 7,14: Maria è dunque la vergine di cui parla il profeta e suo figlio, non è un semplice discendente della casa davidica, ma il Messia atteso per gli ultimi tempi. In sintonia poi con il testo ebraico dell’oracolo e in forza del ruolo di madre che le è assegnato, sarà lei che gli darà il nome.
All’annunzio messianico dell’angelo, Maria risponde con una domanda: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”
In risposta alla domanda di Maria, l’angelo dà i chiarimenti che, solo chi è immerso completamente nel mistero di Dio, può accettare senza comprendere pienamente: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio”. Dopo aver indicato nel nascituro il Figlio dell’Altissimo, l’angelo spiega che questo appellativo è dovuto al fatto che lo Spirito santo interverrà in modo speciale nel momento stesso del suo concepimento.
Al termine del suo annunzio l’angelo rivela a Maria la gravidanza di Elisabetta, sua parente. Questo evento, tenuto gelosamente segreto dai diretti interessati, diventa il segno visibile che conferma l’autenticità della rivelazione dell’angelo. Esso infatti mostra nel modo più convincente che ”nulla è impossibile a Dio” (Gen 18,14).
Alle parole dell’angelo Maria risponde: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”.
Maria si rende così disponibile al progetto di Dio e ne diventa partecipe fino in fondo.
Il termine “serva” con cui Maria si autodefinisce non deve far pensare ad esortazioni sull’umiltà, la modestia, o il nascondimento. Maria ha la coscienza che in lei donna semplice e comune, Dio ha realizzato l’intervento definitivo e grandioso del suo progetto di salvezza “atteso da tutte le generazioni”.
Nella sua preghiera, il “Magnificat” che pronuncerà nell’incontro con Elisabetta, Maria intuisce di essere il terreno ideale in cui Dio celebrerà i trionfi e offrirà la salvezza del Suo Regno: “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente …” L’immacolata concezione è, allora, la storia di una donazione totale ad un piano tracciato da Dio, è la storia di una grazia e di una vocazione eccezionale.
Alla luce di questo modello di “serva del Signore”, oggi l’Adamo-Eva che è in ognuno di noi è invitato a ritornare allo splendore del paradiso terrestre, cioè alla grazia. Là potrà incontrare Dio in un dialogo familiare, intimo, di amore, là potrà vivere in armonia con il creato e con il suo prossimo.

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“Il Vangelo della Liturgia di oggi, Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, ci fa entrare nella sua casa di Nazareth, dove riceve l’annuncio dell’angelo . Tra le mura di casa una persona si rivela meglio che altrove. E proprio in quella intimità domestica il Vangelo ci dona un particolare, che rivela la bellezza del cuore di Maria.
L’angelo la chiama «piena di grazia». Se è piena di grazia, vuol dire che la Madonna è vuota di male, è senza peccato, Immacolata. Ora, a questo saluto Maria – dice il testo – rimane «molto turbata» . Non è solo sorpresa, ma turbata. Ricevere grandi saluti, onori e complimenti a volte rischia di suscitare vanto e presunzione. Ricordiamo che Gesù non è tenero con chi va alla ricerca dei saluti nelle piazze, dell’adulazione, della visibilità (cfr Lc 20,46). Maria invece non si esalta, ma si turba; anziché provare piacere, prova stupore. Il saluto dell’angelo le sembra più grande di lei. Perché? Perché si sente piccola dentro, e questa piccolezza, questa umiltà attira lo sguardo di Dio.
Tra le mura della casa di Nazareth vediamo così un tratto meraviglioso. Com’è il cuore di Maria? Ricevuto il più alto dei complimenti, si turba perché sente rivolto a sé quanto non attribuiva a sé stessa. Maria, infatti, non si attribuisce prerogative, non rivendica qualcosa, non ascrive nulla a suo merito. Non si autocompiace, non si esalta. Perché nella sua umiltà sa di ricevere tutto da Dio. È dunque libera da sé stessa, tutta rivolta a Dio e agli altri. Maria Immacolata non ha occhi per sé. Ecco l’umiltà vera: non avere occhi per sé, ma per Dio e per gli altri.
Ricordiamoci che questa perfezione di Maria, la piena di grazia, viene dichiarata dall’angelo tra le mura di casa sua: non nella piazza principale di Nazareth, ma lì, nel nascondimento, nella più grande umiltà. In quella casetta a Nazareth palpitava il cuore più grande che una creatura abbia mai avuto.
Cari fratelli e sorelle, è una notizia straordinaria per noi! Perché ci dice che il Signore, per compiere meraviglie, non ha bisogno di grandi mezzi e delle nostre capacità eccelse, ma della nostra umiltà, del nostro sguardo aperto a Lui e anche aperto agli altri. Con quell’annuncio, tra le povere mura di una piccola casa, Dio ha cambiato la storia. Anche oggi desidera fare grandi cose con noi nella quotidianità: cioè in famiglia, al lavoro, negli ambienti di ogni giorno. Lì, più che nei grandi eventi della storia, la grazia di Dio ama operare. Ma, mi domando, ci crediamo? Oppure pensiamo che la santità sia un’utopia, qualcosa per gli addetti ai lavori, una pia illusione incompatibile con la vita ordinaria?
Chiediamo alla Madonna una grazia: che ci liberi dall’idea fuorviante che una cosa è il Vangelo e un’altra la vita; che ci accenda di entusiasmo per l’ideale della santità, che non è questione di santini e immaginette, ma di vivere ogni giorno quello che ci capita umili e gioiosi, come la Madonna, liberi da noi stessi, con gli occhi rivolti a Dio e al prossimo che incontriamo. Per favore, non perdiamoci di coraggio: a tutti il Signore ha dato una stoffa buona per tessere la santità nella vita quotidiana! E quando ci assale il dubbio di non farcela, o la tristezza di essere inadeguati, lasciamoci guardare dagli “occhi misericordiosi” della Madonna, perché nessuno che abbia chiesto il suo soccorso è stato mai abbandonato!”
Papa Francesco Parte Angelus dell’’8 dicembre 2021


Madre Immacolata,
nel giorno della tua festa, tanto cara al popolo cristiano,
vengo a renderti omaggio nel cuore di Roma.
Nel mio animo porto i fedeli di questa Chiesa tutti coloro che vivono in questa città, specialmente i malati e quanti per diverse situazioni fanno più fatica ad andare avanti.
Prima di tutto vogliamo ringraziarti per la premura materna con cui accompagni il nostro cammino: quante volte sentiamo raccontare con le lacrime agli occhi da chi ha sperimentato la tua intercessione,
le grazie che chiedi per noi al tuo Figlio Gesù!
Penso anche a una grazia ordinaria che fai alla gente che vive a Roma:quella di affrontare con pazienza i disagi della vita quotidiana.
Ma per questo ti chiediamo la forza di non rassegnarci, anzi,di fare ogni giorno ciascuno la propria parte per migliorare le cose,perché la cura di ognuno renda Roma più bella e vivibile per tutti;
perché il dovere ben fatto da ognuno assicuri i diritti di tutti.
E pensando al bene comune di questa città,ti preghiamo per coloro che rivestono ruoli di maggiore responsabilità:ottieni per loro saggezza, lungimiranza, spirito di servizio e di collaborazione.
Vergine Santa, desidero affidarti in modo particolare i sacerdoti di questa Diocesi:
i parroci, i viceparroci, i preti anziani che col cuore di pastori continuano a lavorare al servizio del popolo di Dio,
i tanti sacerdoti studenti di ogni parte del mondo che collaborano nelle parrocchie.
Per tutti loro ti chiedo la dolce gioia di evangelizzare
e il dono di essere padri, vicini alla gente, misericordiosi.
A te, Donna tutta consacrata a Dio, affido le donne consacrate nella vita religiosa e in quella secolare,che grazie a Dio a Roma sono tante, più che in ogni altra città del mondo,
e formano un mosaico stupendo di nazionalità e culture.
Per loro ti chiedo la gioia di essere, come te, spose e madri,
feconde nella preghiera, nella carità, nella compassione.
O Madre di Gesù,
un’ultima cosa ti chiedo, in questo tempo di Avvento,
pensando ai giorni in cui tu e Giuseppe eravate in ansia
per la nascita ormai imminente del vostro bambino,
preoccupati perché c’era il censimento e anche voi dovevate lasciare il vostro paese, Nazareth, e andare a Betlemme…
Tu sai, Madre, cosa vuol dire portare in grembo la vita
e sentire intorno l’indifferenza, il rifiuto, a volte il disprezzo.
Per questo ti chiedo di stare vicina alle famiglie che oggi
a Roma, in Italia, nel mondo intero vivono situazioni simili,
perché non siano abbandonate a sé stesse, ma tutelate nei loro diritti,
diritti umani che vengono prima di ogni pur legittima esigenza.
O Maria Immacolata,
aurora di speranza all’orizzonte dell’umanità,veglia su questa città,
sulle case, sulle scuole, sugli uffici, sui negozi,sulle fabbriche, sugli ospedali, sulle carceri;
in nessun luogo manchi quello che Roma ha di più prezioso,e che conserva per il mondo intero,
il testamento di Gesù:“Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi” (cfr Gv 13,34).
Amen.

preghiera che Papa Francesco ha recitato l’8 dicembre 2018
all’Immacolata a Piazza di Spagna

La liturgia di questa seconda domenica di Avvento ci invita con la voce di Giovanni il Battista a “preparare la via al Signore”, annunciandone la venuta imminente.
Nella prima lettura, tratta dal Libro del profeta Isaia, troviamo una delle più belle pagine poetiche divenuta poi uno dei più celebri canti messianici. Il profeta sembra disegnare simbolicamente la fisionomia di un erede di Davide e per farlo ricorre ad un immagine agricola: da un tronco tagliato e inaridito, spunta un germoglio, un inizio inaspettato di vita.
Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo, nella sua lettera ai Romani, ci esorta ad accogliere la Parola di Dio per essere uomini e donne pieni di speranza che è dono dello Spirito Santo.
Il Vangelo di Matteo, ci presenta il Battista che in tono severo, minacciando anche castighi tremendi, invita alla conversione per preparare la strada al Messia. Giovanni Battista è colui che riassume in sé tutto l’Antico Testamento e lo unisce al Nuovo, è il precursore del Messia Gesù nella vita come nella morte, e Gesù stesso lo definisce “il più grande tra i nati di donna”.

Dal libro del profeta Isaia
In quel giorno, un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore.
Si compiacerà del timore del Signore. Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Percuoterà il violento con la verga della sua bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà l'empio. La giustizia sarà fascia dei suoi lombi e la fedeltà cintura dei suoi fianchi.
Il lupo dimorerà insieme con l'agnello, il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. La mucca e l'orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso. Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare.
In quel giorno avverrà che la radice di Iesse si leverà a vessillo per i popoli. Le nazioni la cercheranno con ansia. La sua dimora sarà gloriosa.
Is 11,1-10

Questo brano tratto dal Libro del profeta Isaia, è una delle più celebri pagine poetiche del profeta, divenuta poi uno dei più noti canti messianici, in cui il ruolo del messia è ancora maggiormente esaltato. Il profeta con il suo oracolo, sembra disegnare simbolicamente la fisionomia di un erede di Davide, un erede diverso da quei personaggi piuttosto squallidi che fino ad allora si erano succeduti sul trono di Gerusalemme: «un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici» un nuovo germoglio spunta dal tronco di Iesse, un germoglio, un inizio assolutamente inatteso di vita: il virgulto, che è grazia e dono di Dio perché da quelle radici secche non sarebbero mai riuscite a farlo sbocciare. Nasce, così, quella definizione del re-Messia come germoglio che sarà cara anche ai profeti Geremia e Zaccaria.
Questa immagine potrebbe far pensare che il re promesso venga dopo una interruzione della dinastia regale e qui gli esegeti fanno notare che la ripresa avviene a partire dalla “radice di Iesse”, e non da quella di Davide: ciò significa che il nuovo re non si colloca sulla linea di quelli che si sono succeduti storicamente sul trono davidico, ma rappresenta una realtà totalmente nuova, con la quale viene portato a compimento il progetto divino espresso nella vocazione di Davide.
La figura del nuovo re viene tratteggiata mediante prerogative che ne caratterizzano il comportamento: “Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore” Il re promesso ha dunque le prerogative del re ideale, a cui già alludeva l'oracolo precedente (V.9,5). È importante il fatto che tali qualità siano frutto dell'azione dello Spirito, il quale, diversamente da quanto avveniva per i giudici, si posa in modo stabile su di lui, come già era avvenuto per Davide (V. 1Sam 16,13).
Il brano prosegue mettendo in luce l'esercizio da parte del re dei doni conferitigli dallo Spirito. Anzitutto viene ripreso l'ultimo di essi, “il timore del Signore”. Il timore non corrisponde certo alla paura, ma a un senso di profonda sottomissione che porta a ricercare in ogni cosa la volontà divina. Sono poi descritti gli effetti della sapienza e dell'intelligenza nella pratica dell'attività giudiziale del re: «Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Percuoterà il violento con la verga della sua bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà l'empio. La giustizia sarà fascia dei suoi lombi e la fedeltà cintura dei suoi fianchi.»
Il re si comporterà dunque come il difensore dei miseri e degli oppressi contro i violenti e gli empi, mostrando così tutta la sua giustizia e la sua fedeltà verso il Signore.
Queste due virtù diventano così parte costituiva del suo modo di essere e di agire. Egli porta a termine la lotta contro i malvagi senza ricorrere alla violenza ma solo con la potenza della sua parola.
L'ultima parte dell'oracolo descrive invece gli effetti della sua azione politica:
«Il lupo dimorerà insieme con l'agnello, il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. La mucca e l'orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso.»
Come conseguenza della sua condotta ispirata dal consiglio e dalla fortezza, si realizza una pace di dimensioni universali: gli animali si riconciliano tra loro e con l'uomo e i serpenti velenosi non morsicano la mano che il bambinetto mette nel loro covo. Tutto fa dunque pensare a un nuovo paradiso terrestre.
Infine viene descritto un cambiamento radicale nel comportamento della gente:
«Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare.»
In un mondo rinnovato si attua una diffusione universale della “conoscenza del Signore”, la penultima delle prerogative regali, che indica ancora la totale sottomissione ai comandamenti divini.
L’oracolo termina con queste parole:. «In quel giorno avverrà che la radice di Iesse si leverà a vessillo per i popoli. Le nazioni la cercheranno con ansia. La sua dimora sarà gloriosa.»
La concezione esclusivista del re escatologico viene nettamente superata: il discendente di Iesse diventerà un punto di riferimento non solo per gli israeliti, ma anche per le altre nazioni.
Come cristiani pensiamo a Gesù che nella sinagoga di Nazareth, citando un altro passo di Isaia, esclamò: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio… « (Lc 4-18-19).
Tra la predicazione di Isaia e quella di Gesù c'è uno stacco netto: c’è l’oggi! Ciò che in Isaia era un annuncio, in Gesù diventa realtà, diventa il presente, l'"oggi" della salvezza.
Il lieto annuncio che Gesù propone a chi lo ascolta non è una dottrina, ma è Lui stesso. Egli è la salvezza e la via per conseguirla.

Salmo 71- Vieni, Signore, re di giustizia e di pace.

O Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio del re la tua giustizia;
Egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto.

Nei suoi giorni fiorisca il giusto
e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E domini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.

Perché Egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto,
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri.

Il suo nome duri in eterno,
davanti al sole germogli il suo nome.
In lui siano benedette tutte le stirpi della terra
e tutte le genti lo dicano beato.

Un re giusto è fonte di pace per questo il salmista invoca per il futuro re - “il figlio del re” - giustizia e rettitudine. Il salmo ha un’indubbia tensione messianica poiché non si possono che applicare al Messia alcuni passi fondamentali: “Ti faccia durare quanto il sole, come la luna, di generazione in generazione”; “Nei suoi giorni fiorisca il giusto e abbondi la pace, finché non si spenga la luna. E domini da mare a mare, dal fiume sino ai confini della terra”; “A lui si pieghino le tribù del deserto, mordano la polvere i suoi nemici ”; “In lui siano benedette tutte le stirpi della terra e tutte le genti lo dicano beato”.
Il re è indubbiamente Davide, e il figlio del re è Salomone, ma la figura del re e i risultati del suo governo sono tanto alti e ampi da tratteggiare il futuro Messia, il figlio del re per eccellenza; certo, secondo la carne (Rm 1,3;Gal 3,16). …
Egli Principe della pace, farà fiorire la pace finché “non si spenga la luna”; questo perché la sua pace, presente nella Chiesa e trasmessa dalla Chiesa, rimarrà sempre, La pace, poi, è l’essere riconciliati con Dio e con i fratelli.
Il suo regno sarà immenso. Non ha precedenti nei regni già esistiti, poiché :”E domini da mare a mare, dal fiume (ndr. l’Eufrate, il fiume per eccellenza) sino ai confini della terra”.
Il salmista passa ad un’invocazione a Dio per la grandezza del “figlio di re” su tutta la terra; ciò significa che l’estendersi del regno del Messia sarà dovuto anche all’azione, completamente subordinata alla salvezza operata da Cristo e con la forza data da lui, di coloro che lo amano: “Il suo nome duri in eterno, davanti al sole germogli il suo nome”.
Di nuovo il salmista passa al futuro: “In lui siano benedette tutte le stirpi della terra”. Cioè per mezzo del suo sacrificio riconciliatore il Padre benedirà tutte le genti della terra. “Tutte le genti lo dicano beato”, perché otterrà dal Padre onore e gloria per la sua obbedienza a lui, fino alla morte di croce.
Commento tratto da “Perfetta Letizia»

Dalla lettera di S.Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza. E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo.
Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio. Dico infatti che Cristo e diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri; le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto: "Per questo ti loderò fra le genti e canterò inni al tuo nome“
Rm 15,4-9

Nella sua lettera ai Romani, nella seconda parte Paolo affronta un problema specifico della comunità romana, quello cioè della contrapposizione tra “deboli” e “forti”.
Il brano inizia riprendendo il tema dell’amore, a cui aveva dedicato i due capitoli precedenti, in cui aveva esortato i cristiani di Roma all’unità, mettendo così a fuoco il problema che divide la comunità (14,1-12);
aveva poi suggerito i criteri a cui devono ispirarsi per dirimere le controversie (14,13-21). Dopo aver indicato nel rispetto della fede altrui il criterio a cui i forti devono ispirarsi, a imitazione di Cristo, nei confronti dei deboli (15,1-3), Paolo fa una breve digressione circa l’attualità delle Scritture: “tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza”, e conclude la sua esortazione con una preghiera che riguarda non più soltanto i forti, ma tutti i membri della comunità: E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo” Quel Dio che, mediante le Scritture, dona perseveranza e consolazione possa conferire a tutti i credenti, sull’esempio di Cristo, una profonda sintonia di pensieri perché in modo unanime possano rendere gloria a Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo.
Negli ultimi versetti Paolo riprende il tema dell’accoglienza, con il quale aveva aperto la sezione. Ma qui ne parla in chiave cristologica, presentando Gesù come il modello a cui tutti i membri della comunità devono rifarsi: Cristo ha accolto tutti i membri della comunità, senza discriminazione “Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio. “ Egli dunque non è solo un modello a cui riferirsi, ma anche Colui che, stabilendo un rapporto personale con ciascuno di essi, ha reso possibile il loro rapporto di comunione vicendevole. Egli ha fatto ciò “per la gloria di Dio”, cioè per attuare quella salvezza nella quale Dio si manifesta in tutta la Sua potenza.
Poi Paolo aggiunge: “Dico infatti che Cristo e diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri”. Accogliendo i pagani, Cristo ha procurato la gloria di Dio, ma limitandosi, durante la sua vita terrena, all’evangelizzazione di Israele, Egli ha testimoniato soprattutto la fedeltà di Dio alle promesse, lasciando, per così dire, ai pagani convertiti il compito di essere testimoni vivi della misericordia divina. “le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto: "Per questo ti loderò fra le genti e canterò inni al tuo nome. “ Questa citazione è ricavata dal salmo 18,50 in cui il salmista afferma di celebrare il Signore tra le nazioni, ciò significa per Paolo che anche le nazioni sono state accettate da Dio e fatte partecipi della salvezza finale. Paolo prosegue poi con altre due citazioni bibliche (non riportate nel brano liturgico) e termina esortando i destinatari a elevare una preghiera al Dio della speranza, affinché ottengano gioia e pace nella fede e siano pieni di quella speranza che è dono dello Spirito Santo.

Dal vangelo secondo Matteo
In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea, dicendo: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!”.
Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse:
"Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!".
E lui, Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico.
Allora Gerusalemme,tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: “Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all'ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile”.
Mt 3, 1-12

L’evangelista Matteo, dopo il racconto dell’infanzia di Gesù presenta tre eventi che hanno preceduto gli inizi del ministero pubblico di Gesù: la comparsa di Giovanni il Battista, il battesimo di Gesù, e le tentazioni. Il brano liturgico inizia così: “In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea, dicendo: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!”.
È questa la prima volta in cui si nomina il Battista e lo si presenta mentre svolge la sua attività nel deserto. Nella Bibbia il deserto evoca l'esperienza dell'esodo e suscita la speranza in un intervento decisivo di Dio per la liberazione del suo popolo (V. Os 2,16; Ger 2,2-3). L’appello alla conversione non riportato nel Vangelo di Marco, è la stessa con cui Matteo caratterizza la predicazione di Gesù, è evidente perciò che l’evangelista intende collegare strettamente l'attività del Battista con quella di Gesù. L’evangelista riporta poi la profezia che si trova anche in Marco: "Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!“. A questo punto Matteo descrive l’abbigliamento del Battista:”Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico.” Questa annotazione ha due scopi: sottolineare la vita austera del Battista e al tempo stesso annoverarlo tra i profeti, che adottavano questo stesso stile di vita (2Re 1,8). A questo punto Matteo accenna alle folle che andavano a lui da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla regione intorno al Giordano, e poi accenna al rito del battesimo, dicendo che quanti accorrevano da Giovanni si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni “Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, chiama i farisei e i sadducei “razza di vipere” e chiede chi ha suggerito loro di sfuggire dall’ira imminente. Dando loro il titolo di “vipere”, che contiene forse un’allusione al serpente tentatore nell'Eden, egli qualifica i suoi interlocutori come una realtà diabolica. Essi pensano di sfuggire all'ira imminente, cioè al giudizio divino di condanna. Ma ciò non è possibile senza una conversione che dimostri il loro ravvedimento, non certo mediante le osservanze minuziose della legge, ma con opere conformi alla volontà di Dio.
La gravità del momento viene espressa con l'immagine della scure posta alla radice degli alberi (v Ger 22,7; 46,22-24). Contrariamente alle loro pretese, l'appartenenza al popolo eletto, stirpe di Abramo, non è sufficiente per sottrarli all'ira punitrice di Dio perché questi può suscitare figli ad Abramo dalle innumerevoli pietre sparse all’intorno. Dio resta fedele alle promesse, ma si aspetta analoga fedeltà dal Suo popolo, altrimenti il giorno del giudizio diventerà per essi non una benedizione, ma una manifestazione di collera e di castigo.
Giovanni passa poi ad annunziare direttamente la venuta del Messia: «Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Matteo come Luca riferisce che il Battista affermava prima di tutto che egli battezzava con acqua per la conversione, poi che colui che veniva dopo di lui era “più forte” di lui ed egli non era degno di portargli i sandali, e infine che egli avrebbe battezzato “in Spirito Santo e fuoco”.
Matteo prosegue affermando ancora che (egli) : “ Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile”.
Quest’ultima frase si rifà all’usanza palestinese di completare la trebbiatura gettando per aria il grano tritato, facendo vento con una pala, in modo che l’aria lo separasse dalla pula e dalla polvere; il grano veniva poi raccolto a parte e la pula bruciata. In sintonia con la sua predicazione è chiaro che Giovanni pensava al Messia come l’inviato divino che avrebbe compiuto il giudizio escatologico, attuando sì un’azione salvifica, ma anche punitiva.
Giovanni è il primo grande testimone di Gesù, del quale condivide il messaggio e il destino di sofferenza: per questo viene presentato in sintonia con Lui. A Giovanni spetta il compito di mettere in risalto la superiorità di Gesù presentando se stesso non come il Messia, bensì come colui che gli prepara la strada. Per svolgere il suo ruolo Giovanni amministra il battesimo, ma il racconto non vuole risaltare questo rito, ma la sua predicazione.
Matteo, a differenza di Marco mette però in rilievo il fatto che Giovanni, come un autentico profeta, non si limita ad annunziare la venuta di Gesù, ma mette in crisi la religiosità delle classi dominanti; egli mostra loro che Dio non si accontenta di pratiche rituali, ma esige che tutta la persona umana si apra sinceramente al suo amore e alla sua grazia, senza doppiezza e ipocrisia.

Nota: Il rito d’immersione, simbolo di purificazione o di rinnovamento, era conosciuto dalle religioni antiche e dal giudaismo (battesimo dei proseliti, esseni). Pur ispirandosi a questi precedenti, il battesimo di Giovanni se ne distingue per tre aspetti principali: mira a una purificazione non più rituale, ma morale, non si ripete e riveste perciò l’aspetto di una iniziazione, ha un valore escatologico per il fatto che introduce nel gruppo di coloro che attendono l’arrivo del Messia e che costituiscono in anticipo la sua comunità. La sua efficacia è reale, ma non sacramentale, dal momento che dipende dal giudizio di Dio che deve ancora venire nella persona del Suo Messia. Solo il Messia battezzerà nello “Spirito santo”!

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“Nel Vangelo di questa seconda domenica di Avvento risuona l’invito di Giovanni Battista: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!» . Con queste stesse parole Gesù darà inizio alla sua missione in Galilea (cfr Mt 4,17); e tale sarà anche l’annuncio che dovranno portare i discepoli nella loro prima esperienza missionaria (cfr Mt 10,7). L’evangelista Matteo vuole così presentare Giovanni come colui che prepara la strada al Cristo che viene, e i discepoli come i continuatori della predicazione di Gesù. Si tratta dello stesso gioioso annuncio: viene il regno di Dio, anzi, è vicino, è in mezzo a noi! Questa parola è molto importante: “Il regno di Dio è in mezzo a voi”, dice Gesù. E Giovanni annuncia quello che Gesù dopo dirà: “Il regno di Dio è venuto, è arrivato, è in mezzo a voi”. Questo è il messaggio centrale di ogni missione cristiana. Quando un missionario va, un cristiano va ad annunciare Gesù, non va a fare proselitismo, come se fosse un tifoso che cerca per la sua squadra più aderenti. No, va semplicemente ad annunciare: “Il regno di Dio è in mezzo a voi!”. E così il missionario prepara la strada a Gesù, che incontra il suo popolo.
Ma che cos’è questo regno di Dio, questo regno dei cieli? Sono sinonimi. Noi pensiamo subito a qualcosa che riguarda l’aldilà: la vita eterna. Certo, questo è vero, il regno di Dio si estenderà senza fine oltre la vita terrena, ma la bella notizia che Gesù ci porta – e che Giovanni anticipa – è che il regno di Dio non dobbiamo attenderlo nel futuro: si è avvicinato, in qualche modo è già presente e possiamo sperimentarne fin da ora la potenza spirituale. “Il regno di Dio è in mezzo a voi!”, dirà Gesù. Dio viene a stabilire la sua signoria nella nostra storia, nell’oggi di ogni giorno, nella nostra vita; e là dove essa viene accolta con fede e umiltà germogliano l’amore, la gioia e la pace.
La condizione per entrare a far parte di questo regno è compiere un cambiamento nella nostra vita, cioè convertirci, convertirci ogni giorno, un passo avanti ogni giorno… Si tratta di lasciare le strade, comode ma fuorvianti, degli idoli di questo mondo: il successo a tutti i costi, il potere a scapito dei più deboli, la sete di ricchezze, il piacere a qualsiasi prezzo. E di aprire invece la strada al Signore che viene: Egli non toglie la nostra libertà, ma ci dona la vera felicità. Con la nascita di Gesù a Betlemme, è Dio stesso che prende dimora in mezzo a noi per liberarci dall’egoismo, dal peccato e dalla corruzione, da questi atteggiamenti che sono del diavolo: cercare il successo a tutti i costi; cercare il potere a scapito dei più deboli; avere la sete di ricchezze e cercare il piacere a qualsiasi prezzo.
Il Natale è un giorno di grande gioia anche esteriore, ma è soprattutto un avvenimento religioso per cui è necessaria una preparazione spirituale. In questo tempo di Avvento, lasciamoci guidare dall’esortazione del Battista: «Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!», ci dice (v. 3). Noi prepariamo la via del Signore e raddrizziamo i suoi sentieri, quando esaminiamo la nostra coscienza, quando scrutiamo i nostri atteggiamenti, per cacciare via questi atteggiamenti peccaminosi che ho menzionato, che non sono da Dio: il successo a tutti i costi; il potere a scapito dei più deboli; la sete di ricchezze; il piacere a qualsiasi prezzo.
Ci aiuti la Vergine Maria a prepararci all’incontro con questo Amore-sempre-più-grande, che è quello che porta Gesù, e che nella notte di Natale si è fatto piccolo piccolo, come un seme caduto nella terra. E Gesù è questo seme: il seme del Regno di Dio.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 4 dicembre 2016

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

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