Dove siamo:
Vedi sulla carta
S.Messe (settimana)
9:00  18:30

KRZYZ

Elena Tasso

Elena Tasso

Domenica, 20 Dicembre 2020 16:52

BUON NATALE 2020 - CARTELLI

Queste raffigurazioni sono gli auguri di Natale realizzati da Elena Tasso con sue frasi e decorazioni unite alla Parola.

BuonNataleET2okok

BuonNataleET3

Domenica, 20 Dicembre 2020 16:44

CONTEST NATALIZI

In questo tempo di festa, l'oratorio vi invita a partecipare e sfidarvi tra famiglie in due gare. Trovate maggiori informazioni e il regolamento per partecipare nelle foto allegate.

2

 

3

Siamo ormai arrivati alla IV Domenica di Avvento, l'ultima prima del Santo Natale. Le letture che la liturgia ci fa meditare ci aiutano a comprendere meglio il senso della festa del Natale: non siamo più soli dopo che il Figlio di Dio, assumendo la nostra natura umana, ha posto la Sua tenda in mezzo a noi.
Nella prima lettura, tratta dal secondo libro di Samuele, vediamo come al desiderio di Davide di costruire un tempio, il Signore mediante il profeta Natan, risponde che sarà Lui stesso, il Signore, a costruire la sua casa, e la costruisce con pietre vive. Questa promessa si realizzerà con la nascita del Messia, dalla discendenza di Davide.
Nella seconda lettura, nella sua lettera ai Romani, l’apostolo Paolo fa una lode a Dio, che ha finalmente rivelato il mistero di Gesù Cristo. Mistero per secoli e millenni rimasto avvolto nel silenzio, ma ora “manifestato mediante le scritture dei profeti”. Ciò che la prima lettura e il vangelo di oggi presentano in forma narrativa, diventano preghiera in questo scritto di Paolo
Nel Vangelo di Luca, che già abbiamo sentito proclamare nella solennità dell’Immacolata Concezione, l’angelo Gabriele rivela che il Messia atteso non sarà chiamato semplicemente figlio di Davide, ma Figlio di Dio e il suo regno non avrà mai fine, perchè non avrà i confini dei regni umani, ma attuerà la signoria di Dio su ogni realtà. Maria con il suo sì diventa la nuova Gerusalemme, al cui interno non c’è più un tempio di pietra, come era quello di Salomone, ma il tempio perfetto della carne di Cristo, Nel grembo di Maria si rivela in pienezza la presenza di Dio attraverso il Figlio. Su di lei, perciò “si stende l’ombra dell’Altissimo”. In Maria c’è Colui che è veramente rifugio, riparo e fortezza per l’intera umanità.
Dobbiamo sempre tenere in mente che la proposta dell’angelo a Maria è la stessa che la Parola di Dio fa a ciascuno di noi. Quando rispondiamo “Sì”, abbiamo la gioia di concepire l’inconcepibile, perché la sua Parola diventa vita in noi.

Dal secondo libro di Samuèle.
Il re Davide, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato riposo da tutti i suoi nemici all’intorno, disse al profeta Natan: «Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda». Natan rispose al re: «Va’, fa’ quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te».
Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: «Va’ e di’ al mio servo Davide: “Così dice il Signore: Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele. Sono stato con te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. Fisserò un luogo per Israele, mio popolo, e ve lo pianterò perché vi abiti e non tremi più e i malfattori non lo opprimano come in passato e come dal giorno in cui avevo stabilito dei giudici sul mio popolo Israele. Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici. Il Signore ti annuncia che farà a te una casa.
Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”».
2Sam 7,1-5, 8b-11, 16

I due Libri di Samuele costituiscono, con i successivi due libri dei Re, un'opera continua ed hanno lo scopo di tratteggiare la vicenda storica del popolo di Israele dalla fine dell'epoca dei Giudici fino alla fine della monarchia con l'invasione babilonese di Nabucodonosor: un arco di tempo di circa sei secoli. La redazione definitiva dell’intera opera risale al VI secolo a.C.
Il nome "Libri di Samuele" deriva dal fatto che un'opinione talmudica tardiva ne attribuiva la compilazione al profeta Samuele, il quale però occupa un ruolo di primo piano solo nei primi 15 capitoli del primo libro.
Il secondo libro di Samuele è dominato interamente dalla grandiosa figura del re Davide, nella sua grandezza di sovrano e di guerriero così come nelle sue miserie di uomo. Esso abbraccia un arco di tempo pari a quello dell'intero regno di Davide sulle dodici tribù, che tradizionalmente va dal 1010 fino al 970 a.C..In tutto comprende 24 capitoli, in cui si raccontano le vicende del re Davide, a partire dalla sua ascesa al trono fino alla morte.
In questo brano, uno dei fondamentali nell'Antico Testamento, vediamo che Davide, giunto all’apice del suo potere, quando ormai sono terminate le sue imprese militari, si rivolge al profeta Natan con queste parole: “Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda”.
La sua idea probabilmente non aveva solo motivazioni religiose ma anche politiche: costruendo infatti un grande santuario in onore al Dio di Israele avrebbe reso più legittimo il suo regno e la sua dinastia.
Davide poteva essere visto dal popolo come un usurpatore del trono che apparteneva a Saul e alla sua famiglia: è naturale quindi che abbia cercato una legalizzazione del suo regno e della sua dinastia, non solo portando a Gerusalemme l’arca dell’alleanza, ma anche costruendo un grande santuario in onore del Dio di Israele.
Natan in un primo momento approva il progetto di Davide, ma subito dopo, in seguito a una visione, ritorna da lui per comunicargli quanto il Signore gli avesse detto. Per prima cosa gli comunica che Dio non ha bisogno di un santuario in muratura perchè Egli ha camminato accanto al Suo popolo e lo ha guidato abitando in una tenda, senza mai pretendere la costruzione di un tempio.
Poi fa osservare a Davide che è stato Dio stesso a sceglierlo, per questo lo ha protetto e ancora lo proteggerà, rendendolo grande e potente. Il Signore prosegue poi assicurando che darà un luogo stabile a Israele perché vi risieda e non sia più oppresso dai suoi nemici come all’epoca dei giudici. Davide quindi non ha bisogno di cercare un espediente per legittimare la sua regalità: Dio è totalmente dalla sua parte e di tutto il popolo che governa.
Il Signore, per bocca del profeta poi soggiunge:
“Il Signore ti annuncia che farà a te una casa. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno”.
Giocando sul duplice significato del termine ebraico “bajît” (casa e casato), proprio nel momento in cui rifiuta la costruzione di una casa in proprio onore, Dio gli promette di dargli Lui stesso una casa, cioè una discendenza. Dio dunque conferisce a Davide e alla sua dinastia quella continuità che egli avrebbe voluto garantirsi costruendo un tempio al Signore.
Poi prevede l’immediato successore di Davide: Salomone. Sarà lui a costruire per il Signore quella casa che a Davide non è stato consentito di edificare. Queste parole, in contrasto con quanto detto precedentemente, che attribuiscono a Dio il desiderio di avere un tempio, sono probabilmente un’aggiunta successiva,fatta al tempo del regno di Salomone, allo scopo di legittimare la costruzione del tempio.
Il Signore prosegue : ”Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”.
Infine Dio assicura a Davide che punirà i re colpevoli ma non li ripudierà come aveva fatto con Saul, rimuovendolo dal trono e conclude:”La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”.
Con questa ripetizione la volontà di Dio viene confermata in modo irrevocabile.
Purtroppo la storia dei regni di Giuda e di Israele dovrà registrare molte infedeltà proprio da parte dei re, che porterà le due nazioni israelitiche alla rovina e poi alla scomparsa della stessa dinastia davidica (2Re 17,7-23). Nasce così l’attesa di un re, discendente di Davide, chiamato “Messia” che alla fine dei tempi dovrà portare la salvezza al suo popolo e a tutta l’umanità.
Il Signore più che essere inquadrato nello spazio sacro di un tempio, edificato anche in concorrenza con i santuari pagani delle altre nazioni, ama essere presente nella realtà più vicina all’uomo, cioè il tempo, la storia, espressa nella dinastia davidica dalla quale sarebbe fiorito il Messia. Alla casa materiale che Davide voleva progettare per il suo Dio si sostituisce la casa fatta di pietre vive, cioè di persone, che lo “adoreranno in spirito e verità” (v. Gv 4,23 ) .

Salmo 88 Canterò per sempre l’amore del Signore.
Canterò in eterno l’amore del Signore,
di generazione in generazione
farò conoscere con la mia bocca la tua fedeltà,
perché ho detto: «È un amore edificato per sempre;
nel cielo rendi stabile la tua fedeltà».

«Ho stretto un’alleanza con il mio eletto,
ho giurato a Davide, mio servo.
Stabilirò per sempre la tua discendenza,
di generazione in generazione edificherò il tuo trono».

Egli mi invocherà: “Tu sei mio padre,
mio Dio e roccia della mia salvezza”.
Gli conserverò sempre il mio amore,
la mia alleanza gli sarà fedele».

Il salmo probabilmente è il frutto di più autori, tuttavia non va affatto smembrato, poiché rivela una “unità orante”. Il salmo cosi come si presenta pone come autore un re vilipeso, che va ricercato in Ioacaz (2Re 23,33-34). Il fatto che il salmo presenti una totalità di mura abbattute e di fortezze diroccate, impone di pensare ad una sequenza di rovesci militari subiti da Israele, certamente dalle armate assire ed Egiziane (2Re 18,13, 23,33).
Il salmo esordisce facendo memoria delle promesse di Dio a Davide e alla sua discendenza (2Sam 7,8s), prosegue poi inneggiando alla potenza di Dio, quindi, con estensione, ritorna sulle promesse fatte a Davide; infine manifesta lo sconcerto di fronte alla catastrofe che si è abbattuta su Israele nonostante tutte le promesse di stabilità riguardanti la discendenza di Davide.
Il salmista sottolinea lo scarto infinito tra Dio e gli dei concepiti dai pagani: “Chi sulle nubi è uguale al Signore”; come pure sottolinea la distanza infinita tra lui e la sua corte celeste: “Chi è simile al Signore tra i figli degli dei?”. Non manca poi il salmista di affermare l'unicità di Dio: “Tuoi sono i cieli, tua è la terra, tu hai fondato il mondo e quanto contiene”. D'obbligo poi la menzione della vittoria di Dio su Raab (nome di un mostro mitico personificante il caos primordiale), cioè sull'Egitto: “Tu hai ferito e calpestato Raab”. Il “consacrato”, cioè il re, è stato ripudiato da Dio: “Ti sei adirato contro il tuo consacrato; hai infranto l'alleanza con il tuo servo, hai profanato nel fango la sua corona”. Egli è ricoperto di ingiurie mentre dal faraone Necao, suo vincitore, è condotto prima a Ribla e poi in Egitto: “I tuoi nemici insultano, insultano i passi del tuo consacrato”.
Il re, che ha visto le mura della reggia abbattute, come pure le sue fortezze, è nella più acuta sofferenza e domanda a Dio fin quando tutto questo continuerà: “Fino a quando, Signore, ti terrai nascosto: per sempre? Arderà come fuoco la tua collera?”. Afflitto, chiede a Dio di ricordarsi che la sua vita è breve e che forse non potrà vedere neppure giorni di pace, e lo interroga sul perché ha creato l'uomo, visto che a volte sembra che non ci sia disegno di pace per lui: “invano forse hai creato ogni uomo?”. L'uomo è ben poca cosa, eppure Dio dispone che debba sopportare lungamente pene e disagi prima di ridargli giorni di pace e di gioia. Al salmista pare che Dio abbia delle lentezze nell'intervenire, visto anche che i tempi di Dio sorpassano spesso i brevi anni di un uomo: “Chi è l'uomo che vive e non vede la morte? Chi potrà sfuggire alla mano degli inferi?".
Ma certo il salmista non rimane fermo a questo - le lentezze di Dio, infatti, sono unicamente causate dalle lentezze degli uomini nel ritornare a lui -, poiché conclude il suo salmo benedicendo Dio: “Benedetto il Signore in eterno. Amen, amen”.
Commento di P.Paolo Berti

Dalla lettera di S.Paolo Apostolo ai Romani
Fratelli, a colui che ha il potere di confermarvi
nel mio vangelo, che annuncia Gesù Cristo,
secondo la rivelazione del mistero,
avvolto nel silenzio per secoli eterni,
ma ora manifestato mediante le scritture dei Profeti,
per ordine dell’eterno Dio,
annunciato a tutte le genti
perché giungano all’obbedienza della fede,
a Dio, che solo è sapiente,
per mezzo di Gesù Cristo,
la gloria nei secoli. Amen.
Rm 16,25-27

San Paolo scrisse la lettera ai Romani da Corinto probabilmente tra gli anni 58-59. La comunità dei cristiani di Roma era già ben formata e coordinata, ma lui ancora non la conosceva. Forse il primo annuncio fu portato a Roma da quei “Giudei di Roma”, presenti a Gerusalemme nel giorno della Pentecoste e che accolsero il messaggio di Pietro e il Battesimo da lui amministrato, diventando cristiani. Nacque subito la necessità di avere a Roma dei presbiteri e questi non poterono che essere nominati a Gerusalemme. La Lettera ai Romani, che è uno dei testi più alti e più impegnativi degli scritti di Paolo, ed è la più lunga e più importante come contenuto teologico, è composta da 16 capitoli: i primi 11 contengono insegnamenti sull'importanza della fede in Gesù per la salvezza, contrapposta alla vanità delle opere della Legge; il seguito è composto da esortazioni morali. Paolo, in particolare, fornisce indicazioni di comportamento per i cristiani all'interno e all'esterno della loro comunità
Questo brano, con cui la lettera si conclude, è un canto di lode rivolto a Dio e ripercorre le motivazioni fondamentali dell'intervento di Dio nella storia dell'umanità. In particolare si riferisce al "mistero" divino, colto nella sua struttura di realtà prima nascosta e poi svelata.
“a colui che ha il potere di confermarvi nel mio vangelo, che annuncia Gesù Cristo,
secondo la rivelazione del mistero,avvolto nel silenzio per secoli eterni”
Dio è colui che può rendere sempre più forti i credenti, e lo ha fatto attraverso il Vangelo predicato da Paolo: è quindi attraverso la predicazione che si cresce e ci si rafforza nella fede. Ma questa buona notizia (Vangelo) altro non è che l'annuncio, la proclamazione di una persona, Gesù Cristo, con i Suoi gesti, le Sue parole, la Sua morte e la Sua risurrezione. Questa buona notizia e questo annuncio però erano un mistero, una realtà profonda che è rimasta nascosta per lunghissimi anni. Dopo questo lungo tempo però è stata rivelata.
“ma ora manifestato mediante le scritture dei Profeti,per ordine dell’eterno Dio,
annunciato a tutte le genti perché giungano all’obbedienza della fede”
Tale manifestazione è avvenuta attraverso le scritture dei profeti, che avevano anticipato il mistero divino nascosto e non ancora del tutto rivelato. Questi profeti hanno agito per volere di Dio, il quale voleva ottenere la fede di tutte le genti. É una fede che si manifesta necessariamente attraverso l'obbedienza: solo chi ha fede, chi si poggia su Dio, è capace di essere obbediente e di compiere la Sua volontà.
“a Dio, che solo è sapiente,per mezzo di Gesù Cristo,la gloria nei secoli. Amen”
Con queste parole l’Apostolo conclude l canto di lode, la glorificazione di Dio, per questo splendido disegno di comunione e di salvezza.
Il brano è una stupenda lode liturgica che arriva a Dio per mezzo di Gesù Cristo, Colui per mezzo del quale la Parola si è pienamente rivelata.

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
Lc 1, 26-38

Il nostro cammino di Avvento termina con la narrazione dell'annuncio a Maria. L’evangelista Marco, che ci accompagna in quest’anno liturgico, non dedica nemmeno una riga alle vicende legate all'incarnazione e alla nascita di Gesù, quindi la Liturgia per accompagnare in modo coerente l'itinerario dell'Avvento, si può dire che“prende in prestito” una pagina dal vangelo di Luca.
L’evangelista “della tenerezza”, inizia così il suo racconto:“l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.”
L’angelo Gabriele, il cui nome derivante dall’ebraico significa “la forza di Dio” “Dio è forte”, viene mandato da Dio a Nazareth, che era allora un piccolo villaggio rurale della Galilea, ad una vergine , e al tempo stesso promessa sposa. Nell’ambiente di allora, e soprattutto in Galilea, una ragazza di poco più di dodici anni poteva essere già data in sposa, ma rimaneva per un certo tempo nella casa paterna, prima che il marito la portasse a vivere in casa sua. Non sorprende quindi che Maria sia designata contemporaneamente come promessa sposa e vergine. Del suo fidanzato (sposo) si dice semplicemente che portava il nome di Giuseppe, nome di uno dei grandi patriarchi di Israele, e che apparteneva alla casa di Davide, alla quale erano state fatte le grandi promesse messianiche,
L’angelo apparendo a Maria si rivolge a lei con l’usuale saluto greco: kaire, vale a dire “Rallègrati” e aggiunge un elogio inusuale, unico “piena di grazia: il Signore è con te”. Maria è dunque la donna “ricolma del favore di Dio”!
Questa espressione riguarda non tanto il momento del suo concepimento, ma il momento attuale, in cui Dio le conferisce una missione che fa di lei la Sua collaboratrice nella grande opera della redenzione. Il saluto dell’angelo esprime quindi la gioia messianica che esplode nei tempi nuovi che stanno ora iniziando, ma Maria è prima di tutto la figlia di Sion, la degna rappresentante del popolo eletto, che porta in sé il Messia.
Le parole che le sono rivolte la turbano, ma l’angelo la invita a non temere, dicendole:“hai trovato grazia presso Dio”, cioè Maria ha ottenuto il Suo favore perchè Dio vuole stabilire un rapporto particolare con lei per assegnarle un compito speciale nel Suo progetto di salvezza.
L’angelo glielo presenta con queste parole: “Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”.
Queste parole alludono all’oracolo di Isaia (7,14): Maria è dunque la vergine di cui parla il profeta e suo figlio non sarà un semplice discendente della casa davidica, ma il Messia atteso per gli ultimi tempi. In sintonia con il testo ebraico dell’oracolo e in forza del ruolo di madre che le è assegnato, sarà lei che gli darà il nome.
Si tratta però non di un nome qualsiasi, ma di un nome deciso da Dio, nel quale è indicata la missione futura del bambino (Gesù = JHWH salva).
A differenza di Giovanni, il quale “sarà grande davanti al Signore”, egli sarà grande in senso assoluto, perchè sarà chiamato “figlio dell’Altissimo”. A lui infatti Dio conferirà il trono di suo padre Davide (V.2Sam 7,12), ma non si tratterà di un regno limitato nel tempo e nello spazio, bensì di un regno che durerà in eterno. Mentre Giovanni Battista sarà il profeta degli ultimi tempi e il precursore del Messia, il figlio di Maria sarà il Messia stesso, nel quale troverà il suo compimento definitivo il regno di Davide.
All’annunzio dell’angelo Maria risponde con una domanda: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo”. Letteralmente la domanda sembrerebbe simile in parte a quella di Zaccaria (“Come posso conoscere questo?”), ma mentre Zaccaria chiedeva ulteriori garanzie, Maria chiede spiegazioni sulle modalità in cui si realizzerà, dal momento che “non conosce uomo”.
Alla domanda di Maria l’angelo risponde “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio”. Dopo aver rivelato che il nascituro sarà il Figlio dell’Altissimo, l’angelo spiega che questo appellativo è dovuto al fatto che lo Spirito santo interverrà in modo speciale nel momento stesso del suo concepimento.
Al termine del suo annunzio l’angelo rivela a Maria la gravidanza di Elisabetta, sua parente. Questo evento, tenuto gelosamente segreto dai diretti interessati, diventa il segno visibile che conferma l’autenticità della rivelazione dell’angelo. Esso infatti mostra nel modo più convincente che “nulla è impossibile a Dio”.
Alle parole dell’angelo Maria risponde: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. Maria si rende così disponibile al progetto di Dio e ne diventa partecipe fino in fondo. Ella apre così la via all’intervento dello Spirito santo e rende possibile la nascita straordinaria del Figlio di Dio.
Luca, primo tra gli evangelisti, legge il destino di Maria nella prospettiva del ruolo salvifico di Gesù, presentandola come la nuova Eva, madre del Messia e di quella umanità rigenerata che da Lui prende origine. Ella è paragonata al nuovo tempio, all’arca dell’alleanza, nella quale Dio risiede con la Sua potenza per trasformare tutte le cose. Con la sua disponibilità Maria diventa anche il modello del credente che si abbandona al suo Dio, mettendosi al seguito di Gesù e adeguandosi fino in fondo alla logica della croce.

*****

“In questa domenica che precede immediatamente il Natale, ascoltiamo il Vangelo dell’Annunciazione.
In questo brano evangelico possiamo notare un contrasto tra le promesse dell’angelo e la risposta di Maria. Tale contrasto si manifesta nella dimensione e nel contenuto delle espressioni dei due protagonisti. L’angelo dice a Maria: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» .
È una lunga rivelazione, che apre prospettive inaudite. Il bambino che nascerà da questa umile ragazza di Nazareth sarà chiamato Figlio dell’Altissimo: non è possibile concepire una dignità più alta di questa. E dopo la domanda di Maria, con cui lei chiede spiegazioni, la rivelazione dell’angelo diventa ancora più dettagliata e sorprendente.
Invece, la risposta di Maria è una frase breve, che non parla di gloria, non parla di privilegio, ma solo di disponibilità e di servizio: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».
Anche il contenuto è diverso. Maria non si esalta di fronte alla prospettiva di diventare addirittura la madre del Messia, ma rimane modesta ed esprime la propria adesione al progetto del Signore. Maria non si vanta. E' umile, modesta. Rimane come sempre.
Questo contrasto è significativo. Ci fa capire che Maria è veramente umile e non cerca di mettersi in mostra. Riconosce di essere piccola davanti a Dio, ed è contenta di essere così. Al tempo stesso, è consapevole che dalla sua risposta dipende la realizzazione del progetto di Dio, e che dunque lei è chiamata ad aderirvi con tutta sé stessa.
In questa circostanza, Maria si presenta con un atteggiamento che corrisponde perfettamente a quello del Figlio di Dio quando viene nel mondo: Egli vuole diventare il Servo del Signore, mettersi al servizio dell’umanità per adempiere al progetto del Padre. Maria dice: «Ecco la serva del Signore»; e il Figlio di Dio, entrando nel mondo dice: «Ecco, io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,7.9). L’atteggiamento di Maria rispecchia pienamente questa dichiarazione del Figlio di Dio, che diventa anche figlio di Maria. Così la Madonna si rivela collaboratrice perfetta del progetto di Dio, e si rivela anche discepola del suo Figlio, e nel Magnificat potrà proclamare che «Dio ha innalzato gli umili» (Lc 1,52), perché con questa sua risposta umile e generosa ha ottenuto una gioia altissima, e anche una gloria altissima.
Mentre ammiriamo la nostra Madre per questa sua risposta alla chiamata e alla missione di Dio, chiediamo a lei di aiutare ciascuno di noi ad accogliere il progetto di Dio nella nostra vita, con sincera umiltà e coraggiosa generosità.”

Papa Francesco Parte dell’Angelus del 24 dicembre 2017

Domenica, 13 Dicembre 2020 15:06

III Domenica di Avvento - 13 Dicembre 2020

1. Con cuore di padre. In occasione del 150° anniversario della dichiarazione di San Giuseppe quale patrono della chiesa universale Papa Francesco ha firmato, l’8 dicembre, la lettera apostolica Patris corde e ha stabilito che “fino all’8 dicembre 2021 sia celebrato uno speciale Anno di San Giuseppe, nel quale ogni fedele sul suo esempio possa rafforzare quotidianamente la propria vita di fede nel pieno compimento della volontà di Dio”. “Tutti – scrive Papa Francesco – possono trovare in San Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà. San Giuseppe ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in “seconda linea” hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza. A tutti loro va una parola di riconoscimento e di gratitudine”. Un Decreto della Penitenzieria Apostolica esplicita le modalità in cui viene concessa anche l’indulgenza plenaria.

2. Mercoledì 16 dicembre alle ore 18,30 inizia la tradizionale Novena di Natale con il canto delle profezie. I gruppi del catechismo che fanno catechismo in presenza avranno la Novena di Natale il 15 e il 16 dicembre alle ore 17,30 in chiesa.

3. Si ringrazia tutti coloro che sostengono la caritas parrocchiale ed altre associazioni che si impegnano a favore dei poveri.

4. Giovedì 17 dicembre dalle ore 17,30 alle 18,30 – Ora di Adorazione Eucaristica.

La liturgia di questa terza domenica di Avvento, più di tutte le altre, è all’insegna della gioia e ci invita perciò alla letizia, alla gioia di saper vicina la nascita del Salvatore che recherà a tutti una grande speranza.
Nella prima lettura, il profeta Isaia vede nel futuro un inviato di Dio sul quale riposa lo Spirito del Signore per inaugurare un tempo di grazia e portare il lieto annuncio ai miseri. Nella Sinagoga di Nazareth, Gesù proclamerà cinque secoli dopo il compimento di questa profezia.
Nella seconda lettura, nella sua lettera ai Tessalonicesi l’apostolo Paolo li incoraggia a essere lieti e propone un vero e proprio codice di comportamento per tutta l’esistenza quotidiana: gioia, preghiera incessante, riconoscenza, impegno missionario, sapiente ricerca dei veri valori, purezza, e santità
Nel Vangelo di Giovanni, la sublime figura di Giovanni Battista ci ricorda di essere sempre vigili e pronti a superare la tentazione “originale”, sempre in agguato davanti alla nostra porta: metterci al posto di Dio. Egli, il più grande tra i nati di donna, presenta se stesso come continuatore della missione di Isaia e annuncia solennemente: In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
La missione di Giovanni dovrebbe essere quella di ogni discepolo: proclamare al mondo il Signore e la Sua azione perchè è Cristo che deve crescere ed è l’annunciatore che deve diminuire, lasciando il Signore al centro della scena.

Dal libro del profeta Isaia
Lo spirito del Signore Dio è su di me,
perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione;
mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,
a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri,
a promulgare l’anno di grazia del Signore. …
Io gioisco pienamente nel Signore,
la mia anima esulta nel mio Dio,
perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza,
mi ha avvolto con il mantello della giustizia,
come uno sposo si mette il diadema
e come una sposa si adorna di gioielli.
Poiché, come la terra produce i suoi germogli
e come un giardino fa germogliare i suoi semi,
così il Signore Dio farà germogliare la giustizia
e la lode davanti a tutte le genti.
Is 61,1-2a, 10-11

Questo capitolo è tratto dalla terza parte del libro del Profeta Isaia,(Terzo Isaia o Trito Isaia – titolo dato ad un personaggio non identificato ritenuto discepolo spirituale del secondo Isaia).
E’ stato scritto verso la fine dell’esilio di Babilonia (537-520 a.C.) e contiene una raccolta di oracoli che si differenziano non solo da quelli della prima, ma anche da quelli della seconda parte del libro.
Il brano inizia con la descrizione dell’intervento divino: “Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione”.È stato quindi lo Spirito a compiere sul profeta il rito dell’unzione che per i re veniva fatto dal sommo sacerdote. Di conseguenza colui che si esprime con queste parole, si presenta non solo come una figura profetica, ma anche come un autorevole capo religioso che prefigura il futuro Messia di Israele.
Dopo aver dichiarato pubblicamente l’intervento dello Spirito, il profeta descrive il compito che gli è stato affidato: “mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri”.
Il profeta dovrà rivolgersi anche ai rimpatriati, tra i quali si verificano ancora situazioni simili a quelle da loro patite in esilio. Inoltre egli deve “fasciare le piaghe dei cuori spezzati”, cioè ridare coraggio a persone deluse e depresse; infine il suo compito consiste nel “proclamare la libertà degli schiavi e la scarcerazione dei prigionieri”.
(Si erano manifestati in quel periodo fatti molto gravi tra i rimpatriati, alcuni infatti si erano indebitati fino al punto di vendersi come schiavi ai loro connazionali (Ne 5,1-13; Is 58,10). Tra di loro l’inviato di Dio dovrà eliminare le ingiustizie e le eccessive differenze sociali ed economiche , per fare di essi una comunità degna del suo Dio).
Infine il profeta indica come suo compito quello di “promulgare l’anno di misericordia del Signore” . Con queste parole si intende proclamare un giubileo straordinario. Quando il popolo ebraico era nella sua terra, ogni cinquant’anni celebrava la solennità del giubileo. Per questa occasione un araldo suonava il corno (in ebraico “jobel” che era un corno d'ariete, e questo termine ha dato origine alla parola giubileo) e annunziava che in quell’anno tutti gli schiavi dovevano essere liberati e i debiti condonati, la pace proclamata.
Il profeta si sente come quell’araldo e il giubileo che sta per inaugurarsi è destinato all’Israele dell’esilio babilonese. Il suo è un messaggio di speranza per i malati, è una promessa di liberazione per gli schiavi e i prigionieri è un appello alla consolazione per i poveri e per gli emarginati.
Il brano alla fine riprende l’inno conclusivo di ringraziamento a DIO:
“Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il mantello della giustizia, come uno sposo si mette il diadema e come una sposa si adorna di gioielli”.
Il motivo di tanta gioia consiste nel fatto che la comunità ha fatto l’esperienza della salvezza, che si identifica essenzialmente con la giustizia, che è preziosa come il diadema dello sposo o i gioielli della sposa durante la cerimonia nuziale. La Vergine Maria ha fatto sue nel Magnificat le parole:”la mia anima esulta nel mio Dio”!
Infine il motivo della gioia viene così approfondito: “Poiché, come la terra produce i suoi germogli e come un giardino fa germogliare i suoi semi, così il Signore Dio farà germogliare la giustizia e la lode davanti a tutte le genti”.
Il popolo viene immaginato come una terra in cui Dio fa germogliare non prodotti agricoli, ma la giustizia e la lode che si manifestano davanti a tutti i popoli.
L’alleanza perenne che Dio instaura con il Suo popolo consiste dunque in un rapporto sponsale, che comporta nel popolo un profondo rinnovamento interiore. Gli altri popoli assistono e sono anche loro, almeno in parte, coinvolti nella nuova situazione che si prospetta per Israele.
Impressiona come cinque secoli dopo, in una modesta sinagoga del villaggio di Nazareth, un’altra voce si leverà e ripeterà queste stesse parole citandole proprio dal rotolo di Isaia.
Gesù a quelle righe piene di speranza aggiungerò un commento folgorante fatto di una frase decisiva e scandalosa per gli uditori di quel sabato: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi”Lc 4,21

Dalla prima lettera di S.Paolo apostolo ai Tessalonicesi
Fratelli, siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie. Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male.
Il Dio della pace vi santifichi interamente, e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è colui che vi chiama: egli farà tutto questo!
1Ts 5,16-24

La 1^ Lettera ai Tessalonicesi è probabilmente la più antica tra le lettere di S.Paolo e fu scritta dall’Apostolo all’inizio degli anni cinquanta. Paolo era stato a Tessalonica nel suo secondo viaggio (circa 20 anni dopo la morte di Gesù) e come spesso gli accadeva, era dovuto fuggire e pertanto aveva passato nella città poco tempo per svolgere una missione completa e approfondita (negli Atti 17,1-9 è riportato ciò che avvenne a Tessalonica). Paolo dunque è preoccupato della comunità che ha dovuto lasciare in fretta e manda Timoteo a constatare di persona come stavano le cose e le notizie positive che gli sono giunte lo rallegrano. Con questo stato d’animo scrive la sua lettera
Il brano che la liturgia ci presenta fa parte delle esortazioni che l’apostolo fa e che concludono le direttive su temi specifici. Dopo aver raccomandato ai tessalonicesi di avere rispetto per i responsabili della comunità, di correggere gli indisciplinati e incoraggiare i deboli, di non rendere male per bene, Paolo dopo li invita alla gioia e li esorta a far sì che questa gioia, che deve andare di pari passo con la preghiera, non venga mai meno, neppure in futuro.
Poi l’apostolo pone la sua attenzione sulle manifestazioni carismatiche della Chiesa e con tono deciso dichiara: “Non spegnete lo Spirito, non disprezzate i doni della profezia”.
Dal suo modo di esprimersi sembra che Paolo non si limiti a mettere in guardia circa un pericolo possibile, ma esorti a interrompere un comportamento deviante già in atto. È probabile che nella comunità di Tessalonica si fosse già verificata una repressione nei confronti dello slancio profetico suscitato dallo Spirito. L’apostolo, sapendo che in questo campo si possono commettere errori o restare confusi, esorta: “Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male”. Non ci dovrà essere perciò nessuna preclusione, ma neppure una indiscriminata accettazione di ciò che viene proposto, bensì una saggia verifica per fare ciò che è bene e astenersi da ogni male.
Infine Paolo pronunzia una preghiera di supplica e si rivolge al Dio della pace perché porti a compimento nei destinatari la sua opera santificatrice: “Il Dio della pace vi santifichi interamente, e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è colui che vi chiama: egli farà tutto questo!”
La fiducia dei credenti non deve perciò avere la presuntuosa sicurezza di chi confida nelle proprie risorse, ma si deve basare unicamente sulla affidabilità del Padre.
Il tempo di Avvento ci mette quindi a confronto con l'azione di Dio che vuole "santificarci", e ci invita a corrispondere, a lasciarci trasformare, e soprattutto a non estrometterlo dalla nostra esistenza.

Dal vangelo secondo Giovanni
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose:
«Io sono voce di uno che grida nel deserto:
Rendete diritta la via del Signore,
come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
Gv 1, 6-8,19-28

Il Vangelo di Giovanni, ossia il quarto Vangelo, fu scritto in greco, ed è alquanto differente dai tre Vangeli sinottici che riportano racconti, miracoli, parole di Gesù fino a darcene un aspetto familiare che tutti conosciamo. Si presenta come il frutto della testimonianza del "discepolo che Gesù amava”, ma oggi molti studiosi fanno spesso riferimento ad una scuola giovannea nella quale sarebbe maturata la redazione del vangelo tra il 60 ed il 100 e delle lettere attribuite all'apostolo.
E’ composto da 21 capitoli e come gli altri vangeli narra il ministero di Gesù. Anche se è notevolmente diverso dagli altri tre vangeli sinottici, sembra presupporre la conoscenza almeno del Vangelo di Marco, di cui riproduce talvolta espressioni particolari. Mentre i Vangeli sinottici sono più orientati sulla predicazione del Regno di Dio da parte di Gesù, il quarto vangelo approfondisce la questione dell'identità del Cristo, inserendo ampie parentesi teologiche.
Origene, scrittore di Alessandria d’Egitto del III secolo, uno dei primi e migliori commentatori di S.Giovanni, definisce così il lettore ideale di questo vangelo: “Nessuno può comprendere il senso del vangelo di Giovanni se non si è chinato sul petto di Gesù e non ha ricevuto da Gesù, Maria come madre”.
Il brano che la liturgia propone, presenta con i primi versetti del prologo, la figura di Giovanni: “Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce”. Giovanni è dunque il testimone che deve introdurre non solo Israele, ma tutta l’umanità alla fede al Dio dell’alleanza che si manifesta nel Suo “Verbo incarnato”. .
Poi c’è una serie di domande che i sacerdoti, mandati dai farisei, fanno a Giovanni il Battista. “«Tu, chi sei?». …Sei tu Elia. «Sei tu il profeta?». «…Che cosa dici di te stesso?». Perchè battezzi?".
Gli interlocutori vorrebbero subito definire e giudicare questo strano profeta che si agita e grida nel deserto al di là del Giordano; e sono dunque infastiditi dalle ripetute negazioni che il Battista oppone alle loro domande. Giovanni rifiuta così di identificarsi con una delle due figure, l’una messianica e l’altra profetica, la cui comparsa era attesa come immediata preparazione alla venuta finale di Dio.
I membri della delegazione non sono soddisfatti delle parole evasive di Giovanni e gli ripropongono la domanda, chiedendogli questa volta una risposta soddisfacente da riferire a coloro che li avevano inviati. ma egli risponde loro semplicemente applicando a sé il detto di Isaia (40,3) “Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore,”
Secondo l’evangelista il Battista riconosce a se stesso la funzione dell’araldo, analoga a quella degli ignoti messaggeri che nel Deuteroisaia dovevano annunziare a Gerusalemme la fine dell’esilio e il ritorno degli esuli. Egli esclude così di essere uno dei mediatori escatologici attesi dai giudei, anzi nega qualsiasi importanza alla sua persona: ciò che conta è esclusivamente la sua missione.
Non soddisfatti, gli inviati di Gerusalemme pongono un’ultima domanda: “Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?”.
In risposta Giovanni afferma: “Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo”.
Affermando che la sua autorità deriva da un altro che si trova ormai in mezzo a loro, sebbene essi non lo conoscano, egli lo presenta come uno che viene “dopo” di lui, ma nonostante venga dopo di lui, è più importante di lui. Per indicare ciò, egli usa la stessa metafora a lui attribuita dai sinottici: egli non è neppure degno di svolgere nei suoi confronti il ruolo dello schiavo, al quale competeva il compito di slacciare i sandali del suo padrone.
Il brano mette in luce, con le parole stesse del Battista, già anticipate nel prologo, il ruolo che innegabilmente il Battista ha svolto nel preparare la venuta di Gesù.
Egli resta per tutti i tempi il testimone perfetto, modello di tutti coloro che, credendo in Gesù, lo presentano come l’unico capace di dare un senso pieno alla vita e alla storia umana.

*****

“Nelle scorse domeniche la liturgia ha sottolineato che cosa significhi porsi in atteggiamento di vigilanza e che cosa comporti concretamente preparare la strada del Signore. In questa terza domenica di Avvento, detta “domenica della gioia”, la liturgia ci invita a cogliere lo spirito con cui avviene tutto questo, cioè, appunto, la gioia. San Paolo ci invita a preparare la venuta del Signore assumendo tre atteggiamenti. Sentite bene: tre atteggiamenti. Primo, la gioia costante; secondo, la preghiera perseverante; terzo, il continuo rendimento di grazie. Gioia costante, preghiera perseverante e continuo rendimento di grazie.
Il primo atteggiamento, gioia costante: «Siate sempre lieti» , dice San Paolo. Vale a dire rimanere sempre nella gioia, anche quando le cose non vanno secondo i nostri desideri; ma c’è quella gioia profonda, che è la pace: anche quella è gioia, è dentro. E la pace è una gioia “a livello del suolo”, ma è una gioia. Le angosce, le difficoltà e le sofferenze attraversano la vita di ciascuno, tutti noi le conosciamo; e tante volte la realtà che ci circonda sembra essere inospitale e arida, simile al deserto nel quale risuonava la voce di Giovanni Battista, come ricorda il Vangelo di oggi .
Ma proprio le parole del Battista rivelano che la nostra gioia poggia su una certezza, che questo deserto è abitato: «In mezzo a voi – dice – sta uno che voi non conoscete». Si tratta di Gesù, l’inviato del Padre che viene, come sottolinea Isaia, «a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore» (61,1-2). Queste parole, che Gesù farà sue nel discorso della sinagoga di Nazareth, chiariscono che la sua missione nel mondo consiste nella liberazione dal peccato e dalle schiavitù personali e sociali che esso produce. Egli è venuto sulla terra per ridare agli uomini la dignità e la libertà dei figli di Dio, che solo Lui può comunicare, e a dare la gioia per questo.
La gioia che caratterizza l’attesa del Messia si basa sulla preghiera perseverante: questo è il secondo atteggiamento. San Paolo dice: «Pregate ininterrottamente». Per mezzo della preghiera possiamo entrare in una relazione stabile con Dio, che è la fonte della vera gioia. La gioia del cristiano non si compra, non si può comprare; viene dalla fede e dall’incontro con Gesù Cristo, ragione della nostra felicità. E quanto più siamo radicati in Cristo, quanto più siamo vicini a Gesù, tanto più ritroviamo la serenità interiore, pur in mezzo alle contraddizioni quotidiane. Per questo il cristiano, avendo incontrato Gesù, non può essere un profeta di sventura, ma un testimone e un araldo di gioia. Una gioia da condividere con gli altri; una gioia contagiosa che rende meno faticoso il cammino della vita.
Il terzo atteggiamento indicato da Paolo è il continuo rendimento di grazie, cioè l’amore riconoscente nei confronti di Dio. Egli infatti è molto generoso con noi, e noi siamo invitati a riconoscere sempre i suoi benefici, il suo amore misericordioso, la sua pazienza e bontà, vivendo così in un incessante ringraziamento.
Gioia, preghiera e gratitudine sono tre atteggiamenti che ci preparano a vivere il Natale in modo autentico. Gioia, preghiera e gratitudine. Diciamo tutti insieme: gioia, preghiera e gratitudine [la gente in Piazza ripete] Un’altra volta! [ripetono]. In questo ultimo tratto del tempo di Avvento, ci affidiamo alla materna intercessione della Vergine Maria. Lei è “causa della nostra gioia”, non solo perché ha generato Gesù, ma perché ci rimanda continuamente a Lui.”

Papa Francesco Parte dell’Angelus del 17 dicembre 2017

Pagina 73 di 162

Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

Parrocchia Nostra Signora de La Salette
Piazza Madonna de La Salette 1 - 00152 ROMA
tel. e fax 06-58.20.94.23
e-mail: email
Settore Ovest - Prefettura XXX - Quartiere Gianicolense - 12º Municipio
Titolo presbiterale: Card. Polycarp PENGO
Affidata a: Missionari di Nostra Signora di «La Salette» (M.S.)
 

Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice! Accetta i cookie per chiudere avviso. Per saperne di più riguardo ai cookie utilizzati e a come cancellarli, guarda il regolamento Politica sulla Privacy.

Accetto i cookie da questo sito