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Dic 8, 2016

III Domenica di Avvento – Anno A – “Gaudete” 11 dicembre 2016

La III domenica di Avvento è la domenica chiamata “Gaudete”, cioè “rallegrativi” e la liturgia ci invita ad attendere con fede e gioia la venuta del Signore

Nella prima lettura, il profeta Isaia, indica al popolo di Israele la fonte della vera gioia nell’intervento di Dio, che lo ricondurrà in patria dopo il lungo esilio. Il profeta sintetizza questo evento con la frase finale del brano: felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.

Nella seconda lettura, l’apostolo Giacomo, nell’attesa della venuta del Signore, invita anche noi oggi ad operare con coraggio nella pazienza, nella sincerità e nella costanza.

Il Vangelo di Matteo, ci riporta il dialogo a distanza tra Gesù e Giovanni Battista che nei suoi dubbi è sempre alla ricerca della verità. Gesù capisce le perplessità di Giovanni e tiene a rassicurarlo dicendogli di confrontare le opere che sta compiendo con le Scritture. Poi Gesù loda Giovanni e lo chiama beato, dicendo che tra i nati da donna non ce n'è uno più grande di lui nella ricerca di Dio, ma nel Regno dei cieli, il più piccolo è più grande di Giovanni, perché gode già del frutto di questa ricerca. Giovanni Battista indica a tutti noi le caratteristiche del cammino cristiano: nel dubbio, non fermarsi mai perchè il cammino della ricerca della verità su questa terra non conosce limiti.

Dal libro del profeta Isaia

Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa.

Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo.

Le è data la gloria del Libano,lo splendore del Carmelo e di Saron.

Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio.

Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti.

Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete!

Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta,la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi».

Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.

Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto.

Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa.

Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo;

felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno

e fuggiranno tristezza e pianto.

Is 35,1-6.8.10.

Questo brano, tratto da una raccolta di oracoli chiamata “piccola apocalisse”, contiene il secondo oracolo di Isaia ed inizia con un invito rivolto da Dio, per bocca del profeta:

“Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa.

Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo.”

Questi versetti li ha ripresi anche il Deuteroisaia per esultare per l’abbondanza di acqua nel deserto e nella terra, un tempo arida e senza vegetazione (Is 41,18).

L’esultanza del deserto si manifesta attraverso la nascita improvvisa di fiori insoliti in quella regione. Il deserto di cui si parla è quello che separa la Mesopotamia dalla Palestina: attraverso di esso gli esuli ritornano nella loro terra. Il rifiorire del deserto è un’immagine che viene usata non soltanto per indicare la facilità con cui il deserto viene percorso dagli esuli, ma anche per evidenziare la trasformazione interiore degli esuli, che prendono coscienza di sé e della propria realtà di popolo.

All’invito corrisponde una promessa:

Le è data la gloria del Libano,lo splendore del Carmelo e di Saron.

Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio.

Il deserto sarà reso simile alle regioni più note per la loro fertilità e vegetazione, e la promessa più grande consiste nel vedere la gloria di Dio.

La venuta del Signore viene nuovamente annunziata con un invito:

Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti.

Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta,

la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi».

Il messaggio chiaramente è rivolto agli esuli che si sono messi in cammino. Essi sono ancora infiacchiti dal lungo periodo di esilio, non hanno fiducia in se stessi, e soprattutto non hanno la sicurezza di poter riuscire nella loro impresa. Vengono perciò incoraggiati con la promessa della presenza del Signore che li guida come aveva fatto un tempo con gli israeliti durante l’esodo dall’Egitto. Egli porta con sé oltre alla salvezza, riservata al Suo popolo, anche il castigo per i loro nemici che sono anche i Suoi nemici. La ricompensa divina non consiste in un premio guadagnato con le proprie opere buone, ma nella salvezza donata gratuitamente da Dio al Suo popolo.

Alla venuta del Signore corrisponde la guarigione di persone afflitte da diverse infermità :

“Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.

Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto”.

Gli esuli che si mettono in cammino sono paragonati a persone afflitte da mali che impediscono loro la possibilità stessa di fare un lungo cammino a piedi. Nonostante la loro inabilità, essi si mettono in cammino senza difficoltà per raggiungere la meta.

Dopo viene annunziata la creazione di una grande strada:

“Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa”.

Dopo un ulteriore accenno alla trasformazione del deserto vengono descritti coloro che camminano nella grande strada:

“Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.”

Coloro che si mettono in cammino vengono chiamati i “riscattati”, in quanto sono considerati come schiavi per la cui liberazione Dio stesso simbolicamente ha pagato un prezzo.

Il profeta sintetizza questa “risurrezione” nella frase finale: felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.

L’immagine del deserto che rifiorisce al passaggio degli esuli dà l’idea di un rinnovamento che, partendo dal cuore umano, si estende a tutto il creato. I giudei esuli in Babilonia hanno visto nel loro ritorno nella terra dei loro padri un dono meraviglioso di Dio, che ha dato compimento alle Sue promesse.

La storia ci dice che in realtà il ritorno dall’esilio ha deluso in parte le attese dei rimpatriati, i quali si sono trovati di nuovo immersi nei problemi di sempre. Inoltre essi erano portati tendenzialmente a chiudersi in se stessi, difendendosi dalle influenze esterne e così sono stati costretti a proiettare in un futuro ipotetico quella felicità che avevano atteso per la fine dell’esilio.

Hanno dovuto capire a loro spese che il regno di Dio non è una realtà che si attua nella storia, ma una meta a cui tendere, mantenendo vivi i valori in cui si crede e cercando continuamente di concretizzarli nell’oggi.

Salmo 145 Vieni, Signore, a salvarci.

Il Signore rimane fedele per sempre

rende giustizia agli oppressi,

dà il pane agli affamati.

Il Signore libera i prigionieri.

Il Signore ridona la vista ai ciechi,

il Signore rialza chi è caduto,

il Signore ama i giusti,

il Signore protegge i forestieri.

Egli sostiene l’orfano e la vedova,

ma sconvolge le vie dei malvagi.

Il Signore regna per sempre,

il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.

Questo salmo è stato composto nel tardo postesilio e fa pensare a un tempo di pace, di normalità, quale si ebbe verso la fine dell'epoca persiana quando Giuda divenne uno stato teocratico autonomo con propria moneta fino alla persecuzione di Antioco IV Epifane (2Mac 4,1s).

Il salmista allo scopo di rendere testimonianza e di lodare il Signore per tutta la vita, fa seguire un'ammonizione basilare: Il Signore rimane fedele per sempre ossia mai manca alla sua parola, e il suo governo è giustizia e bontà: rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati.

Poi il salmista con ritmo incalzante presenta tutti i motivi di confidenza in Dio.

“Libera i prigionieri”; intendendo ciò in senso largo: deportati, carcerati ingiustamente, irretiti in trame di calunnia.

“Ridona la vista ai ciechi”, dove il cieco è colui che ha smarrito la via della verità

“Rialza chi è caduto”, cioè chi è caduto nel peccato.

“Ama i giusti”, cioè li guida nel giusto cammino e protegge nei loro passi.

“Protegge i forestieri, egli sostiene l'orfano e la vedova”, cioè tre categorie di persone deboli, con scarsi punti di riferimento.

Poi segue una severa osservazione: “Ma sconvolge le vie dei malvagi”.

Il Signore è re, “regna per sempre”. Nessuno lo può contrastare, limitare il suo potere sovrano, nessuno può sperare di vincerlo; e il suo regnare è segnato dalla giustizia, dalla bontà e dalla misericordia.

“Il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione”; Dio ha fatto alleanza con Sion, ma l'alleanza è diventata nuova in Cristo; Sion ha rifiutato la nuova ed eterna alleanza, ma Cristo non rinuncia al popolo di Sion, ora tronco morto dell'unico popolo di Dio, il cui tronco vivo è la Chiesa, ma un giorno il tronco morto diventerà vivo, accogliendo Cristo e facendo parte della Chiesa (Rm 11,25).

Commento tratto da “Il cantico dei cantici” di P.Paolo Berti

Dalla lettera di S.Giacomo apostolo

Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.

Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore.

Gc 5,7-10

La lettera di Giacomo, che la tradizione cristiana attribuisce a Giacomo il minore figlio di Alfeo, fratello del Signore, sarà sempre citata per la sua attenzione ai deboli, e agli afflitti, il suo senso della povertà e la sua diffidenza per la ricchezza, la sua viva denuncia dell’ingiustizia sociale, i suoi avvertimenti agli operatori commerciali. Giacomo detenne un posto di primo piano nella comunità di Gerusalemme, e Paolo lo cita fra i testimoni della risurrezione. Prese parte al Concilio di Gerusalemme in maniera determinante e nonostante la sua mentalità prettamente giudaica, dà prova di conciliazione e di accoglienza nei riguardi dei convertiti provenienti dal paganesimo (At15,13-29).

Se la lettera quindi è di questo Giacomo, si può datare attorno all’anno 60, anche se influenze ellenistiche e l’affinità con scritti cristiani più tardivi, non rendono certa questa datazione.

La lettera è rivolta alle dodici tribù disperse nel mondo ed è una maniera per dire che è indirizzata alla Chiesa sparsa nel mondo, al vero Israele. Infatti il termine “dispersione”, in greco “diàspora ”, designava l’insieme dei giudei soggiornanti fuori della Palestina. Si tratta quindi di cristiani di origine giudaica, dispersi nel mondo greco-romano.

Il brano inizia con un invito alla costanza: “Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore”. Questo invito ha come sfondo la crisi determinata dal ritardo della parusia. Dopo la prima generazione cristiana, che riteneva imminente la venuta del Signore Gesù, i cristiani si rassegnano poco per volta all’idea che il Signore non ritornerà in tempi brevi come loro si erano immaginati. Per dare valore alla sua esortazione, Giacomo porta un esempio: “Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge”. L’agricoltore non sa quando verranno le piogge, necessarie perché la terra produca i suoi frutti preziosi, ma aspetta senza scoraggiarsi, sapendo che al momento giusto esse non mancheranno. Da questo esempio Giacomo trae un motivo per dire: “Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina”.. Nonostante tutto, Giacomo continua a ritenere che la venuta del Signore sia vicina.

Questa convinzione deve quindi infondere coraggio perchè non si tratta di un’attesa inoperosa, ma di un impegno costante per superare le prove e mettere a frutto la propria fede.

Poi continua dicendo: Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Il fatto che il ritorno del Signore non sia imminente non deve essere però un motivo per lamentarsi gli uni degli altri, cioè per scaricare sull’altro il proprio malessere.

Giacomo sottolinea ancora che Gesù ritornerà come giudice, e allora chi avrà giudicato gli altri sarà lui stesso sottoposto al Suo giudizio. Ciò che sta a cuore a Giacomo è un’autentica vita comunitaria, che consista nella sopportazione vicendevole che è il frutto più importante dell’amore. Perché ciò avvenga l’apostolo propone come modello i profeti: “Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore”.

Proprio perché erano investiti di una missione a favore di tutto il popolo, i profeti sono stati perseguitati, ma hanno accettato con pazienza tutte le sofferenze a loro inflitte. Anche per i cristiani, che hanno ricevuto una missione analoga a quella dei profeti, la pazienza nei confronti delle prove, da qualsiasi parte giungano, è un atteggiamento fondamentale per prepararsi al ritorno di Gesù.

Pur affermando che il ritorno di Gesù è vicino, Giacomo mette in guardia facendo comprendere che esso può essere ancora molto lontano nel tempo. Egli perciò consiglia soprattutto la pazienza, che consiste nella capacità di fare fronte ai rischi di un’attesa prolungata. La pazienza consiste per lui nel restare saldi nella fede e di impegnarsi pienamente in una vita comunitaria, in cui tutti si accettano e si rispettano.

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».

Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? «Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto:

“Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero,

davanti a te egli preparerà la tua via”.

In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

Mt 11, 2-11

In questo brano l’evangelista Matteo ci presenta Giovanni in carcere che ha notizie sull'attività di Gesù. Egli è sorpreso di vedere realizzarsi un tipo di Messia così differente da quello che egli attendeva. La domanda che lui si pone (sarà davvero lui il Messia?) rispecchia il suo dubbio e l’ora cupa che sta passando. Ogni credente riconoscerà in questo atteggiamento l’oscura tenebra che anche altri santi hanno passato e passeranno: fede e ragione devono camminare insieme per conoscere sempre più e meglio Colui al quale si è detto “sì”, per poterlo conoscere e amare più intensamente.

Gesù nel compiere la Sua missione non corrisponde ai connotati del Messia che Giovanni aveva in mente e annunziato: colui che esercita il terribile giudizio di Dio, colui che tiene in mano la "scure" e il "ventilabro" per fare piazza pulita di quanti operano il male. Gesù infatti impiega il suo tempo nell'accogliere i peccatori e nel soccorrere gli ultimi, i malati, i poveri. Giovanni in un momento di vera crisi o comunque di dubbio profondo (che lo rende molto umano, vicino a noi) decide di interpellare Gesù stesso attraverso i suoi discepoli: " Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù nel rispondere ai suoi inviati indica la via : si confrontino le sue opere con le Scritture, e, citando gli oracoli di Isaia, mostra che le sue opere inagurano veramente l’era messianica, ma sotto forma di benefici di salvezza e non di forza e di castigo. Termina poi la sua risposta dicendo "E beato colui che non si scandalizza di me", cioè non trova nel mio comportamento un ostacolo a credere. In altre parole, Gesù non si presenta come il "forte" che scatena contro i peccatori la collera di Dio, ma è la rivelazione della Sua misericordia verso i poveri, i sofferenti, i lontani. Giovanni perciò sarà beato se accetta Gesù, anche se non risponde alle sue attese che sconvolgono i suoi schemi, se si fida di Lui, insomma se si converte a Gesù, se crede in Lui.

Poi Gesù, quando gli inviati si allontanano per portare a Giovanni la risposta, fa l’elogio del Battista, ma applicando a lui il detto di Malachia “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”, dichiarando non solo che Giovanni è il Suo precursore, ma anche che Egli stesso è il Messia, e poi termina dicendo: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui”. Ossia la grandezza di Giovanni sta prima nel fatto di essere precursore del Messia, ma anche di aver continuato a cercare la Verità, anche dopo aver conosciuto in Gesù il Cristo. E Gesù quando afferma che nel Regno dei cieli il più piccolo è più grande di Giovanni, è perché chi è nel Regno dei cieli gode già del frutto di questa ricerca.

Si adatta al Battista l’intercessione del salterio: “A quanti cercano la verità, concedi Signore la gioia di trovarla, e il desiderio di cercarla ancora, dopo averla trovata.”

…Oggi è la terza domenica di Avvento, detta anche domenica Gaudete, cioè domenica della gioia. Nella liturgia risuona più volte l’invito a gioire, a rallegrarsi, perché? Perché il Signore è vicino. Il Natale è vicino. Il messaggio cristiano si chiama “evangelo”, cioè “buona notizia”, un annuncio di gioia per tutto il popolo; la Chiesa non è un rifugio per gente triste, la Chiesa è la casa della gioia! E coloro che sono tristi trovano in essa la gioia, trovano in essa la vera gioia!

Ma quella del Vangelo non è una gioia qualsiasi. Trova la sua ragione nel sapersi accolti e amati da Dio. Come ci ricorda oggi il profeta Isaia Dio è colui che viene a salvarci, e presta soccorso specialmente agli smarriti di cuore. La sua venuta in mezzo a noi irrobustisce, rende saldi, dona coraggio, fa esultare e fiorire il deserto e la steppa, cioè la nostra vita quando diventa arida. E quando diventa arida la nostra vita? Quando è senza l’acqua della Parola di Dio e del suo Spirito d’amore. Per quanto siano grandi i nostri limiti e i nostri smarrimenti, non ci è consentito essere fiacchi e vacillanti di fronte alle difficoltà e alle nostre stesse debolezze. Al contrario, siamo invitati ad irrobustire le mani, a rendere salde le ginocchia, ad avere coraggio e non temere, perché il nostro Dio ci mostra sempre la grandezza della sua misericordia. Lui ci dà la forza per andare avanti. Lui è sempre con noi per aiutarci ad andare avanti. E’ un Dio che ci vuole tanto bene, ci ama e per questo è con noi, per aiutarci, per irrobustirci e andare avanti. Coraggio! Sempre avanti! Grazie al suo aiuto noi possiamo sempre ricominciare da capo. Come? Ricominciare da capo? Qualcuno può dirmi: “No, Padre, io ne ho fatte tante… Sono un gran peccatore, una grande peccatrice… Io non posso rincominciare da capo!”. Sbagli! Tu puoi ricominciare da capo! Perché? Perché Lui ti aspetta, Lui è vicino a te, Lui ti ama, Lui è misericordioso, Lui ti perdona, Lui ti dà la forza di ricominciare da capo! A tutti! Allora siamo capaci di riaprire gli occhi, di superare tristezza e pianto e intonare un canto nuovo. E questa gioia vera rimane anche nella prova, anche nella sofferenza, perché non è una gioia superficiale, ma scende nel profondo della persona che si affida a Dio e confida in Lui.

La gioia cristiana, come la speranza, ha il suo fondamento nella fedeltà di Dio, nella certezza che Lui mantiene sempre le sue promesse. Il profeta Isaia esorta coloro che hanno smarrito la strada e sono nello sconforto a fare affidamento sulla fedeltà del Signore, perché la sua salvezza non tarderà ad irrompere nella loro vita.

Quanti hanno incontrato Gesù lungo il cammino, sperimentano nel cuore una serenità e una gioia di cui niente e nessuno potrà privarli. La nostra gioia è Gesù Cristo, il suo amore fedele inesauribile! Perciò, quando un cristiano diventa triste, vuol dire che si è allontanato da Gesù. Ma allora non bisogna lasciarlo solo! Dobbiamo pregare per lui, e fargli sentire il calore della comunità.

La Vergine Maria ci aiuti ad affrettare il passo verso Betlemme, per incontrare il Bambino che è nato per noi, per la salvezza e la gioia di tutti gli uomini. A lei l’Angelo disse: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1,28). Lei ci ottenga di vivere la gioia del Vangelo in famiglia, al lavoro, in parrocchia e in ogni ambiente. Una gioia intima, fatta di meraviglia e di tenerezza. Quella che prova una mamma quando guarda il suo bambino appena nato, e sente che è un dono di Dio, un miracolo di cui solo ringraziare!

Papa Francesco

Parte dell’Angelus del 15 dicembre 2013

1353

Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

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