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Apr 12, 2018

III Domenica dopo Pasqua - Anno B - 15 aprile 2018

Le letture liturgiche di questa domenica, sotto varie forme ci danno il messaggio del risorto che ci invita ad andare oltre ogni incredulità.
Nella prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, Pietro è al suo secondo discorso che tiene nel portico del Tempio, e dopo aver ricordato il mistero pasquale – la vita di Gesù Cristo morto e risorto - invita al pentimento e alla conversione.
Nella seconda lettura, nella sua prima lettera, l’apostolo Giovanni, afferma che Gesù Cristo si fa nostro avvocato rivelandoci la forza del suo perdono che cancella tutti i nostri peccati. Osservare la parola di Gesù significa anche osservare i suoi comandamenti: “Chi osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto”
Nel Vangelo, Luca ci presenta un’altra apparizione del Risorto che incontra l'incredulità dei discepoli ma Gesù li invita a toccare il suo corpo glorificato, e propone anche di mangiare con loro. Su questa esperienza poggia sicura la loro fede e sulla loro prima testimonianza si basa la nostra testimonianza di oggi.
I fratelli ortodossi nel tempo pasquale, si salutano dicendo: “Cristo è risorto” e l’altro risponde “E’ risorto in verità”. E’ una bella abitudine radicata nella gente, e noi cattolici dovremmo farla nostra, ma non solo a parole, ma anche con la nostra vita. Tutto passa, sia i momenti belli che quelli difficili e dolorosi, ma chi rimane è Lui, che con la Sua morte e resurrezione, è divenuto l’unico sostegno in mezzo a tante difficoltà, incertezze e pericoli.

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Pietro disse al popolo: «Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino. Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni.
Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi. Ma Dio ha così compiuto ciò che aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo doveva soffrire. Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati».
At 3,13-15.17-19

La guarigione miracolosa dello storpio presso la porta del tempio dettaBella”, attira una grande folla alla quale Pietro rivolge il suo secondo discorso missionario. Nella sua introduzione l’Apostolo fa riferimento alla guarigione dello storpio, ma solo per dire che essa non deve venire attribuita a particolari poteri suoi e del suo compagno Giovanni.
Inizia quindi il suo annunzio cominciando dalla glorificazione di Gesù dopo la Sua morte ed afferma che “Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù..
Con queste parole Pietro riassume quanto aveva detto più a lungo nel giorno di Pentecoste (2,22-32). La designazione di JHWH come il Dio dei padri viene spesso riportata nell’AT e contiene in sé una sintesi di tutta la storia passata di Israele: lo stesso Dio che un giorno ha scelto Abramo e la sua discendenza, ha operato meraviglie nella persona di Gesù. Qui Gesù viene definito “servo”, per cui c’è un voluto riferimento al protagonista dei quattro carmi del “Servo di JHWH” contenuti nel Deuteroisaia. Come avviene in questo carme, Pietro anticipa l’annunzio della glorificazione di Gesù per poi accennare alla Sua morte.
Egli lo fa rivolgendosi direttamente agli ascoltatori e accusandoli di averlo “consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo”.
Pietro evidenzia il fatto che Pilato aveva tentato di liberare Gesù concedendogli la grazia, che veniva data normalmente a un detenuto in occasione della Pasqua, mentre la folla aveva chiesto la liberazione di Barabba.
Dopo aver messo in luce la responsabilità dei presenti, Pietro sottolinea l’assurdità di quanto essi hanno compiuto: “voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino” e così facendo hanno ucciso “l’autore della vita”.
L’appellativo di “giusto” attribuito a Gesù si riferisce ancora all’espressione del quarto carme del Servo (Is 53,11: “il giusto mio servo giustificherà molti”), mentre la santità è una prerogativa che compete a Dio stesso.
Con l’espressione “autore” della vita Pietro non vuole mettere qui Gesù sullo stesso piano di Dio, attribuendogli il ruolo di “creatore” della vita, ma semplicemente designarlo come colui che, ad immagine di Mosè, “porta alla vita”.
Per Pietro è importante sottolineare la scandalosa contrapposizione tra la grazia data a chi ha tolto la vita e l’uccisione di Colui che invece porta alla la vita.
Pietro prosegue affermando che Dio non ha abbandonato alla morte il santo e il giusto, l’autore della vita, ma l’ha risuscitato dai morti: riabilitandolo così agli occhi di tutti. Siccome però il fatto non poteva essere conosciuto dai presenti, Pietro aggiunge: “noi ne siamo testimoni”.
Con queste parole è riassunta in breve la testimonianza dei primi discepoli, ai quali Gesù si è fatto vedere dopo la Sua risurrezione.
Poi Pietro cerca di attenuare l’accusa fatta a chi lo ascoltava di aver ucciso l’autore della vita dicendo: “io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi..”. Ma proprio attraverso il loro crimine Dio ha compiuto quanto aveva fatto sapere per bocca di tutti i profeti, i quali avevano preannunziato la morte di Cristo.
In questo modo Pietro trasmette, senza portare alcun riferimento biblico, l’idea che Gesù era il Cristo promesso da Dio e che la Sua morte era stata preannunziata nelle Scritture.
Poi c’è l’esortazione finale: “Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati”.
Per gli ascoltatori di Pietro questa conversione ha come scopo l’eliminazione dei “peccati”, non solo di quello compiuto uccidendo il santo e il giusto, ma di tutti i peccati che li tengono lontani da Dio.
Luca dà questa lettura della vicenda di Gesù alla luce delle Scritture perchè ritiene che sia pienamente comprensibile da parte dei giudei che, dopo essere stato coinvolti nella condanna dell’inviato di Dio, si possano sentire ora invitati a superare la loro ignoranza e ad accoglierlo come Colui da cui dipende la venuta della salvezza finale.

Salmo 4 - Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto.
Quando t’invoco, rispondimi,
Dio della mia giustizia!
Nell’angoscia mi hai dato sollievo;
pietà di me, ascolta la mia preghiera.

Sappiatelo,
il Signore fa prodigi per il suo fedele
Il Signore mi ascolta quando lo invoco

Molti dicono:
«Chi ci farà vedere il bene,
se da noi, Signore,
è fuggita la luce del tuo volto?».

In pace mi corico e subito di addormento,
perchè tu solo,Signore,
fiducioso mi fai risposare.

Il salmista guarda al triste spettacolo della durezza dei cuori, delle azioni di chi si avventura nelle strade della menzogna, e ne è insidiato. Il Signore gli è venuto in aiuto liberandolo dalle angosce allargandogli il cuore con la speranza, ma rimane ancora nel pericolo di essere travolto dagli ingiusti e chiede a Dio che esaudisca la sua preghiera.
Accerchiato dalle loro astuzie trova la forza di guardarli in faccia e di ammonirli dicendo loro l’inutilità del loro agire, poiché il Signore lo difenderà da loro. Li esorta pure, nella sua carità, a cambiare vita, a riflettere.
Il salmista ha nelle orecchie le parole degli scettici, che nell’incalzare delle azioni degli empi dicono: “Chi ci farà vedere il bene?”. Ma la fede del salmista è salda e invoca su tutti il suo sguardo di benevolenza.
Poi il salmista si rivolge a Dio con gratitudine per la gioia, la pace, la protezione, che gli ha comunicato.
Il salmo ha diversi passaggi d’animo. Da una preghiera ricca di supplica, che invoca pietà, il salmista passa ad una sfida-esortazione agli empi nella certezza dell’aiuto di Dio. Poi passa ad esortare gli empi al bene. Quindi rigetta lo scetticismo di tanti confermandosi nella fiducia in Dio: “In pace mi corico e subito mi addormento, perché tu solo, Signore, al sicuro mi fai riposare”.
La recita di questo salmo, che deve essere fatta in Cristo, il perfetto orante dei salmi, deve seguirne docilmente i passaggi
Commento di P.Paolo Berti

Dalla prima lettera di S.Giovanni apostolo
Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo.
Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità. Chi invece osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto.
1 Gv 2,1-5a

Lo stesso tema di annuncio di remissione dei peccati proclamato da Pietro, che è nel brano della prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, lo troviamo in questo brano della prima lettera di Giovanni. Il perdono viene qui rappresentato in una scena magistrale. Sopra di noi c’è la figura di Dio che è giudice giusto delle ingiustizie umane; noi siamo di fronte a Lui, schiacciati dai nostri ripetuti peccati e umiliati dalle nostre infedeltà. Ma accanto a noi si accosta e si erge in nostra difesa un avvocato “Gesù Cristo, il giusto”. E’ Lui che ci protegge dalla collera divina, offrendo al Padre la Sua stessa vita come “vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo”.
Questa verità, esige però da parte nostra un atteggiamento di conversione fatta di pentimento per le nostre colpe e di impegno per una vera conoscenza di Dio, che si attua nella pratica dei suoi comandamenti, nello sforzo generoso di comportarsi come Gesù, modello perfetto di ogni cristiano.
Giovanni prosegue affermando: “Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità. Chi invece osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto.”
La Parola di Dio, non è tanto un messaggio culturale, quanto una proposta di vita, e la conoscenza di un dovere che, se non si trasforma in un impegno coerente di vita, ci rende automaticamente colpevoli.
Il comandamento più importante, quello che riassume tutti gli altri, è l’amore, e amare vuol dire donarsi, cercare il bene degli altri, fino a sacrificare il proprio tempo, i propri interessi, i propri gusti, la vita stessa, come Gesù che è morto per la salvezza di tutti. “Chi dice di dimorare in Cristo”, deve comportarsi veramente come Gesù si è comportato.

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».
Lc 24, 35-48

L’evangelista Luca presenta la resurrezione del Signore con il racconto del ritrovamento del sepolcro vuoto in linea con Marco e Matteo, poi prosegue riportando l’incontro di Gesù con i discepoli di Emmaus, infine come Matteo, riporta un’apparizione “ufficiale” di Gesù agli Undici e poi la Sua ascensione. (24,50-53)..
L’apparizione ai discepoli fa seguito all’episodio dei discepoli di Emmaus, che appena ritornati a Gerusalemme, vengono a sapere non solo che Gesù è veramente risorto, ma anche che è apparso a Simone (24,33-34). Solo dopo essi possono raccontare la loro esperienza, sottolineando che anche loro lo hanno incontrato e lo hanno riconosciuto allo spezzare del pane
Il brano inizia riportando che “Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!»”. L’espressione “Pace a voi!” tipica del mondo ebraico (šalôm) ha qui un significato teologico in quanto indica il bene escatologico conquistato da Gesù con la Sua morte e resurrezione. I discepoli sono “sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma”. Ma Gesù li rimprovera per la loro incredulità e, per dissipare i loro dubbi dice loro “Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho»”. Essi però restano increduli, perché da una parte si sentono il cuore pieno di una grande gioia, mentre dall’altra sono pieni di stupore, a loro sembrava troppo bello per essere vero! Ma Gesù vedendo che la meraviglia di questi pescatori di Galilea era talmente grande, alla fine chiede loro “Avete qui qualche cosa da mangiare?”. Dopo che gli viene offerta una porzione di pesce arrostito, Gesù lo prese e lo mangiò davanti a loro.
La Sua è una duplice dimostrazione: che è vivo, che è vero e presente in carne ed ossa, non solo ma che può fare tutto: mangiare e non mangiare ed essere presente ovunque contemporaneamente. Poi, in sintonia con quanto detto sulla strada per Emmaus, Gesù continua: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Poi apre loro la mente all'intelligenza delle Scritture e dice: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».
Questa è l’ultima scena raccontata da Luca prima dell’ascensione di Gesù in cielo. Questa testimonianza dei primi discepoli è passata agli altri ed ora anche a noi oggi. Siamo tutti chiamati ad essere testimoni dell'avvenimento più importante, più sublime, più straordinario della storia umana: la Storia di un Dio che si fa uomo per morire con noi, come noi e peggio di noi, per risorgere prima di noi e precederci in una vita nuova, in un Regno che non avrà mai fine.

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"Nelle Letture bibliche della liturgia di oggi risuona per due volte la parola “testimoni”. La prima volta è sulle labbra di Pietro: egli, dopo la guarigione del paralitico presso la porta del tempio di Gerusalemme, esclama: «Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni» (At 3,15).
La seconda volta è sulle labbra di Gesù risorto: Egli, la sera di Pasqua, apre la mente dei discepoli al mistero della sua morte e risurrezione e dice loro: «Di questo voi siete testimoni» (Lc 24,48). Gli Apostoli, che videro con i propri occhi il Cristo risorto, non potevano tacere la loro straordinaria esperienza. Egli si era mostrato ad essi affinché la verità della sua risurrezione giungesse a tutti mediante la loro testimonianza. E la Chiesa ha il compito di prolungare nel tempo questa missione; ogni battezzato è chiamato a testimoniare, con le parole e con la vita, che Gesù è risorto, che Gesù è vivo e presente in mezzo a noi. Tutti noi siamo chiamati a dare testimonianza che Gesù è vivo.
Possiamo domandarci: ma chi è il testimone? Il testimone è uno che ha visto, che ricorda e racconta. Vedere, ricordare e raccontare sono i tre verbi che ne descrivono l’identità e la missione. Il testimone è uno che ha visto, con occhio oggettivo, ha visto una realtà, ma non con occhio indifferente; ha visto e si è lasciato coinvolgere dall’evento. Per questo ricorda, non solo perché sa ricostruire in modo preciso i fatti accaduti, ma anche perché quei fatti gli hanno parlato e lui ne ha colto il senso profondo. Allora il testimone racconta, non in maniera fredda e distaccata, ma come uno che si è lasciato mettere in questione, e da quel giorno ha cambiato vita. Il testimone è uno che ha cambiato vita.
Il contenuto della testimonianza cristiana non è una teoria, non è un’ideologia o un complesso sistema di precetti e divieti oppure un moralismo, ma è un messaggio di salvezza, un evento concreto, anzi una Persona: è Cristo risorto, vivente e unico Salvatore di tutti. Egli può essere testimoniato da quanti hanno fatto esperienza personale di Lui, nella preghiera e nella Chiesa, attraverso un cammino che ha il suo fondamento nel Battesimo, il suo nutrimento nell’Eucaristia, il suo sigillo nella Confermazione, la sua continua conversione nella Penitenza. Grazie a questo cammino, sempre guidato dalla Parola di Dio, ogni cristiano può diventare testimone di Gesù risorto. E la sua testimonianza è tanto più credibile quanto più traspare da un modo di vivere evangelico, gioioso, coraggioso, mite, pacifico, misericordioso. Se invece il cristiano si lascia prendere dalle comodità, dalla vanità, dall’egoismo, se diventa sordo e cieco alla domanda di “risurrezione” di tanti fratelli, come potrà comunicare Gesù vivo, come potrà comunicare la potenza liberatrice di Gesù vivo e la sua tenerezza infinita?
Maria nostra Madre ci sostenga con la sua intercessione, affinché possiamo diventare, con i nostri limiti, ma con la grazia della fede, testimoni del Signore risorto, portando alle persone che incontriamo i doni pasquali della gioia e della pace."
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 19 aprile 2015

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