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Mag 3, 2017

IV domenica di Pasqua – Anno A – Gesù buon Pastore - 7 maggio 2017

 

La quarta domenica di Pasqua ritorna ogni anno come giornata del Buon Pastore e della Vocazione, in particolare quella sacerdotale e religiosa. Le letture che la liturgia ci offre sono pervase dal simbolismo carico di risonanze del pastore che a noi spesso sfuggono perchè il pastore nell’antico Oriente non era solo la guida del gregge, ma il compagno di vita in modo totale, pronto a condividere con le sue pecore la sete, le marce, il sole infuocato, il freddo notturno.

Nella prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, vediamo come l’annuncio evangelico predicato da Pietro e dagli altri discepoli, raggiunge il suo scopo: la conversione e il perdono dei peccati. Il battesimo, ricevuto come atto di consacrazione a Cristo, non solo è segno del perdono ottenuto, ma anche sigillo di appartenenza al nuovo popolo costituito da Giudei e da pagani.
Nella seconda lettura, nella sua prima lettera, Pietro, afferma che Gesù con la Sua morte e risurrezione ha guarito i cristiani dal peccato e dal desiderio di vendetta, per questo essi devono vivere una vita nuova sull’esempio di Cristo.
Nel Vangelo di Giovanni, Gesù viene presentato come il Buon Pastore che afferma: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono... Anche nell’Apocalisse Cristo viene presentato come l’Agnello sacrificale che si trasforma in Buon Pastore: l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita.
E’ bellissima l’espressione che segue: “E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi»... quante volte l’abbiamo ricordata nei momenti di sofferenza dove nessun intervento umano poteva consolarci; chiama alla mente anche un versetto del salmo 56 I passi del mio vagare tu li hai contati, le mie lacrime nell’otre tuo raccogli; non sono forse scritte nel tuo libro? Non ci si sente mai soli, quando il Signore si fa vivo accanto a noi con la Sua parola, illuminando così i momenti più bui della nostra esistenza.

Dagli Atti degli Apostoli
Nel giorno di Pentecoste, Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò così: «Sappia con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso».
All’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?». E Pietro disse loro: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro». Con molte altre parole rendeva testimonianza e li esortava: «Salvatevi da questa generazione perversa!». Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone.
At 2,14a. 36-41

Questo brano degli Atti degli Apostoli fa parte del discorso che Pietro pronunciò il giorno di Pentecoste dopo che lo Spirito Santo si posò sugli Apostoli, riuniti nel cenacolo, sotto forma di fiammelle. Pietro, dopo aver descritto come l’evento di Cristo si inserisce nel piano salvifico di Dio, riassume con una frase ancora più eloquente il suo annuncio: “Sappia con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso”. Pietro dopo aver affermato che, in forza dell’esaltazione raggiunta con la Sua morte e risurrezione, Dio ha costituito Gesù “Signore e Cristo””egli ha assunto il ruolo di giudice che compete a Dio. Inoltre Gesù è presentato come colui che adempie le speranze messianiche del popolo di Israele. Questi due titoli descrivono il ruolo salvifico che spetta ormai proprio a colui che gli ascoltatori di Pietro hanno crocifisso.

I presenti che ascoltano si sentirono trafiggere il cuore e chiedono a a Pietro e agli altri apostoli, che cosa dovevano fare . E Pietro disse loro: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo. Pietro sottolinea poi che il suo invito si basa sul fatto che la promessa di Dio è rivolta direttamente ai presenti “ Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro”.

Viene sottolineato anche qui che il primo destinatario del vangelo è e resterà per sempre il popolo ebraico, ma l’annunzio però viene esteso anche ai ”lontani”. Con questo termine sono indicati i pagani (anche in Isaia Is 57,19 viene espresso questo concetto, che S.Paolo riprenderà nella sua lettera agli Efesini 2,13) .
Come conclusione Pietro esorta gli ascoltatori a salvarsi da “questa generazione perversa” e con questa espressione indica il popolo di Israele ribelle al suo Dio ( Dt 32,5; Sal 78,8).
Alla fine del discorso Luca osserva che coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone. Questo è un segno della potenza dello Spirito che opera nel primo nucleo della Chiesa e al tempo stesso dell’impatto che l’annunzio evangelico ha avuto nel mondo giudaico a cui per primo è stato rivolto.
Anche per noi la vera conversione presuppone un distacco non tanto dalla società in cui viviamo, quanto piuttosto dalle strutture ingiuste che tante volte la condizionano. L’adesione a Cristo deve incidere non solo sulla nostra mentalità, ma anche sul nostro modo di vivere, che implica la capacità di stabilire rapporti nuovi con tutti, improntati alla ricerca della giustizia e del bene comune.

Salmo 22 Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.

Mi guida per il giusto cammino a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;il mio calice trabocca.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore per lunghi giorni.

L’orante ha fatto l’esperienza di come il Signore lo guidi in mezzo a numerose difficoltà tesegli dai nemici. Egli dichiara che non manca di nulla perché Dio in tutto l’aiuta. Le premure del suo Pastore sono continue e si sente curato come un pastore cura il suo gregge conducendolo a pascoli erbosi e ad acque tranquille. L’orante riconosce che tutto ciò viene dalla misericordia di Dio, che agisce “a motivo del suo nome”, ma egli corrisponde con amore all’iniziativa di Dio nei suoi confronti.

La consapevolezza che Dio lo ama per primo gli dà una grande fiducia in lui, cosicché se dovesse camminare nel buio notturno di una profonda valle non temerebbe le incursioni di briganti o persecutori, piombanti dall’alto su di lui.

La valle oscura è poi simbolo di ogni situazione difficile nella quale tutto sembra avverso.
Dio, buon Pastore, lo difende con il suo bastone e lo guida dolcemente con il suo vincastro, che è quella piccola bacchetta con cui i pastori indirizzano il gregge con piccoli colpetti.
Non solo lo guida in mezzo alle peripezie, ma anche gli dona accoglienza, proprio davanti ai suoi nemici, i quali pensano di averlo ridotto ad essere solo uno sconvolto e disperato fuggiasco. Egli, al contrario, è uno stabile ospite del Signore che gli prepara una mensa e gli unge il capo con olio per rendere lucenti i suoi capelli e quindi rendere bello e fresco il suo aspetto. E il calice che ha davanti è traboccante, ma non perché è pieno fino all’orlo, ma perché è traboccante d'amore.

Quel calice di letizia è nel sensus plenior del salmo il calice del sangue di Cristo, mentre la mensa è la tavola Eucaristica, e l’olio è il vigore comunicato dallo Spirito Santo.
Il cristiano abita nella casa del Signore, l’edificio chiesa, dove c’è la mensa Eucaristica.
Quella casa, giuridicamente, è della Diocesi, della Curia, ma è innanzi tutto del Signore, e quindi egli, per dono del Signore, vi è perenne legittimo abitante.
Commento di Padre Paolo Berti

Dalla prima lettera di S.Pietro apostolo
Carissimi, se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, perché anche Cristo patì per voi,
lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme:
egli non commise peccatoe non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia.
Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce,
perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia;
dalle sue piaghe siete stati guariti.
Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti
al pastore e custode delle vostre anime.
1Pt 2, 20b-25

In questo brano l’apostolo si sofferma sul significato della sofferenza per cui dice: se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, perché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme.
A Dio non è gradita la sofferenza dei suoi figli, ma la pazienza con cui essi la sopportano. La sofferenza fa parte dell’esistenza umana e nessuno ne è esente. Ma un aspetto specifico della vocazione cristiana è proprio la capacità di affrontare la sofferenza e dare ad essa un giusto significato. L’apostolo sottolinea che si è trattato di una sofferenza “per voi”: e questo significa che Cristo non ha subito passivamente la sofferenza che gli era inflitta, ma l’ha affrontata in favore dei credenti. Da essa quindi non possono essere esentati i suoi discepoli, i quali anche in questo devono seguire le sue orme.

Poi passa a spiegare in che cosa consiste il “per voi” che caratterizza l’esempio di Gesù che “non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia” e sottolinea che Gesù ha sofferto pur essendo completamente innocente. Ciò viene espresso con le stesse parole di cui si serve il Deuteroisaia per qualificare il comportamento del Servo di JHWH ( Is 53,9), Anche Gesù si è comportato nello stesso modo: mentre era sottoposto alla sofferenza, non rispondeva agli oltraggi e non minacciava di vendicarsi. Egli ha potuto vincere il peccato perché non si è lasciato coinvolgere in esso, e proprio come il Servo, Gesù affidava a Dio la sua causa (Is 49,4b; 50,8a; Ger 11,19-20), sapendo che egli è Colui che giudica con giustizia.

La sofferenza di Cristo non è stata senza effetto: Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime.
Il Servo ha preso su di sé le conseguenze dei peccati dei suoi connazionali, cioè la violenza di cui erano impregnati (Is 53,5-8) e allo stesso modo Gesù ha subito le conseguenze della cattiveria umana, affinché coloro che credono in Lui potessero vivere non più per il peccato ma per la giustizia. Le Sue piaghe, simbolo della Sua sofferenza, sono diventate così uno strumento di guarigione. L’effetto ultimo è stato il fatto che le pecore disperse (Is 53,6) hanno trovato il Lui la possibilità di ritornare al loro pastore: in questo consiste la salvezza che Egli ha portato.
I credenti, i quali per primi hanno sperimentato in se stessi gli effetti dell’amore di Cristo, devono sapere che potranno raggiungere lo stesso risultato soffrendo, innocenti, per gli altri. L’amore non violento, che i cristiani esprimono nella sofferenza sulle orme di Cristo, rappresenta la testimonianza più convincente che essi possono dare al vangelo.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
GV 10, 1-10

Solo l’evangelista Giovanni ci riporta la parabola del Buon Pastore, nel cui interno si può forse anche intravedere un riferimento che ha per sfondo Gerusalemme. Gesù infatti si presenta come “buon pastore” e “porta delle pecore” e non è sicuramente un caso che una delle porte del Tempio di Gerusalemme, si chiamava proprio Porta delle pecore. Possiamo anche immaginare che Gesù, probabilmente mentre parlava guardava i suoi connazionali che attraversavano questa porta orientale per entrare nel cortile del tempio, e come per provocare esclama: “Sono io la porta delle pecore, cioè il vero Tempio, che vi mette in contatto con il Padre celeste, sono io il Pastore, il Signore.”
Dopo aver descritto il comportamento del vero pastore, Gesù si definisce per la prima volta in modo esplicito come il “buon pastore”, indicando, in contrasto il comportamento del mercenario. Anche nella seconda parte del brano Gesù si attribuisce di nuovo la qualifica di “buon pastore” e la illustra a partire dal rapporto che Egli instaura con le Sue pecore: Egli le conosce ed esse conoscono Lui, come il Padre lo conosce ed Egli conosce il Padre. Tra il pastore e le pecore si instaura quindi un intimo rapporto di conoscenza reciproca, da intendersi come comunione profonda di vita.
Questo brano di Giovanni è un inno alla divinità di Cristo: il Pastore divino “fa uscire” il suo gregge in un grande esodo verso pascoli fertili, e “cammina davanti ad esse” come una guida, mentre le pecore lo “seguono” sicure, e “seguire” nel linguaggio evangelico è il verbo del discepolo.
Queste parabola non è solo solare, presenta anche la tenebra. Si intravede, infatti, nella notte un ladro, che sale da un’altra parte e non dalla porta, seminando panico tra le pecore. Ai verbi di vita che segnavano l’azione del buon pastore, subentrano quelli della morte che il ladro porta con sé.
Già il profeta Ezechiele, più di cinque secoli prima, aveva contrapposto i due volti:
quello del pastore, che va in cerca della pecora perduta e ricondurre all’ovile quella smarrita, fasciare quella ferita e curare quella malata, aver cura della grassa e della forte, per pasciarle tutte con giustizia. (Ez 34,16) e quello del falso pastore che “si nutre di latte, si riveste di lana, ammazza la pecora più grassa, ma non pascola con amore il suo gregge.” (Ez 34,3)
Chiediamoci tutti noi di quale gregge facciamo parte e come possiamo riconoscere che è Cristo il nostro Pastore ... forse quando ognuno di noi potrà dire: “Sì Signore, io ti conosco perchè tu mi hai fatto e risanato, nessuno mi ha amato più di te che mi hai salvato e redento, seguo la tua voce perchè nessun’altro, all’infuori di te, sa chi veramente sono, di che cosa ho bisogno, dove voglio andare” si accorgerà di aver raggiunto la gioia più grande che su questa terra potrà mai avere.
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L’evangelista Giovanni ci presenta, in questa IV domenica del tempo pasquale, l’immagine di Gesù Buon Pastore. Contemplando questa pagina del Vangelo, possiamo comprendere il tipo di rapporto che Gesù aveva con i suoi discepoli: un rapporto basato sulla tenerezza, sull’amore, sulla reciproca conoscenza e sulla promessa di un dono incommensurabile: «Io sono venuto – dice Gesù – perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». Tale rapporto è il modello delle relazioni tra i cristiani e delle relazioni umane.
Molti anche oggi, come ai tempi di Gesù, si propongono come “pastori” delle nostre esistenze; ma solo il Risorto è il vero Pastore, che ci dà la vita in abbondanza. Invito tutti ad avere fiducia nel Signore che ci guida. Ma non solo ci guida: egli ci accompagna, cammina con noi. Ascoltiamo con mente e cuore aperti la sua Parola, per alimentare la nostra fede, illuminare la nostra coscienza e seguire gli insegnamenti del Vangelo.

In questa domenica preghiamo per i Pastori della Chiesa, per tutti i Vescovi, compreso il Vescovo di Roma, per tutti i sacerdoti, per tutti! ........Il Signore aiuti noi pastori ad essere sempre fedeli al Maestro e guide sagge e illuminate del popolo di Dio a noi affidato. Anche a voi, per favore, chiedo di aiutarci: aiutarci ad essere buoni pastori. Una volta ho letto una cosa bellissima di come il popolo di Dio aiuta i vescovi e i sacerdoti ad essere buoni pastori. E’ uno scritto di San Cesario di Arles, un padre dei primi secoli della Chiesa. Lui spiegava come il popolo di Dio deve aiutare il pastore, e faceva questo esempio: quando il vitellino ha fame va dalla mucca, dalla madre, a prendere il latte. La mucca, però, non lo dà subito: sembra che se lo trattenga per sé. E cosa fa il vitellino? Bussa col suo naso alla mammella della mucca, perché venga il latte. E’ bella l’immagine! “Così voi – dice questo santo – dovete essere con i pastori: bussare sempre alla loro porta, al loro cuore, perché vi diano il latte della dottrina, il latte della grazia e il latte della guida”. E vi chiedo, per favore, di importunare i pastori, di disturbare i pastori, tutti noi pastori, perché possiamo dare a voi il latte della grazia, della dottrina e della guida. Importunare! Pensate a quella bella immagine del vitellino, come importuna la mamma perché gli dia da mangiare

Ad imitazione di Gesù, ogni Pastore «a volte si porrà davanti per indicare la strada e sostenere la speranza del popolo – il pastore deve essere avanti a volte – altre volte starà semplicemente in mezzo a tutti con la sua vicinanza semplice e misericordiosa, e in alcune circostanze dovrà camminare dietro al popolo, per aiutare coloro che sono rimasti indietro» (Esort. ap.Evangelii gaudium,31)
Che tutti i Pastori siano così! Ma voi importunate i pastori, perché diano la guida della dottrina e della grazia.
Papa Francesco
Angelus 11 maggio 2014

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

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