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Ago 23, 2018

XXI Domenica tempo ordinario - Anno B - "Scegliere Cristo" - 26 agosto 2018

Le letture liturgiche di questa domenica hanno al centro un elemento fondamentale nella storia di ogni uomo: chi scegliere! La decisione non è facile perchè è una scelta radicale che comporta il Dio vivente, geloso ed esigente, e non idoli comodi, ma falsi.
Nella prima lettura, Giosuè propone al popolo radunato a Sichem una scelta radicale: o gli dèi o il Signore Dio, che con generosità ha offerto la Sua protezione e i Suoi doni. Israele non può rispondere che con una piena adesione di fede e di amore.
Nella seconda lettura, scrivendo ai cristiani di Efeso, Paolo vede nell’amore degli sposi cristiani il riflesso dell’amore di Cristo per la Chiesa, e in questo amore spinto fino alla sacrificio estremo della croce propone il modello dell’amore umano
Nel Vangelo di Giovanni, dopo una lunga e faticosa giornata, in cui Gesù dopo aver compiuto il miracolo dei pani, e proposto se stesso come “il pane di vita” alla folla che era corsa festante con l’intenzione di farlo re, dopo il difficile e complesso discorso eucaristico in cui egli parla del “vero” pane e manifesta se stesso, come il pane disceso dal cielo, la stessa folla si dirada sconcertata e scandalizzata, e intorno a Gesù rimangono solo i dodici. Qui Gesù in un modo quanto mai umano, pone la domanda: Volete andarvene anche voi?
La risposta di Pietro anticipa quella di tanti credenti, di coloro che professano la loro fede pura nel Cristo, colui che ha “parole di vita eterna, il Santo di Dio”.

Dal libro di Giosuè
In quei giorni, Giosuè radunò tutte le tribù d’Israele a Sichem e convocò gli anziani d’Israele, i capi, i giudici e gli scribi, ed essi si presentarono davanti a Dio. Giosuè disse a tutto il popolo: «Se sembra male ai vostri occhi servire il Signore, sceglietevi oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri hanno servito oltre il Fiume oppure gli dèi degli Amorrèi, nel cui territorio abitate. Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore».
Il popolo rispose: «Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dèi! Poiché è il Signore, nostro Dio, che ha fatto salire noi e i padri nostri dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; egli ha compiuto quei grandi segni dinanzi ai nostri occhi e ci ha custodito per tutto il cammino che abbiamo percorso e in mezzo a tutti i popoli fra i quali siamo passati.
Perciò anche noi serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio».
Gs 24,1-2a, 15-17, 18b

Il libro di Giosuè è un testo contenuto sia nella Bibbia cristiana che quella ebraica. È stato scritto in ebraico e, secondo l'ipotesi maggiormente condivisa dagli studiosi, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte.
Il libro prende il nome da Giosuè, successore di Mosè come guida su Israele. È composto da 24 capitoli descriventi la storia degli Israeliti dopo l’esodo dall’Egitto, e fornisce una panoramica delle campagne militari per conquistare la terra promessa, dando brevi e selettivi racconti di molte battaglie e del modo in cui la terra non solo fu conquistata, ma fu divisa nelle aree tribali. Il periodo descritto è tradizionalmente riferito al 1200-1150 a.C. L’idea centrale del libro è che Dio guida alla libertà, conduce la storia ed ogni conquista è opera di Dio.
Giosuè dopo la morte di Mosè ha ricevuto dal Signore un'eredità non certo facile: condurre i figli d'Israele verso il paese che Dio ha concesso loro in eredità. Giosuè è un uomo pieno di spirito e di saggezza, con un forte ascendente sul popolo, e riuscirà ad assolvere il suo compito.
In questo brano, viene narrata la grande assemblea di Sichem, nella quale Giosuè verso la fine della sua vita indice nello stesso luogo in cui Dio era apparso ad Abramo e gli aveva promesso una terra e una lunga discendenza. Al popolo, agli anziani d’Israele, i capi, i giudici e gli scribi. Giosuè rivolge un discorso alquanto deciso e duro “Se sembra male ai vostri occhi servire il Signore, sceglietevi oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri hanno servito oltre il Fiume oppure gli dèi degli Amorrèi, nel cui territorio abitate. Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore”. Apparentemente sembra che il popolo debba decidere per la prima volta se accettare o no la proposta di entrare in un rapporto di alleanza con Dio, invece l’alleanza era già stata conclusa. Il popolo quindi non era libero di rifiutare la proposta di Dio! Ma Giosuè insiste che gli israeliti rinnovino la loro decisione, perché non basta quella del passato, e soprattutto prendano coscienza del significato dell’alleanza. Infatti questa implica non semplicemente il culto di una particolare divinità piuttosto che di un’altra, ma l’accettazione nella vita di un codice di comportamento, il decalogo, nel quale in primo piano ci sono i diritti dell’altro. Ciò vuol dire decidere ancora una volta di mettere il bene comune al di sopra del proprio interesse. È impossibile prestare a Dio un culto che prescinda dall’osservanza del decalogo. Il culto a Dio non può andare di pari passo con l’ingiustizia.
Il popolo rinnova con convinzione l’atto di fede affermando: “Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dèi! Poiché è il Signore, nostro Dio, che ha fatto salire noi e i padri nostri dalla terra d’Egitto, … quel “noi”, tante volte ripetuto, indica che i presenti intendono essere partecipi e attualizzare la storia della salvezza. E’ quanto in realtà facciamo anche noi cristiani ogni volta che pronunciamo nelle nostre celebrazioni con il “Credo” il nostro atto di fede.
Come nota possiamo aggiungere che per i cristiani Giosuè è la prefigurazione di Cristo: Giosuè ha condotto nella Terra promessa il popolo d’Israele e Cristo è il Salvatore del popolo di Dio.

Salmo 33 - Gustate e vedete com’è buono il Signore.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Gli occhi del Signore sui giusti,
i suoi orecchi al loro grido di aiuto.
Il volto del Signore contro i malfattori,
per eliminarne dalla terra il ricordo.

Gridano e il Signore li ascolta,
li libera da tutte le loro angosce.
Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti.

Molti sono i mali del giusto,
ma da tutti lo libera il Signore.
Custodisce tutte le sue ossa:
neppure uno sarà spezzato.

Il male fa morire il malvagio
e chi odia il giusto sarà condannato.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;
non sarà condannato chi in lui si rifugia.

L’autore del salmo, ricco dell’esperienza di Dio indirizza il suo sapere ai poveri, agli umili, e in particolare ai suoi figli. Egli afferma che sempre benedirà il Signore e che sempre si glorierà di lui. Egli chiede di venire ascoltato e invita gli umili ad unirsi con lui nel celebrare il Signore: “Magnificate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome”.
Egli comunica la sua storia dicendo che ha cercato il Signore e ne ha ricevuto risposta cosicché “da ogni timore mi ha liberato”. Per questo invita gli umili a guardare con fiducia a Dio, e dice: “sarete raggianti”. “Questo povero”, cioè il vero povero, quello che è umile, è ascoltato dal Signore e l’angelo del Signore lo protegge dagli assalti dei nemici: “L’angelo del Signore si accampa attorno a quelli che lo temono (Dio), e li libera”. L’angelo del Signore è con tutta probabilità l’angelo protettore del popolo di Dio, chiamato così per antonomasia; sarebbe l’arcangelo Michele (Cf. Es 14,19; 23,23; 32,34; Nm 22,22; Dn 10,21; 12,1).
Il salmista continua la sua composizione invitando ad amare Dio dal quale procede gioia e pace: “Gustate e vedete com'è buono il Signore, beato l’uomo che in lui si rifugia”.
L’orante moltiplica i suoi inviti al bene: “Sta lontano dal male e fà il bene, cerca e persegui la pace”. Cercala, cioè trovala in Dio, e perseguila comportandoti rettamente con gli altri.
Il salmista non nasconde che il giusto è raggiunto da molti mali, ma dice che “da tutti lo libera il Signore”. Anche dalle angosce della morte, poiché “custodisce tutte le tue ossa, neppure uno sarà spezzato”. Queste parole sono avverate nel Cristo, come dice il Vangelo di Giovanni (19,16). Per noi vanno interpretate nel senso che se anche gli empi possono prevalere fino ad uccidere il giusto e farne scempio, le sue ossa sono al riparo perché risorgeranno.
Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di Padre Paolo Berti

Dalla lettera di S. Paolo apostolo agli Efesini
Fratelli, nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto.
E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!
Ef 5,21-32

L’Apostolo Paolo in questo brano della lettera agli efesini tocca temi di grande attualità considerate le difficoltà in cui si trovano oggi le famiglie cristiane in Italia e in varie altre parti del mondo, con le crisi del matrimonio, della maternità e della paternità, con altre assurde e pseudo forme di vita coniugale, che contraddicono apertamente gli insegnamenti dell'etica naturale, biblica e cristiana.
Il brano inizia proponendo un codice domestico, perché il credente viva anche in famiglia la propria adesione al Signore. Dopo la proclamazione del principio generale di una vicendevole sottomissione, Paolo fa un piccolo trattato di morale familiare: l’unione dell’uomo e della donna nel matrimonio e l’unione di Cristo con la Chiesa s’illuminano a vicenda. Cristo è capo della Chiesa e la ama come il suo proprio corpo, così come avviene tra marito e moglie, in questo senso Cristo allora diventa un modello per il matrimonio.
Il rapporto fra Cristo e la Chiesa entra come principio vivificante tra gli sposi che sono uniti nel Cristo Gesù. La sottomissione della donna al marito è relazionata alla Chiesa con Cristo che è il capo, ma Cristo non è venuto per essere servito ma per servire e dare la vita, per cui i mariti devono amare le mogli come Cristo ha amato la Chiesa per la quale si è immolato e si immola continuamente.
Il termine “sottomessi” ha sempre suscitato discussioni, sicuramente Paolo lo ha usato perché vicino all’ambiente del Medio Oriente, ma il suo pensiero lo esprime più chiaramente in 1Cor,7 ma c’è da leggere nella parola “sottomessi” un significato più profondo: chi ama non misura la quantità di quanto dà con quanto riceve, ama con tutta la forza del proprio cuore, il quale risponde solo alla legge dell’amore, non può fare a meno di amare, come di respirare. Paolo nel suo inno all’amore così lo definisce: L’amore è paziente, è benigno l’amore; non è invidioso, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
Una unione, che ha come fondamento queste parole, non potrà mai avere fine!

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui.
Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».
Gv 6,60-69

L’evangelista Giovanni con il brano attuale registra con amarezza come il lungo discorso di Gesù nella sinagoga di Cafarnao, tutto incentrato sull’Eucaristia, sia stato un gran fallimento.
L’evangelista non dice nulla circa le reazioni dei giudei, che erano stati presenti, ma segnala invece quella dei suoi discepoli, molti dei quali, dopo averlo ascoltato, dicevano:” Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?”, e soggiunge che Gesù era perfettamente cosciente che essi “mormoravano” a proposito di quanto aveva detto e chiede loro: “Questo vi scandalizza?” Anch’essi dunque trovano nelle sue parole un ostacolo al loro rapporto con lui. Di conseguenza essi “mormorano”, come avevano fatto gli israeliti nel deserto.. Ma Gesù non attenua quanto aveva detto precedentemente, anzi lo conferma dicendo: “E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?” Pur senza smentire quanto ha detto, Gesù fa però una precisazione: “È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita”.
Con queste parole egli mette in luce il ruolo dello Spirito Santo, che rappresenta simbolicamente l’azione potente di Dio nel cuore dell’uomo. (v.. Ez 36,26-27). Solo lo Spirito è in grado di dare la vita vera, che consiste nella comunione con Dio.
Poi Gesù conclude: “Ma tra voi vi sono alcuni che non credono”. L’evangelista commenta osservando che Gesù sapeva chi tra di loro non credeva e chi l’avrebbe tradito. Poi Gesù aggiunge: “Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre”.
Gesù prende atto del suo fallimento ma non intende cambiare il programma, anzi provoca persino i dodici dicendo loro: “Volete andarvene anche voi?
In questa domanda si percepisce l’amara delusione di Gesù come dello sposo che non vede arrivare gli invitati al banchetto delle sue nozze, che non vede entrare nella sua Chiesa coloro che si professano cristiani e rimangono fuori, digiuni e affamati. È stata sicuramente consolante la confessione di Pietro che interviene a nome di tutti affermando: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”. La risposta di Pietro è stupenda e rispecchia la sua indole spontanea e generosa, che pur senza capire tutto, accetta Gesù Messia e crede in lui e nel nome del gruppo professa la sua fede.
Anche noi oggi non sempre capiamo tutto, ma in fondo sappiamo che conviene rimanere perché come Pietro possiamo ancora affermare: ”Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”, e come Pietro continuiamo a credere in Gesù, a seguirlo anche nella nebbia più fitta, portando ognuno la propria croce e accettando il suo mistero

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“Si conclude oggi la lettura del capitolo sesto del Vangelo di Giovanni, con il discorso sul “Pane della vita”, pronunciato da Gesù all’indomani del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Alla fine di quel discorso, il grande entusiasmo del giorno prima si spense, perché Gesù aveva detto di essere il Pane disceso dal cielo, e che avrebbe dato la sua carne come cibo e il suo sangue come bevanda, alludendo così chiaramente al sacrificio della sua stessa vita. Quelle parole suscitarono delusione nella gente, che le giudicò indegne del Messia, non “vincenti”. Così alcuni guardavano Gesù: come un Messia che doveva parlare e agire in modo che la sua missione avesse successo, subito.
Ma proprio su questo si sbagliavano: sul modo di intendere la missione del Messia! Perfino i discepoli non riescono ad accettare quel linguaggio inquietante del Maestro. E il brano di oggi riferisce il loro disagio: «Questa parola è dura! – dicevano – Chi può ascoltarla?»
In realtà, essi hanno capito bene il discorso di Gesù. Talmente bene che non vogliono ascoltarlo, perché è un discorso che mette in crisi la loro mentalità. Sempre le parole di Gesù ci mettono in crisi, per esempio davanti allo spirito del mondo, alla mondanità. Ma Gesù offre la chiave per superare la difficoltà; una chiave fatta di tre elementi. Primo, la sua origine divina: Egli è disceso dal cielo e salirà «là dov’era prima». Secondo: le sue parole si possono comprendere solo attraverso l’azione dello Spirito Santo, Colui «che dà la vita» è proprio lo Spirito Santo che ci fa capire bene Gesù. Terzo: la vera causa dell’incomprensione delle sue parole è la mancanza di fede: «Tra voi ci sono alcuni che non credono», dice Gesù. Infatti da allora, dice il Vangelo, «molti dei suoi discepoli tornarono indietro». Di fronte a queste defezioni, Gesù non fa sconti e non attenua le sue parole, anzi costringe a fare una scelta precisa: o stare con Lui o separarsi da Lui, e dice ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?»
A questo punto Pietro fa la sua confessione di fede a nome degli altri Apostoli: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna». Non dice “dove andremo?”, ma “da chi andremo?”. Il problema di fondo non è andare e abbandonare l’opera intrapresa, ma è da chi andare.
Da quell’interrogativo di Pietro, noi comprendiamo che la fedeltà a Dio è questione di fedeltà a una persona, con la quale ci si lega per camminare insieme sulla stessa strada. E questa persona è Gesù. Tutto quello che abbiamo nel mondo non sazia la nostra fame d’infinito. Abbiamo bisogno di Gesù, di stare con Lui, di nutrirci alla sua mensa, alle sue parole di vita eterna! Credere in Gesù significa fare di Lui il centro, il senso della nostra vita. Cristo non è un elemento accessorio: è il “pane vivo”, il nutrimento indispensabile. Legarsi a Lui, in un vero rapporto di fede e di amore, non significa essere incatenati, ma profondamente liberi, sempre in cammino.
Ognuno di noi può chiedersi: chi è Gesù per me? È un nome, un’idea, soltanto un personaggio storico? O è veramente quella persona che mi ama che ha dato la sua vita per me e cammina con me? Per te chi è Gesù? Stai con Gesù? Cerchi di conoscerlo nella sua parola? Leggi il Vangelo, tutti i giorni un passo di Vangelo per conoscere Gesù? Porti il piccolo Vangelo in tasca, nella borsa, per leggerlo, ovunque? Perché più stiamo con Lui più cresce il desiderio di rimanere con Lui. Adesso vi chiederò cortesemente, facciamo un attimo di silenzio e ognuno di noi in silenzio, nel suo cuore, si faccia la domanda: «Chi è Gesù per me?». In silenzio, ognuno risponda nel suo cuore.
La Vergine Maria ci aiuti ad “andare” sempre a Gesù per sperimentare la libertà che Egli ci offre, e che ci consente di ripulire le nostre scelte dalle incrostazioni mondane e dalle paure.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 23 agosto 2015

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