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Nov 16, 2018

XXXIII Domenica tempo ordinario - Anno B - "Gesù e le ultime realtà" - 18 novembre 2018

Le letture liturgiche di questa domenica ci invitano a riflettere su come viviamo il tempo, e a prestare più attenzione ai segni che si presentano puntuali sul nostro cammino. Lungo l’anno liturgico, che ora volge al termine, abbiamo celebrato le tappe del mistero di salvezza, con le letture di questa domenica consideriamo la conclusione trionfale.
Nella prima lettura, tratta dal libro del Profeta Daniele, il libro apocalittico dell’Antico Testamento, il profeta non vede la fine dei tempi come una catastrofe, ma come il giorno della salvezza per tutte le genti, che sono sotto l’oppressione. E’ uno dei testi in cui si afferma con chiarezza la resurrezione dei morti che “si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna.”.
Nella seconda lettura, l’autore della lettera agli Ebrei, afferma che a differenza dei sacerdoti dell’Antica Alleanza, Cristo ha offerto se stesso una volta per sempre per espiare i peccati ed è nella gloria, dove attende coloro che egli ha santificati.
Nel Vangelo di Marco, troviamo un brano difficile e complesso, con la sua collezione di immagini apocalittiche: le eclissi di sole e di luna, gli sconvolgimenti cosmici che sono però immagini da interpretare non letteralmente, ma simbolicamente. L’unica certezza per noi credenti è che alla fine dei tempi, Cristo verrà nella gloria per riunire tutti gli uomini nel Suo regno. Attento ai segni dei tempi, il credente vive con intensità e serenità il suo presente, la sua “generazione”, guidato dalla parola di Gesù che non passa, in attesa di quella parola decisiva e definitiva che sarà pronunziata da Dio nel momento opportuno e a Lui solo noto.

Dal libro del profeta Daniele
In quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo.
Sarà un tempo di angoscia, come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro.
Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna.
I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre.
Dn 12,1-3

Il Libro del profeta Daniele è un testo contenuto nella Bibbia ebraica e cristiana. È stato scritto in ebraico e una parte in aramaico e secondo molti studiosi, la redazione definitiva del libro è avvenuta in Giudea attorno al 164 a.C..
È composto da 12 capitoli che descrivono le vicende ambientate nell'esilio di Babilonia (587-538 a.C.) del profeta Daniele, saggio ebreo che rimase fedele a Dio, e visioni apocalittiche preannuncianti il Figlio dell’Uomo-Messia e il regno di Dio. Inserito tra i cosiddetti profeti maggiori, il libro di Daniele sarebbe in realtà uno scritto tardivo, assai posteriore a quelli di Isaia, Geremia ed Ezechiele. Si pensa che sia stato scritto durante la persecuzione di Antioco IV Epifane di Siria (215-164 a.C) , per infondere coraggio agli Ebrei a cui era stato vietato di praticare la propria religione.
Il libro si divide in due parti:
La prima parte, dal cap. 1 al cap. 6, narra la storia di Daniele e dei suoi compagni, in esilio, alla corte di Babilonia. Suggestivi sono il racconto del superamento della prova della fornace, dalla quale Daniele ed i suoi tre compagni vengono miracolosamente salvati, e quello di quando Daniele viene gettato nella fossa dei leoni ed anche in questa circostanza per la fede e la preghiera, Daniele è salvato miracolosamente.
La seconda parte, dai cap. 7 al cap. 12, contiene quattro visioni, narrate in prima persona, e interpretate dall’angelo Gabriele.
In questo brano si parla degli ultimi tempi, argomento che riguarda tutti i popoli di tutte le religioni. Il profeta inizia il suo messaggio affermando: “In quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo”.
E prosegue dicendo: “Sarà un tempo di angoscia, come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro.”
Quel tempo dunque sarà un tempo di angoscia, perché si avvicina la fine: la strada della vita volge al termine e conduce ad un bivio, dove, “ Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno”.
Il loro proseguimento verso l'eternità però qui si separa: “gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna.”
E aggiunge “I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre. “ ossia i martiri e i saggi che hanno resistito saranno glorificati nel loro corpo. Questo è uno dei grandi testi che verso la fine dell’A.T. annunciano la risurrezione della carne.(altri testi sono: Is 26,19,;2Mac 7,9+).
Certo il testo è ricco di interpretazioni, ma l'elemento centrale è di capitale importanza: la giustizia di Dio non permette che chi perde la vita per Dio, la perda definitivamente; e ricompensa in modo particolare chi insegna che la comunione con Dio vale più della vita: “Poiché la tua grazia vale più della vita,le mie labbra diranno la tua lode. (Sal 63,4).

Salmo 15 - Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.
Io pongo sempre davanti a me il Signore,
sta alla mia destra, non potrò vacillare.

Per questo gioisce il mio cuore
ed esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,
né lascerai che il tuo fedele veda la fossa.

Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena alla tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra.

Il salmista si rivolge a Dio con pace avendo eletto il Signore, quale suo rifugio. Non mancano a lui le difficoltà, gli avversari violenti. Senza l’unione con lui ogni cosa non sarebbe più per lui un bene. Egli ama i santi, i giusti; nel compimento messianico che è la Chiesa, i fratelli in Cristo. Egli si sente in forte comunione con loro, e trova forza da questo. Gli empi, che incalzano costruendo e affermando idoli, non lo sgomentano perché la sua vita è nelle mani di Dio, e niente per lui sarebbe sulla terra un bene senza il sommo bene, che è Dio: “Il mio Signore sei tu, solo in te è il mio bene”. L’orante considera come Dio lo aiuta e conforta e come per lui questo sia tutto. La sorte (il sorteggio) (Cf. Gd 17,1; Nm 26,55; ecc.) che assegnò un tempo i vari territori ai casati di Israele, ora è violata dall’ingiustizia dei dominatori idolatri, ma questo fa comprendere meglio all’orante che la vera sua sorte la sua vera sicurezza e forza è proprio il Signore, che gli dà pace e letizia: “Signore è mia parte di eredità e mio calice”. L’orante non tiene per se tutto questo, ma lo partecipa ai fratelli per un nutrirsi reciproco di luce. Non ha odio per gli empi e non li esclude dalla volontà salvifica di Dio: sono essi stessi ad escludersi da questa volontà con “le loro libagioni di sangue”, cioè i loro crimini, vero culto del male. Il salmista è certo che Dio non lo abbandonerà negli inferi una volta lasciata la terra: “non abbandonerai la mia vita negli inferi”. Ed egli sa che “il tuo Santo”, cioè il Cristo (Cf. At 13,35), avrà - ha avuto - vittoria sulla corruzione della tomba. Il salmista sa che percorrendo giorno dopo giorno “il sentiero della vita”, giungerà all’eterna dolcezza del cielo, alla destra di Dio, che è espressione letteraria indicante il glorioso essere con Dio. In assoluta eccellenza è Cristo che nella gloria è alla destra del Padre.
Commento di P.Paolo Berti

Dalla lettera agli Ebrei
Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati.
Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi. Infatti, con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati.
Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più offerta per il peccato.
Eb 10,11-14, 18

Anche questo brano della Lettera agli Ebrei continua a trattare il sacerdozio di Cristo e la sua superiorità rispetto al sacerdozio dell'antica alleanza. In particolare il versetto precedente al brano di oggi recita così: “per quella volontà (la volontà di Dio che Gesù è venuto a compiere) noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre”.
Il discorso continua nel brano odierno spiegandoci in che senso siamo stati santificati:
Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati”.
E’ nello stile dell’autore fare i paragoni tra Gesù e i sacerdoti del tempio. Egli li vede indaffarati ad offrire sacrifici che non sono per niente utili, poiché non possono eliminare i peccati con un sacrificio purificatore che ha una breve durata.
Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi
Cristo invece ha presentato la sua offerta una sola volta e ora può sedersi alla destra di Dio. C’è sempre il riferimento al salmo 110: “Oracolo del Signore al mio signore: siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi”. Grazie all'offerta di Cristo, anche i nemici saranno sconfitti e Gesù deve solo aspettare che gli vengano sottomessi.
“Infatti, con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati.
Solidale con i fratelli con cui ha condiviso la condizione mortale, Cristo li ha portati con sé rendendoli partecipi della sua condizione di “consacrato”. Quindi, non solo li ha strappati dalla condizione di peccato, ma li ha resi perfetti, li ha santificati, li ha totalmente consacrati a Dio realizzando le meta ultima della salvezza.
Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più offerta per il peccato”.
Il brano non riporta i versetti 15-17 in cui è citato Geremia (1,33-34), in cui Dio per mezzo del profeta promette di porre la propria legge nel cuore dei suoi fedeli, in modo che possano conoscere il Signore senza più istruirsi l'un l'altro e termina con il perdono di Dio: non mi ricorderò più dei loro peccati e delle loro iniquità.. Conoscendo questi versetti mancanti possiamo comprendere meglio la conclusione di questo brano: se il peccato è stato perdonato non esiste più e non è più necessario presentare offerte per il perdono dei peccati.
Il peccato nella vita del cristiano dunque è perdonato in Cristo. Certo il peccato esiste ancora, i cristiani non sono indenni da errori e da cadute, ma hanno una via di uscita. Attraverso il sacramento della Riconciliazione ricevono il perdono, la cancellazione dei peccati, in forza del sacrificio di Cristo, che resta valido per tutti i luoghi e tutti i tempi.

Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».
Mc 13, 24-32

L’evangelista Marco a conclusione del ministero di Gesù a Gerusalemme inserisce un lungo discorso che Gesù tiene poco prima dell’arresto e in cui si sovrappongono e s’intrecciano, tra note di sgomento e toni di promessa, due annunzi diversi: quello della prossima fine di Gerusalemme e quello della fine dei tempi, col ritorno del Figlio dell’uomo
Il capitolo 13, da dove è tratto il brano liturgico, dopo che Gesù preannunzia la distruzione del tempio, e Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea gli chiedono quale sarà il segno che tutte queste cose staranno per compiersi , Gesù continua preannunciando i segni premonitori e le persecuzioni future, a cui seguiranno l'annuncio dell’abominio della desolazione e dei falsi profeti.
A questo punto inizia il brano liturgico con l’annuncio della venuta del Figlio dell'uomo e la parabola del fico, e come conclusione un pressante invito alla vigilanza.
In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte”.
L'inizio del versetto mostra un legame con la menzione dell'anticristo citato nel brano precedente (vv. 21-23), e contemporaneamente indica la fine di un tempo (quello della tribolazione e dell'abomino del v. 14) e l'irrompere di qualcosa di nuovo. E’ da notare che i verbi in questi versetti sono tutti al futuro e i segni cosmologici indicati da Gesù sono quelli classici dell'apocalittica (V. Is 13,10; 34,4) per indicare il giorno del giudizio divino. In questi versetti l'orizzonte si allarga sul cosmo intero, ma queste immagini più che l'aspetto spaventoso e di condanna della fine del mondo servono ad introdurre l'avvenimento centrale indicato subito dopo.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria”.
L'apparizione del Figlio dell'uomo è il fulcro centrale del discorso. Egli è descritto come il giudice del mondo (la presenza delle nubi, l'indicazione della grande potenza e gloria trovano riferimento in Dn 7,13, ma anche Is 19,1)
Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.”
La visione si completa con la riunione degli eletti (che sono i membri della comunità credente); dietro questa immagine c'è l'idea della dispersione del popolo di Dio e del giudizio come momento di salvezza universale.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina.
La breve parabola del fico riprende il tema del “quando”, l'albero di fico infatti nella breve primavera palestinese era indicativo per avvertire l'inizio della stagione estiva, essendo l'unico in quella regione a perdere le foglie nella stagione invernale.
Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte
Dunque quando accadranno le cose descritte fin qui (persecuzioni, l'abominio, l'apparsa dell'anticristo, segni celesti) il tempo sta per compiersi. Sembra che l'apparire dell'anticristo annunci definitivamente la fine, ma il discorso vuole più che altro indicare quale siano gli elementi che avvertiranno l'avvicinarsi dell'evento finale.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga”.
Questa frase presa da sola testimonia un'attesa intensa, in quanto il termine “questa generazione”,espressione spesso usata nella bibbia, va intesa come riferita ai contemporanei di Gesù, ma più che un senso cronologico questa frase ha un contenuto Cristologico, perché la salvezza si attua nella pasqua di Cristo Gesù. La chiesa primitiva ha sempre insistito sull'incertezza del momento preciso del suo ritorno alla fine dei tempi.
Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”.
Questo versetto sottolinea in senso ampio il costante valore delle parole di Gesù, e non solo il riferimento al discorso escatologico. Queste parole sono il punto di riferimento su cui si compirà anche il giudizio finale, per cui la cosa importante non è sapere quando sarà il momento della fine, ma aderire alla parola di Gesù in cui si fonda la nostra speranza, .
Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre”.
Questo versetto ha suscitato nel tempo molte discussioni sulla possibile ignoranza del Figlio; però esso mette in luce che non compete all’intelligenza e alla volontà determinare il tempo giusto per l’evento finale. Neanche gli angeli hanno questa competenza e questo potere neanche il Figlio. Qualche esperto riterrebbe che in questo caso il Figlio non conosce quel giorno e quell’ora in ragione della sua natura umana. E’ lecito però pensare che nelle parole di Gesù si rivela in modo meraviglioso la profondità del mistero che Egli vive e comunica ai discepoli. Egli mostra loro il suo rapporto figliare verso il Padre, il suo affidamento totale alla suprema volontà e sapienza paterna, al fine di chiarire che tra lui, il Figlio, e Dio, il Padre, sussiste un vincolo intenso di essere, di pensare e di agire.
Per concludere possiamo dire che la data della venuta e della pienezza del Regno è scritta solo nella mente di Dio e nel Suo progetto di salvezza. E’ inutile proporre oroscopi e agitarsi in ipotesi fantascientifiche come usano ancor oggi certe sètte apocalittiche. Attento ai segni dei tempi, il vero credente deve vivere con intensità e serenità il suo presente, la sua generazione, guidato dalla Parola di Gesù che non passa, in attesa di quella parola decisiva e definitiva che sarà pronunziata da Dio nel momento opportuno e a Lui solo noto.

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“Il Vangelo di questa penultima domenica dell’anno liturgico propone una parte del discorso di Gesù sugli avvenimenti ultimi della storia umana, orientata verso il pieno compimento del regno di Dio. E’ un discorso che Gesù fece a Gerusalemme, prima della sua ultima Pasqua. Esso contiene alcuni elementi apocalittici, come guerre, carestie, catastrofi cosmiche: «Il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli verranno sconvolte»
Tuttavia questi elementi non sono la cosa essenziale del messaggio. Il nucleo centrale attorno a cui ruota il discorso di Gesù è Lui stesso, il mistero della sua persona e della sua morte e risurrezione, e il suo ritorno alla fine dei tempi.
La nostra meta finale è l’incontro con il Signore risorto. E io vorrei domandarvi: quanti di voi pensano a questo? Ci sarà un giorno in cui io incontrerò faccia a faccia il Signore. E’ questa la nostra meta: questo incontro. Noi non attendiamo un tempo o un luogo, ma andiamo incontro a una persona: Gesù. Pertanto, il problema non è “quando” accadranno i segni premonitori degli ultimi tempi, ma il farsi trovare pronti all’incontro.
E non si tratta nemmeno di sapere “come” avverranno queste cose, ma “come” dobbiamo comportarci, oggi, nell’attesa di esse. Siamo chiamati a vivere il presente, costruendo il nostro futuro con serenità e fiducia in Dio.
La parabola del fico che germoglia, come segno dell’estate ormai vicina, dice che la prospettiva della fine non ci distoglie dalla vita presente, ma ci fa guardare ai nostri giorni in un’ottica di speranza. E’ quella virtù tanto difficile da vivere: la speranza, la più piccola delle virtù, ma la più forte. E la nostra speranza ha un volto: il volto del Signore risorto, che viene «con grande potenza e gloria», che cioè manifesta il suo amore crocifisso trasfigurato nella risurrezione.
Il trionfo di Gesù alla fine dei tempi sarà il trionfo della Croce, la dimostrazione che il sacrificio di sé stessi per amore del prossimo, ad imitazione di Cristo, è l’unica potenza vittoriosa e l’unico punto fermo in mezzo agli sconvolgimenti e alle tragedie del mondo.
Il Signore Gesù non è solo il punto di arrivo del pellegrinaggio terreno, ma è una presenza costante nella nostra vita: è sempre accanto a noi, ci accompagna sempre; per questo quando parla del futuro, e ci proietta verso di esso, è sempre per ricondurci al presente. Egli si pone contro i falsi profeti, contro i veggenti che prevedono vicina la fine del mondo, e contro il fatalismo. Lui è accanto, cammina con noi, ci vuole bene. Vuole sottrarre i suoi discepoli di ogni epoca alla curiosità per le date, le previsioni, gli oroscopi, e concentra la nostra attenzione sull’oggi della storia.
Io avrei voglia di domandarvi - ma non rispondete, ognuno risponda dentro -: quanti di voi leggono l’oroscopo del giorno? Ognuno risponda. E quando ti viene voglia di leggere l’oroscopo, guarda a Gesù, che è con te. E’ meglio, ti farà meglio. Questa presenza di Gesù ci richiama all’attesa e alla vigilanza, che escludono tanto l’impazienza quanto l’assopimento, tanto le fughe in avanti quanto il rimanere imprigionati nel tempo attuale e nella mondanità.
Anche ai nostri giorni non mancano calamità naturali e morali, e nemmeno avversità e traversie di ogni genere. Tutto passa – ci ricorda il Signore –; soltanto Lui, la sua Parola rimane come luce che guida, rinfranca i nostri passi e ci perdona sempre, perché è accanto a noi. Soltanto è necessario guardarlo e ci cambia il cuore. La Vergine Maria ci aiuti a confidare in Gesù, il saldo fondamento della nostra vita, e a perseverare con gioia nel suo amore.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 15 novembre 2015

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

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