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Mag 22, 2019

VI Domenica di Pasqua - Anno C - 26 maggio 2019

In questa sesta domenica di Pasqua, la liturgia ci propone delle letture che ci presentano tre aspetti diversi della Chiesa
Un aspetto lo troviamo nella prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli, che contiene un documento sintetico che raccoglie il dibattito del primo Concilio celebrato a Gerusalemme, convocato per risolvere la spinosa questione dell’accoglienza diretta dei pagani nella comunità cristiana senza passare attraverso le pratiche giudaiche.
Un altro aspetto è presente nella seconda lettura, tratta dal Libro dell’Apocalisse, in cui la Gerusalemme nuova, immagine della comunità di fede, risplende della luce e della gloria che scaturiscono dalla grazia del Signore risorto.
L’ultimo aspetto lo troviamo nel passo del Vangelo di Giovanni, che come di consueto, in questo periodo pasquale è preso dai discorsi di Gesù nell’ultima cena. Gesù manifesta il Suo amore concreto verso i discepoli, e attraverso di loro, verso tutti coloro che crederanno nel Suo nome, mediante il dono dello Spirito Santo che è la Sua stessa vita. Coloro che credono in Lui, animati da questo Spirito, potranno vivere con amore nel loro quotidiano, le parole e i gesti del Signore e testimoniarlo. Sarà proprio lo Spirito a guidarli verso la nuova Gerusalemme, venuta dal Cielo, da Dio, figura e immagine della Chiesa nel tempo, in cammino verso l’eternità, città che non ha un tempio, perchè il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello, sono il suo tempio.

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: «Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati». Poiché Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Bàrnaba e alcuni altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione.
Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli. E inviarono tramite loro questo scritto: «Gli apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiàchia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. Ci è parso bene perciò, tutti d’accordo, di scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba e Paolo, uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo. Abbiamo dunque mandato Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi, a voce, queste stesse cose. È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!».
At 15,1-2.22-29

Questo brano, tratto dal capitolo 15 rappresenta il punto di svolta nella narrazione degli Atti e ci dà il resoconto del primo Concilio convocato a Gerusalemme intono all’anno 50 e costituisce la terza parte degli Atti. Dal cap.16 in poi, Luca si concentrerà unicamente sui viaggi missionari di Paolo fino al suo arrivo a Roma.
Nel brano si fa riferimento a una grave crisi che ha scosso la chiesa primitiva. Da Luca sappiamo infatti che siccome ad Antiochia non tutti erano d’accordo sul fatto che i pagani potevano essere ammessi nella chiesa senza ricevere la circoncisione, Paolo e Barnaba furono inviati a Gerusalemme per consultare gli apostoli. Anche lì esplode però la polemica; allora tutta la comunità, con gli apostoli e gli anziani si raduna per discutere il problema.
Il modo pacato con cui Luca descrive il conflitto nell’assemblea di Gerusalemme, che ha visto contrapporsi i due gruppi della Chiesa primitiva, separate proprio dal modo di annunziare il messaggio di Gesù in un ambiente diverso da quello giudaico, è comprensibile solo se si tiene conto che, quando egli scrive, questo conflitto si è ormai risolto. A Luca interessa spiegare che il Concilio di Gerusalemme, è stato una grande svolta nella storia della Chiesa, per cui non si ferma alla cronaca pura e semplice degli avvenimenti, ma rilegge le informazioni che gli sono pervenute alla luce della sua visione delle origini cristiane. La sua prospettiva è quella propria delle chiese sorte nel mondo greco, le quali, pur non osservando le prescrizioni della legge mosaica, si ritengono tuttavia le legittime continuatrici della Chiesa madre di Gerusalemme, la prima testimone della morte e risurrezione di Cristo.
Luca vuole così dimostrare che, se è vero che il centro di diffusione di una Chiesa ormai in continua crescita è stata la comunità di Antiochia, tuttavia Gerusalemme rimane sempre la Chiesa madre che, vincendo le proprie resistenze, ha dato il via all’evangelizzazione dei pagani, autorizzandone l’ammissione nella comunità senza l’obbligo della circoncisione.
In questa prospettiva la missione di Paolo, mediante la quale il cristianesimo si è esteso fino a Roma, appare non tanto come l’iniziativa personale del grande apostolo, ma come l’assenso cosciente della Chiesa Madre di Gerusalemme.
Nota: La formula di accordo del Concilio di Gerusalemme riportata dagli Atti dimostra, comunque, che il problema venne superato solo in parte, perché di fatto una divisione perdurò e se ne trova traccia nella maggior parte delle lettere di Paolo, nelle quali risalta la sua continua lotta contro le problematiche create nelle Chiese dai cristiani giudaizzanti.

Salmo 66 - Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti.
Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
la tua salvezza fra tutte le genti.

Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra.

Ti lodino i popoli, o Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra.

Il salmista presenta come Dio abbia benedetto il suo popolo con un raccolto abbondante: “La terra ha dato il suo frutto”. Ma questo non chiude il salmista nell’appagamento dei beni dati dalla terra, poiché egli manifesta, fin dall’inizio del salmo, il desiderio di un ben più alto dono: quello della presenza del Messia. Per tale presenza il popolo sarà rinnovato e si avrà che tutti i popoli giungeranno a conoscere il vero Dio e a lodarlo: “Su di noi faccia splendere il suo volto; perché si conosca sulla terra la tua via, la tua salvezza fra tutte le genti ”. Il salmista conclude il salmo ripresentando il suo desiderio dei tempi messianici: “Ci benedica Dio; il nostro Dio, ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra”.
Noi, in Cristo, desideriamo vivamente una terra rinnovata dalla conoscenza di Cristo e dall’azione del suo Spirito, e dobbiamo, nella viva appartenenza alla Chiesa, adoperarci incessantemente per questo.
Commento di P.Paolo Berti

Dal Libro dell’Apocalisse di S. Giovanni Apostolo
L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino.
È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello.
In essa non vidi alcun tempio:
il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello
sono il suo tempio.
La città non ha bisogno della luce del sole,
né della luce della luna:
la gloria di Dio la illumina
e la sua lampada è l’Agnello.
Ap 21,10-14. 22-23

Questo brano riporta la parte finale dell’Apocalisse che ci descrive in modo particolareggiato la Città Santa, la Gerusalemme nuova, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
La visione di Giovanni inizia così: “L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio.”
Il monte è stato sempre considerato il luogo di maggiore vicinanza a Dio. Ed è da Dio che scende la città. La città è l'espressione visibile del popolo che vi abita, ma mentre le città della terra sono sempre imperfette, la città di Dio dell'Apocalisse è perfetta, è il luogo dove dimora il popolo di Dio nella sua pienezza. Rispecchia il suo ordine interno, la sua ricchezza, la sua gloria, la sua felicità, la sua relazione con Dio e la sua inesprimibile unione con Cristo. Il modello della città di Dio è Gerusalemme, la città della pace, il centro della storia della salvezza dell'Antico Testamento. Sulla terra ha trovato compimento nella Chiesa, in cui Cristo continua a vivere e ad agire.
“Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino”.
La città è splendente come una gemma preziosa, ma la pietra se non viene illuminata non può mostrare il suo splendore. (E’ strano che come paragone si porti il diaspro che di per sé è una pietra opaca)
“È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello.”
La città è cinta da grandi e alte mura con dodici porte che delimitano lo spazio in cui abitano al sicuro i suoi abitanti. Le porte indicano il movimento di entrata e uscita. Gli angeli che erano stati messi a guardia del paradiso perduto, ora stanno alle porte come guardia d'onore di Dio. Il numero dodici esalta le dodici tribù della prima Alleanza e i dodici Apostoli della seconda Alleanza, con i loro nomi scritti su dodici basamenti. Le misure (che non vengono riportate in questo brano) sono enormi e certamente simboliche. I materiali da costruzione, naturalmente anch’essi simbolici parlano di oro (il metallo divino) e di pietre preziose, dodici delle quali sono alle fondamenta della città santa. Tutto il resto della descrizione dalle mura di diaspro, alle porte di perle, ecc., indica uno splendore estremo.
Già il profeta Ezechiele aveva descritto il piano architettonico della città santa. Qui viene completato. Il numero 12 che si ripete significa la misura piena raggiunta dal mondo chiamato alla salvezza.
“In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio.”
La particolarità di questa città è il fatto che non vi è alcun tempio. Ormai la presenza del Signore è ovunque e non c'è più bisogno di cercare di incontrare il Signore in un luogo definito e neanche in un tempo particolare. I beati non sono più legati alle ore di lavoro e di riposo, loro unica occupazione è adorare il Signore e stare con Lui.
“La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello”. L'ordine delle cose è completamente cambiato, non vi è più giorno e notte, il sole e la luna non hanno più motivo di esistere. Tutto viene illuminato dallo splendore che viene da Dio: l'Agnello, cioè Cristo, è la sua lampada. E' attraverso di Lui che si può godere della gloria di Dio.
San Paolo diceva che noi siamo il tempio di Dio e lo Spirito di Dio abita in noi (v.1^Cor 3,16 ) e un altro suo commento che può adattarsi a questa descrizione potrebbe essere: “voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti,” Ef 2.19-20)

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».
Gv 14,23-29

Questo brano è la parte finale del discorso di addio rivolto da Gesù ai suoi discepoli durante l'ultima cena il cui inizio l’abbiamo meditato la scorsa domenica. Gesù, annunciando la Sua morte imminente, aveva assicurato che un giorno sarebbe ritornato. Ora invece parla del modo in cui i discepoli potranno continuare a gioire della Sua amicizia e della Sua presenza in questo periodo di separazione. Il discorso quindi non è più diretto ai discepoli presenti nel cenacolo, ma a quelli di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Gesù infatti non usa più il voi, ma parla in modo impersonale: " Se uno mi ama, osserverà la mia parola …chi non mi ama, non osserva le mie parole…” Gesù rivendica per sé, per la prima volta, il sentimento più importante del mondo umano: l'amore, ed entra nella nostra parte più intima e profonda con estrema delicatezza. Tutto poggia su quel “se”.
«Se mi ami osserverai la mia parola…»… Gesù lo dice oggi ad ognuno di noi e non esprime un ordine, ma ci dà la possibilità di scegliere liberamente. E’ il rispetto che ha Dio, che bussa alla porta del nostro cuore e attende pazientemente la nostra risposta.
Poi Gesù continua : “Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.”
I discepoli potranno capire ciò che Gesù dice solo con l'intervento del Paraclito, il Consolatore, cioè lo Spirito Santo. E' grazie al Paraclito mandato dal Padre che i discepoli potranno penetrare in pieno il senso della Parola di Gesù.
Al termine del suo discorso, Gesù ritorna al momento presente, ai suoi discepoli da cui sta per separarsi, dicendo loro:”Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore”.
Lasciando i discepoli, Gesù non augura loro la pace, ma gliela dà in dono, come Sua eredità. La pace che Egli dona è molto diversa da quella che gli uomini si augurano e tentano di realizzare.
Non a caso Giovanni nel suo vangelo parla di pace solo nel contesto della passione e della risurrezione. Il dono della pace viene annunciato all'inizio della passione e si realizza nell'incontro di Gesù risorto con i discepoli nel cenacolo. Si tratta di un vero dono che viene solo da Dio, è solo opera di Dio che dona ai discepoli come segno della Sua presenza.
L’invito dunque rivoltoci da Gesù in questa ultima domenica di Pasqua è di credere alla Sua presenza in mezzo a noi, una presenza silenziosa, discreta, ma anche reale ed efficace. Una presenza capace di consolarci in ogni situazione della nostra vita.

 

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“Il Vangelo di oggi ci riporta al Cenacolo. Durante l’Ultima Cena, prima di affrontare la passione e la morte sulla croce, Gesù promette agli Apostoli il dono dello Spirito Santo, che avrà il compito di insegnare e di ricordare le sue parole alla comunità dei discepoli. Lo dice Gesù stesso: «Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto». Insegnare e ricordare. E questo è quello che fa lo Spirito Santo nei nostri cuori.
Nel momento in cui sta per fare ritorno al Padre, Gesù preannuncia la venuta dello Spirito che anzitutto insegnerà ai discepoli a comprendere sempre più pienamente il Vangelo, ad accoglierlo nella loro esistenza e a renderlo vivo e operante con la testimonianza. Mentre sta per affidare agli Apostoli – che vuol dire appunto “inviati” – la missione di portare l’annuncio del Vangelo in tutto il mondo, Gesù promette che non rimarranno soli: sarà con loro lo Spirito Santo, il Paraclito, che si porrà accanto ad essi, anzi, sarà in essi, per difenderli e sostenerli. Gesù ritorna al Padre ma continua ad accompagnare e ammaestrare i suoi discepoli mediante il dono dello Spirito Santo.
Il secondo aspetto della missione dello Spirito Santo consiste nell’aiutare gli Apostoli a ricordare le parole di Gesù. Lo Spirito ha il compito di risvegliare la memoria, ricordare le parole di Gesù. Il divino Maestro ha già comunicato tutto quello che intendeva affidare agli Apostoli: con Lui, Verbo incarnato, la rivelazione è completa. Lo Spirito farà ricordare gli insegnamenti di Gesù nelle diverse circostanze concrete della vita, per poterli mettere in pratica. È proprio ciò che avviene ancora oggi nella Chiesa, guidata dalla luce e dalla forza dello Spirito Santo, perché possa portare a tutti il dono della salvezza, cioè l’amore e la misericordia di Dio. Per esempio, quando voi leggete tutti i giorni – come vi ho consigliato – un brano, un passo del Vangelo, chiedere allo Spirito Santo: “Che io capisca e che io ricordi queste parole di Gesù”. E poi leggere il passo, tutti i giorni … Ma prima quella preghiera allo Spirito, che è nel nostro cuore: “Che io ricordi e che io capisca”.
Noi non siamo soli: Gesù è vicino a noi, in mezzo a noi, dentro di noi! La sua nuova presenza nella storia avviene mediante il dono dello Spirito Santo, per mezzo del quale è possibile instaurare un rapporto vivo con Lui, il Crocifisso Risorto. Lo Spirito, effuso in noi con i sacramenti del Battesimo e della Cresima, agisce nella nostra vita. Lui ci guida nel modo di pensare, di agire, di distinguere che cosa è bene e che cosa è male; ci aiuta a praticare la carità di Gesù, il suo donarsi agli altri, specialmente ai più bisognosi.
Non siamo soli! E il segno della presenza dello Spirito Santo è anche la pace che Gesù dona ai suoi discepoli: «Vi do la mia pace» . Essa è diversa da quella che gli uomini si augurano o tentano di realizzare. La pace di Gesù sgorga dalla vittoria sul peccato, sull’egoismo che ci impedisce di amarci come fratelli. E’ dono di Dio e segno della sua presenza. Ogni discepolo, chiamato oggi a seguire Gesù portando la croce, riceve in sé la pace del Crocifisso Risorto nella certezza della sua vittoria e nell’attesa della sua venuta definitiva.
La Vergine Maria ci aiuti ad accogliere con docilità lo Spirito Santo come Maestro interiore e come Memoria viva di Cristo nel cammino quotidiano.”

Papa Francesco Parte dell’Angelus del 1 maggio 2016

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

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Titolo presbiterale: Card. Polycarp PENGO
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