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Ago 3, 2019

XVI Domenica del Tempo Ordinario - Anno C - "Beati coloro che sanno accogliere la parola di Dio" - 21 luglio 2019

Le letture liturgiche di questa domenica hanno come filo conduttore il tema dell’ospitalità: quali atteggiamenti noi cristiani dobbiamo tenere nei confronti dell’ospitalità e dell’accoglienza?
La prima lettura, tratta dal libro della Genesi, ci propone un vivace racconto dell’incontro tra Abramo e i tre messaggeri divini. Abramo corre e si affretta a dare disposizioni a Sara e al servo per una degna accoglienza. Anche quando i tre ospiti sono a mensa egli non sta seduto, ma in piedi, in atteggiamento di disponibilità al servizio.
Nella seconda lettura, San Paolo nella sua lettera ai Colossesi, afferma che l’imitazione di Cristo e l’impegno missionario e pastorale hanno fatto di lui il vero apostolo del Vangelo. Anche le sofferenze sono divenute per lui un motivo di gioia perché le accetta come compimento dei patimenti di Cristo.
Nel Vangelo, Luca rievoca l’incontro di Gesù con Marta e Maria nella loro accogliente casa. I comportamenti delle due sorelle rappresentano due modi di servire Dio (con le opere e la preghiera, con l’azione e la contemplazione, con il servizio e l’adorazione), entrambi apprezzabili; ma il brano mette in guardia contro l’attivismo che non lascia spazio alla meditazione: la fede si nutre di amore e verità.

Dal libro della Genesi
In quei giorni, il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno.
Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto».
Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono.
Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio».
Gen 18, 1-10a

Il Libro della Genesi è il primo libro del Pentateuco (cinque libri; in origine tutti in un unico rotolo: la Torà) e tratta delle origini dell’universo, del genere umano, del peccato originale, della storia dei patriarchi prediluviani, della chiamata di Abramo fino alla morte di Giacobbe. È stato scritto in ebraico e, secondo gli esperti, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte. Nei primi 11, dei suoi 50 capitoli, descrive la cosiddetta "preistoria biblica" (creazione, peccato originale, diluvio universale), e nei rimanenti la storia dei patriarchi, Abramo, Isacco,Giacobbe-Israele e di Giuseppe, le cui vite si collocano nel vicino oriente del II millennio a.C. (attorno al 1800-1700 a.C).
Questo brano ci presenta il Signore che appare al suo amico Abramo e lo fa in incognito, sotto forma di tre viandanti anonimi che si trovano a passare vicino alle querce di Mamre, dove Abramo si era accampato.
E' un racconto misterioso che, inizialmente, si svolge nella normalità di viandanti accaldati e spersi in un deserto assolato. Mentre Abramo si riposa nell'ora più calda del giorno, all'ombra della tenda, egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui.,
Tutta lo scena cambia, prende movimento: Abramo si preoccupa di offrire ospitalità nel modo più immediato e più sontuoso possibile. Provvede subito all'acqua fresca, al lavaggio dei piedi e a far accomodare gli sconosciuti all'ombra. Poi li prega di pazientare e provvederà ad un boccone di pane ed a un ristoro possibile. Sempre Abramo non solo ordina ed organizza per la cucina, a Sara chiede di impastare pane fresco ma il quantitativo è enorme: tre sea di fior di farina (circa 50 kg) e lui stesso sceglie un "vitello tenero e buono", ordinando poi di prepararlo e cuocerlo. Si può notare come Abramo sia più che attento a dare disposizioni e anche quando i tre ospiti sono a mensa egli non sta seduto, ma è in piedi , in atteggiamento di disponibilità al servizio delle esigenze degli sconosciuti e affettuoso.
Di fronte all'accoglienza ed alla gratuità gli sconosciuti rispondono con una promessa: " Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio (da notare i cambi da singolare a plurale e vice versa). Il riso di Sara (che non abbiamo nel brano proposto) è un simbolo dell’incredulità umana, che impedisce di collaborare fino in fondo con il progetto divino, in quanto questo sembra essere in contraddizione con ostacoli umanamente insuperabili. Dio scende nel suo popolo ed offre la vita gratuitamente. Il popolo d'Israele si svilupperà sulla promessa di Dio e sulla ospitalità di Abramo.
Anche il popolo santo della Chiesa si svilupperà con il dono di Dio che si fa anonimo e piccolo e si costituisce come un popolo accogliente della Parola del Signore e dei Suoi progetti.
Dio mangia alla tavola di Abramo, Gesù mangia la Sua cena alla tavola di amici: l'ospitalità prende la forma di un banchetto. E un banchetto ci è rimasto come momento di un popolo che si raduna insieme, a messa, e costruisce il progetto di un futuro di pace avendo come commensale, misteriosamente, Gesù sempre vivo.

Salmo 14 - Chi teme il Signore, abiterà nella sua tenda.

Colui che cammina senza colpa,
pratica la giustizia
e dice la verità che ha nel cuore,
non sparge calunnie con la sua lingua.

Non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulti al suo vicino.
Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore.

Non presta il suo denaro a usura
e non accetta doni contro l’innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre.

Il salmista considera le condizioni necessarie per abitare nella tenda del Signore, e dimorare sul suo santo monte. Ne risulta una preghiera piena di propositi e di sentita, seppur implicita, invocazione per poterli attuare e mantenere.
La tenda del Signore sul santo monte è il tempio, dove nel “santo dei santi” c’era l’arca dell’alleanza con la presenza tra i cherubini della gloria di Jahwéh. Questo salmo noi lo recitiamo guardando alla reale presenza di Cristo nell’Eucaristia. Per dimorare col cuore nella tenda, cioè rimanere nel raggio dell’Eucaristia, è necessaria una vita secondo il Vangelo. L’espressione “Ai suoi occhi è spregevole il malvagio”, va spogliata della tentazione del disprezzo. E’ solo un non vedere il malvagio come un modello da imitare. Noi dobbiamo separare il peccato dal peccatore, per non cadere nell’errore di giudicare e condannare, benché egli sia ben riconoscibile quale peccatore (Mt 7,20): “Dai loro frutti dunque li riconoscerete”. Onorare chi teme il Signore è, per viceversa, stimarne l’esempio, imitarne il comportamento; è un rispetto profondo poiché Dio è presente - inabitazione - nel cuore del giusto.
Chi agisce con rettitudine rimane nel raggio dell’Eucaristia e da essa trae la forza per rimanervi con sempre maggiore intensità d’amore. Egli “resterà saldo per sempre”.
Commento di P. Paolo Berti

Dalla lettera di S.Paolo apostolo ai Colossesi
Fratelli, sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa.
Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi.
A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo.
Col 1, 24-28

Continuando la sua lettera ai Colossesi, dopo aver proclamato uno dei più begli inni dedicati al mistero di Cristo, e aver ricordato ai Colossesi che la riconciliazione attuata dal Signore Gesù si è attuata anche nei loro confronti, che erano "stranieri e nemici, intenti alle opere cattive” ora sono invece chiamati a presentarsi "santi, immacolati e irreprensibili" al cospetto di Dio, per cui devono rimanere "fondati e fermi nella fede" e non allontanarsi dal Vangelo che è stato loro proclamato, Paolo afferma con tono deciso che egli è diventato ministro di questo mistero nascosto da secoli e non può non testimoniarlo attraverso la realtà della croce che egli stesso soffre a vantaggio della Chiesa, corpo mistico di Cristo. Con commozione afferma infatti: sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa. Paolo soffre a causa del lavoro apostolico, ma è felice di questo perché ha uno scopo: con il suo lavoro e le sue fatiche, contribuisce a diffondere e a rafforzare la fede in Cristo.
Questo versetto è stato oggetto di approfondite riflessioni da parte di molti teologi poiché a un prima lettura potrebbe sembrare che la morte e la risurrezione di Cristo non siano complete in sé, non abbiano abbastanza valore da realizzare la riconciliazione dell'umanità con Dio. In realtà la parola “patimenti” non significa la sofferenza salvifica sopportata da Cristo per la nostra salvezza, bensì le sofferenze, le tribolazioni che la Chiesa deve sopportare e sempre sopporterà per la sua testimonianza.
Quindi Paolo partecipando di queste sofferenze aiuta e sostiene la fatica di tutta la Chiesa ed afferma: Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi. In forza della sua vocazione Paolo è diventato ministro, cioè servitore della Chiesa. Egli ha un mandato specifico: portare a compimento la Parola di Dio e la Parola non è altro che il mistero nascosto che è stato rivelato e che adesso per volere di Dio è stato rivelato a un gruppo di privilegiati. Il mistero è unico e ha in Cristo il suo punto focale, non riguarda più il futuro, ma adesso viene rivelato ai credenti e si realizza nella Chiesa, attraverso l'annuncio del Vangelo. A questi credenti che hanno aderito a questo mistero “ Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo.
A tutto questo dunque si impegna Paolo, egli annuncia, ammonisce e istruisce i Colossesi (e noi oggi) impegnando ogni sapienza, perché c'è un cammino che ogni persona deve percorrere per diventare un uomo perfetto in Cristo. L'annuncio del Vangelo quindi non si ferma alla semplice proclamazione della parola, ma continua trasformando il modo di vivere e di essere di ogni creatura

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
Lc 10 , 38-42

Nella parte dedicata al viaggio di Gesù verso Gerusalemme, Luca ha affrontato il tema della sequela e lo ha presentato riportando il comandamento dell’amore e la susseguente parabola del buon samaritano per chiarire ulteriormente il modo di Gesù di intendere l'amore di Dio e del prossimo. Per evitare forse che ci si lasci influenzare troppo dall’aspetto della sequela, Luca riporta l’episodio di Marta e Maria, in cui si mette in luce il primato dell'ascolto. E’ il solo evangelista a riportarlo.
Il brano si apre riportandoci alla situazione in cui si svolge il fatto e ai suoi protagonisti: “mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria”.
Non è indicato il nome del villaggio in cui Gesù è entrato. Ad accoglierlo vi sono Marta e Maria, due sorelle di cui non si parla altrove nei Sinottici: esse però sono ricordate nel quarto vangelo in occasione della risurrezione di Lazzaro, il quale è identificato come loro fratello (Gv 11,1-44), e dell'unzione a Betania (Gv 12,1-11). Da questi dati si dovrebbe dedurre che il villaggio in questione è Betania.
Le due donne accolgono Gesù con grande premura e affetto, ed assumono immediatamente due diversi atteggiamenti: Maria “ seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. . Marta invece era distolta per i molti servizi.”
Maria assume l’atteggiamento tipico del discepolo che ascolta gli insegnamenti del maestro, Marta invece si comporta come una persona molto attiva, che si dà da fare per onorare l’ospite. Esse appaiono così come simbolo di due atteggiamenti che sono portati spontaneamente ad assumere coloro che accolgono Gesù come amico e maestro, quello dell’ascoltare e quello del fare.
C’è da immaginare l’agitazione di Marta quando pensando di non farcela, invece di richiamare direttamente la sorella, si rivolge a Gesù, :”Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”.
Nelle sue parole si può notare una sfumatura di rimprovero nei confronti di Gesù, per questa ragione pensa che solo il Signore sia in grado di ordinare a Maria di compiere il proprio dovere.
Gesù risponde con un velato rimprovero e le sue parole restano una verità fondamentale per la vita della Chiesa di tutti i tempi: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose”. Gesù la chiama per nome due volte, un po’ per familiarità un po’ per ridestare in lei un’attenzione maggiore per ciò che le sta dicendo: una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta.” Gesù non condanna Marta o elogia Maria, ma alla sorella “affaccendata”, vuole dire che è pericoloso l’affanno eccessivo, carico di preoccupazione e di ansia.
In questo episodio dinanzi al diverso modo di comportarsi delle due sorelle, qualcuno ha voluto vedere il dilemma: preghiera o azione? Ma Gesù sembra che voglia dare significato all’efficientismo cristiano: non è efficiente chi fa tanto, ma chi lo fa sentendo Dio dentro di sé! Il lavoro non è in contrasto con la preghiera, né l’azione con la contemplazione, ma in tutto ci vuole un discernimento di valori: ascoltare per fare meglio, in sintesi vivere come Marta con il cuore di Maria. In questa dimensione cade anche il dilemma di tante persone, prese dalle occupazioni che diventano preoccupazioni eccessive, e che non trovano il tempo per pregare. Invece Gesù ci dice che è bello riempire di Dio la nostra vita e le cose che facciamo! La preghiera, lo sguardo in Alto, deve aiutarci a prendere respiro e a dare a ciò che facciamo il respiro di Dio, per non rimanere sommersi negli affanni quotidiani, e poi trovarsi dinanzi a Dio con le mani vuote. E’ di vitale importanza comprendere che l’uomo, e in particolare il cristiano, non si misura dinanzi a Dio per quello che fa, ma per quello che è, il suo essere deve riempire il suo fare!

Nota:
Sicuramente l’evangelista anche qui avrà voluto mettere in risalto l'atteggiamento innovatore di Gesù nei confronti delle donne, in contrasto con la mentalità e la prassi giudaica del tempo, che impediva alle donne la partecipazione alla lettura della Torah. Sappiamo proprio da Luca che Gesù aveva scelto anche alcune di loro come sue discepole e ad esse aveva rivolto il suo insegnamento (V. 8,1-3). Il comportamento di Gesù verso le donne contribuì fortemente ad eliminare la discriminazione tra i due sessi in seno alla Chiesa, dove le donne assunsero presto un ruolo rilevante con l'esercizio di vari ministeri. Purtroppo, man mano che ci si è allontanati nel tempo dall’esperienza storica di Gesù, la rigida discriminazione nei confronti delle donne, tipica di una società patriarcale, è stata nuovamente introdotta nella chiesa e caldeggiata molto da Papa Francesco.

 

*****

“Nel Vangelo odierno l’evangelista Luca racconta di Gesù che, mentre è in cammino verso Gerusalemme, entra in un villaggio ed è accolto a casa di due sorelle: Marta e Maria. Entrambe offrono accoglienza al Signore, ma lo fanno in modi diversi. ,Maria si mette seduta ai piedi di Gesù e ascolta la sua parola invece Marta è tutta presa dalle cose da preparare; e a un certo punto dice a Gesù: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti» . E Gesù le risponde: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
Nel suo affaccendarsi e darsi da fare, Marta rischia di dimenticare - e questo è il problema - la cosa più importante, cioè la presenza dell’ospite, che era Gesù in questo caso. Si dimentica della presenza dell’ospite. E l’ospite non va semplicemente servito, nutrito, accudito in ogni maniera. Occorre soprattutto che sia ascoltato.
Ricordate bene questa parola: ascoltare! Perché l’ospite va accolto come persona, con la sua storia, il suo cuore ricco di sentimenti e di pensieri, così che possa sentirsi veramente in famiglia. Ma se tu accogli un ospite a casa tua e continui a fare le cose, lo fai sedere lì, muto lui e muto tu, è come se fosse di pietra: l’ospite di pietra. No. L’ospite va ascoltato. Certo, la risposta che Gesù dà a Marta – quando le dice che una sola è la cosa di cui c’è bisogno – trova il suo pieno significato in riferimento all’ascolto della parola di Gesù stesso, quella parola che illumina e sostiene tutto ciò siamo e che facciamo. Se noi andiamo a pregare - per esempio - davanti al Crocifisso, e parliamo, parliamo, parliamo e poi ce ne andiamo, non ascoltiamo Gesù! Non lasciamo parlare Lui al nostro cuore. Ascoltare: questa è la parola-chiave. Non dimenticatevi! E non dobbiamo dimenticare che nella casa di Marta e Maria, Gesù, prima di essere Signore e Maestro, è pellegrino e ospite. Dunque, la sua risposta ha questo primo e più immediato significato: “Marta, Marta, perché ti dai tanto da fare per l’ospite fino a dimenticare la sua presenza? - L’ospite di pietra! - Per accoglierlo non sono necessarie molte cose; anzi, necessaria è una cosa sola: ascoltarlo - ecco la parola: ascoltarlo -, dimostrargli un atteggiamento fraterno, in modo che si accorga di essere in famiglia, e non in un ricovero provvisorio”.
Così intesa, l’ospitalità, che è una delle opere di misericordia, appare veramente come una virtù umana e cristiana, una virtù che nel mondo di oggi rischia di essere trascurata. Infatti, si moltiplicano le case di ricovero e gli ospizi, ma non sempre in questi ambienti si pratica una reale ospitalità. Si dà vita a varie istituzioni che provvedono a molte forme di malattia, di solitudine, di emarginazione, ma diminuisce la probabilità per chi è straniero, emarginato, escluso di trovare qualcuno disposto ad ascoltarlo: perché è straniero, profugo, migrante, ascoltare quella dolorosa storia. Persino nella propria casa, tra i propri familiari, può capitare di trovare più facilmente servizi e cure di vario genere che ascolto e accoglienza. Oggi siamo talmente presi, con frenesia, da tanti problemi - alcuni dei quali non importanti - che manchiamo della capacità di ascolto. Siamo indaffarati continuamente e così non abbiamo tempo per ascoltare. E io vorrei domandare a voi, farvi una domanda, ognuno risponda nel proprio cuore: tu, marito, hai tempo per ascoltare tua moglie? E tu, donna, hai tempo per ascoltare tuo marito? Voi genitori, avete tempo, tempo da “perdere”, per ascoltare i vostri figli? o i vostri nonni, gli anziani? – “Ma i nonni dicono sempre le stesse cose, sono noiosi…” – Ma hanno bisogno di essere ascoltati! Ascoltare. Vi chiedo di imparare ad ascoltare e di dedicarvi più tempo. Nella capacità di ascolto c’è la radice della pace.
La Vergine Maria, Madre dell’ascolto e del servizio premuroso, ci insegni ad essere accoglienti e ospitali verso i nostri fratelli e le nostre sorelle. “
Papa Francesco Parte dell’ Angelus del 17 luglio 2016

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(Papa Giovanni XXIII)

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