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Feb 7, 2020

V Domenica del Tempo Ordinario - Anno A - "Sale della terra e luce del mondo" - 9 febbraio 2020

Le letture che la Liturgia di questa domenica ci porta a meditare, sono impostate sulla luce, ma questa luce è quella dell’uomo: il giusto inondato dalla luce divina diventa a sua volta fiaccola che risplende e riscalda.
Nella prima lettura il Profeta Isaia, reagendo contro una religione fatta di puro formalismo spiega quali siano le pratiche religiose gradite a Dio. Solo in questo caso la gloria del Signore sarà con il suo fedele e questi sarà come luce nelle tenebre.
Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo continuando la sua lettera ai Corinzi, ricorda loro che la sua predicazione si ispira alla sapienza del Signore, che è la sola capace di condurre l’uomo alla conversione e alla salvezza. .
Il Vangelo di Matteo ci propone un brano tratto dal “Discorso della Montagna” in cui Gesù dice ai suoi discepoli, ed anche a noi oggi: “Voi siete il sale della terra…e luce del mondo”. E’ un invito, quello di Gesù, a non essere cristiani mascherati, in incognito, che passano la vita in mezzo agli altri senza farsi apostoli del suo credo. Che sale della terra sono se non hanno sapore? Che razza di lucerna sono se non illuminano? Senza nascondersi, senza mimetizzarsi, senza impigrirsi il cristiano deve essere esposto al sole di Dio come la città posta sui monti. E la luce ricevuta non deve racchiuderla nel “moggio” del suo gruppo, della sua famiglia , della sua parrocchia, ma disseminarla su tutti i fratelli e su tutte le creature di Dio.

Dal libro del profeta Isaìa
Così dice il Signore:
«Non consiste forse [il digiuno che voglio]
nel dividere il pane con l’affamato,
nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo,
senza trascurare i tuoi parenti?
Allora la tua luce sorgerà come l’aurora,
la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti a te camminerà la tua giustizia,
la gloria del Signore ti seguirà.
Allora invocherai e il Signore ti risponderà,
implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”.
Se toglierai di mezzo a te l’oppressione,
il puntare il dito e il parlare empio,
se aprirai il tuo cuore all’affamato,
se sazierai l’afflitto di cuore,
allora brillerà fra le tenebre la tua luce,
la tua tenebra sarà come il meriggio».
Is 58,7-10

La terza parte del libro di Isaia (Is 56-66) contiene una raccolta di oracoli che, per lo stile e lo sfondo storico, sono attribuiti ad un anonimo profeta del postesilio, al quale perciò è stato dato il nome di Trito (Terzo) Isaia. Alcuni hanno ritenuto che egli fosse un discepolo del Deuteroisaia, mentre altri hanno pensato a un profeta vissuto più di un secolo dopo di lui. Il profeta si rivolge non più agli esiliati, ma ai giudei ritornati da Babilonia a Gerusalemme; il suo centro di interesse non è più il nuovo esodo, ma il ristabilimento delle istituzioni teocratiche, le quali sono minacciate non da agenti esterni, ma dalla infedeltà del popolo.
Il capitolo, da dove è tratto questo brano, si apre con un’aspra critica del digiuno così come veniva praticato in modo ipocrita dalla gente, il vero digiuno, gradito a Dio, consiste invece nell’impegno efficace per la giustizia.
Il capitolo continua con il brano riportato dalla liturgia:
“«Non consiste forse [il digiuno che voglio] nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti?” Queste regole si comprendono nel contesto del postesilio, nel quale non si erano verificate le speranze di un mondo rinnovato, ma invece erano ritornate tutte le discriminazioni che erano state condannate prima dai profeti. Il vero digiuno implica, oltre che l’eliminazione delle pesanti restrizioni imposte dai ricchi alle classi più povere, una solidarietà attiva, che porta a condividere quanto si ha con gli affamati, con tutti coloro che sono privi del necessario per condurre una vita dignitosa.
Il profeta sottolinea comunque che ciò non deve avvenire a discapito dei propri familiari perché hanno un maggiore diritto ad essere aiutati.
Il testo prosegue poi con le beatitudini che derivano dal vero digiuno:
“Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà.”
Il profeta immagina che da un comportamento giusto emani una grande luce, che si accompagna con la guarigione di tutte le piaghe da cui è afflitto il popolo. La pratica della giustizia infatti va di pari passo con la manifestazione della gloria di Dio. In altre parole la gloria di Dio, cioè la Sua presenza salvifica, si manifesta appunto nella giustizia sociale praticata dal popolo.
Solo la pratica della giustizia sarà per il popolo una garanzia che la sua preghiera sarà ascoltata da Dio: «Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”».
Ritornando poi sul comportamento richiesto in tempo di digiuno, il profeta soggiunge: «Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio» .
Un comportamento improntato al rispetto dei diritti della persona e alla solidarietà, farà del popolo il portatore di una luce che le tenebre di questo mondo non potranno soffocare.
Il tema della luce è molto caro al Terzo Isaia, che vede in essa la manifestazione della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Seguendo questa luce, il popolo stesso diventa luce del mondo, cioè può testimoniare a tutta l’umanità la vera religione, basata non sul culto ma sulla giustizia sociale.

Salmo 111 - Il giusto risplende come luce.

Spunta nelle tenebre,
luce per gli uomini retti:
misericordioso, pietoso e giusto.
Felice l’uomo pietoso che dà in prestito,
amministra i suoi beni con giustizia.

Egli non vacillerà in eterno:
eterno sarà il ricordo del giusto.
Cattive notizie non avrà da temere,
saldo è il suo cuore, confida nel Signore.

Sicuro è il suo cuore, non teme,
egli dona largamente ai poveri,
la sua giustizia rimane per sempre,
la sua fronte s’innalza nella gloria.

E' un salmo stilisticamente gemello del 110. Tratta del giusto il quale è beato perché “teme il Signore”. Questo timore non gli dà paura, ma lo zelo nell'osservanza dei comandamenti, i quali donano pace e gioia: “nei suoi precetti trova grande gioia”.
Il giusto è gradito a Dio e “la discendenza dei giusti sarà benedetta”.
“La sua giustizia rimane per sempre”, perché deriva dall'osservanza della parola di Dio, la quale non guida l'uomo a passi falsi. Il giusto, per il suo esempio e la sua parola, è riconosciuto dai giusti come luce che fuga le tenebre: “Spunta nelle tenebre, luce per gli uomini retti”.
L' uomo che dà in prestito applica l'amore verso il prossimo e perciò “amministra i suoi beni con giustizia”, senza avarizia, senza egoismo; tuttavia non bisogna lasciarsi raggirare poiché (Sir 12,4): “Fà doni all'uomo pio e non dare aiuto al peccatore”.
“Eterno sarà il ricordo del giusto" perché è stato di esempio, di luce, e la sua memoria è dolce e ricca di stimoli al bene: “La sua giustizia rimane per sempre”.
“Saldo è il suo cuore, confida nel Signore”; la saldezza del cuore deriva non da durezza interiore, ma dalla confidenza in Dio, che non lascia mai il giusto senza aiuto di fronte all'empio: “Sicuro è il suo cuore, non teme, finché non vedrà la rovina dei suoi nemici”.
Non solo il giusto dà in prestito a chi è leale, ma “dona largamente ai poveri”.
“La sua fronte si innalza nella gloria”, cioè la sua capacità nella preghiera lo pone nella vittoria, nella gloria che accompagna la vittoria nelle aspre battaglie della vita. Ma di fronte alle vittorie sui suoi nemici egli rimane umile, “misericordioso, pietoso e giusto”. L'empio che lo invidia e lo insidia “digrigna i denti”, ma nulla può, e “si consuma” nella sua impotenza contro il giusto, poiché “il desiderio dei malvagi va in rovina”, anche se può prevalere sul giusto fino ad ucciderlo; ma non potrà vincerlo nel cuore (Cf. Mt 10,28).
Commento di P.Paolo Berti

Dalla 1^ lettera di S.Paolo aspostolo ai Corinzi
Io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso.
Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.
1Cor 2,1-5

Continuando la sua prima lettera ai Corinzi, Paolo dopo aver rimproverato i Corinzi di essere divisi tra di loro, li esorta a non cercare la sapienza della parola, che si contrappone alla follia della croce. Egli pone due esempi della diversa logica dell'agire di Dio. Il primo (1,26-31), è che nonostante la povertà materiale e culturale dei cristiani di Corinto, essi erano stati scelti per partecipare alla salvezza di Cristo, realizzata mediante la croce. Il secondo esempio, che troviamo nel brano di oggi, Paolo pone se stesso nell’attività da lui svolta a Corinto. :
Il brano inizia con il ricordo di Paolo:
“Io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza”.
Paolo ha annunziato questo mistero senza far leva su espedienti che, come l’eloquenza o i ragionamenti filosofici, che sono espressione della sapienza umana, servono anche a determinare il successo personale. Egli ricorda il momento in cui si presentò a Corinto. Era reduce dal fallimento che aveva subito ad Atene, proprio quando aveva cercato di parlare di Cristo utilizzando parole arricchite di sapienza e filosofia (At 17,16-34). Egli stesso aveva sperimentato che non doveva più utilizzare questo sistema, che è espressione della sapienza umana, all’insito scopo di determinare anche il proprio successo personale..
Egli prosegue poi indicando quale è stato l’oggetto del suo annunzio:” Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso”
In altre parole, Paolo non usò più il fascino dell’eloquenza, ma presentò ai Corinzi il nucleo centrale del Vangelo, ossia la persona di Cristo crocifisso, proprio nel culmine della Sua debolezza.. C’è da tener presente che ai tempi di Paolo la crocifissione era ancora il metodo utilizzato dai romani per la condanna a morte dei malfattori. Quindi predicare un "crocifisso" era contro ogni logica umana di accettazione.
“Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione”.
Paolo quando arrivò a Corinto era reduce dunque della sconfitta di Atene, si sentiva perciò debole, demoralizzato: come avrebbe potuto presentare il messaggio di un crocifisso portato da un uomo segnato dalla debolezza e dal timore?.
“La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza”,
Paolo in altre parole, non ha voluto imporsi sfoggiando doti personali, ma ha lasciato che fosse lo Spirito stesso a convincere i suoi ascoltatori. L’opera dello Spirito infatti non si manifesta in azioni straordinarie o miracoli, ma nella capacità che il vangelo possiede di convincere chi lo ascolta e di coinvolgerlo nel cammino fatto da Gesù.
Infine l’Apostolo indica lo scopo per cui si è comportato in questo modo: “perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio”.
Egli non ha dunque voluto mettere se stesso in primo piano, perché la fede dei corinzi non fosse basata su di lui, ma unicamente su Dio e sulla Sua potenza.
Il fatto che, nonostante la totale assenza di mezzi umani, i corinzi abbiano creduto in Cristo dimostra che l’azione di Dio è stata efficace e ci fa comprendere, almeno in parte, quale sia la forza che sprigiona per poter trasformare la vita di ognuno.

Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato?
A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».
Mt 5,13-16

Questo brano del Vangelo di Matteo fa parte del discorso della montagna, in cui Gesù presenta le nove Beatitudini. Ora vengono riportate due piccole similitudini. La prima viene presa dal campo alimentare e comincia con un’affermazione:”Voi siete il sale della terra”, poi Gesù pone una domanda :ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato?” E conclude: “A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente”. Il sale ha una grande importanza nella preparazione dei cibi ed è usato per dare loro sapore, rendendoli così commestibili.
Nell’Antico Testamento il sale, con il quale venivano cosparse le vittime sacrificali, era considerato come simbolo dell’alleanza (Lv 2,13; Col 4,6), e di conseguenza come sorgente di pace, non solo con Dio, ma anche fra tutti i membri del popolo.
Matteo, identificando i discepoli con il sale e mettendo questo in rapporto con la terra, trasforma il detto in una direttiva riguardante i loro rapporti con quelli che si trovano all’esterno della comunità: verso di essi i discepoli devono essere testimoni credibili del messaggio di Gesù.
La seconda similitudine inizia con un’affermazione: Voi siete la luce del mondo; seguono poi due frasi dimostrative: “non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa”.
Infine termina con un’applicazione: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.”
La similitudine della lampada sul candeliere viene presa dalla vita quotidiana, in cui specialmente di notte è indispensabile scacciare le tenebre con una lucerna. Naturalmente la lucerna è utile solo se è messa sul lucerniere e non viene nascosta, per esempio sotto un moggio (recipiente per misurare i cereali) o sotto un letto.
Nell’Antico Testamento la luce simboleggia Dio, in quanto salvatore del Suo popolo (Is 9,1; Sal 27,1), e la Sua legge (Sal 119,105); in modo particolare il Servo del Signore è chiamato “luce del mondo” (Is 42,6; 49,6).
Il cristiano autentico, senza nascondersi, senza mimetizzarsi, senza impigrirsi si deve esporre al sole di Dio come la città posta sui monti. E la luce ricevuta non deve racchiuderla sotto il moggio del suo gruppo, della sua famiglia, della sua parrocchia, ma diffonderla su tutti i fratelli e su tutte le creature di Dio.
Nietzsche, il famoso filosofo ateo tedesco, riprendeva così i cristiani: “Se la buona novella della vostra Bibbia fosse anche scritta sul vostro volto, voi non avreste bisogno di insistere perché si creda all’autorità della Bibbia: le vostre opere dovrebbero rendere quasi superflua la Bibbia, perché voi stessi dovreste costituire la Bibbia viva”.

 

*****

“In queste domeniche la liturgia ci propone il cosiddetto Discorso della montagna, nel Vangelo di Matteo. Dopo aver presentato domenica scorsa le Beatitudini, oggi mette in risalto le parole di Gesù che descrivono la missione dei suoi discepoli nel mondo .
Egli utilizza le metafore del sale e della luce e le sue parole sono dirette ai discepoli di ogni tempo, quindi anche a noi.
Gesù ci invita ad essere un riflesso della sua luce, attraverso la testimonianza delle opere buone.
E dice: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» . Queste parole sottolineano che noi siamo riconoscibili come veri discepoli di Colui che è la Luce del mondo, non nelle parole, ma dalle nostre opere. Infatti, è soprattutto il nostro comportamento che – nel bene e nel male – lascia un segno negli altri. Abbiamo quindi un compito e una responsabilità per il dono ricevuto: la luce della fede, che è in noi per mezzo di Cristo e dell’azione dello Spirito Santo, non dobbiamo trattenerla come se fosse nostra proprietà. Siamo invece chiamati a farla risplendere nel mondo, a donarla agli altri mediante le opere buone. E quanto ha bisogno il mondo della luce del Vangelo che trasforma, guarisce e garantisce la salvezza a chi lo accoglie! Questa luce noi dobbiamo portarla con le nostre opere buone.
La luce della nostra fede, donandosi, non si spegne ma si rafforza. Invece può venir meno se non la alimentiamo con l’amore e con le opere di carità. Così l’immagine della luce s’incontra con quella del sale.
La pagina evangelica, infatti, ci dice che, come discepoli di Cristo, siamo anche «il sale della terra». Il sale è un elemento che, mentre dà sapore, preserva il cibo dall’alterazione e dalla corruzione – al tempo di Gesù non c’erano i frigoriferi! –. Pertanto, la missione dei cristiani nella società è quella di dare “sapore” alla vita con la fede e l’amore che Cristo ci ha donato, e nello stesso tempo di tenere lontani i germi inquinanti dell’egoismo, dell’invidia, della maldicenza, e così via. Questi germi rovinano il tessuto delle nostre comunità, che devono invece risplendere come luoghi di accoglienza, di solidarietà, di riconciliazione.
Per adempiere a questa missione, bisogna che noi stessi per primi siamo liberati dalla degenerazione corruttrice degli influssi mondani, contrari a Cristo e al Vangelo; e questa purificazione non finisce mai, va fatta continuamente, va fatta tutti i giorni!
Ognuno di noi è chiamato ad essere luce e sale nel proprio ambiente di vita quotidiana, perseverando nel compito di rigenerare la realtà umana nello spirito del Vangelo e nella prospettiva del regno di Dio. Ci sia sempre di aiuto la protezione di Maria Santissima, prima discepola di Gesù e modello dei credenti che vivono ogni giorno nella storia la loro vocazione e missione.
La nostra Madre ci aiuti a lasciarci sempre purificare e illuminare dal Signore, per diventare a nostra volta “sale della terra” e “luce del mondo”.”
Papa Francesco Angelus del 5 febbraio 2017

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