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Mag 6, 2022

IV Domenica di Pasqua - Anno C - "Gesù buon Pastore" - 8 maggio 2022

Con la quarta domenica di Pasqua ogni anno si celebra la 59^ Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni. Uniti a Papa Francesco chiediamo a Dio il dono di “sacerdoti innamorati del Vangelo” , capaci di farsi prossimi con i fratelli ed essere, così, segno vivo dell’amore misericordioso di Dio .
Nella prima lettura, tratta dagli Atti degli apostoli, ci viene descritta l’opera missionaria di Paolo e Barnaba ad Antiochia: i discepoli “pieni di gioia e di Spirito Santo” erano attivissimi nel formare una comunità unita. Di fronte alla reazione di rifiuto dei Giudei del luogo, essi dichiarano che si sarebbero rivolti per il futuro ai pagani annunciando loro il Vangelo.
Nella seconda lettura, tratta dal libro dell’Apocalisse, Cristo viene presentato come l’agnello sacrificale che si trasforma in pastore: l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita.
Nel vangelo di Giovanni, Gesù viene presentato come il Buon Pastore che afferma: “Le mie pecore ascoltano la mia voce”. In questi tempi così tribolati l’umanità intera ha sete di Cristo, che come buon Pastore, la conduce, la conosce, la custodisce e la guarisce. In Lui non dobbiamo temere il fallimento e la sconfitta e non dobbiamo fingere di essere migliori di come siamo nella realtà. Solo Lui ci promette la vita eterna e sa guidarci “alle fonti delle acque della vita” che guariscono ogni ferita, e asciugheranno ogni nostra lacrima. Solo Lui ci ama per quello che siamo, non per quello che vorremmo essere

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Paolo e Bàrnaba, proseguendo da Perge, arrivarono ad Antiochia in Pisìdia e, entrati nella sinagoga nel giorno di sabato, sedettero.
Molti Giudei e prosèliti credenti in Dio seguirono Paolo e Bàrnaba ed essi, intrattenendosi con loro, cercavano di persuaderli a perseverare nella grazia di Dio.
Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola del Signore. Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo. Allora Paolo e Barnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore:
“Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra”».
Nell’udire ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore, e tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero. La parola del Signore si diffondeva per tutta la regione. Ma i Giudei sobillarono le pie donne della nobiltà e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li cacciarono dal loro territorio. Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Icònio. I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.
At 13,14, 43-52

Dal capitolo 13 inizia una nuova suddivisione del libro degli Atti e la Chiesa d’Antiochia diventa il punto di partenza dell’opera che sta per compiersi fra le nazioni. Nel capitolo 9 viene riportato uno dei più gloriosi trionfi della grazia divina: la conversione di Saulo di Tarzo, folgorato sulla via di Damasco. Egli perseguitava i seguaci di Cristo in modo rigoroso e costante ed il viaggio che aveva intrapreso per Damasco aveva appunto lo scopo di smascherare e imprigionare gli adepti della nuova fede. Proprio mentre si stava recando in questa città fu avvolto da una luce ed udì una voce che gli disse “Saulo, Saulo, perché i perseguiti!”. Da quel momento egli nacque a nuova vita, cambiò tutto, anche il nome divenendo, Paolo l'Apostolo delle genti. Lui stesso in seguito affermerà “Io vivo, ma non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me” (Gal. 2,20), ”.. Della vocazione di Saulo, Luca riporta tre relazioni, le cui divergenze nei particolari si spiegano secondo il diverso genere letterario usato. Il fatto è accaduto verosimilmente nel 36, dodici anni circa (o quattordici, secondo la maniera di computare degli antichi) prima del “concilio di Gerusalemme” (Gal 2,1s; cf. At 15), tenuto nel 49
In questo brano, che la liturgia ci presenta, vediamo Paolo e Barnaba, che dopo aver fatto la prima tappa all’isola di Cipro, giungono in Panfilia e proseguendo poi da Perge, arrivano ad Antiochia in Pisìdia. Ancora una volta si confrontano con i cristiani di Antiochia. ma mentre questa moltitudine di credenti sembra pendere dalle loro labbra, i Giudei, presi dalla gelosia, cercano di contraddire le loro affermazioni e il testo lo evidenzia: “i Giudei furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo.” E' lo scontro penoso tra il cuore indurito di Israele e la docilità dei pagani, il rifiuto dei figli e l'assenso degli stranieri.
Il sabato seguente, Paolo e Barnaba non sono più all'interno della sinagoga e davanti a un pubblico esclusivamente giudeo, bensì tutta la città si radunò per ascoltare la parola del Signore. Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo. Paolo e Barnaba allora dichiararono: “Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani”
Poi richiamando quanto diceva Isaia affermano: “Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra”..(Is 49,6) per dimostrare come ogni distruzione delle barriere nazionali o razziali entri nel piano salvifico di Dio.
Il rifiuto giudaico del messaggio della salvezza portato dagli apostoli è il passaggio della promessa a una salvezza universale, rivolta a tutte le genti.
L'ostilità dei Giudei per Paolo e Barnaba sfocia nella persecuzione aperta e grazie all'influsso dei Giudei sui "notabili della città” e sulle "donne pie" del luogo, li cacciarono dal loro territorio. Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Icònio. I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo”. L'episodio segna la rottura con l'ambiente giudaico, chiuso a una visione universalistica, e constatato il rifiuto, Paolo e Barnaba non si fermano, ma passano altrove, ai pagani.
La separazione viene espressa con il gesto di "scuotersi la polvere dai piedi“, che gli ebrei facevano quando rientravano da un territorio pagano, che li aveva resi "impuri".
Qui lo stesso gesto è rivolto ai "puri" per rivolgersi ai lontani. Per purezza si intende tutte quelle norme igieniche che erano scritte nella legge, da cui già i profeti avevano messo in guardia, dalla pratica dell'esteriorità che non rifletteva l'interno del cuore dell'uomo.
Il Vangelo è sempre passato e passa anche oggi continuamente attraverso i contrasti, le resistenze, le opposizioni più fanatiche. E' un "passaggio"inevitabile, che invece di bloccarlo lo spinge misteriosamente sempre altrove, verso gli "estremi confini della terra!“.

Salmo 99- Noi siamo suo popolo, gregge che egli guida
Acclamate al Signore, voi tutti della terra,
servite il Signore nella gioia,
presentatevi a lui con esultanza.

Riconoscete che solo il Signore è Dio:
egli ci ha fatti e noi siamo suoi,
suo popolo e gregge del suo pascolo.

Perché buono è il Signore,
Il suo amore è per sempre,
la sua fedeltà di generazione in generazione.

Questo salmo è un invito a tutti i popoli della terra a riconoscere l'unico Dio e a servirlo, cioè obbedire al suo disegno, che ha come oggetto l'uomo stesso. Il salmista invita a servirlo nella gioia, cioè con la gratitudine, l'esultanza di chi si riconosce amato e salvato da Dio. Il salmista desidera che i popoli della terra riconoscano l'identità d Israele per poterne partecipare: “Riconoscete che solo il Signore è Dio: egli ci ha fatti e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo”. L'invito al tempio di Gerusalemme non ha confini. E' un invito espresso nell'attesa messianica, poiché a Gerusalemme, per mezzo del Messia, avverrà la ricomposizione dell'unità tra tutti i popoli. I popoli pagani sono invitati a orientarsi al Dio di Israele, al vero Dio, la cui gloria dimora nel tempio di Gerusalemme: “Varcate le sue porte con inni di grazie, i suoi atri con canti di lode...”. Tutti devono benedire la sua identità, (il suo nome), perché Dio è buono, misericordioso, fedele alla sua parola alle sue promesse.
Nel giorno della Pentecoste veramente si è avverato un andare a Gerusalemme di tanti e tanti, che, non Giudei, avevano abbracciato la religione di Israele (At 2,9s). A questi - i proseliti - vanno aggiunti i timorati di Dio, che non intendevano giungere al rito della circoncisione e alla pratica rituale della legge mosaica (At 10,2).
Noi in Cristo invitiamo i popoli ad accogliere il messaggio di Cristo, a riconoscere il vero Dio e a far parte col battesimo della Chiesa, le cui porte e atri sono aperte all'ingresso di tutti i popoli.

Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo
Io, Giovanni, vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani.
E uno degli anziani disse: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro.
Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna,
perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono,
sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita.
E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi».
Ap. 7,9, 14b-17

Nel brano tratto dal capitolo 5 presentato nella III Domenica, Giovanni ci ha raccontato dell'Agnello che riceveva da Dio il libro chiuso da sette sigilli. Nel capitolo 6 l'Agnello apre i primi sigilli ed ad ogni apertura corrisponde la realizzazione progressiva dei decreti di Dio. Volta per volta vengono rivelati coloro che devono realizzare questi decreti: i quattro cavalieri, i martiri con il loro invito alla giustizia, il cosmo, gli Angeli e i Santi con le loro preghiere.
Prima dell'apertura del settimo sigillo vi è una pausa. Gli angeli vengono mandati sulla terra a mettere un segno per distinguere gli eletti di Dio. Questo segno li pone sotto la protezione di Dio, grazie al Suo aiuto essi potranno resistere alle prove della persecuzione. Giovanni poi vede la schiera dei beati che si trova già in cielo, la Chiesa trionfante ed è questa descrizione che il brano di questa domenica riporta.
“Io, Giovanni, vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani”.
I beati del cielo sono una folla immensa, che non si può calcolare e neanche si può esprimere nemmeno con un numero simbolico. Provengono da tutte le parti del mondo. Essi stanno in piedi, che è l'atteggiamento dell'uomo vivo e libero. Le “vesti candide” sono simbolo della gloria del cielo e le palme sono simbolo di vittoria.
“E uno degli anziani disse: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello.”
Nei versetti che il brano non riporta, uno degli anziani chiede a Giovanni chi siano queste persone e Giovanni a sua volta lo chiede all'anziano. Si tratta di coloro che hanno perseverato nel momento della prova. Essi hanno potuto resistere solo grazie al sangue di Cristo, alla sua redenzione, a cui hanno potuto accedere grazie alla fede e ai sacramenti.
“Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro.”
Giovanni contempla la condizione dei beati: essi stanno sempre davanti al trono di Dio e “gli prestano servizio giorno e notte”, cioè celebrano di continuo le Sue lodi mentre Dio stende la Sua tenda su di loro, cioè si prende cura di loro.
“Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna”,
Essi non hanno più alcuna necessità, né soffrono per i problemi che avevano durante la vita terrena.
“perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi”.
L'Agnello diventa pastore, prendendosi cura dei beati, è Lui che li conduce alle acque della vita, cioè alla beatitudine e alla vita in pienezza. Verranno anche ammessi a questi beni celesti, ma se questo non bastasse a cancellare le sofferenze che hanno subito in vita, il Signore stesso asciugherà ogni lacrima dai loro occhi. Dio come padre pieno di compassione, saprà consolare il loro animo da ogni dolore, saprà sanare ogni male che i Suoi eletti hanno dovuto subire. Il Signore che ha chiamato i Suoi, sa custodirli fino alla fine. E’ un'immagine stupenda, sublime, molto tenera e consolante!.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Gv 10, 27-30

Questo brano tratto dal capitolo 10 del Vangelo di Giovanni è la continuazione del tema “Gesù, Buon pastore” (meditato nella IV domenica di Pasqua – anno A e anno B) e cerca di indicare il fine dell’agire amoroso di Gesù
“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. Questo versetto, mette in rilievo la relazione che esiste tra le pecore e il pastore. Non si tratta certo di una conoscenza superficiale, anagrafica. Nella Bibbia il verbo "conoscere" significa una relazione d'amore personale, profonda; una relazione che supera l'intimità della stessa relazione nuziale e la tenerezza di una madre o di un padre nei confronti del proprio figlio.. Nel versetto precedente aveva detto ai Giudei che loro non erano le sue pecore e qui dice, non chi sono le pecore, ma cosa esse fanno: “ascoltano”!.
Nella Bibbia il verbo (shema’) indica sia "ascoltare" che "obbedire". Quindi “shema’ Israel”, non è soltanto "ascolta, Israele!", ma anche “aderisci, resta unito!". C’è da tener presente un particolare che in Israele, a differenza dei paesi d’Europa, gli ovini sono allevati non per la carne, ma per il latte e la lana, le pecore perciò rimanevano per anni e anni in compagnia del pastore che finiva per conoscere il carattere di ognuna e chiamarla con qualche nomignolo affettuoso. Gesù con queste immagini vuole comunicare che egli conosce i suoi discepoli (e come Dio tutti gli uomini) li conosce per nome, nel profondo nel loro intimo. Egli li ama con un amore unico, speciale, che raggiunge ciascuno come se fosse il solo ad esistere davanti a lui.
“Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano” Nel linguaggio giovanneo “vita eterna” non allude tanto a un’infinita distesa di anni, a un’immortalità dell’anima, è invece la stessa vita divina, è la comunione di vita, di pace, di essere con Dio stesso.
“Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti “ Come creature noi apparteniamo a Dio; da Lui viene la nostra esistenza , è Lui che ci conosce sin dall’’inizio del mondo e proprio perché questa vita ci viene da Lui, è protetta e custodita da Lui.
“e nessuno può strapparle dalla mano del Padre”. Sono le parole di speranza, di difesa che afferma Gesù nei riguardi dei suoi fedeli. Ogni uomo, dunque è nelle mani di Dio, quelle mani che lo hanno fatto e plasmato, come canta il Salmista (V. Sal 118), quelle mani forti e sicure che guidano e proteggono, quelle mani pronte ad accogliere, anche, i figli che si allontanano e ritornano pentiti; quelle mani tenere, come quelle di una madre, che accarezzano e confortano, che, come leggiamo nel libro dell’Apocalisse, asciugheranno ogni lacrima, quando, superato il tempo, saremo davanti a Dio.
“Io e il Padre siamo una cosa sola”. Gesù affermando: “Io e il Padre siamo una cosa sola” vuole sottolineare che in effetti il Padre e Lui sono una cosa sola
Oggi Gesù ha bisogno di persone per portare la salvezza sino ai confini della terra. Ha bisogno di persone che con la loro esistenza totalmente consacrata a Lui sappiano annunciare il futuro di felicità che ci attende. Ognuno, in qualunque stato di vita, ha la sua chiamata specifica a essere “testimoni del Suo Amore”, cioè responsabile del servizio che fanno. . E' questo il significato della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. Il Papa sottolinea appunto, nel suo messaggio, la preghiera insistente e fervorosa al "Padrone della messe perché mandi operai".

*****

“Nel Vangelo di oggi Gesù si presenta come il vero Pastore del popolo di Dio. Egli parla del rapporto che lo lega alle pecore del gregge, cioè ai suoi discepoli, e insiste sul fatto che è un rapporto di conoscenza reciproca. «Le mie pecore – dice – ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute». Leggendo attentamente questa frase, vediamo che l’opera di Gesù si esplica in alcune azioni: Gesù parla, Gesù conosce, Gesù dà la vita eterna, Gesù custodisce.
Il Buon Pastore – Gesù – è attento a ciascuno di noi, ci cerca e ci ama, rivolgendoci la sua parola, conoscendo in profondità i nostri cuori, i nostri desideri e le nostre speranze, come anche i nostri fallimenti e le nostre delusioni. Ci accoglie e ci ama così come siamo, con i nostri pregi e i nostri difetti. Per ciascuno di noi Egli “dà la vita eterna”: ci offre cioè la possibilità di vivere una vita piena, senza fine. Inoltre, ci custodisce e ci guida con amore, aiutandoci ad attraversare i sentieri impervi e le strade talvolta rischiose che si presentano nel cammino della vita.
Ai verbi e ai gesti che descrivono il modo in cui Gesù, il Buon Pastore, si relaziona con noi, fanno riscontro i verbi che riguardano le pecore, cioè noi: «ascoltano la mia voce», «mi seguono». Sono azioni che mostrano in che modo noi dobbiamo corrispondere agli atteggiamenti teneri e premurosi del Signore. Ascoltare e riconoscere la sua voce, infatti, implica intimità con Lui, che si consolida nella preghiera, nell’incontro cuore a cuore con il divino Maestro e Pastore delle nostre anime. Questa intimità con Gesù, questo essere aperto, parlare con Gesù, rafforza in noi il desiderio di seguirlo, uscendo dal labirinto dei percorsi sbagliati, abbandonando i comportamenti egoistici, per incamminarci sulle strade nuove della fraternità e del dono di noi stessi, ad imitazione di Lui.
Non dimentichiamo che Gesù è l’unico Pastore che ci parla, ci conosce, ci dà la vita eterna e ci custodisce. Noi siamo l’unico gregge e dobbiamo solo sforzarci di ascoltare la sua voce, mentre con amore Egli scruta la sincerità dei nostri cuori. E da questa continua intimità con il nostro Pastore, da questo colloquio con Lui, scaturisce la gioia di seguirlo lasciandoci condurre alla pienezza della vita eterna.
Ci rivolgiamo ora a Maria, Madre di Cristo Buon Pastore. Lei, che ha risposto prontamente alla chiamata di Dio, aiuti in particolare quanti sono chiamati al sacerdozio e alla vita consacrata ad accogliere con gioia e disponibilità l’invito di Cristo ad essere suoi più diretti collaboratori nell’annuncio del Vangelo e nel servizio del Regno di Dio in questo nostro tempo.”

Papa Francesco Parte dell’Angelus del 12 maggio 2019

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

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Titolo presbiterale: Card. Polycarp PENGO
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