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Nov 11, 2022

XXXIII Domenica - Anno C - "Il giorno del Signore" - 13 novembre 2022

Nella penultima domenica dell’anno liturgico, le letture che abbiamo ci portano ad orientare il nostro sguardo verso il futuro, sulla fine del mondo e sul destino dell’uomo oltre la morte. Questo non per spaventarci, ma per mostrarci come vivere bene il presente illuminato dalla speranza che alla fine il bene vincerà sul male.
Nella prima lettura, il profeta Malachìa, annuncia, a nome di Dio, che il fuoco distruggerà “i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia” ma subito dopo assicura che “sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia” per coloro che temono il suo nome.
Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo, continuando la sua seconda lettera ai Tessalonicesi, mette sotto accusa gli oziosi che vivono disordinatamente “senza far nulla e in continua agitazione”. In modo perentorio l’apostolo sentenzia: “Chi non vuole lavorare neppure mangi”. L’uomo di fede deve prepararsi alla vita ultraterrena “lavorando in pace” operando con buona volontà e carità in vita, interpretando la giustizia tra gli uomini per meritare la giustizia salvifica di Dio.
Nel Vangelo di Luca, Gesù prefigura la distruzione di Gerusalemme e la persecuzione dei cristiani, ma contemporaneamente rassicura sul fatto che il bene prevarrà sul male.
Quella di oggi è una liturgia di tensione, destinata a scuotere le coscienze, ma non a terrorizzarle. Cristo, diversamente da quanto predicano certe sètte apocalittiche contemporanee, come i Testimoni di Geova, non si è particolarmente interessato alla fine del mondo, che resta un mistero nascosto nella mente di Dio: “Quanto poi a quel giorno o a quell’ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre”.(Mc 13,32) Nei momenti di oscurità e di tribolazione ci devono sostenere le parole di Gesù: “nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”

Dal libro del profeta Malachia
“Ecco, sta per venire il giorno rovente come un forno. Allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia;
quel giorno venendo,li brucerà - dice il Signore degli eserciti – fino a non lasciar loro né radice né germoglio. Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia”.
Mal 3,19-20

Malachìa è l’ultimo dei profeti minori dell’A.T., che gli ebrei chiamano per questo “Sigillo dei profeti”. Del profeta Malachìa, il cui nome o pseudonimo in ebraico è tutto un programma, “messaggero del Signore”, si sa solo che era della tribù di Zabulon e nacque a Sofa, in Palestina. Visse certamente dopo l’esilio babilonese (538 a.C.), durante la dominazione persiana, tuttavia non si può determinare con certezza se le sue profezie siano anteriori, contemporanee o posteriori al ritorno di Esdra in Palestina (sommo sacerdote ebreo, codificatore del giudaismo, V-IV secolo a.C.).
Nel libro di Malachìa, è notevolmente diffuso il senso dell’immutabile giustizia di Dio e dell’universalità della vera religione. Tratta dei problemi morali relativi alla comunità ebraica dopo la prigionia babilonese e mette in evidenza che “l’elezione” d’Israele non è solo un privilegio onorifico di Dio, ma comporta degli obblighi, come ogni dono divino. Per questo il suo tono è molto intransigente nei confronti dei sacerdoti che trascurano e offendono la dignità di Iahweh e del culto a Lui dovuto. Malachìa condanna il malcostume, i matrimoni misti, difende la indissolubilità del matrimonio e termina con una visione escatologica che anticipa la venuta del messaggero di Dio, che farà una cernita dei buoni nel suo popolo. I Padri della Chiesa sono concordi nel vedere in Malachìa il preannunzio profetico del sacrificio della Messa, con Gerusalemme che perde il titolo di “luogo dove bisogna adorare”, e Gesù che istituisce il rito eucaristico per tutta l’umanità.
Questo brano, che è la parte conclusiva del libro, ed anche la pagina che chiude l'Antico Testamento, ci invita a fissare lo sguardo in quel giorno, il giorno del Signore. Malachìa propone due immagini, la prima negativo
“Ecco, sta per venire il giorno rovente come un forno. Allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia; quel giorno venendo, li brucerà - dice il Signore degli eserciti – fino a non lasciar loro né radice né germoglio” il giorno del giudizio, è richiamato dall'immagine del fuoco, che purifica e consuma. Di tale sorte saranno condannati gli empi, i presuntuosi, come "paglia nel fuoco" senza speranza perché non lascerà loro «né radice né germoglio".
La seconda positiva «Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia”.
Il giorno del Signore qui viene presentato come evento di salvezza, nonostante le molte tribolazioni da affrontare, e paragonato a "un sole di giustizia che sorge con raggi benefici", espressione ripresa nel cantico di Zaccaria, riferito a Cristo come salvatore degli uomini.
La profezia di Malachìa risulta anche oggi più che mai attuale. Viviamo in tempi in cui quello che più conta sembra essere l'emergere, avere il potere, il successo. La parola del profeta invita Israele e noi oggi, a ritrovare la speranza perché Dio è il Signore della storia e il Suo intervento è sicuro, ma non è secondo i nostri schemi, perché dobbiamo tenere sempre in mente che le vie del Signore non sono le nostre vie, i Suoi pensieri non sono i nostri pensieri (Is.55). Occorre perciò che noi facciamo la nostra parte, tenendo sempre viva la fiducia in Dio.
L’immagine del «giorno del Signore» era stata immortalata dal profeta Amos, nell'VIII secolo a.C, che l’aveva sceneggiata in un quadretto di estrema densità e tensione «Che sarà per voi il giorno del Signore? Sarà tenebre e non luce. Come quando uno fugge davanti al leone e s’imbatte in un orso; entra in casa, appoggia la mano sul muro e un serpente lo morde. (5,18-20). Il giorno del Signore è quindi inevitabile; è il punto della storia in cui Dio entra in scena in modo decisivo e inaugura il suo regno di giustizia e di pace. In quel ”giorno” le strutture attuali che vedono vincenti i ricchi, i gaudenti, i prepotenti e gli ingiusti saranno ribaltate e sorgerà un’alba di speranza e di liberazione per gli oppressi, i sofferenti e i perseguitati.

Salmo 97 - Il Signore giudicherà il mondo con giustizia.
Cantate inni al Signore con la cetra,
con la cetra e al suono di strumenti a corde;
con le trombe e al suono del corno
acclamate davanti al re, il Signore.

Risuoni il mare e quanto racchiude,
il mondo e i suoi abitanti.
I fiumi battano le mani,
esultino insieme le montagne
davanti al Signore che viene
a giudicare la terra.

Giudicherà il mondo con giustizia
e i popoli con rettitudine.

Il tempo della composizione di questo salmo è probabilmente quello del postesilio. Il motivo del suo invito ad un “canto nuovo” non è però ristretto al solo ritorno dall'esilio, ma nasce da tutti gli interventi di Dio per la liberazione di Israele dagli oppressori e dai nemici.
E' Dio stesso che, come prode guerriero, ha vinto i suoi nemici, che sono gli stessi nemici di Israele: “Gli ha dato vittoria la sua destra”.
Il “canto nuovo” celebra le “meraviglie” di Dio, tuttavia è aperto al futuro messianico, che abbraccerà tutti i popoli.
“La sua salvezza”, mostrata ai popoli per mezzo di Israele, ridonda già su di loro: “Tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio”. Il Signore è colui che viene, che viene costantemente a giudicare la terra; e che verrà nel futuro per mezzo dell'azione del Messia, al quale darà il potere di giudicare nell'ultimo giorno la terra: “Giudicherà il mondo con giustizia e i popoli con rettitudine”.
Ogni episodio di liberazione il salmo lo vede come preparazione della diffusione a tutte le genti della salvezza del Signore. E' una salvezza universale che tocca anche il creato, che deve fremere di fronte agli eventi finali che lo sconvolgeranno: “Frema il mare...”; ma anche esultare, perché sarà sottratto dalla caducità introdotta da Adamo (Cf. Rm 8,19): “I fiumi battano le mani, esultino insieme le montagne”.
Noi, in Cristo, recitiamo il salmo nell'avvento messianico. La salvezza di Dio, quella che ci libera dal peccato - male supremo - è quella donataci per mezzo di Cristo. La giustizia che si è mostrata a noi è Cristo, che per noi è morto e ci ha resi giusti davanti al Padre per mezzo del lavacro del suo sangue. Dio, è il Dio che viene (Cf. Ap 1,7; 4,8) per mezzo dell'azione dello Spirito Santo, che presenta Cristo, nostra salvezza e giustizia.
Commento tratto da “Perfetta Letizia”

Dalla seconda lettera di S.Paolo apostolo ai Tessalonicesi
Fratelli,sapete in che modo dovete prenderci a modello: noi infatti non siamo rimasti oziosi in mezzo a voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi.
Non che non ne avessimo diritto, ma per darci a voi come modello da imitare. E infatti quando eravamo presso di voi, vi abbiamo sempre dato questa regola: chi non vuole lavorare, neppure mangi.
Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono una vita disordinata, senza far nulla e sempre in agitazione. A questi tali, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità.
2Ts 3:7-12

Paolo quasi al termine della sua seconda lettera ai Tessalonicesi, dà spazio a un’ultima raccomandazione. Egli inizia portando se stesso come modello da imitare: “non siamo rimasti oziosi in mezzo a voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi.”
Commenta poi che ha lavorato non perché non fosse suo diritto farsi sostenere dalla comunità, ma perché voleva dar loro un esempio da imitare. Dopo questa premessa ricorda la regola che aveva dato: “chi non vuole lavorare, neppure mangi” e continua dicendo: “Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono una vita disordinata, senza far nulla e sempre in agitazione.”
Probabilmente il comportamento di queste persone era il risultato di quella tensione determinata dal fatto che il Signore non era ritornato e non si pensava più che ciò avvenisse a breve scadenza, per cui non si trattava di un semplice ozio, ma di un atteggiamento basato su una motivazione religiosa.
A coloro che hanno ceduto a questa tentazione egli ordina: “esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità”.
L’esempio di Paolo e la sua parola autorevole vengono fatti valere per affermare che nessuno deve farsi mantenere a spese della comunità.
Nei versetti seguenti, che non sono riportati nel brano, l’esortazione ha un ulteriore sviluppo. Se qualcuno non obbedisce a questa direttiva bisogna intervenire, interrompendo i rapporti con lui, cioè non provvedendogli più l’assistenza che esige dagli altri, non si deve comunque trattarlo come un nemico, ma ammonirlo come un fratello. Tutta la comunità quindi è coinvolta nel compito di aiutare i singoli membri a vivere in modo conforme all’insegnamento di Paolo.
Ogni comunità deve difendersi dal male, e come sempre capita ed è capitato, il male peggiore non è quello che viene dall’esterno, ma quello che corrode la comunità dall’interno. L’insegnamento che Paolo ci lascia è che il cristiano deve vivere serenamente, non deve mangiare gratuitamente il pane, non deve vivere alle spalle degli altri, ma cercare di adempiere con coscienza retta tutti i doveri terreni personali e sociali.

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: “Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”. Gli domandarono: “Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere? “.
Rispose: “Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: "Sono io " e: "Il tempo è vicino"; non andate dietro a loro!. Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine”. Poi diceva loro: “Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagòghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome.
Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicchè tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”.
Lc 21, 5-19

Luca riporta questo ultimo discorso di Gesù, che secondo i sinottici, tiene alla vigilia della Sua morte. Poco prima c’era stato l’episodio della vedova che davanti al tempio, dona i suoi spiccioli, e Gesù dice di lei che nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere.
Questo discorso di Gesù viene chiamato escatologico e come in Marco, c’è un riferimento alla distruzione di Gerusalemme, avvenuta nel 70 d.C., con la descrizione della fine dei tempi.
Nel brano leggiamo che Gesù si trovava ancora nel tempio, dove si erano svolte le dispute con i diversi gruppi dei giudei, e sentendo che alcuni di mezzo al popolo ammiravano la bellezza della costruzione del tempio così caro al cuore di ogni ebreo, Gesù fa una dichiarazione sconcertante e scandalosa : "Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”. Questa affermazione deve aver procurato una certa impressione perché alcuni dei presenti gli chiedono: “Maestro, quando accadranno queste cose e quale sarà il segno che ciò sta per avvenire?” Essi sono preoccupati del “quando “ e del “come“, quasi per riuscire a sottrarsi con uno stratagemma dell’intelligenza e dell’astuzia umana dal giudizio divino. Ma la banalità di questa curiosità è subito liquidata da Gesù a cui non interessa fare previsioni sul futuro quanto piuttosto orientare chi lo ascolta verso un atteggiamento esistenziale di impegno e di speranza. Come in Marco, anche in Luca, Gesù passa a indicare i segni premonitori della distruzione di Gerusalemme. Anzitutto parla di avvenimenti riguardanti la comunità dei discepoli: “Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: "Sono io " e: "Il tempo è vicino"; non andate dietro a loro!”.
“Non lasciatevi ingannare,” ecco la prima esortazione di Gesù, Egli non intende parlare dei segni, ma esortare alla fiducia. Sicuramente questi falsi profeti, dai quali Gesù mette in guardia, saranno stati coloro che all'interno delle prime comunità cristiane si erano messi ad annunciare una fine del mondo imminente. Il periodo storico immediatamente precedente la caduta di Gerusalemme, sia per la comunità cristiana sia in Palestina, era segnato da una forte tensione e Luca vuole scoraggiare una visione errata degli avvenimenti.
Poi Gesù prosegue: “Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine”. Qui c’è una seconda esortazione, relativa al tema classico della guerra e in questa Luca inserisce una prospettiva storica (con l'utilizzo di espressioni temporali: “prima …e non è subito la fine”) per riaffermare quanto appena detto. Le guerre, i disordini, le rivoluzioni appartengono alla storia e non sono segni della prossimità della fine del mondo, per questo dice: ”non è subito la fine”. In quegli anni infatti, mentre la Palestina era sconvolta dalla guerra giudaica e dai disordini civili che la accompagnavano, anche Roma era segnata da disordini con Galba, Otone e Vitellio (68-69 d.C.).
Poi Gesù continua dicendo : “Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo”.
Luca sembra voglia distinguere i fatti storici ricorrenti che vivono i suoi lettori, dai segni politici, naturali e cosmici che preludono la parusia e ricorre ad espressioni apocalittici, eventi catastrofici come la guerra, la carestia, la peste. (Come è attuale questo profezia, potremo anche riconoscerla in questi ultimi eventi che stiamo vivendo) Inserisce poi il tema della testimonianza e il testo si trasforma in una profezia circa le persecuzioni cui saranno sottoposti i credenti: “Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza”.
Le persecuzioni che ci furono, sia da parte dei Giudei che dei pagani, non sono segni premonitori della fine dei tempi, ma appartengono alla storia della Chiesa di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Di questo Luca ne parla anche negli Atti (4,3; 5,18; 6,12; ecc.), perché la persecuzione fa parte della sequela e un invito a portare la propria croce, come Gesù aveva già detto in un'altra occasione.
Di fronte ai loro persecutori i cristiani non dovranno però preoccuparsi perché Gesù su questo dice : “Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere” perché sarà Gesù stesso a dar loro una sapienza a cui i loro avversari non potranno ribattere.
Alla persecuzione da parte di estranei si aggiungerà l’opposizione dei propri cari, ed anche questo Gesù lo dice: “Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome”. C’è così da mettere in conto anche il tradimento da parte dei propri parenti, genitori e fratelli, magari persone che condividono la stessa fede. La persecuzione sarà accompagnata da sentimenti di odio generalizzato, di cui è causa il nome di Gesù.
Il brano termina con due detti di incoraggiamento e di conforto: “Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.” La “perseveranza” è un termine che evoca tutta la forza necessaria per affrontare le prove quotidiane che si incontrano sempre nella vita, ma nello stesso tempo fa pensare alla speranza in Colui che ti conta anche i capelli in capo.
“Con la vostra perseveranza salverete le vostra vita”, ed è come dire “salverete la vostra anima”. La vita si salva non nel disimpegno ma nel tenace, umile, quotidiano lavoro che si prende cura della terra e delle sue ferite, senza cedere né allo scoraggiamento né alle seduzioni dei falsi profeti. Questo è importante perché Gesù nel vangelo sembra riconoscere alla perseveranza che noi avremo tenuto, non una salvezza avuta come pacco dono, ma una salvezza di cui Lui ci rende partecipi e protagonisti.

 

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Signore Gesù nei momenti della prova

quando sentimenti di angoscia,

spavento, insicurezza, sfiducia,

prevalgono in me, aiutami a leggere la

storia della mia vita alla luce di Te,

mio Dio, mio Amore, e mio Salvatore.

Ripetimi, quando la sofferenza

quotidiana sembra prevalere:

Io sono con te tutti i giorni fino alla

fine dei tempi!

 

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“Il Vangelo di questa penultima domenica dell’anno liturgico, ci presenta il discorso di Gesù sulla fine dei tempi.
Gesù lo pronuncia davanti al tempio di Gerusalemme, edificio ammirato dalla gente a motivo della sua imponenza e del suo splendore. Ma Egli profetizza che di tutta quella bellezza del tempio, quella grandiosità «non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta» . La distruzione del tempio preannunciata da Gesù è figura non tanto della fine della storia, quanto del fine della storia. Infatti, di fronte agli ascoltatori che vogliono sapere come e quando accadranno questi segni, Gesù risponde con il tipico linguaggio apocalittico della Bibbia.
Usa due immagini apparentemente contrastanti: la prima è una serie di eventi paurosi: catastrofi, guerre, carestie, sommosse e persecuzioni (vv. 9-12); l’altra è rassicurante: «Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto» . Dapprima c’è uno sguardo realistico sulla storia, segnata da calamità e anche da violenze, da traumi che feriscono il creato, nostra casa comune, e anche la famiglia umana che vi abita, e la stessa comunità cristiana. Pensiamo a tante guerre di oggi, a tante calamità di oggi. La seconda immagine – racchiusa nella rassicurazione di Gesù – ci dice l’atteggiamento che deve assumere il cristiano nel vivere questa storia, caratterizzata da violenza e avversità.
E qual è l’atteggiamento del cristiano? È l’atteggiamento della speranza in Dio, che consente di non lasciarsi abbattere dai tragici eventi. Anzi, essi sono «occasione di dare testimonianza» (v. 13). I discepoli di Cristo non possono restare schiavi di paure e angosce; sono chiamati invece ad abitare la storia, ad arginare la forza distruttrice del male, con la certezza che ad accompagnare la sua azione di bene c’è sempre la provvida e rassicurante tenerezza del Signore. Questo è il segno eloquente che il Regno di Dio viene a noi, cioè che si sta avvicinando la realizzazione del mondo come Dio lo vuole. È Lui, il Signore, che conduce la nostra esistenza e conosce il fine ultimo delle cose e degli eventi.
Il Signore ci chiama a collaborare alla costruzione della storia, diventando, insieme a Lui, operatori di pace e testimoni della speranza in un futuro di salvezza e di risurrezione. La fede ci fa camminare con Gesù sulle strade tante volte tortuose di questo mondo, nella certezza che la forza del suo Spirito piegherà le forze del male, sottoponendole al potere dell’amore di Dio. L’amore è superiore, l’amore è più potente, perché è Dio: Dio è amore. Ci sono di esempio i martiri cristiani – i nostri martiri, anche dei nostri tempi, che sono di più di quelli degli inizi – i quali, nonostante le persecuzioni, sono uomini e donne di pace. Essi ci consegnano una eredità da custodire e imitare: il Vangelo dell’amore e della misericordia. Questo è il tesoro più prezioso che ci è stato donato e la testimonianza più efficace che possiamo dare ai nostri contemporanei, rispondendo all’odio con l’amore, all’offesa con il perdono. Anche nella vita quotidiana: quando noi riceviamo un’offesa, sentiamo dolore; ma bisogna perdonare di cuore. Quando noi ci sentiamo odiati, pregare con amore per la persona che ci odia.
La Vergine Maria sostenga, con la sua materna intercessione, il nostro cammino di fede quotidiano, alla sequela del Signore che guida la storia.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 17 novembre 2019

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

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