1. Mercoledì 27 febbraio alle ore 19,10 nella sala P. Luciano ci sarà la riunione del Consiglio Pastorale Parrocchiale. Da ogni gruppo si chiede la presenza di 2 persone. Chi vuole nel futuro collaborare nelle attività parrocchiali può anche partecipare.
2. Il 10 marzo il Superiore Provinciale della Provincia ltaliana dei Missionari della Salette P. Gian Matteo Roggio m.s. celebrerà la S. Messa di ringraziamento alle ore 10,00 nel 25° Anniversario dell’ordinazione sacerdotale.
Si organizza il pranzo comunitario, chi vuole partecipare deve iscriversi nell'ufficio parrocchiale entro giovedì 28 febbraio.
3. Il 16 e 17 marzo inizia il corso prematrimoniale. Bisogna iscriversi nell'ufficio parrocchiale.
4. Da lunedì a venerdì dalle ore 9,30 alle 11,45 nella cappella piccola c'è l'adorazione eucaristica silenziosa.
Le letture che la liturgia di questa domenica ci propone, hanno come tema l’amore senza misura verso tutti e nonostante tutto. L’amore per i nemici così umanamente difficile, sgorga dalla paternità universale di Dio e si dove concretizzare nei gesti della nostra vita quotidiana e nel nostro comportamento.
Nella prima lettura, tratta dal libro di Samuele leggiamo che Davide rinunzia a vendicarsi di Saul, che pure cercava di farlo morire. Davide preferisce rimettere a Dio, che è fedele con chi compie il bene, ogni giudizio.
Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo continuando la sua lettera ai Corinzi, stabilisce un confronto tra Cristo e Adamo. Il primo Adamo, dà origine a una discendenza terrena e mortale, l’ultimo Adamo, cioè Cristo, è capostipite di una nuova umanità, redenta dal peccato e dalla morte ,
Il Vangelo di Luca ci presenta le prime parole di un discorso di Gesù (simile al “Discorso
della montagna dell’evangelista Matteo), che insistono sulla legge della carità, amore per i nemici, aiuto scambievole, perdono delle offese. Gesù spazza via tutti i limiti e ci chiede di far saltare l’ingranaggio dei conflitti e degli odi. L’amore gratuito è senza frontiere, come quello di Dio e di Gesù, che sulla croce ce ne ha dato l’esempio.
Dal primo libro di Samuele
In quei giorni, Saul si mosse e scese nel deserto di Zif, conducendo con sé tremila uomini scelti d’Israele, per ricercare Davide nel deserto di Zif.
Davide e Abisài scesero tra quella gente di notte, ed ecco Saul dormiva profondamente tra i carriaggi e la sua lancia era infissa a terra presso il suo capo, mentre Abner con la truppa dormiva all’intorno. Abisài disse a Davide: «Oggi Dio ti ha messo nelle mani il tuo nemico. Lascia dunque che io l’inchiodi a terra con la lancia in un sol colpo e non aggiungerò il secondo». Ma Davide disse ad Abisài: «Non ucciderlo! Chi mai ha messo la mano sul consacrato del Signore ed è rimasto impunito?».
Davide portò via la lancia e la brocca dell’acqua che era presso il capo di Saul e tutti e due se ne andarono; nessuno vide, nessuno se ne accorse, nessuno si svegliò: tutti dormivano, perché era venuto su di loro un torpore mandato dal Signore.
Davide passò dall’altro lato e si fermò lontano sulla cima del monte; vi era una grande distanza tra loro.
E Davide gridò: «Ecco la lancia del re: passi qui uno dei servitori e la prenda! Il Signore renderà a ciascuno secondo la sua giustizia e la sua fedeltà, dal momento che oggi il Signore ti aveva messo nelle mie mani e non ho voluto stendere la mano sul consacrato del Signore.
1 Sam 26,2.7-9.12-13.22.23
Il Libro di Samuele, diviso in due parti solo perchè era troppo lungo (31 capitoli il primo e 24 capitoli il secondo) nella traduzione greca detta dei settanta (LXX) furono uniti ai due libri dei Re, e tutti e quattro furono chiamati “libri dei Regni”.
Sono stati scritti in ebraico e secondo molti studiosi, la loro redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte.
Sia i libri di Samuele che quelli dei Re hanno come unico progetto, quello di tratteggiare la vicenda storica di Israele dalla fine dell'epoca dei Giudici fino alla fine della monarchia con l'invasione babilonese di Nabucodonosor: un arco di tempo che comprende ben sei secoli.
Il primo libro, da cui questo brano viene tratto, descrive l'abbandono dell'ordinamento giuridico dei Giudici, con cui spesso le tribù si governavano in modo indipendente l'una dall'altra, e la storia di due personaggi: il profeta Samuele e Saul, il primo re d’Israele ma anche l’ingresso nella narrazione di quello che sarà il re più importante del Regno a cui è dedicato tutto il secondo libro di Samuele: Davide.
In questo brano, ci viene narrato un episodio della vita di Davide , che spiega bene il pensiero centrale del Vangelo: l’amore dei nemici, manifestato nel perdono.
“Saul si era mosso, conducendo con sé tremila uomini scelti d’Israele, per ricercare Davide nel deserto di Zif.”
Davide, perseguitato a morte dall'invidioso re Saul, insieme ad Abisai (suo nipote) scesero tra quella gente di notte, ed arrivarono sino alla tenda di Saul che “dormiva profondamente tra i carriaggi e la sua lancia era infissa a terra presso il suo capo, mentre Abner con la truppa dormiva all’intorno”.
Davide, consigliato da Abisai, avrebbe avuto la possibilità di uccidere Saul ma non lo fa perchè vede nel re il rappresentante di Dio, il Suo consacrato. Dice infatti al fedele Abisai “Non ucciderlo! Chi mai ha messo la mano sul consacrato del Signore ed è rimasto impunito?”.
Si limita a prendere degli oggetti (la lancia e la brocca dell’acqua che era presso il capo di Saul) per dare poi dimostrazione di essere stato lì e della possibilità che aveva avuto di ucciderlo. Infatti dopo che era a debita distanza di sicurezza da Saul gridò “Ecco la lancia del re: passi qui uno dei servitori e la prenda! Il Signore renderà a ciascuno secondo la sua giustizia e la sua fedeltà, dal momento che oggi il Signore ti aveva messo nelle mie mani e non ho voluto stendere la mano sul consacrato del Signore.
Davide preferisce in quel modo rimettere a Dio, che è fedele con chi compie il bene, ogni giudizio. Così diventa in un certo senso la figura di Cristo che è modello di amore per i nemici.
Salmo 102 - Il Signore è buono e grande nell’amore.
Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici.
Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia.
Come dista l’oriente dall’occidente,
così egli allontana da noi le nostre colpe.
Come un padre ha pietà dei suoi figli,
così il Signore ha pietà di quanti lo temono.
La critica è incline a datare la composizione di questo salmo nel tardo postesilio.
Il salmista esorta se stesso a benedire il Signore, e a non “dimenticare tutti i suoi benefici”. Questo ricordare è importantissimo nei momenti dolorosi per non cadere nello scoraggiamento e al contrario stabilirsi in una grande fiducia in Dio. Il salmista non presenta grandi tormenti storici della nazione; pare di poter indovinare normalità di vita attorno a lui. Egli si presenta a Dio come colpevole di numerose mancanze, ma ha sperimentato la misericordia di Dio, che lo ha salvato da angosce e anche probabilmente da una malattia grave: “Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità; salva dalla fossa la tua vita”.
Il salmista non cessa di celebrare la bontà, la giustizia di Dio, e prova una grande dolcezza nel fare questo: una dolcezza pacificante: “Ti circonda di bontà e di misericordia”.
Il salmista, fedele all'alleanza, loda Dio per la legge data per mezzo di Mosè: “Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie, le sue opere ai figli d'Israele ”. Ma Dio non ha dato a Mosè solo la legge, ha anche dato l'annuncio del Cristo futuro, dal quale abbiamo la grazia e la verità (Cf. Gv 1,17). La misericordia di Dio celebrata dal salmista si è manifestata per mezzo di Gesù Cristo.
Il salmista si sente sicuro, compreso da Dio, che agisce sul suo popolo con la premura di un padre verso i figli. Un padre che “ricorda che noi siamo polvere”, e che perciò pur rilevando le colpe è pronto a perdonare pienamente: “Non è in lite per sempre, non rimane adirato in eterno”.
L'alleanza osservata è fonte di bene, di unione con Dio. Egli effonde “la sua giustizia”, cioè la sua protezione dal male, sui “figli dei figli”.
Il salmista pieno di gioia conclude invitando tutti gli angeli a benedire Dio. Gli angeli non hanno bisogno di essere esortati a benedire Dio, ma certo possono essere invitati a rafforzare il nostro benedire Dio. Per una lode universale sono invitate a benedire Dio tutte le cose create (Cf. Ps 18,1s): “Benedite il Signore, voi tutte opere sue”.
Commento di P.Paolo Berti
Dalla prima lettera di S.Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita.
Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale.
Il primo uomo, tratto dalla terra, è fatto di terra; il secondo uomo viene dal cielo. Come è l’uomo terreno, così sono quelli di terra; e come è l’uomo celeste, così anche i celesti. E come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste.
1Cor 15, 45-49
Continuando la sua 1^ lettera ai Corinzi, nel capitolo 15, che abbiamo iniziato domenica scorsa, San Paolo in questo brano cerca di fissare un confronto tra Cristo e Adamo che da primo uomo ha dato origine ad una discendenza terrena e mortale, mentre l’ultimo Adamo, cioè Cristo è capostipite di una nuova umanità.
Con il primo versetto fa una citazione partendo dalla Genesi:
“il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente” cioè un essere dotato, per la sua psyche, di una vita puramente naturale, e sottoposto alle leggi del deperimento e della corruzione.
“ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita”.
In Cristo è stato raggiunto l'ideale umano più alto. In lui domina lo spirito potente ed immortale, che si comunica anche al corpo, perciò è “spirito datore di vita” non solo per se stesso, come lo ha mostrato nella Sua risurrezione, ma lo è per coloro che sono a Lui uniti e che saranno da Lui risuscitati
“Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale”.
secondo la legge che si osserva nelle opere di Dio, ciò che è meno perfetto precede quello che è più perfetto
“Il primo uomo, tratto dalla terra, è fatto di terra; il secondo uomo viene dal cielo.”
Il secondo uomo, cioè Gesù, è nato sì su questa terra, ed è vissuto ed è morto con un corpo terrestre, ma Egli è risorto, è salito alla destra di Dio e verrà ancora nella sua gloria, per trasfigurare il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso (Fil 3,21)
“Come è l’uomo terreno, così sono quelli di terra; e come è l’uomo celeste, così anche i celesti. E come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste.“
Mediante la nostra solidarietà con Adamo noi abbiamo ereditato la corruzione, ma per mezzo della nostra solidarietà con Cristo noi avremo la nostra vita indefettibile. Egli è ora l’uomo celeste e questo è il nostro destino: saremo come Lui, risorgeremo come Lui.
Nella lettera ai Romani Paolo lo ribadisce ancora” Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione” Rm6,5
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.
E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro.
Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano.
E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso.
E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto.
Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona,pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con a quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».
Lc 6, 26-38
Questo brano che la liturgia ci presenta è la seconda parte del “Discorso della Pianura”. Nella prima parte che abbiamo visto la domenica scorsa, Gesù si rivolge ai discepoli, in questa seconda parte, si rivolge “A voi che ascoltate “, cioè a quella moltitudine immensa di poveri e di malati, venuta da tutte le parti.
Le parole che rivolge a questa gente ed a tutti noi oggi sono esigenti e difficili, il suo è un lungo e ininterrotto canto di amore e di perdono:
“amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano,benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male”. Il cristiano autentico deve racchiudere in questo desiderio di bene tutti gli uomini giungendo anche ad un confine difficile da varcare, quello dei nemici. Deve sempre ricordare che questo è l’atteggiamento di Dio che, come dice il salmo 102 “Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, “ in Dio la giustizia è vinta dall’amore.
I versi seguenti aiutano a capire ciò che Gesù vuole insegnare.
”E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro”.
E’ la famosa Regola d’Oro per cercare di imitare Dio. E’ una regola questa che, se messa in pratica, basterebbe da sola a cambiare il volto della famiglia, della comunità e della società in cui viviamo. L’Antico Testamento, il libro di Tobia, la conosceva nella forma negativa “Non fare a nessuno ciò che non piace a te”(4,15). Gesù questo principio lo amplia sino al’infinito, lo estende anche sui nemici caricandolo di una forza inaudita e lo fa perchè vuole cambiare il sistema. La Novità che vuole costruire viene dalla nuova esperienza di Dio Padre pieno di tenerezza che accoglie tutti! Le parole di minaccia contro i ricchi non possono essere occasione di vendetta da parte dei poveri! Gesù esige l’atteggiamento contrario.
“Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi”. L’amore non può dipendere da ciò che ricevo dall’altro. L’amore vero deve volere il bene dell’altro, indipendentemente da ciò che l’altro fa per me. L’amore deve essere creativo, poiché così è l’amore di Dio per noi.
“Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso”. Matteo dice la stessa cosa con altre parole: “Siate perfetti come il Padre dei cieli è perfetto” (Mt 5,48). Mai nessuno potrà arrivare a dire: "Oggi sono stato perfetto come il Padre del cielo è perfetto! Sono stato misericordioso come il Padre dei cieli è misericordioso”. Staremo sempre al di sotto della misura che Gesù ha posto dinanzi a noi.
“Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona,pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con a quale misurate, sarà misurato a voi in cambio”. Sono quattro consigli: due in forma negativa: non condannare; e due in forma positiva: perdonare e dare in misura abbondante. Quando dice “e vi sarà dato”, Gesù allude al trattamento che Dio vuole avere con noi. Ma quando il nostro modo di trattare gli altri è meschino, Dio non può usare con noi la misura abbondante e straboccante che vorrebbe usare.
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Le Parole di Papa Francesco
Le beatitudini sono il programma di vita che ci propone Gesù
““Come si fa per diventare un buon cristiano?” Questa è la domanda che Papa Francesco si è posto ed ha rivolto ai partecipanti della Santa Messa in Casa Santa Marta oggi, lunedì 9 giugno 2014, spiegando poi, nel corso della riflessione, che la risposta a tale questione è semplice e la possiamo trovare nelle beatitudini, le quali sono “il programma di vita che ci propone Gesù; tanto semplice, ma tanto difficile“.
Il cammino delle beatitudini, ha spiegato il Pontefice, è complesso perché è un cammino contro corrente: “il mondo ci dice: la gioia, la felicità, il divertimento, quello è il bello della vita” ha detto “E ignora, guarda da un’altra parte, quando ci sono problemi di malattia, problemi di dolore nella famiglia“.
Perché questo? Perché sostanzialmente “il mondo non vuole piangere” quindi alla fin fine “preferisce ignorare le situazioni dolorose, coprirle. Soltanto la persona che vede le cose come sono, e piange nel suo cuore – ha quindi spiegato Bergoglio – è felice e sarà consolata” ma non nel modo terreno, perché “la consolazione di Gesù, non quella del mondo“.
Così Gesù, in “un mondo di guerre, un mondo dove dappertutto si litiga, dove dappertutto c’è l’odio” propone “niente guerre, niente odio, pace, mitezza” proclamando beati i miti; in un mondo dove “tutti siamo stati perdonati” dove tutti apparteniamo a un grande “esercito di perdonati” Gesù dice beati coloro che perdonano, che vanno “per questa strada del perdono“; ancora in un mondo dove “è tanto comune da noi essere operatori di guerre o almeno operatori di malintesi” Gesù dichiara beati gli operatori di pace e coloro che “hanno un cuore semplice, puro, senza sporcizie, un cuore che sa amare con quella purità tanto bella“.
Quelle di Gesù sono “poche parole, semplici parole, ma pratiche a tutti, perché il cristianesimo è una religione pratica: non è per pensarla, è per praticarla, per farla“!”
Parte dell’Omelia di Papa Francesco della S. Messa del 9 giugno 2014
Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
Ecco le nuove iniziative ripartite da qualche domenica nel nostro oratorio!! Vi aspettiamo per iscrivervi alla festa di carnevale e alla gara di torte.
Info alla mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. O ogni domenica dalle 11 alle 12.30.
Le letture liturgiche di questa domenica ci portano ad interrogarci su dove si fonda la nostra speranza, proponendoci due modi opposti di impostare la vita: possiamo confidare in noi stessi (e questo lo possiamo vedere nella prima lettura), condannandoci però ad una vita sterile; oppure possiamo riporre la nostra fiducia in Dio per essere come un albero che non smette di produrre frutti.
Nella prima lettura, il Profeta Geremia, ci invita ad avere più confidenza nelle cose divine che in quelle umane. Confidare nel Signore vuol dire ascoltare la Sua parola e farne regola della nostra vita.
Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo continuando la sua lettera ai Corinzi, ci dice che la risurrezione di Cristo è la garanzia della risurrezione di tutti gli uomini. e afferma che “se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede! ”
Nel Vangelo di Luca troviamo la celebre pagina evangelica delle Beatitudini, che ci parlano di una felicità che è generata dalla nostra relazione con Dio. Il messaggio delle Beatitudini è un appello sintetico e radicale rivolto a coloro che hanno già fatto la prima scelta per Gesù e per il Regno e che ora devono impostare la loro esistenza di creature nuove.
Dal libro del profeta Geremìa
Così dice il Signore:
«Maledetto l’uomo che confida nell’uomo,
e pone nella carne il suo sostegno,
allontanando il suo cuore dal Signore.
Sarà come un tamerisco nella steppa;
non vedrà venire il bene,dimorerà in luoghi aridi nel deserto,
in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere.
Benedetto l’uomo che confida nel Signore
e il Signore è la sua fiducia.
È come un albero piantato lungo un corso d’acqua,
verso la corrente stende le radici;
non teme quando viene il caldo,
le sue foglie rimangono verdi,
nell’anno della siccità non si dà pena,
non smette di produrre frutti.
Ger 17,5-8
Nel libro del profeta Geremia troviamo raccontata in modo autobiografico la sua vita. Sappiamo così che la sua chiamata avvenne intorno al 626 a.C. quando ancora era un ragazzo e desiderava sposarsi con la sua Giuditta, ma Dio stesso glielo proibisce, ed è per questo che è stato l’unico profeta celibe dell’A.T a differenza di tutti gli altri. Aveva un carattere mite e, all'inizio della sua missione, in cui era giovane inesperto, dovette affrontare il momento più difficile e decisivo della storia della nazione giudaica, quello che conduce all'esilio in Babilonia (587 a.C.). Egli tenta di tutto: scuote il torpore del popolo con una predicazione che chiede una radicale conversione; appoggia la riforma nazionalista e religiosa del re Giosia (622 a.C.); cerca di convincere tutti alla sottomissione al dominio di Babilonia dopo la morte del re (609 a.C.). Viene però accusato di pessimismo religioso e di disfattismo politico.
Geremia, profeta del dolore e della misericordia, che preannuncia più di ogni altro la figura di Gesù, rimane per il suo popolo, e per tutti i cristiani, un testimone della speranza. Egli è pure l’esempio di una incorruttibile fedeltà alla propria vocazione, qualunque siano le difficoltà.
In questo brano di stile sapienziale, Geremia invita ad avere più confidenza nelle cose divine che in quelle umane ed usa parole alquanto forti che colpiscono: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno,allontanando il suo cuore dal Signore. Sarà come un tamerisco nella steppa; non vedrà venire il bene,dimorerà in luoghi aridi nel deserto,in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere.”
Fa un quadro molto eloquente, parla di calura e di siccità, cita il tamarisco , che è un arbusto sterile e di nessun valore che cresce in luoghi aridi e da lui non sboccia nulla di buono.
Poi passa a descrivere il lato positivo dell’uomo che confida nel Signore, che trova eco nel salmo 1
Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso d’acqua,verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi,
nell’anno della siccità non si dà pena,non smette di produrre frutti.
Viene descritto l'effetto delle opere compiute con giustizia e con fiducia nel Signore. Per questo la benedizione dell'uomo che confida nel Signore viene opposta alla maledizione di chi si fida solo dell’ uomo e si allontana dalla via del Signore. Sottolinea in particolare il fatto che "confidare nel Signore" significa non solo mettere in pratica i suoi comandamenti, ma anche trovare in Lui la fonte di quell'acqua fresca e permanente che gli permette di "portare frutti" in qualsiasi stagione della vita. La persona che agisce in questo modo, allora, trova nella Legge del Signore anche la fonte di gioia, e non può fare a meno di meditarla, giorno e notte affidandosi pienamente a Colui che veglia sul suo cammino.
Per mettere in pratica noi oggi questo concetto dobbiamo cercare di capire cosa significa vivere, come dice Geremia, riponendo la fiducia nell’uomo, e cosa significa invece vivere per il regno di Dio riponendo la fiducia solo in Lui.
Salmo 1,1,4-6 Beato l’uomo che confida nel Signore
Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi,
non resta nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli arroganti,
ma nella legge del Signore trova la sua gioia,
la sua legge medita giorno e notte.
È come albero piantato lungo corsi d’acqua,
che dà frutto a suo tempo:
le sue foglie non appassiscono
e tutto quello che fa, riesce bene.
Non così, non così i malvagi,
ma come pula che il vento disperde;
poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti,
mentre la via dei malvagi va in rovina.
Il salterio comincia con un salmo che presenta la beatitudine di chi rimane fermo nella meditazione della legge e la mette in pratica. Ancorato all’osservanza della Parola di Dio, non si perde il vero credente ad ascoltare il consiglio degli empi, poiché la Parola è luce ai suoi passi. Egli medita la legge giorno e notte per poter affrontare le varie vicende della vita con rettitudine. La meditazione della Parola lo rende fecondo, al riparo dall’arsura e dai venti tempestosi delle prove. Gli empi, che sono coloro che fanno ostacolo con la loro sufficienza alla Parola, non avranno argomenti davanti al giudizio di Dio, e quali colpevoli verranno dispersi finiranno nella tomba della storia. Per quanto vorranno radicarsi all’interno dell’assemblea dei giusti per potere illudere gli inesperti della Parola, andranno ugualmente in rovina davanti al giudizio di Dio, poiché Dio nessuno lo può ingannare.
E’ un salmo che dona pace, invito alla perseveranza. Non andrà deluso chi medita la legge d’amore nella quale si riflette Dio, che è Amore. E la legge è stata portata a compimento da Cristo; e di più la nuova legge, che perfeziona l’antica, si trova in Cristo, nella sua vita, nei suoi gesti, nelle sue parole. Meditare la legge giorno e notte è meditare quanto ha fatto, detto Cristo; è desiderio di vivere Cristo nell’imitazione di lui. Chi medita Cristo di fronte ad un’azione da compiere non si pone precisamente la domanda: “Cosa farebbe Cristo”, quasi che considerasse Cristo essendo “esterno” a Cristo, ma trova la sua risposta da quello che ha fatto e detto Cristo, poiché egli è “in Cristo”. In lui c’è ogni luce e tesoro di sapienza su come essere graditi al Padre e su come essere aperti nella carità ai fratelli.
Meditare giorno e notte la legge non è opera di giurista, ma è l’opera d’amore che avviene nella comunione con Cristo
Commento di P.Paolo Berti
Dalla lettera di S.Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti?
Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati.
Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti.
Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini.
Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti.
1Cor15,12.16-20
Continuando la sua 1^ lettera ai Corinzi, nel capitolo 15, che abbiamo iniziato domenica scorsa, San Paolo in questo brano afferma che negare la risurrezione dei morti implica la negazione della risurrezione di Cristo e della veracità della testimonianza apostolica.
Il brano inizia con una domanda: “se si annuncia che Cristo è risorto dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non vi è risurrezione dei morti?”
La cultura greca aveva molte difficoltà ad ammettere la possibilità della risurrezione, ma anche fra i cristiani l’argomento della risurrezione incontrò molte difficoltà per superare i pregiudizi esistenti .
I membri del sinedrio di Gerusalemme condannavano e perseguitavano il messaggio cristiano e alcuni ateniesi all’areopàgo quando sentirono parlare di risurrezione di morti, avevano deriso Paolo. In tutti i tempi la superficiale ragione umana ,che misura la sapienza e la potenza di Dio alla propria stregua, ha sollevato le stesse obbiezioni contro alla dottrina della risurrezione dei corpi. Qui Paolo fa notare a quei cristiani che si lasciavano travolgere dall'incredulità del mondo, come la negazione della risurrezione in genere sia in contraddizione col fatto ben costatato della risurrezione di Cristo.
“Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto;”
È probabile che i sostenitori di questa teoria non si rendessero ben conto delle gravi conseguenze che ne sarebbero derivate, ecco perchè Paolo inizia con una supposizione molto forte.
“ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati.”
L'Apostolo adopera parole diverse per indicare la vanità della fede cristiana qualora non fosse risorto Cristo, la fede cristiana sarebbe senza fondamento e poggerebbe sul vuoto. Ma soprattutto sarebbe anche vana, in quanto non potrebbe condurre ad alcuno dei risultati promessi. Se Cristo non fosse risuscitato non avremmo più certezza alcuna che Dio abbia gradito il suo sacrificio quale espiazione dei nostri peccati e la tomba di Gesù rimasta chiusa starebbe ad indicare che anche Lui è rimasto preda della morte. Tolta dunque la risurrezione, crollerebbe la giustificazione dei peccatori ed essi sarebbero ancora nei loro peccati non espiati.
“Perciò anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini.”
Se tanti cristiani morti nella pace del Cristo in cui hanno creduto, se la loro fede è vana, sarebbero nella perdizione anziché nel riposo eterno e nella gloria di Dio. E non è pietosa soltanto la sorte di coloro che sono morti in Cristo, ma lo è anche quella di chi vive tuttora nella fede in Lui. Vale a dire, se, nel corso di questa vita terrena, abbiamo concentrato in Cristo la nostra unica speranza di futura felicità e gloria, se, in vista di questa speranza, fondata in Cristo, noi sopportiamo fatiche, derisioni e persecuzioni, noi siamo degni di compassione più degli altri uomini poiché se Cristo non è risuscitato, la nostra speranza non ha fondamento e noi sacrifichiamo affetti, fatiche, beni e vita per una pia illusione; mentre gli altri che vivono per le cose della terra, sono felici, senza farsi troppe illusioni .
“Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti.”
Dopo aver mostrato a quali terribili conseguenze conduce il falso principio che non c'è risurrezione di morti, Paolo ritorna sul terreno dei fatti che nessuna teoria vale a smuovere, e nel fatto ben provato della risurrezione e della susseguente esaltazione del Cristo, egli scorge la garanzia della finale vittoria dell'umanità redenta sulla morte.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù, disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone.
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete, perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come
infame, a causa del Figlio dell’uomo.
Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.
Lc 6,17.20-26
Dopo la chiamata dei primi discepoli, proposta la scorsa domenica, la liturgia ora ci presenta una pagina evangelica celebre, quella delle beatitudini nella versione di Luca , che a differenza di Matteo, le colloca in un luogo pianeggiante. All’origine di questo discorso, vera magna carta del cristianesimo, si può supporre che alla base ci sia un insieme di detti pronunciati da Gesù in diverse circostanze.
Il brano inizia presentando Gesù che disceso con loro si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone.
Oltre ai Dodici vediamo che c’è un gran numero dei discepoli di Gesù e una gran moltitudine di gente provenienti non solo da Gerusalemme ma anche dal litorale di Tiro e di Sidone.
“Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame,perché sarete saziati”.
Nel suo significato originario la parola “poveri” non contempla solo i mendicanti, ma anche gli anawîm, i trascurati, poveri accanto a gente ricca, gli oppressi. Sono loro i poveri reali che hanno fame e piangono. La loro beatitudine consiste nel fatto che Dio interviene in loro favore. A questi “poveri “ Gesù garantisce: “ Vostro è il Regno di Dio!". Si può notare che viene utilizzato un verbo al presente e ciò sta a significare che il Regno è già presente, che già appartiene loro. Quindi non una promessa che riguarda il futuro, ma un Regno che esiste già in mezzo ai poveri.
Il vangelo di Luca non parla della virtù della povertà, di una povertà scelta, liberamente per amore di Dio o per servizio agli altri, ma parla della povertà come una condizione di privazione. Possiamo allora chiederci perchè sono beati questo tipo di poveri? Semplicemente perché Dio è il loro difensore e dove si trova una condizione di miseria, di bisogno, Dio non rimane indifferente, ma risponde, è vicino e solidale. Quindi in questo senso Beati voi, poveri che sperimentate la debolezza, il bisogno, perché Dio – che regna – vi risponderà.
“Beati voi, che ora avete fame,perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete.”
La prima parte di questa espressione è al presente, la seconda al futuro e questo sta a significare che ciò che ora viviamo e soffriamo non è definitivo. Ciò che è definitivo sarà il Regno che stiamo costruendo oggi con la forza dello Spirito di Gesù. Costruire il Regno suppone sofferenza e persecuzione, però una cosa è certa: il Regno giungerà e "voi sarete saziati e riderete!“. Nelle parole di questo versetto, possiamo pensare al Magnificat, il cantico di Maria: "Ha ricolmato di beni gli affamati" (Lc 1,53). è la realtà della vita che ci fa considerare la quotidianità come il luogo dove si costruisce la storia della salvezza.
“Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo.”
La quarta beatitudine è più articolata e si distacca dalle precedenti, in essa si dice esplicitamente che la sofferenza è causata per aver seguito il Figlio dell'uomo, ossia per la fede in Gesù, Questo versetto è al futuro e non riguarda tutti ma solo una categoria di persone: è la situazione dei primi credenti, ancora legati al mondo ebraico che però li osteggia per la loro adesione al messaggio di Cristo. I discepoli di Gesù condividono la condizione dei poveri, perché per essere fedeli a Lui si espongono all'insicurezza e all'emarginazione di un mondo che ragiona secondo altri criteri,
Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.”
L'invito alla gioia in questo versetto è intenso. Luca usa il verbo esultare (letteralmente saltellare), perché il tempo della prova dà la certezza di ricevere il dono dell'amore di Dio Padre, la grande ricompensa nel cielo.
Il riferimento alla persecuzione sofferta dai profeti è un'idea comune al tempo di Gesù e da Lui condivisa. Il Nuovo Testamento la riprende in diversi passi (cfr. Mc 6,4; Lc 11,47; At 7,51; 1Ts 2,15, ecc) e sebbene il testo si riferisca chiaramente alla situazione della Chiesa primitiva, non si esclude che Gesù abbia previsto l'opposizione che avrebbero incontrato gli apostoli (e di conseguenza tutti i discepoli) e l'abbia espressa con il tema del giusto perseguitato.
“Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che ora ridete,perché sarete nel dolore e piangerete.”
Luca costruisce i quattro guai sulla base delle precedenti beatitudini. La ricchezza è presentata come un rischio reale e pericoloso perché dà una falsa sicurezza; il ricco si sente autosufficiente e ritiene superfluo rivolgersi a Dio, non si cura dei bisogni dei poveri, e chiudendosi nell'egoismo, non pensa al suo destino eterno. Per questo i ricchi hanno già ricevuto quanto è loro dovuto e non si aspettano niente oltre la morte.
Per l'evangelista la ricchezza è un pericolo permanente per tutti; egli è preoccupato che il cuore delle persone si chiuda al dono di Dio, un dono che viene loro incontro nel vangelo di Gesù.
“Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.”
Quest’ultima minaccia si riferisce ai figli di coloro che nel passato elogiavano i falsi profeti e alcune autorità dei giudei usavano il loro prestigio e la loro autorità per criticare Gesù.
Per riassumere possiamo dire che Gesù nel Vangelo di Luca ribadisce: beati i poveri, perchè avranno il regno di Dio; beati coloro che hanno fame, perchè saranno saziati; beato chi piange perchè riderà; beato chi è perseguitato a causa di Cristo perchè sarà ricompensato in Cielo; e guai al ricco, che non avrà altra gioia, guai al sazio, che non potrà soddisfare altri desideri; guai a chi ride, perchè conoscerà solo l’afflizione; guai a chi è lodato, perchè circuito dall’adulazione, sarà vittima, della falsità.
Gesù non contrappone qui quattro maledizioni a quattro beatitudini: Gesù ricorda soltanto che la consolazione viene da Dio, che solo Dio realizza il riscatto dei poveri, degli emarginati, degli offesi, delle vittime: Gesù garantisce il riscatto del male in bene, perchè Gesù è il risorto, colui che ha riscattato anche la morte: per questo San Paolo afferma che “se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede” Ma Cristo è risorto, e la nostra fede è il fondamento della beatitudine, cioè della speranza.
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“Possiamo immaginare» ha affermato Francesco, in quale contesto Gesù ha pronunciato il discorso delle beatitudini, così come lo riporta Matteo nel suo Vangelo (5, 1-12). Ecco allora «Gesù, le folle, il monte, i discepoli». E «Gesù si mise a parlare e insegnava la nuova legge, che non cancella l’antica, perché lui stesso ha detto che fino all’ultima jota dell’antica legge dev’essere compiuta». In realtà Gesù «perfeziona l’antica legge, la porta alla sua pienezza». E «questa è la legge nuova, questa che noi chiamiamo le beatitudini». Sì, ha spiegato il Papa, «è la nuova legge del Signore per noi». Infatti le beatitudini «sono la guida di rotta, di itinerario, sono i navigatori della vita cristiana: proprio qui vediamo, su questa strada, secondo le indicazioni di questo navigatore, come possiamo andare avanti nella nostra vita cristiana».
Nelle beatitudini, ha fatto notare Francesco, «ci sono tante cose belle: possiamo fermarci in ognuna fino alle dieci del mattino». Ma «io vorrei soffermarmi su come l’evangelista Luca spiega questo». Rispetto al brano di Matteo proposto oggi dalla liturgia, ha affermato il Papa, Luca nel capitolo 6 del suo Vangelo «dice lo stesso, ma alla fine aggiunge qualcosa che Gesù ha detto: i quattro guai». Proprio «i quattro guai». E così ecco che anche Luca elenca quel «beati, beati, beati, beati tutti». Ma poi aggiunge «guai, guai, guai, guai».
Sono precisamente «quattro guai». E cioè: «Guai a voi ricchi, perché avete avuto la vostra consolazione; guai a voi se siete sazi, perché avrete fame; guai a voi che ridete: piangerete; guai a voi, quando tutti diranno bene di voi: così hanno fatto i vostri antenati con i falsi profeti». E «questi guai — ha proseguito il Papa — illuminano l’essenziale di questo foglio, di questa guida di cammino cristiano».
Il primo «guai» riguarda i ricchi. «Ho detto tante volte» ha ricordato Francesco, che «le ricchezze sono buone» e che «quello che fa male e che è cattivo è l’attaccamento alle ricchezze, guai!». La ricchezza infatti «è un’idolatria: quando io sono attaccato, allora faccio idolatria». Non è certo un caso se «la maggior parte degli idoli sono fatti d’oro». E così ci sono «quelli che si sentono felici, a loro non manca niente», hanno «un cuore soddisfatto, un cuore chiuso, senza orizzonti: ridono, sono sazi, non hanno fame di nulla». E poi ci sono «quelli a cui piace l’incenso: a loro piace che tutti parlino bene di loro e così sono tranquilli». Ma «“guai a voi” dice il Signore: questa è l’anti-legge, è il navigatore sbagliato».
È importante notare, ha proseguito il Papa, che «questi sono i tre scalini che portano alla perdizione, così come le beatitudini sono gli scalini che portano avanti nella vita». Il primo dei «tre scalini che portano alla perdizione» è, appunto, «l’attaccamento alle ricchezze», quando si avverte di non aver «bisogno di nulla». Il secondo è «la vanità», la ricerca «che tutti dicano bene di me, tutti parlino bene: mi sento importante, troppo incenso» e io alla fine «credo di essere giusto, non come quello» ha affermato Francesco, suggerendo di pensare «alla parabola del fariseo e il pubblicano: “Ti ringrazio perché non sono come questo”». Tanto che quando siamo presi dalla vanità si finisce persino per dire, e questo accade tutti i giorni, «grazie, Signore, che sono tanto un buon cattolico, non come il vicino, la vicina».
Il terzo è «l’orgoglio che è la sazietà», sono «le risate che chiudono il cuore». «Con questi tre scalini andiamo alla perdizione» ha spiegato il Papa, perché «sono le anti-beatitudini: l’attaccamento alle ricchezze, la vanità e l’orgoglio».
«Le beatitudini invece sono il cammino, sono la guida per il cammino che ci porta al regno di Dio» ha fatto presente Francesco. Tra tutte però «c’è una che, non dico sia la chiave, ma ci fa pensare tanto: “Beati i miti”». Proprio «la mitezza». Gesù «dice di se stesso: imparate da me che sono mite di cuore, che sono umile e mite di cuore». Dunque «la mitezza è un modo di essere che ci avvicina tanto a Gesù». Invece «l’atteggiamento contrario procura sempre le inimicizie, le guerre e tante cose cose brutte che succedono». Il Papa ha anche messo in guardia dal ritenere che «la mitezza di cuore» possa essere scambiata per «sciocchezza: no, è un’altra cosa, è la profondità nel capire la grandezza di Dio, e adorazione».
Prima di riprendere la celebrazione della messa, il Pontefice ha invitato a pensare alle «beatitudini che sono il biglietto, il foglio di guida della nostra vita, per non perdersi e non perderci». E «ci farà bene oggi leggerle: sono poche, cinque minuti, capitolo 5 di Matteo». Sì, ha proposto, «leggerle un pochettino, a casa, cinque minuti, ci farà bene» perché le beatitudini sono «il cammino, la guida». E pensare, poi, ha concluso, anche alle «quattro anti-beatitudini» riportate dall’evangelista Luca, quei quattro guai «che mi faranno sbagliare strada e finire male».”
Omelia di Papa Francesco S. Messa del 6 giugno 2016 Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
Le letture liturgiche di questa domenica portano alla nostra attenzione due racconti di vocazione: l’una profetica, l’altra apostolica, ma entrambe frutto dell’irruzione di Dio nella vita dell’uomo.
Nella prima lettura, Isaia, nello scenario grandioso del Tempio di Gerusalemme, riceve la rivelazione della grandezza di Dio e accetta l’invito di diventare Suo profeta.
Nella seconda lettura, nella sua lettera ai Corinzi Paolo espone una delle prime formulazioni della fede cristiana, la preghiera del “Credo”, usato nelle prime assemblee durante la celebrazione della “Cena del Signore”.
Nel brano del Vangelo, Luca racconta che dopo la pesca miracolosa, Pietro riconosce in Gesù il Messia e la propria condizione di peccatore. Gesù lo rincuora e lo chiama al suo seguito dicendogli: “Non temere, d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Luca, solo, tra tutti gli evangelisti, alla fine nota: “lasciarono tutto”. Queste due parole riassumono la risposta che quei semplici pescatori hanno dato alla chiamata di Dio. E’ stato indubbiamente un passo difficile da compiere, legati come si è da un insieme di interessi, di possessi e di affetti. Eppure, come i discepoli scopriranno, la vocazione è un “lasciare”, è un “perdere” piuttosto sorprendente perché poi essi “troveranno cento fratelli e sorelle” proprio in quegli uomini di cui essi saranno “pescatori”.
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Dal libro del profeta Isaia
Nell’anno in cui morì il re Ozìa, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali. Proclamavano l’uno all’altro, dicendo:
«Santo, santo, santo il Signore degli eserciti!
Tutta la terra è piena della sua gloria».
Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi:
«Ohimè! Io sono perduto,
perché un uomo dalle labbra impure io sono
e in mezzo a un popolo
dalle labbra impure io abito;
eppure i miei occhi hanno visto
il re, il Signore degli eserciti».
Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse:
«Ecco, questo ha toccato le tue labbra,
perciò è scomparsa la tua colpa
e il tuo peccato è espiato».
Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!».
Is 6,1-2a 3-8
Il profeta Isaia ( Primo Isaia autore dei capitoli 1-39) iniziò la sua opera pubblica verso la fine del regno di Ozia, re di Giuda, attorno al 740 a.C., quando l'intera regione siro-palestinese era minacciata dall'espansionismo assiro.
Isaia fu anche uno degli ispiratori della grande riforma religiosa avviata dal re Ezechia (715-687 a.C) che mise al bando le usanze idolatre e animiste che gli ebrei avevano adottato imitando i popoli vicini. Isaia si scagliò così contro i sacrifici umani (prevalentemente di bambini o ragazzi), i simboli sessuali, gli idoli di ogni forma e materiale.
Altro bersaglio della riforma, e delle invettive di Isaia, furono le forme cultuali puramente esteriori, ridotte quasi a pratiche magiche. In particolare, condannò senza mezzi termini il digiuno, le elemosine, le ricche offerte, quando non sono seguite da una condotta di vita moralmente corretta, dal rispetto verso il prossimo, dal soccorso alla vedova e all'orfano, dall'onestà nell'esercizio di cariche pubbliche.
Questo brano riporta la celebre visione che ebbe Isaia.
Nel tempio di Gerusalemme egli contempla" il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio.”. Fu un incontro inatteso e improvviso, che segnerà tutta la sua vita e la sua predicazione. Dio appare a Isaia come il Re in tutta la sua maestà, “Sopra di lui stavano dei serafini; (“angeli di fuoco, splendenti e ardenti"), ognuno aveva sei ali”. La scena solenne e gloriosa si apre quasi con una marcia reale. È l’inno in onore del Signore intonato dai serafini: "Santo, Santo, Santo è il Signore degli eserciti“.. Il loro canto esprime, in un giubilo senza fine, la realtà specifica di Dio: Colui che è "Santo" in modo esclusivo e intensissimo "Signore degli eserciti", cioè di tutte le potenze celesti e terrestri, cioè la sua grandezza suprema, il suo splendore invisibile ad occhio umano.
Nel contatto col Dio "santo“ Isaia avverte, con indescrivibile angoscia, la propria indegnità e si sente di dire: “Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito;eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti” .
Ma Dio interviene e manda uno dei serafini che volò verso di lui. Il profeta lo descrive così: “teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse: «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato”.
La purificazione delle labbra con un carbone ardente è come un gesto sacramentale, è quasi un battesimo che non solo purifica ma crea un nuovo essere e lo santifica. L’uomo della parola di Dio, il profeta, deve essere purificato dalla grazia divina proprio nella Sua parola.
A questo punto, soltanto dopo la purificazione, il profeta può udire la voce del Signore quando dice: “Chi manderò e chi andrà per noi?”. Mandare e andare sono i verbi tipici della vocazione, e la risposta del profeta è totale e senza esitazioni: “Eccomi, manda me!”.
E’ straordinaria la descrizione di questa vocazione. Essa è una scelta personale, è un’adesione matura della personalità ma è anche rischio, perchè come si leggerà nei versetti successivi del racconto di Isaia, la missione conoscerà soprattutto il rifiuto da parte degli uomini a cui il profeta sarà inviato. Comunque la fede, che Isaia manifesta e che non si stancherà di esigere dal suo popolo, è appunto la fede nel "Dio santo": Colui che è il "tutt'altro" e inaccessibile, ma che per amore si è legato al proprio popolo: "Il Santo di Israele", secondo l'espressione originale coniata da Isaia.
Salmo 137/138 Cantiamo al Signore, grande è la sua gloria
Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro verso il tuo tempio santo.
Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.
Ti renderanno grazie, Signore, tutti i re della terra,
quando ascolteranno le parole della tua bocca.
Canteranno le vie del Signore:
grande è la gloria del Signore
La tua destra mi salva.
Il Signore farà tutto per me.
Signore, il tuo amore è per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani.
Il salmista ringrazia Dio per avere ascoltato la sua preghiera e avergli usato misericordia. La tradizione parla del re Davide, ma più probabilmente si tratta di Ezechia dopo la clamorosa liberazione di Gerusalemme dall'assedio degli Assiri (2Re 19,35): “Hai reso la tua promessa più grande del tuo nome”.
Egli vuole cantare la sua lode al cospetto di Dio, rifiutando ogni adesione agli idoli: "Non agli dèi, ma a te voglio cantare".
Dio ha risposto alla sua supplica rendendolo più forte di fronte ai sui nemici: “Hai accresciuto in me la forza”.
Il salmista professa la sua fede nel futuro messianico che vedrà “tutti i re della terra” lodare il Signore. Sarà quando “ascolteranno le parole della tua bocca”, dove per “bocca” si deve intendere il futuro Messia.
I re, i popoli, celebreranno le vie del Signore annunciate dal Messia.
Il salmista ha grande fiducia in Dio, affinché la sua missione di re abbia successo: "Il Signore farà tutto per me". Il salmista termina invocando: “Non abbandonare l'opera delle tue mani”, cioè la dinastia di Davide.
Noi crediamo che giungerà il tempo della “civiltà dell'amore”, quando i popoli e i potenti che li governano, si apriranno a Cristo. Ogni cristiano deve adoperarsi per questo tempo con la forza (“hai accresciuto in me la forza”) che sgorga dalla partecipazione Eucaristica.
La nostra battaglia non è contro nemici fatti di carne e sangue, come ci dice san Paolo (Ef 6,12), ma “contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male”, cioè contro i demoni.
Commento di P.Paolo Berti
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Vi proclamo, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano!
[ A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.
In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. ]
Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. [ Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto. ] 1Cor15,1-11
Nel 15^ capitolo della 1^lettera ai Corinzi, prima della sua conclusione, Paolo affronta il tema della resurrezione dei morti e del destino finale riservato a coloro che hanno abbracciato la fede in Cristo.
Questo capitolo si divide in tre parti. Nella prima parte Paolo espone il contenuto essenziale del suo vangelo, che consiste nella morte e nella risurrezione di Cristo. Alla luce di questo dato di fede egli tratta poi, nella seconda parte, il tema della risurrezione di coloro che hanno creduto in lui (vv. 12-34). Nella terza parte spiega le modalità con cui avrà luogo la risurrezione (vv. 35-53). Conclude il capitolo un inno alla vittoria sulla morte (vv. 54-58).
In questo brano, Paolo sottolinea il carattere tradizionale e quindi immutabile di ciò che ha annunziato ai Corinzi, e afferma con vigore: “Vi proclamo, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano! “
Paolo pone subito il confronto tra sé e i corinzi la realtà del Vangelo e ciò che lo unisce con la sua comunità. Il Vangelo che lui, Paolo, ha annunciato, porta alla salvezza, purché non venga manipolato con interpretazioni soggettive. Non si tratta certo di bloccare la Parola di Dio, anzi è in gioco la viva realtà del Vangelo accolta con fede e testimoniata non solo a parole.
“[ A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture” Paolo qui sottolinea di non aver inventato lui questo Vangelo, ma di averlo ricevuto dalla tradizione apostolica e di averlo custodito con fedeltà.
In questo versetto troviamo un’antica professione di fede che concentra in poche righe il messaggio di salvezza e probabilmente è stata formulata dalla comunità di Antiochia e risale perciò agli anni quaranta. Si articola in quattro brevi frasi, di cui due sono più importanti e vengono precisate da quelle secondarie. La prima più importante la troviamo in questo versetto : “Cristo morì per i nostri peccati secondo la Scritture.” La morte e la risurrezione di Cristo hanno un profondo significato nella storia della salvezza intessuta da Dio con l'umanità, infatti “è morto per i nostri peccati,” sottolinea il valore salvifico della morte di Gesù. In forza della morte di Cristo i credenti ottengono il perdono e la riconciliazione. “Secondo le Scritture”: gli eventi della morte e risurrezione non sono casuali, ma rientrano nel progetto divino salvifico preannunziato dai profeti.
“che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici”. La precisazione che “fu sepolto “intende sottolineare la realtà della morte. La sepoltura costituisce il sigillo posto sulla fine irrimediabile del crocifisso.
La seconda affermazione importante è quella della resurrezione, con il dato tradizionale del “terzo giorno”. Segue il richiamo alle apparizioni a Cefa, cioè a Pietro e ai Dodici. La risurrezione di Gesù diventa realtà storica soltanto nelle esperienze dei testimoni, perchè il risorto si è fatto presente con la sua gloria nella vita di questi uomini e come tale diviene oggetto di predicazione e di adesione di fede.
“Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. “
Alle apparizioni a Pietro e a Giacomo (detto anche fratello del Signore, era uno dei capi della comunità cristiana di Gerusalemme, (di lui si parla in Gal 1,19) e a tutti gli apostoli, Paolo ricorda per ultimo l’apparizione di cui è stato destinatario lui stesso e porta una sua considerazione personale: “Io infatti sono l’infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la chiesa di Dio. Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me»
Non si hanno racconti di apparizioni di Gesù a Paolo, se non di quella sulla strada di Damasco. Egli classifica la sua esperienza come l'ultima e parla di sé come di un feto abortito. (Questa espressione così forte e alquanto ingiuriosa può darsi sia stata usata nei suoi riguardi dai suoi avversari). Il fatto di essere ora apostolo è pura grazia e Paolo afferma che non c’è nessun merito da parte sua ed è anche per questo che si pone all'ultimo posto nella graduatoria degli apostoli. Però il suo lavoro di missionario impegnato nella predicazione lo pone al di sopra di tutti gli altri apostoli perchè la grazia di Dio non è stata senza effetto in lui. Quindi Paolo gioca sull'antitesi tra ciò che egli è per natura e ciò che è diventato per grazia, egli per questo al tempo stesso si umilia e si innalza.
“Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.”
Con la presentazione di se stesso e del suo posto all'interno del gruppo degli apostoli, termina questa introduzione al discorso sulla resurrezione. Egli ha posto in chiaro l'autorità della sua parola, pur essendo l'ultimo fa comunque parte degli apostoli. Ha ricordato anche le linee essenziali del vangelo da lui annunciato e che i Corinzi hanno accolto. Un vangelo che non ha inventato lui, ma che a sua volta ha ricevuto e trasmesso in modo fedele. In quest'ultima frase si nota il plurale: “sia io che loro predichiamo.” Quindi non c'è modo di mettere in dubbio la veridicità delle sue parole.
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
Lc 5,1-11
L’evangelista Luca introduce la vocazione dei primi discepoli di Gesù (Pietro, Giacomo e Giovanni), a differenza di Matteo e Marco, solo dopo i miracoli di Cafarnao e aggiunge il racconto della pesca miracolosa che l'evangelista Giovanni presenta dopo la risurrezione (21, 1-11).
Il brano inizia riportando che Gesù si trovava sulle rive del lago di Gennèsaret, e oltre a Lui c‘era la folla che “gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio”. L’evangelista riporta anche che Gesù osserva due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti.
Di fronte a questo scenario, Gesù salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra.
Le barche erano due ma Gesù sale soltanto su una: quella dove c'è Simone e soltanto da questa barca Egli, seduto, ammaestra le folle (il sedersi è attinente al fare del maestro che con autorità sicura si pone in mezzo ai suoi discepoli). Viene evidenziato che l’insegnamento di Gesù, proviene dalla barca di Pietro che Lui ha scelto.
“Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca»”.
Nell'ordine di Gesù, dato a Pietro, ci sono due verbi con due soggetti diversi: "prendi il largo" e "calate le reti“. L'ordine è rivolto solo a Pietro, mentre a tutti quelli che erano presenti nella barca comanda di calare le reti. Il significato di questo duplice comando rivolto a soggetti diversi indica che a Pietro viene riservato un ministero, un compito che ad altri non compete: quello di prendere il largo. (In altri termini, quello di far decollare la Chiesa, cercando di darle una nuova identità, nettamente diversa e staccata dal giudaismo); si può ancora notare come l’ordine di “prender il largo” avviene dopo la predicazione di Gesù, quasi a dire che soltanto sulla parola di Gesù la Chiesa riesce a decollare. Essa, dunque, non è frutto di sforzi umani, ma nasce dalla potente parola di Dio. A tutti gli altri, poi, dopo dà l'ordine di calare le reti per la pesca.
“Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Simone è un pescatore esperto, per tutta la notte ha gettato le reti per la pesca senza ottenere risultati e nella sua risposta si intuiscono la fatica e lo scoraggiamento provati, ma, fiduciosi nella parola del Maestro, gettano di nuovo le reti. La fiducia nella parola di Gesù per loro ha più forza che l’esperienza deludente della notte trascorsa.
“Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare”.
Il risultato è sorprendente. La pesca è così abbondante che le reti quasi si rompono e le barche cominciano ad affondare.. Simone ha bisogno dell’aiuto dei compagni che sono su un’altra barca. Questo ci può insegnare che nessuno riesce ad essere completo da solo. Una comunità deve aiutare l’altra e il conflitto tra le comunità, sia al tempo di Luca che oggi, deve essere superato per raggiungere un obiettivo comune, che è la missione. L’esperienza della forza della Parola di Gesù che trasforma, è il cardine attorno a cui le differenze si abbracciano e si superano.
Questo prodigioso risultato stupisce Simon Pietro, che si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore».
In questo versetto si percepisce il grande stupore di Pietro per la prodigiosa pesca confrontata con la sua realtà di peccatore. Egli ha visto in Gesù di Nazareth la gloria di Dio, la bellezza e lo splendore di Dio. Egli ha percepito che in Gesù c’è la santità, che Gesù è il Signore, mentre egli è solo un misero, un peccatore, indegno di avere una relazione con Lui.
Questo episodio ci ricorda la reazione di Isaia quando nel tempio “vede il Signore” e grida: “Io sono perduto,perché un uomo dalle labbra impure io sono”. E’ la reazione anche di tanti profeti che hanno visto Dio entrare nelle loro vite, attraverso teofanie, manifestazioni grandiose di Dio stesso.
Lo stupore e il tremore che aveva invaso Pietro invade anche i suoi compagni, di cui ora Luca svela i nomi: Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Si può intuire già in quel trio, i tre discepoli che saranno i più vicini a Gesù. Secondo Luca qui Gesù consegna a Pietro la vocazione quando dice: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Simone riceve dal Signore la sua missione di essere pescatore di uomini proprio nel momento in cui si scopre un peccatore, non pietra sicura, ma pietra inaffidabile. Il Signore gli dice: “sarai pescatore di uomini” vale a dire : pescherai uomini perché vivano, cioè li strapperai all’abisso delle acque perché vivano. Non si tratta solo di prendere gli uomini e di convertirli, ma di far sì che la loro vita sia una testimonianza vivente.
Il racconto termina con questa annotazione: “E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.” Si può notare che Gesù si era rivolto solo a Simone e indirettamente lo aveva esortato a seguirlo. Ma qui a conclusione viene detto che anche gli altri condividono la scelta di Simone. Si dice: “lasciarono tutto”: la loro vita cambia radicalmente. Incontrare Gesù e fidarsi della sua Parola porta a considerare tutto il resto secondario rispetto a Lui.
Il miracolo del lago di Gennesaret non consiste nelle barche riempite di pesci, neanche nelle barche abbandonate, il miracolo grande è Gesù che non si lascia impressionare dai difetti di quei semplici pescatori, ma li sceglie proprio perché sono gente semplice, anche limitata, e li trasforma in discepoli per affidare a loro il Suo Vangelo .
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“Il Vangelo di questa domenica racconta – nella redazione di san Luca – la chiamata dei primi discepoli di Gesù. Il fatto avviene in un contesto di vita quotidiana: ci sono alcuni pescatori sulla sponda del lago di Galilea, i quali, dopo una notte di lavoro passata senza pescare nulla, stanno lavando e sistemando le reti. Gesù sale sulla barca di uno di loro, quella di Simone, detto Pietro, e gli chiede di staccarsi un poco da riva e si mette a predicare la Parola di Dio alla gente che si era radunata numerosa. Quando ha finito di parlare, gli dice di prendere il largo e di gettare le reti. Simone aveva già conosciuto Gesù e sperimentato la potenza prodigiosa della sua parola, perciò gli risponde: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti» E questa sua fede non viene delusa: infatti le reti si riempirono di una tale quantità di pesci che quasi si rompevano
Di fronte a questo evento straordinario, i pescatori sono presi da grande stupore. Simon Pietro si getta ai piedi di Gesù dicendo: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore». Quel segno prodigioso lo ha convinto che Gesù non è solo un formidabile maestro, la cui parola è vera e potente, ma che Egli è il Signore, è la manifestazione di Dio. E tale presenza ravvicinata suscita in Pietro un forte senso della propria meschinità e indegnità. Da un punto di vista umano, pensa che ci debba essere distanza tra il peccatore e il Santo. In verità, proprio la sua condizione di peccatore richiede che il Signore non si allontani da lui, allo stesso modo in cui un medico non può allontanarsi da chi è malato.
La risposta di Gesù a Simon Pietro è rassicurante e decisa: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini» E di nuovo il pescatore di Galilea, ponendo la sua fiducia in questa parola, lascia tutto e segue Colui che è diventato il suo Maestro e Signore. E così fecero anche Giacomo e Giovanni, soci di lavoro di Simone. Questa è la logica che guida la missione di Gesù e la missione della Chiesa: andare in cerca, “pescare” gli uomini e le donne, non per fare proselitismo, ma per restituire a tutti la piena dignità e libertà, mediante il perdono dei peccati.
Questo è l’essenziale del cristianesimo: diffondere l’amore rigenerante e gratuito di Dio, con atteggiamento di accoglienza e di misericordia verso tutti, perché ognuno possa incontrare la tenerezza di Dio e avere pienezza di vita. E qui, in maniera particolare, penso ai confessori: sono i primi a dover dare la misericordia del Padre seguendo l’esempio di Gesù, come hanno fatto anche i due Frati santi, padre Leopoldo e padre Pio.
Il Vangelo di oggi ci interpella: sappiamo fidarci veramente della parola del Signore? Oppure ci lasciamo scoraggiare dai nostri fallimenti? In questo Anno Santo della Misericordia siamo chiamati a confortare quanti si sentono peccatori e indegni di fronte al Signore e abbattuti per i propri errori, dicendo loro le stesse parole di Gesù: “Non temere”. “E’ più grande la misericordia del Padre dei tuoi peccati! E’ più grande, non temere!”. Ci aiuti la Vergine Maria a comprendere sempre più che essere discepoli significa mettere i nostri piedi sulle orme lasciate dal Maestro: sono le orme della grazia divina che rigenera vita per tutti.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 7 febbraio 2016
L'umanità è una grande e immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)