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S.Messe (settimana)
9:00  18:30

KRZYZ

Elena Tasso

Elena Tasso

1. 26 febbraio - mercoledì delle ceneri, inizia la Quaresima, tempo di preparazione alla Pasqua. E' giorno di astinenza e di digiuno. Durante le Ss. Messe alle ore 9,00 e 18,30 ci sarà l'imposizione delle ceneri.

2. Da venerdì prossimo 28 febbraio inizia il pio esercizio della Via Crucis alle ore 17,45.

3. Si ringrazia tutti coloro che hanno partecipato al Consiglio Pastorale Parrocchiale.

4. Sabato prossimo 29 febbraio alle ore 9,30 nella Basilica di San Giovanni in Laterano ci sarà l’incontro dell’equipe pastorale parrocchiale della nostra diocesi.

Le letture che la liturgia di questa domenica ci propone, hanno come tema l’amore senza misura verso tutti e nonostante tutto. L’amore per i nemici così umanamente difficile, sgorga dalla paternità universale di Dio e si deve concretizzare nei gesti della nostra vita quotidiana e nel nostro comportamento.
Nella prima lettura, tratta dal libro del Levitico, troviamo l’invito del Signore, che in armonia con il brano del Vangelo, ci stimola ad essere santi come Lui è Santo.
Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo continuando la sua lettera ai Corinzi, afferma che “santo è il tempio di Dio, che siete voi.” La nostra santità dipende da come sapremo accogliere e ospitare nella nostra vita la santità di Dio, divenendone il tempio vivente. Solo grazie a questa accoglienza, non al
nostro sforzo, possiamo obbedire all’invito di Dio di essere santi come Lui è Santo.
Il Vangelo di Matteo prosegue con la lettura del “Discorso della Montagna” e sulla scia della precedente domenica, si completa la serie delle antitesi. Gesù porta alla pienezza l’esigenza di una vita fraterna: occorre strappare dal cuore l’istinto della vendetta, fino a capire che veramente la migliore vendetta è il perdono, ricambiando il male ricevuto in bene. Solo così si imita la misericordia del Padre che fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni. Se guardiamo l’altro non con gli occhi del mondo, ma con quelli di Dio, potremo aprirci al comandamento dell’amore. E’ questo che permette di arrivare ad amare persino i nemici, perchè in essi scorgiamo il riflesso di Cristo che si è incarnato per salvarci tutti.

Dal Libro del Levitico
Il Signore parlò a Mosè e disse:
«Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo.
Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore”».
Lv 19, 1-2.17-18

Il libro del Levitico è il terzo libro del Pentateuco. E’ stato scritto in Giudea da autori ignoti intorno al VI-V secolo a.C, ed è composto da 27 capitoli contenenti unicamente leggi religiose e sociali. Il nome gli deriva dal contenuto prevalentemente legislativo, proprio dei Leviti, i membri della tribù di Levi, ai quali era affidato il compito di sorvegliare il tabernacolo e il tempio. Il libro è infatti incentrato sulle leggi e le norme culturali-ritualistiche relative ai sacrifici, al sacerdozio, alla consacrazione dell’altare ed alle feste. E’ costituito da due grandi sezioni, contenenti molte delle formule tipiche delle “mitzvot” ebraiche che sono 613 precetti, che l'ebreo ortodosso deve seguire per adempiere al suo ruolo sacerdotale nel mondo. La prima parte, corrispondente ai capitoli 1-16, descrive in modo dettagliato i rituali del culto, mentre la seconda parte (capitoli 17-26) è incentrata sulla legge di santità.
Questo brano tratto dal capitolo 19 si apre con l’esortazione che dà il titolo a tutta la sezione:“Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo”.
Qui Dio si presenta come Colui al quale appartiene la qualifica di “santo”: con essa si mette in luce la Sua trascendenza, cioè la Sua radicale separazione da tutto ciò che è limitato, sia in campo fisico che morale. Viene indicato poi di seguito come vivere in concreto la santità: Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso”. Il “prossimo” per il Levitico è indubbiamente l’altro israelita perchè in questo contesto il termine “prossimo” è sinonimo di fratello, compatriota, membro del tuo popolo, ed indica perciò solo colui che appartiene al popolo di Dio.
Leggendo le pagine del Levitico, spesso noiose per il ripetere continuo delle stesse formule, l’unico vantaggio che si può avere è di penetrare attraverso formule e riti ormai fuori uso, fino al cuore della coscienza religiosa di Israele, e nello stesso tempo come cristiano si può comprendere meglio il valore del sacrificio mediante il quale Gesù ha salvato l’umanità con il dono della Sua vita.

Salmo 102 : Il Signore è buono e grande nell’amore.
Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici.

Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia.

Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Non ci tratta secondo i nostri peccati
e non ci ripaga secondo le nostre colpe.

Quanto dista l’oriente dall’occidente,
così egli allontana da noi le nostre colpe.
Come è tenero un padre verso i figli,
così il Signore è tenero verso quelli che lo temono.

La critica è incline a datare la composizione di questo salmo nel tardo postesilio.
Il salmista esorta se stesso a benedire il Signore, e a non “dimenticare tutti i suoi benefici”. Questo ricordare è importantissimo nei momenti dolorosi per non cadere nello scoraggiamento e al contrario stabilirsi in una grande fiducia in Dio. Il salmista non presenta grandi tormenti storici della nazione; pare di poter indovinare normalità di vita attorno a lui. Egli si presenta a Dio come colpevole di numerose mancanze, ma ha sperimentato la misericordia di Dio, che lo ha salvato da angosce e anche probabilmente da una malattia grave: “Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità; salva dalla fossa la tua vita”.
Il salmista non cessa di celebrare la bontà, la giustizia di Dio, e prova una grande dolcezza nel fare questo: una dolcezza pacificante: “Ti circonda di bontà e di misericordia”.
Il salmista, fedele all'alleanza, loda Dio per la legge data per mezzo di Mosè: “Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie, le sue opere ai figli d'Israele ”. Ma Dio non ha dato a Mosè solo la legge, ha anche dato l'annuncio del Cristo futuro, dal quale abbiamo la grazia e la verità (Cf. Gv 1,17). La misericordia di Dio celebrata dal salmista si è manifestata per mezzo di Gesù Cristo.
Il salmista si sente sicuro, compreso da Dio, che agisce sul suo popolo con la premura di un padre verso i figli. Un padre che “ricorda che noi siamo polvere”, e che perciò pur rilevando le colpe è pronto a perdonare pienamente: “Non è in lite per sempre, non rimane adirato in eterno”.
L'alleanza osservata è fonte di bene, di unione con Dio. Egli effonde “la sua giustizia”, cioè la sua protezione dal male, sui “figli dei figli”.
Il salmista pieno di gioia conclude invitando tutti gli angeli a benedire Dio. Gli angeli non hanno bisogno di essere esortati a benedire Dio, ma certo possono essere invitati a rafforzare il nostro benedire Dio. Per una lode universale sono invitate a benedire Dio tutte le cose create (Cf. Ps 18,1s): “Benedite il Signore, voi tutte opere sue”.
Commento di P.Paolo Berti

Dalla 1^ lettera di S.Paolo aspostolo ai Corinzi
Fratelli, non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.
Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: «Egli fa cadere i sapienti per mezzo della loro astuzia». E ancora: «Il Signore sa che i progetti dei sapienti sono vani».
Quindi nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.
1Cor 3,16-23

Paolo continuando nella sua lettera ai Corinzi il tema della sapienza di Dio rivelatasi nella croce di Cristo, distingue e condanna ogni culto della personalità. Si preoccupa di difendere non le sue prerogative di fondatore della comunità di Corinto, ma il ruolo di Cristo, senza del quale la comunità non esisterebbe e non potrebbe sussistere.
Paolo conclude la sua riflessione sulla comunità come edificio, con una domanda che dà inizio al nostro brano liturgico: “non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?”
I corinzi devono ricordarsi che essi sono il “tempio di Dio” e che lo Spirito di Dio abita in loro: si passa così dal concetto generico della comunità come edificio a quello del luogo in cui, secondo la fede ebraica, abitava Dio stesso o il Suo Spirito. Dopo la venuta di Gesù questo tempio non è più una costruzione materiale, ma il corpo stesso di Cristo risorto, che si identifica con la comunità, o con quello dei singoli credenti.
L’Apostolo risponde alla sua domanda affermando con forza:
“Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi”.
Accanto ai predicatori che bene o male costruiscono su Cristo come fondamento, ve ne sono dunque altri che costruiscono su basi diverse, minando alla radice l’esistenza stessa della comunità, (ricordiamoci che nell’AT colui che profanava un oggetto santo veniva immediatamente colpito dall’ira tremenda di Dio (v.2Sam,6,6-7)) così chi distrugge la comunità va lui stesso incontro a una terribile condanna.
Dopo aver delineato il compito dei predicatori in rapporto a Dio e alla comunità, Paolo chiarisce il primato che spetta alla comunità nei loro confronti.
Per evitare ogni equivoco Paolo fa quindi una premessa che si ispira al discorso precedente circa la vera e la falsa sapienza:
“Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio.”.
Dopo aver messo in risalto la futilità della sapienza umana, alla quale rischiano di ispirarsi i corinzi, l’apostolo giunge al punto che gli sta a cuore: ”..nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro”.
La più grande stoltezza per i cristiani è quella di considerare qualcuno, fosse pure un ottimo predicatore o un apostolo, al di sopra di sé, per poi trarne un motivo di vanto stabilendo con lui un legame di dipendenza. (Questa situazione è quanto mai attuale anche oggi) .
Essi devono sapere che tutto appartiene a loro: “Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.”
Nel piano di Dio i credenti sono dunque veramente al primo posto. Nulla può imporre il suo dominio su di loro, non solo i ministri, ma neppure quelle realtà in cui è immersa l’esistenza umana e da cui essa è condizionata (mondo, vita, morte, presente e futuro). In altre parole è la comunità che dà un senso non solo ai suoi capi, ma anche alle realtà che la circondano. E questo non per una grandezza da essa acquisita, ma perché, mediante Cristo, appartiene ormai a Dio.

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».
Mt 5,38-48

Anche questo brano del Vangelo Matteo segue il discorso della montagna e completa la serie delle antitesi che Gesù stabilisce tra la vecchia interpretazione riduttiva della Legge e la novità che Lui propone.
Queste due ultime antitesi riguardano la relazione col prossimo. Anche qui Gesù vuole dimostrare la Sua fedeltà alla Legge, ma anche come si può trasformare l’antico precetto in cui era insito ciò che Lui ora afferma. Il primo caso considera quel principio noto come “legge del taglione”. C’è subito da chiarire che questo principio non era certo un invito alla vendetta, anzi era un rigoroso strumento di equilibrio giuridico consistente nell’infliggere all'offensore una pena uguale all'offesa ricevuta. La funzione di questa legge era di porre un limite alle vendette private, che spesso degeneravano in faide.
Gesù propone di superare la pura legge della giustizia per entrare in quella del perdono e della non-violenza. Fa anche degli esempi divenuti celebri: “la guancia offerta allo schiaffo, il mantello ceduto oltre alla tunica, la marcia forzata”.
Sulla stessa linea c’è l’antitesi sull’amore per i nemici. Gesù fa riferimento al libro del Levitico dal quale è desunta la famosa frase “amerai il tuo prossimo come te stesso”. Il concetto di “prossimo “ era però allora definito attraverso una serie di cerchi che abbracciavano la famiglia, la tribù, il popolo in Israele. Fuori di questa cerchia non si andava. Anche i profeti ebrei, che erano aperti ad una maggiore benevolenza, l’idea di amare i propri nemici l’avrebbero considerata follia . Il salmo 139, per es., recita così: “Non odio, forse, Signore, quelli che ti odiano e non detesto i tuoi nemici? Li detesto con odio implacabile come se fossero miei nemici.”
Gesù anche qui propone qualcosa di sorprendente che spezza i rigidi legami convenzionali, spingendoci a considerare prossimo tutti gli uomini, compresi i nemici infatti dice: “amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».
Gesù propone uno sforzo che sembra andare contro natura, ma non si tratta di sopportare pazientemente le offese ricevute, ma di farsi parte attiva per ricercare il bene e l'affermazione di chi invece ci ha offesi. Si tratta di non farsi nemico di chi si è fatto nostro nemico, di conquistare con l'amore chi ci ha offeso, mettendolo a confronto con un nuovo e inaspettato comportamento: non più occhio per occhio e dente per dente, ma un'altra legge non meno ardua e sconcertante, perché esce dai limitati schemi e aspettative umani per raggiungere l'uomo nella sua parte più vera e profonda: amore, perdono, misericordia, compassione contro l'odio e l'offesa. Il male va vinto con il bene, attivando la parte migliore dell'uomo, che mira a redimerlo, riportandolo nella vita stessa di Dio.

 

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“Nel Vangelo di questa domenica– una di quelle pagine che meglio esprimono la “rivoluzione” cristiana – Gesù mostra la via della vera giustizia mediante la legge dell’amore che supera quella del taglione, cioè «occhio per occhio e dente per dente». Questa antica regola imponeva di infliggere ai trasgressori pene equivalenti ai danni arrecati: la morte a chi aveva ucciso, l’amputazione a chi aveva ferito qualcuno, e così via. Gesù non chiede ai suoi discepoli di subire il male, anzi, chiede di reagire, però non con un altro male, ma con il bene. Solo così si spezza la catena del male: un male porta un altro male, un altro porta un altro male… Si spezza questa catena di male, e cambiano veramente le cose. Il male infatti è un “vuoto”, un vuoto di bene, e un vuoto non si può riempire con un altro vuoto, ma solo con un “pieno”, cioè con il bene. La rappresaglia non porta mai alla risoluzione dei conflitti. ”Tu me l’hai fatta, io te la farò”: questo mai risolve un conflitto, e neppure è cristiano.
Per Gesù il rifiuto della violenza può comportare anche la rinuncia ad un legittimo diritto; e ne dà alcuni esempi: porgere l’altra guancia, cedere il proprio vestito o il proprio denaro, accettare altri sacrifici . Ma questa rinuncia non vuol dire che le esigenze della giustizia vengano ignorate o contraddette; no, al contrario, l’amore cristiano, che si manifesta in modo speciale nella misericordia, rappresenta una realizzazione superiore della giustizia. Quello che Gesù ci vuole insegnare è la netta distinzione che dobbiamo fare tra la giustizia e la vendetta. Distinguere tra giustizia e vendetta.
La vendetta non è mai giusta. Ci è consentito di chiedere giustizia; è nostro dovere praticare la giustizia. Ci è invece proibito vendicarci o fomentare in qualunque modo la vendetta, in quanto espressione dell’odio e della violenza.
Gesù non vuole proporre un nuovo ordinamento civile, ma piuttosto il comandamento dell’amore del prossimo, che comprende anche l’amore per i nemici: «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano». E questo non è facile. Questa parola non va intesa come approvazione del male compiuto dal nemico, ma come invito a una prospettiva superiore, a una prospettiva magnanima, simile a quella del Padre celeste, il quale - dice Gesù - «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti». Anche il nemico, infatti, è una persona umana, creata come tale a immagine di Dio, sebbene al presente questa immagine sia offuscata da una condotta indegna.
Quando parliamo di “nemici” non dobbiamo pensare a chissà quali persone diverse e lontane da noi; parliamo anche di noi stessi, che possiamo entrare in conflitto con il nostro prossimo, a volte con i nostri familiari. Quante inimicizie nelle famiglie, quante! Pensiamo a questo. Nemici sono anche coloro che parlano male di noi, che ci calunniano e ci fanno dei torti. E non è facile digerire questo. A tutti costoro siamo chiamati a rispondere con il bene, che ha anch’esso le sue strategie, ispirate dall’amore.
La Vergine Maria ci aiuti a seguire Gesù su questa strada esigente, che davvero esalta la dignità umana e ci fa vivere da figli del nostro Padre che è nei cieli. Ci aiuti a praticare la pazienza, il dialogo, il perdono, e ad essere così artigiani di comunione, artigiani di fraternità nella nostra vita quotidiana, soprattutto nella nostra famiglia.”

Papa Francesco Parte dell’Omelia del Angelus del 19 febbraio 2017

1. Martedì 18 febbraio alle ore 18.30 nella sala P. Luciano ci sarà l’incontro dei volontari che ogni 2° sabato del mese si impegnano per aiutare i poveri alla stazione ostiense. E’ un incontro per riorganizzare il servizio di “per la strada”.

2. Mercoledì 19 febbraio alle ore 19.15 nella sala P. Luciano ci sarà l’incontro del Consiglio Pastorale Parrocchiale.

3. Giovedì 20 febbraio alle ore 19.00 nella sala in fondo alla chiesa ci sarà l’incontro mensile dei laici salettini.

Le letture che la Liturgia di questa domenica ci porta a meditare, hanno come filo conduttore la legge e come applicarla : Gesù non è venuto ad abolire la legge antica , ma a portarla a compimento, per farla poi accettare come scelta interiore.
Nella prima lettura tratta dal libro del Siracide, davanti a noi Dio ha posto la via della vita e della morte. Il Signore lascia alla libertà dell’uomo la scelta tra il bene e il male, tra l’obbedienza alla sua legge e il suo rifiuto.
Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo continuando la sua lettera ai Corinzi, li esorta a non confondere la sapienza degli uomini con la sapienza di Dio, e afferma che lo Spirito conosce le profondità di Dio e ce le rivela, consentendoci di contemplare qualche barlume della sua Sapienza e di lasciarci guidare sai suoi criteri
Nel Vangelo di Matteo troviamo ancora un altro brano tratto dal “Discorso della Montagna” e sulla scia della precedente domenica, si completa la serie delle antitesi, che Gesù stabilisce tra la vecchia interpretazione riduttiva della legge biblica e la novità della sua proposta. Le antitesi che oggi troviamo hanno un identico tema: la relazione col prossimo. Gesù anche qui vuole mostrare la sua fedeltà alla Legge, ma anche la trasformazione dell’antico precetto nella “pienezza” che esso conteneva solo in seme: “Non sono venuto per abolire ma per portare a compimento”. Gesù anche qui propone una scelta sorprendente che spezza i cerchi rigidi dei legami convenzionali, spingendoci a considerare prossimo tutti li uomini, compresi i nemici.

Dal libro del Siracide
Se vuoi osservare i suoi comandamenti;
essi ti custodiranno;
se hai fiducia in lui, anche tu vivrai.
Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua:
là dove vuoi tendi la tua mano.
Davanti agli uomini stanno la vita e la morte:
a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.
Grande infatti è la sapienza del Signore;
forte e potente, egli vede ogni cosa.
I suoi occhi sono su coloro che lo temono,
egli conosce ogni opera degli uomini.
A nessuno ha comandato di essere empio
e a nessuno ha dato il permesso di peccare.
Sir 15,16-21

Il libro del Siracide è un libro un po’ particolare perché fa parte della Bibbia cristiana, ma non figura nel canone ebraico. Si tratta di un testo deuterocanonico che, assieme ai libri di Rut, Tobia, Maccabei I e II, Giuditta, Sapienza e le parti greche del libro di Ester e di Daniele, è considerato ispirato nella tradizione cattolica e ortodossa, per cui è stato accolto dalla Chiesa Cattolica, mentre la tradizione protestante lo considera apocrifo.
È stato scritto originariamente in ebraico a Gerusalemme attorno al 196-175 a.C. da Yehoshua ben Sira (tradotto "Gesù figlio di Sirach", da qui il nome del libro "Siracide"), un giudeo di Gerusalemme, in seguito fu tradotto in greco dal nipote poco dopo il 132 a.C. .
È composto da 51 capitoli con vari detti di genere sapienziale, sintesi della religione ebraica tradizionale e della sapienza comune. Benché non sia stato accolto nel canone ebraico, il Siracide è citato frequentemente negli scritti rabbinici; nel Nuovo Testamento la lettera di Giacomo vi attinge molte espressioni, ed anche la saggezza popolare fa proprie alcune massime.
Nel prologo l'anonimo nipote dell'autore spiega che tradusse il libro quando si trovava a soggiornare ad Alessandria d’Egitto, nel 38° anno del regno Tolomeo VIII, che regnò in Egitto a più riprese a partire dal 132 a.C..
Questo brano anche dal versetto precedente non riportato dalla liturgia:“Egli da principio creò l’uomo e lo lasciò in balìa del suo proprio volere”costituisce una solenne affermazione della libertà umana, che ci ricorda che Dio ci ha creati liberi: "Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua: là dove vuoi tendi la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.
Per la comprensione di questo brano occorre aver presente una formula teologica e un dato di fede, che gli scritti dell'Antico testamento usano ribadire con preferenza: Dio ha fatto l'uomo alla maniera con cui il vasaio lavora la creta. Con essa possono essere riprodotti vasi destinati ad uso differente, nobile o vogare. Qui si ribadisce che di fronte al bene o al male - "al fuoco o all'acqua, alla vita o alla morte" - l'uomo è chiamato a scegliere responsabilmente .
“Grande infatti è la sapienza del Signore; forte e potente, egli vede ogni cosa.
I suoi occhi sono su coloro che lo temono,egli conosce ogni opera degli uomini.
A nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare.”
Orientarsi verso il bene è aprirsi a Dio, scoprendone il volto e cercando Lui, la Sua sapienza e onnipotenza.
Si percepisce in tutto il brano sempre una terza presenza: Dio non si impone, ma è interessato all'uomo e alle scelte positive che egli fa. La scelta dei vari idoli è una scelta che si ritorce sempre e inevitabilmente in una sottomissione amara. L’uomo può stendere la sua mano su ciò che più gli piace, ma solo se possiede la "sapienza del Signore" potrà scegliere quello che è il "bene" per tutta la sua vita.
Dio infatti non ha mai comandato a nessuno di essere "empio" e non ha mai detto a nessuno di "peccare".

Dal Salmo 118 Beato chi cammina nella legge del Signore.
Beato chi è integro nella sua via
e cammina nella legge del Signore.
Beato chi custodisce i suoi insegnamenti
e lo cerca con tutto il cuore.

Tu hai promulgato i tuoi precetti
perché siano osservati interamente.
Siano stabili le mie vie
nel custodire i tuoi decreti.

Sii benevolo con il tuo servo e avrò vita,
osserverò la tua parola.
Aprimi gli occhi perché io consideri
le meraviglie della tua legge.

Insegnami, Signore, la via dei tuoi decreti
e la custodirò sino alla fine.
Dammi intelligenza, perché io custodisca la tua legge
e la osservi con tutto il cuore.

Questo salmo è il più lungo di tutto il salterio. E' un salmo alfabetico; ogni otto distici comincia con una delle 22 lettere dell'alfabeto, risultando così un totale di 176 distici. Come procedimento usa il metodo della variazione concettuale, cioè vengono usati diversi termini per designare la medesima cosa: la legge divina.
La legge per il salmista non sono solo i dieci comandamenti, ma tutte le grandi azioni di Dio per la liberazione del popolo dall'Egitto, la conquista della terra promessa, la liberazione da Babilonia ecc.: “i tuoi giudizi sono giusti".
Il salmo è stato probabilmente scritto poco prima della deportazione a Babilonia.
Vi compare un giovane, che si trova esposto alla pressione di coloro che in Israele hanno aderito agli idoli e sono capeggiati dal re. Il pio giovane è combattuto per la sua fedeltà alla legge; viene calunniato ingiustamente, fatto oggetto di umiliazioni, di stenti, di insulti: “Gli orgogliosi mi insultano aspramente,ma io non mi allontano dalla tua legge.”; “Si vergognino gli orgogliosi che mi opprimono con menzogne”; “E' tempo che tu agisca, Signore, hanno infranto la tua legge”; “Uno zelo ardente mi consuma, perché i miei avversari dimenticano le tue parole”. I suoi persecutori sono giunti fin quasi ad eliminarlo: “Per poco non mi hanno fatto sparire dalla terra”. “Mi hanno scavato fosse gli orgogliosi” Egli, nel suo disagio continuo, si ritiene un forestiero, un pellegrino: “Forestiero sono qui sulla terra”; “nella dimora del mio esilio”. Tuttavia il giovane forte dell'osservanza della legge, che gli dà luce, sapienza, saggezza, non teme e spera che il Signore lo aiuterà: “Quelli che ti temono al vedermi avranno gioia”; “Davanti ai re parlerò dei tuoi insegnamenti e non dovrò vergognarmi”. I re sono, oltre il re di Gerusalemme, quelli dei popoli vicini, e in particolare quelli di Assiria e Babilonia, nonché del faraone. Tutto ciò fa intendere che il giovane doveva avere una certa autorità, e si potrebbe formulare un'identificazione con un sacerdote del tempio legato al movimento profetico.
Il giovane riconosce di essere stato lontano per il passato dalla parola di Dio: “Prima di essere umiliato andavo errando, ma ora osservo la tua promessa”.
Il giovane Giudeo intende, di fronte alla pressione di coloro che hanno abbandonato la legge e lo deridono, confermarsi saldamente nell'obbedienza alla legge, e intende testimoniarlo davanti a tutti; per questo chiede aiuto a Dio: “Mai dimenticherò i tuoi precetti, perché con essi tu mi fai vivere.”; “Ho giurato e lo confermo, di osservare i tuoi giusti giudizi”; “Rendi saldi i miei passi secondo la tua promessa”; “Mi venga in aiuto la tua mano, perché ho scelto i tuoi precetti". "Mi sono perso come pecora smarrita; cerca il tuo servo: non ho dimenticato i tuoi comandi”.
Il salmista presenta la ricchezza della parola di Dio, della sua legge, dei suoi precetti.
Il salmo nella Liturgia delle ore è presentato spezzato seguendo le lettere alfabetiche.
Il salmo è ricchissimo di sfaccettature luminose sul tema dell'osservanza della parola di Dio.
La recitazione cristiana vede la legge nel compimento attuato da Cristo (Mt 5,17).
Commento di P.Paolo Berti

Dalla 1^ lettera di S.Paolo aspostolo ai Corinzi
Fratelli, tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha conosciuta; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Ma, come sta scritto:
Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì,
né mai entrarono in cuore di uomo,
Dio le ha preparate per coloro che lo amano.
Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito;
lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio.
1Cor 2,6-10

Continuando la sua prima lettera ai Corinzi, Paolo dopo aver affrontato il problema delle divisioni che si sono verificate nella comunità di Corinto, riprende il tema della sapienza,
In questo brano l’Apostolo indica prima di tutto che cosa non è questa sapienza: “tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla”. Se i corinzi non si sono resi conto della sapienza di cui Paolo è maestro, ciò si deve al fatto che egli ne parla in termini conformi solo tra coloro che sono “perfetti” ossia maturi nella fede e sono in grado perciò di capire. Non servirebbe a niente illustrare questa sapienza a persone che non sono preparate a coglierne il significato profondo. La sapienza annunziata da Paolo non è di questo “mondo” e questo termine indica la realtà creata in quanto si oppone a Dio e rifiuta la salvezza portata da Cristo. Essa non è capita neppure dai “dominatori di questo mondo” ossia da coloro che detengono il potere, di qualunque tipo esso sia.
Paolo passa poi a definire la sapienza che egli annunzia: Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria. Questa sapienza appartiene a Dio e in quanto tale è “misteriosa”, e Dio l’ha stabilita prima dei secoli e l’ha tenuta nascosta per rivelarla proprio ora “per la nostra gloria”.
Paolo sottolinea ulteriormente il carattere nascosto di questa sapienza affermando che:
“Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha conosciuta; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria.
”Dominatori di questo mondo” si intendono i detentori del potere politico ed anche religioso, tra i quali sono annoverate le autorità giudaiche e romane responsabili della morte di Gesù. La sapienza che Paolo insegna si identifica quindi con la persona di Gesù. Tutti i dominatori di questo mondo sono dunque quelli che hanno rifiutato la sapienza che Paolo comunica ai perfetti, perché attraverso la politica o la religione cercano la propria realizzazione umana, chiudendosi al dono di sé che Dio intende fare mediante la persona umiliata e sconfitta del Figlio.
Paolo caratterizza poi ulteriormente la sapienza da lui annunziata con una citazione biblica presa da diversi testi: “sta scritto: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo,Dio le ha preparate per coloro che lo amano”.
Paolo poi conclude: “Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito;” ed è solo per mezzo di una rivelazione che Paolo stesso è venuto a conoscenza delle cose di Dio, e questa rivelazione è opera dello Spirito. Lo Spirito non è una realtà estranea a Dio: “lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio”.
L’apostolo prosegue poi (nei versetti non riportati dal brano) attribuendo allo Spirito una conoscenza di Dio analoga alla conoscenza di sé che è propria dello spirito umano: nessuno può conoscere le cose di Dio senza un intervento speciale dello Spirito, che ai credenti è stato conferito mediante Gesù Cristo,

Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.
Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!
Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno.
Mt 5,17-37.

Anche questo brano del Vangelo segue il discorso della montagna che è il primo dei cinque grandi discorsi che formano la struttura del Vangelo di Matteo. E’ il discorso che si può definire delle sei antitesi che si apre con una piccola raccolta di detti dei quali almeno i primi due sono antichi, e sono anche riportati da Luca. L’evangelista, unificando questi detti li ha riformulati in modo tale da far loro esprimere l’atteggiamento di Gesù nei confronti della legge.
Il primo detto è così formulato: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento”. Si può avere l’impressione che con questa frase Gesù voglia imporre ai discepoli una rigida osservanza della legge mosaica, ma qui si indica non tanto l’osservanza letterale della legge, quanto piuttosto quel nuovo modo di intendere e di praticare la legge che è conforme alla buona novella proclamata da Gesù.
Nel secondo detto riportato, Gesù dice: “In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto”. L’Antico Testamento resta parola di Dio anche per Gesù; il suo valore rimane inalterato, anche nel minimo dettaglio come può essere un iota” (la lettera più minuscola dell’alfabeto ebraico).
Il terzo detto è il seguente: “Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.” In questo versetto si affronta più direttamente il problema riguardante l’osservanza dei precetti contenuti nella legge: alcuni di essi sono considerati “grandi”, mentre altri, come le varie prescrizioni rituali e alimentari, sono chiaramente secondari ossia “minimi””
L’ultimo detto è : “Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.” Nel linguaggio biblico la giustizia, già nominata da Matteo nelle beatitudini, indica la fedeltà a Dio che si esprime nell’obbedienza ai Suoi comandamenti. Per l’evangelista la giustizia del discepolo deve superare quella degli scribi e dei farisei non perché egli sia tenuto ad osservare precetti più rigidi di quelli insegnati da costoro (Mt 23,3), ma perché egli deve farlo con una mentalità e uno spirito nuovi.
Nell’introduzione alle antitesi Matteo ricompone dunque alcuni antichi detti di Gesù, dai quali fa emergere l’idea secondo cui la legge, mantiene sempre tutta la sua validità, a patto però che essa sia interpretata nell’ottica del compimento portato da Gesù.
La prima antitesi si apre con la citazione del precetto, contenuto nel decalogo, che vieta di uccidere: “Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio.” In contrasto con questa prescrizione, intesa naturalmente in senso restrittivo, Gesù afferma: “Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.” In questo detto sono equiparati all’omicidio altri tre comportamenti: l’adirarsi con il proprio fratello, il dirgli “stupido”, e il dirgli “pazzo”. È chiaro che non si tratta qui solamente di reazioni naturali emotive, ma di un odio che reca molto male al fratello. Le sanzioni previste per questi peccati consistono nell’essere sottoposti al giudizio, al sinedrio e al fuoco della geenna: da questo crescendo appare che si tratta di peccati gravissimi, che alla fine portano alla rottura con Dio.
Seguono poi due esempi pratici coi quali si spiega in modo positivo quale deve essere il comportamento abituale del discepolo. Nel primo di essi Gesù afferma che, se uno sta facendo la sua offerta nel tempio e si ricorda di avere un contrasto con un suo fratello, deve interrompere la sua azione e riprenderla solo dopo essersi riconciliato con lui.
La seconda antitesi riguarda il sesto comandamento: “Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore”. Anche qui Gesù si contrappone non al precetto in se stesso, ma a una sua interpretazione riduttiva, sottolineando come anche un semplice sguardo di desiderio rivolto a una donna debba già considerarsi come un adulterio: Dio vuole che l’obbedienza non si limiti agli atti esterni, ma parta dal cuore. A questa antitesi fa seguito un brano formulato anch’esso in forma antitetica:
“Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.” In contrasto con la norma che permette a un uomo di ripudiare la propria moglie scrivendo per lei un libello di ripudio (V. Dt 24,1), Gesù rifiuta il ripudio in se stesso, in quanto è occasione di adulterio: infatti egli considera come adultera non solo la donna ripudiata che contrae un nuovo matrimonio, ma anche l’uomo che la sposa.
Un’idea così radicale deve avere creato difficoltà notevoli alle coppie cristiane: perciò la tradizione successiva sottolinea come, in caso di separazione, ciascuno dei due coniugi commetta adulterio solo se si risposa (Lc 16,18; Mc 10,10-11; Mt 19,9).
Matteo però ritocca anche la direttiva originaria, in quanto afferma che essa non si applica nei casi di “unione illegittima” (V. clausola matteana).
La terza antitesi riguarda l’uso di chiamare Dio a testimone delle proprie affermazioni: Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno. ”
Il precetto che proibisce di giurare il falso è preso dal decalogo (Lv 19,12), mentre l’obbligo di adempiere i propri giuramenti si ispira ad altri passi dell’AT (Nm 30,3; Dt 23,22; Sal 50,14). Gesù invece proibisce qualsiasi forma di giuramento e ricorda infine che il sì e il no sono più che sufficienti per dar valore alla propria parola.
Per concludere Gesù condanna l’interpretazione riduttiva ed ipocrita fatta dagli scribi e dai farisei, è il loro atteggiamento che Gesù condanna, lo stesso che può avere anche il fedele cristiano oggi.
Questo atteggiamento purtroppo anche oggi nasce da una lettura presa alla lettera della parola di Dio, ma Gesù spezza questo schema che riguarda anche noi cristiani, che ci accontentiamo di confessare: Non ho ammazzato nessuno (senza pensare che abortire o procurare aborto vuol dire uccidere) , non ho rubato, non ho commesso adulterio, non ho ingannato nessuno. Gesù ci ripresenta il Decalogo nel suo vero significato: i comandamenti sono solo segni essenziali di un atteggiamento interiore, totale, che deve coinvolgere però tutte le scelte quotidiane. Non si è giusti solo in alcuni atteggiamenti superficiali, e magari in alcune ore del giorno, ma lo si è sempre e totalmente quando ci si consacra all’amore del prossimo rispettandolo e aiutandolo, all’amore matrimoniale in una piena donazione, e soprattutto all’amore per la verità e la giustizia anche nelle piccole cose, quelle che solo Dio conosce. In questa luce si comprende cosa Gesù vuol dire quando dice che è venuto a dare pieno compimento alla Legge e a tutto ciò che i profeti avevano annunciato.
Contro i 613 precetti della Legge numerati dai rabbini, Gesù ci ricorda che il comandamento è uno solo eppure abbraccia ogni atto e ogni istante della nostra vita: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. … Amerai il prossimo tuo come te stesso. E’ da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”.

 

*****

 

“L’odierna liturgia ci presenta un’altra pagina del Discorso della montagna, che troviamo nel Vangelo di Matteo. In questo brano, Gesù vuole aiutare i suoi ascoltatori a compiere una rilettura della legge mosaica. Quello che fu detto nell’antica alleanza era vero, ma non era tutto: Gesù è venuto per dare compimento e per promulgare in modo definitivo la legge di Dio, fino all’ultimo iota . Egli ne manifesta le finalità originarie e ne adempie gli aspetti autentici, e fa tutto questo mediante la sua predicazione e più ancora con l’offerta di sé stesso sulla croce. Così Gesù insegna come fare pienamente la volontà di Dio e usa questa parola: con una “giustizia superiore” rispetto a quella degli scribi e dei farisei. Una giustizia animata dall’amore, dalla carità, dalla misericordia, e pertanto capace di realizzare la sostanza dei comandamenti, evitando il rischio del formalismo. Il formalismo: questo posso, questo non posso; fino a qui posso, fino a qui non posso … No: di più, di più.
In particolare, nel Vangelo di oggi Gesù prende in esame tre aspetti, tre comandamenti: l’omicidio, l’adulterio e il giuramento.
Riguardo al comandamento “non uccidere”, Egli afferma che viene violato non solo dall’omicidio effettivo, ma anche da quei comportamenti che offendono la dignità della persona umana, comprese le parole ingiuriose. Certo, queste parole ingiuriose non hanno la stessa gravità e colpevolezza dell’uccisione, ma si pongono sulla stessa linea, perché ne sono le premesse e rivelano la stessa malevolenza. Gesù ci invita a non stabilire una graduatoria delle offese, ma a considerarle tutte dannose, in quanto mosse dall’intento di fare del male al prossimo.
E Gesù dà l’esempio. Insultare: noi siamo abituati a insultare, è come dire “buongiorno”. E quello è sulla stessa linea dell’uccisione. Chi insulta il fratello, uccide nel proprio cuore il fratello. Per favore, non insultare! Non guadagniamo niente…
Un altro compimento è apportato alla legge matrimoniale. L’adulterio era considerato una violazione del diritto di proprietà dell’uomo sulla donna. Gesù invece va alla radice del male. Come si arriva all’omicidio attraverso le ingiurie, le offese e gli insulti, così si giunge all’adulterio attraverso le intenzioni di possesso nei riguardi di una donna diversa dalla propria moglie. L’adulterio, come il furto, la corruzione e tutti gli altri peccati, vengono prima concepiti nel nostro intimo e, una volta compiuta nel cuore la scelta sbagliata, si attuano nel comportamento concreto. E Gesù dice: chi guarda una donna che non è la propria con animo di possesso è un adultero nel suo cuore, ha incominciato la strada verso l’adulterio. Pensiamo un po’ su questo: sui pensieri cattivi che vengono in questa linea.
Gesù, poi, dice ai suoi discepoli di non giurare, in quanto il giuramento è segno dell’insicurezza e della doppiezza con cui si svolgono le relazioni umane. Si strumentalizza l’autorità di Dio per dare garanzia alle nostre vicende umane. Piuttosto siamo chiamati ad instaurare tra di noi, nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità un clima di limpidezza e di fiducia reciproca, così che possiamo essere ritenuti sinceri senza ricorrere a interventi superiori per essere creduti. La diffidenza e il sospetto reciproco minacciano sempre la serenità!
La Vergine Maria, donna dell’ascolto docile e dell’obbedienza gioiosa, ci aiuti ad accostarci sempre più al Vangelo, per essere cristiani non “di facciata”, ma di sostanza! E questo è possibile con la grazia dello Spirito Santo, che ci permette di fare tutto con amore, e così di compiere pienamente la volontà di Dio.”
Papa Francesco Angelus del 12 febbraio 2017

1. Questa domenica, 9 febbraio, si celebra la XXVIll Giornata Diocesana del Malato e del Pellegrino.

2. Martedì 11 febbraio si celebra la memoria liturgica della Madonna di N.S. di Lourdes.

3. Sabato 15 e domenica 16 febbraio nella Parrocchia di S. Damaso si svolge il ritiro del corso "Vita Nuova" per i fidanzati e per tutti coloro che vogliono approfondire la propria fede.

4. Mercoledì 12 febbraio alle ore 19,00 nella sala P. Luciano ci sarà l'incontro con i genitori dei ragazzi che quest'anno riceveranno il sacramento della cresima.

5. Venerdì 14 febbraio si celebra !a festa liturgica dei Ss. Cirillo e Metodio patroni d'Europa e la memoria di S. Valentino.

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

Parrocchia Nostra Signora de La Salette
Piazza Madonna de La Salette 1 - 00152 ROMA
tel. e fax 06-58.20.94.23
e-mail: email
Settore Ovest - Prefettura XXX - Quartiere Gianicolense - 12º Municipio
Titolo presbiterale: Card. Polycarp PENGO
Affidata a: Missionari di Nostra Signora di «La Salette» (M.S.)
 

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