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Elena Tasso

Elena Tasso

Con questa domenica, in cui si conclude il tempo di Natale, la Chiesa celebra il Battesimo del Signore invitandoci a fare memoria del nostro Battesimo. Dopo trent’anni di vita nascosta, Gesù prende un’iniziativa impensabile: giunge al fiume Giordano, si unisce alle folle desiderose di perdono, e riceve anche Lui il Battesimo amministrato da Giovanni.
Nella prima lettura, il profeta Isaia descrive le opere del servo di Jahvè su cui Dio pone tutta la Sua compiacenza. Egli è stato chiamato per realizzare la salvezza che viene da Dio, e compirà la sua missione rendendosi alleanza del popolo e luce delle nazioni, donando loro la luce e liberandoli da ogni male.
Nella seconda lettura nel brano tratto dagli Atti degli Apostoli, leggiamo che Pietro, rivolgendosi al centurione Cornelio, che sta per diventare cristiano insieme ai suoi famigliari, rievoca la scena del Battesimo di Gesù presentando Dio che effonde lo Spirito Santo su Gesù di Nazareth, il Cristo, Verbo del Dio vivente.
Il brano del Vangelo di Matteo ci racconta il battesimo di Gesù sulle rive del Giordano dove su di Lui irrompe in pienezza lo Spirito di Dio e la voce celeste annuncia «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».
Gesù è il Figlio Unigenito che somiglia in tutto al Padre. Perciò seguendo Lui giungiamo al Padre e conoscendo Lui siamo certi di conoscere il volto di Dio. E’ Dio stesso che ci presenta Gesù come Suo proprio Figlio e ci invita a riconoscerlo come tale, perché il Suo battesimo sia salvezza per tutti gli uomini.

Dal libro del profeta Isaia
Così dice il Signore:
«Ecco il mio servo che io sostengo,
il mio eletto di cui mi compiaccio.
Ho posto il mio spirito su di lui;
egli porterà il diritto alle nazioni.
Non griderà né alzerà il tono,
non farà udire in piazza la sua voce,
non spezzerà una canna incrinata,
non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta;
proclamerà il diritto con verità.
Non verrà meno e non si abbatterà,
finché non avrà stabilito il diritto sulla terra,
e le isole attendono il suo insegnamento.
Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia
e ti ho preso per mano;
ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo
e luce delle nazioni,
perché tu apra gli occhi ai ciechi
e faccia uscire dal carcere i prigionieri,
dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre».
Is 42,1-4. 6-7

Questo brano fa parte dei testi (capitoli 40-55) attribuiti ad un autore, rimasto anonimo, a cui è stato dato il nome di “Secondo Isaia ” o “deutero Isaia ”. Forse era un lontano discepolo del primo Isaia che visse a Babilonia insieme agli esiliati che dalla sue profezie prendono speranza. Era accaduto che a partire dal 550 a.C. un nuovo popolo, non semitico, i Persiani, sotto il comando del loro re, Ciro, in pochi anni sottomisero l’oriente e agli occhi dei popoli oppressi, deportati dai Babilonesi, Ciro sembrò come un liberatore. Da allora nella comunità degli Ebrei esiliati si videro apparire racconti, oracoli, canti che esaltavano l’opera di Dio nella storia del mondo. Era finito il tempo in cui dominavano gli idoli, il vero Dio, il solo Dio apparve loro il padrone degli avvenimenti che agiva per la liberazione e la salvezza del suo popolo. Con la caduta di Babilonia nel 539, Ciro autorizzò gli Israeliti a ritornare in patria e a praticare il loro culto. Si pensò persino che Ciro fosse l’inviato del Signore, un messia, un uomo di Dio, che avrebbe realizzato ovunque la pace. Ma per quanto Ciro fosse una figura gloriosa della storia, l’inviato di Dio sarebbe arrivato secoli dopo sotto spoglie più umili, quelle di un Giusto, che espia nel dolore le colpe degli uomini. In questo brano troviamo i primi versetti che fanno parte del primo dei 4 brani, conosciuti come "canti del servo del Signore", dove il Signore presenta questo servo come un profeta, oggetto di una missione, animato dallo Spirito.
Il testo si apre con una dichiarazione pubblica in cui il Signore manifesta la sua predilezione per il Servo:”Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni”. Il Servo ha il privilegio di essere scelto, sostenuto e amato dal Signore e riceve in dono il Suo Spirito, segno della sua presenza che è la prerogativa degli uomini di Dio, giudici, profeti e re, e in modo particolare del futuro discendete di Iesse (V.Is 11,1-2).
Il Servo appare dunque come uno dei grandi personaggi che, come Mosè, Davide, i profeti, Dio ha scelto come Suoi rappresentanti e che spesso hanno ricevuto il titolo onorifico di Suoi servi.
La scelta divina e il dono dello Spirito comportano per il Servo una missione: “egli porterà il diritto alle nazioni”. Il termine “diritto” indica qui non il diritto in generale, ma il “decreto” divino che stabilisce la fine dell'esilio. Il compito del Servo è principalmente quello di annunziare la prossima liberazione degli israeliti dall’esilio babilonese. Questo messaggio è annunziato metaforicamente alle nazioni (ossia anche ai pagani) poiché anche loro devono conoscere l'iniziativa divina, della quale saranno spettatrici attonite.
Un evento del popolo di Israele diventa così la manifestazione di un agire di Dio nella storia in favore di tutta l’umanità
Alla vocazione del Servo fa seguito una breve descrizione del modo in cui egli svolgerà la sua missione: “Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata,non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta” Con queste allegorie Isaia vuole far comprendere che il Servo non farà uso di alcuna forma di imposizione, ma rispetterà i tempi e i modi di ciascuno. Egli infatti è inviato a persone impreparate, simili a canne incrinate pronte a rompersi o a stoppini fumiganti che facilmente si spengono. Il suo compito dunque non è quello di imporre, ma di proporre la liberazione, in modo da ottenere un'adesione libera e consapevole.
Tuttavia la sua mitezza non è segno di debolezza, infatti “Non verrà meno e non si abbatterà,finché non avrà stabilito il diritto sulla terra, e le isole attendono il suo insegnamento”.
Nel suo annunzio, riguardante una svolta epocale nella storia, il Servo non avrà dunque un successo facile e immediato, ma dovrà scontrarsi con notevoli difficoltà, in quanto metterà in crisi interessi e privilegi consolidati. Egli però reagirà con grande coraggio e forza d'animo, senza mai perdere di vista la meta, che è talmente importante da suscitare persino l'attesa delle isole, cioè delle nazioni più lontane.
Dopo il Signore si rivolge nuovamente al Servo presentandogli la sua missione: “Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni”. Il Servo è l'uomo che Dio ha prescelto, per manifestare la sua giustizia (nel senso di fedeltà e misericordia) verso il popolo eletto, liberandolo dall'oppressione a cui è stato sottoposto. Egli sarà quindi il mediatore che, in nome del Signore, dovrà concludere con esso l'alleanza escatologica; così facendo egli diventerà “luce delle nazioni”, in quanto la sua opera in favore di Israele si riverserà anche su di esse.
Dopo questa premessa viene indicato espressamente il compito per cui il servo è stato chiamato: “perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre”. La missione del Servo, che viene indicata con tre espressioni:”aprire gli occhi ai ciechi”, “far uscire dal carcere i prigionieri”, “liberare dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre”, segnala la situazione non solo materiale ma anche spirituale di coloro che sono stati privati della loro terra, della loro cultura, della loro libertà e indipendenza. Il Servo deve dunque compiere un’opera immane, quella cioè di riaggregare persone disperse, dare loro la percezione di essere popolo, assegnare loro un progetto che non consiste soltanto in un ritorno nella terra di origine, ma in una vera e propria conversione al Signore.

Salmo 28 - Il Signore benedirà il suo popolo con la pace.
Date al Signore, figli di Dio,
date al Signore gloria e potenza.
Date al Signore la gloria del suo nome,
prostratevi al Signore nel suo atrio santo.

La voce del Signore è sopra le acque,
il Signore sulle grandi acque.
La voce del Signore è forza,
la voce del Signore è potenza.

Tuona il Dio della gloria,
nel suo tempio tutti dicono: «Gloria!».
Il Signore è seduto sull’oceano del cielo,
il Signore siede re per sempre.

Secondo alcuni studiosi, questo è forse il Salmo più antico (XII-XI sec. a,C,) di tutta la collezione del Salterio. Esso assume termini e stilemi, strutture ideologiche e costellazioni simboliche del mondo indigeno preisraelitico. Questo orizzonte è rappresentato dalla cultura cananea che proprio in Baal Hadad, il dio della tempesta, aveva la sua divinità suprema. Infatti, lo scenario di questo che è stato definito “il Gloria in excelsis” dell’Antico Testamento è costituito da una tempesta, colta nel suo dispiegarsi progressivo e violento. ….
Nell’interpretazione cristiana: la voce divina diventa la voce del Padre che si indirizza al Figlio nel battesimo del Giordano e risuona nella predicazione apostolica, mentre il settenario delle voci-tuoni diventa il settenario dei dono dello Spirito o il settenario dei sacramenti. Scriveva san Gregorio Magno: “La voce di Dio tuona mirabilmente perchè, con forza nascosta, penetra i nostri cuori”.
Commento tratto da “I Salmi “di Gianfranco Ravasi

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga. Questa è la Parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti. Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui».
At 10,34-38

Il libro degli Atti degli Apostoli, la cui redazione definitiva risale probabilmente attorno agli anni 70-80, è attribuita all’evangelista Luca, che è anche autore del Vangelo che porta il suo nome. Il libro è composto da 28 capitoli e narra la storia della comunità cristiana dall'ascensione di Gesù fino all'arrivo di Paolo a Roma e copre un periodo che spazia approssimativamente dal 30 al 63 d.C. Oltre che su Paolo, l'opera si sofferma diffusamente anche sull'operato dell'apostolo Pietro e descrive il rapido sviluppo, l'espansione e l'organizzazione della testimonianza cristiana prima ai giudei e poi agli uomini di ogni nazione.
Nella seconda parte dell’opera viene delineata l’espandersi dell’annunzio evangelico al di fuori di Gerusalemme. A tal fine Luca presenta l’opera di Filippo in Samaria, la conversione dell’eunuco della regina d’Etiopia, e la straordinaria conversione del persecutore Saulo sulla via di Damasco. Infine egli racconta un viaggio apostolico di Pietro nella zona costiera della Palestina, a conclusione del quale mette la conversione del centurione Cornelio, con tutti i suoi famigliari, facendo di loro i primi pagani che aderiscono al cristianesimo senza passare attraverso la circoncisione. Per Luca è importante sottolineare come questo evento, che apre la porta della Chiesa ai pagani, sia accaduto per opera dello stesso Pietro.
In questo brano è riportato l’inizio del discorso di Pietro in casa del centurione Cornelio, a cui lo Spirito l’ha inviato. Pietro comincia con una constatazione: In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone,
Non sarà stato facile neanche per Pietro comprendere che il Vangelo era proprio destinato a tutte le genti. Le rigide norme di purezza rituale degli ebrei e i contatti con i pagani era molto forte in lui come ebreo praticante. Paolo nella lettera ai Galati (2,11-16) rimprovererà Pietro di incontrare i pagani di nascosto dagli ebrei proprio a causa della fatica di conciliare questi due gruppi di cristiani. Però con la conversione di Cornelio anche Pietro comprende che un incontro è possibile e che con la morte e risurrezione di Gesù non vi è più differenza tra persone e tra popoli.
“ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga”.
Per Luca i giusti di Israele erano coloro che si mettevano in ascolto della Legge e la osservavano in modo coscienzioso e qui vuole evidenziare che la giustizia del nuovo popolo di Dio, la Chiesa, è la continuazione della giustizia di Israele, quindi anche il centurione Cornelio può dirsi uomo giusto.
La giustizia perciò non viene da un diritto di nascita ma dalla disponibilità ad accogliere e seguire la parola di Dio.
“Questa è la Parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti. “
La Parola Dio l’ha inviata per mezzo suo Figlio ai figli di Israele, il popolo prediletto sin dal principio. Cristo ha portato soprattutto la pace, e in forza della sua morte e risurrezione è diventato il Signore di tutti.
“Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni;” Pietro ora fa una specie di riassunto dell'esperienza terrena di Gesù e tutto è cominciato proprio con il battesimo predicato da Giovanni. Questo battesimo era stato molto famoso, tanto che Paolo quando giunse a Efeso, trovò alcuni discepoli che avevano ricevuto soltanto il battesimo di Giovanni e non avevano mai sentito dire che esistesse uno Spirito Santo, o meglio non ne ignoravano l’esistenza, ma la sua effusione in adempimento delle promesse messianiche.
“cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui”. Tramite il battesimo di Giovanni, Dio consacrò nello Spirito e nella Sua potenza, quell'uomo che tutti conoscevano come Gesù di Nazaret, che rivestito di potenza dall'alto beneficò e risanò coloro che erano sotto il potere del diavolo, liberandoli dal peccato e dalla morte.
Il Battesimo è il fondamento di tutta la vita cristiana, è l’abbraccio con l’infinito. È comunione con Dio, è la nostra adozione a figli ottenutaci da Gesù Figlio di Dio. E’ la porta che apre l'accesso agli altri sacramenti, che fa sì che il legame che intercorre tra Dio e l’uomo non è più quello tra il Creatore e la creatura, è un legame che si colora di intimità e di amore, è quello che sboccia in una relazione di paternità e di filiazione, come dice il profeta Osea : Dio si china e ci solleva alla sua guancia come il padre fa con il suo bimbo per farlo mangiare. (11,4)

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui.
Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare.
Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».
Mt 3, 13-17

Il tempo di Natale si chiude col Battesimo del Signore, ma ovviamente nella storia di Gesù il tempo che passa tra la sua nascita e il battesimo al Giordano è di circa 30 anni e di questi decenni poco dicono i Vangeli, poco la tradizione.
Con il brano che la liturgia presenta, ci spostiamo sulle rive del fiume Giordano, dove già da tempo, Giovanni, il cugino di Gesù, figlio di Elisabetta e Zaccaria, sta predicando il suo invito alla conversione. Col Battesimo inizia la "vita pubblica" di Gesù per le strade di Palestina fino a quel triduo di Pasqua, presumibilmente all'inizio di aprile dell'anno 30.
Descrivendo il battesimo di Gesù, Matteo rivela come in Lui si realizzino i tratti del servo del Signore annunciato dal profeta Isaia nella prima lettura.
Il brano si apre riportando che : "Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui.” Gesù si unisce agli altri pellegrini che chiedono di essere battezzati. Sta insieme a tutti, uno fra i tanti, senza farsi notare.
Quando giunge il suo turno per il battesimo“Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Giovanni Battista è guidato dallo Spirito di Dio, è il più grande di tutti i profeti, e quindi sa che il giovane che gli sta di fronte non è semplicemente suo cugino, ma è il Messia atteso da sempre. Per questo si stupisce del desiderio di Gesù di farsi battezzare perché il battesimo che Giovanni conferiva era come segno del desiderio di cambiare vita, come segno dell'impegno che ciascuno prendeva per lasciarsi alle spalle il male, il peccato... Per cui si chiede giustamente che bisogno ha Gesù di farsi battezzare, lui che è senza peccato?
Eppure Gesù insiste, e gli dice “Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia”.
Questo dibattito tra Giovanni e Gesù, assente negli altri due sinottici, è inserito da Matteo per rispondere a due obiezioni. La prima riguarda l’ordine di dignità tra i due: il fatto che si faccia battezzare da Giovanni non esclude che Gesù sia il “più forte”, dal momento che il Battista stesso voleva evitare di battezzarlo. La seconda riguarda il motivo per cui Gesù riceve il battesimo: egli si sottomette a questa pratica, non perché sia peccatore anche lui come tutti gli altri, ma perché è suo compito compiere ogni giustizia.
Il termine "adempiere ogni giustizia" significa "compiere tutto ciò che sta scritto nella legge e nei profeti" (cfv. Mt 5,17). Con il battesimo di Gesù si realizzerà una parola profetica ben precisa
“Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui”.
Matteo non descrive il battesimo di Gesù, bensì parla del suo uscire dalle acque. A questa uscita si accompagna una teofania, la manifestazione della divinità di Gesù, anzi di tutta la Trinità.
“Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento»”.
Il cielo si apre per lui, per Gesù, ed è lui che vede lo Spirito, ma la voce del Padre è per tutti, quindi non solo Gesù ascolta, ma tutti hanno la conferma da parte del Padre: quest’uomo che si fa battezzare come tutti gli altri, è Suo Figlio, l’amato, in cui ha riposto ogni Sua compiacenza.
Gesù è il Figlio Unigenito che somiglia in tutto al Padre. Perciò seguendo Lui giungiamo al Padre e conoscendo Lui siamo certi di conoscere il volto di Dio. E’ Dio stesso che ci presenta Gesù come Suo proprio Figlio e ci invita a riconoscerlo come tale, perché il Suo battesimo sia salvezza per tutti gli uomini.
La gioia è grande, perché Dio non distrugge, non annienta e non maledice, ma rinnova, ricrea e fa nuove tutte le cose per mezzo dello Spirito Santo. Nell’Amato Suo Figlio ci viene incontro per abitare in mezzo a noi. E Gesù, che gli obbedisce, si fa nostro fratello, amico e salvatore.

 

*****

“Oggi, festa del Battesimo di Gesù, il Vangelo ci presenta la scena avvenuta presso il fiume Giordano: in mezzo alla folla penitente che avanza verso Giovanni il Battista per ricevere il battesimo c’è anche Gesù. Faceva la coda. Giovanni vorrebbe impedirglielo dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te» (Mt 3,14). Il Battista infatti è consapevole della grande distanza che c’è tra lui e Gesù. Ma Gesù è venuto proprio per colmare la distanza tra l’uomo e Dio: se Egli è tutto dalla parte di Dio, è anche tutto dalla parte dell’uomo, e riunisce ciò che era diviso. Per questo chiede a Giovanni di battezzarlo, perché si adempia ogni giustizia (cfr v. 15), cioè si realizzi il disegno del Padre che passa attraverso la via dell’obbedienza e della solidarietà con l’uomo fragile e peccatore, la via dell’umiltà e della piena vicinanza di Dio ai suoi figli. Perché Dio è tanto vicino a noi, tanto!
Nel momento in cui Gesù, battezzato da Giovanni, esce dalle acque del fiume Giordano, la voce di Dio Padre si fa sentire dall’alto: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento» (v. 17). E nello stesso tempo lo Spirito Santo, in forma di colomba, si posa su Gesù, che dà pubblicamente avvio alla sua missione di salvezza; missione caratterizzata da uno stile, lo stile del servo umile e mite, munito solo della forza della verità, come aveva profetizzato Isaia: «Non griderà, né alzerà il tono, [...] non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità» (42,2-3). Servo umile e mite.
Ecco lo stile di Gesù, e anche lo stile missionario dei discepoli di Cristo: annunciare il Vangelo con mitezza e fermezza, senza gridare, senza sgridare qualcuno, ma con mitezza e fermezza, senza arroganza o imposizione. La vera missione non è mai proselitismo ma attrazione a Cristo. Ma come? Come si fa questa attrazione a Cristo? Con la propria testimonianza, a partire dalla forte unione con Lui nella preghiera, nell’adorazione e nella carità concreta, che è servizio a Gesù presente nel più piccolo dei fratelli. Ad imitazione di Gesù, pastore buono e misericordioso, e animati dalla sua grazia, siamo chiamati a fare della nostra vita una testimonianza gioiosa che illumina il cammino, che porta speranza e amore.
Questa festa ci fa riscoprire il dono e la bellezza di essere un popolo di battezzati, cioè di peccatori – tutti lo siamo – di peccatori salvati dalla grazia di Cristo, inseriti realmente, per opera dello Spirito Santo, nella relazione filiale di Gesù con il Padre, accolti nel seno della madre Chiesa, resi capaci di una fraternità che non conosce confini e barriere.
La Vergine Maria aiuti tutti noi cristiani a conservare una coscienza sempre viva e riconoscente del nostro Battesimo e a percorrere con fedeltà il cammino inaugurato da questo Sacramento della nostra rinascita. E sempre umiltà, mitezza e fermezza.”
Papa Francesco Angelus dell’ 8 gennaio 2017

Per riaffermare e tramandare i valori dell’Epifania - XXXV EDIZIONE

Il corteo del prossimo 6 gennaio sfilerà in Via della Conciliazione alle ore 10,00 e ne saranno principali protagoniste le famiglie di Allumiere, con i loro Re Magi. Verrà aperto dal grande quadro della "SACRA FAMIGLIA" permanentemente esposto alla venerazione dei fedeli nella nostra Parrocchia; ancora una volta riceverà la benedizione del Santo Padre.

DA ALLUMIERE I RE MAGI DI "VIVA LA BEFANA" 2020 PORTERANNO

I TRADIZIONALI SIMBOLICI DONI DELLE FAMIGLIE A PAPA FRANCESCO

l'evento:
ALLUMIERE e la Valle del Mignone saranno protagonisti della prossima XXXV edizione del corteo storico folcloristico "VIVA LA BEFANA - PER RIAFFERMARE E TRAMANDARE I VALORI DELL'EPIFANIA" che, al seguito dei Re Magi, sfilerà il 6 gennaio 2020 alle ore 10,00 in Via della Conciliazione a Roma, per assistere all'Angelus e recare simbolici doni dell'Epifania al Papa .
La manifestazione è realizzata da un Comitato organizzatore di "serventi" volontari, coordinati dall'Associazione Europae Fami.li.a (Famiglie Libere Associate d'Europa), e dal COMUNE di ALLUMIERE con il patrocinio della Regione Lazio, Lazio Crea e del I Municipio di Roma Capitale.
In questo originale e coloratissimo corteo, unico del genere, i Comuni che si sono candidati per esserne i protagonisti e che sono stati designati dal comitato organizzatore, rappresenteranno con i propri cittadini cultura, tradizioni, risorse e prodotti dei loro Territori, per donarli simbolicamente, in occasione dell’Epifania, a tutte le famiglie del mondo. Pace, solidarietà e fratellanza tra i popoli saranno i temi conduttori di questo grande evento di Roma Capitale, nel quale, per riaffermare l’universalità dell'Epifania, ogni anno si avvicendano popolazioni sempre diverse. Centinaia di figuranti, gruppi di rievocazione storica, bande musicali, cavalli e fantasiose scenografie, realizzeranno anche nella prossima edizione, un suggestivo scenario che coinvolgerà in un grande e gioioso "abbraccio" le decine di migliaia di spettatori provenienti da tante località d'Italia e del mondo per partecipare all'Angelus ed assistere alla manifestazione, entrata a far parte del folclore di questa giornata festiva. Il corteo verrà chiuso dalla fanfara del 4° Reggimento Carabinieri a Cavallo.

"VIVA LA BEFANA", grazie alla costante dedizione di molte associazioni di volontariato, è divenuta un contenitore culturale, aperto al contributo di tutti coloro che vogliono collaborare per riempirlo dei preziosi ricordi di vita quotidiana che appartengono alla storia ed alle tradizioni delle nostre famiglie e che, in molti comuni italiani ancora vengono conservati intatti per riproporli e tramandarli alle nuove generazioni.
La preparazione dell’evento, seppure laboriosa e complessa, non scoraggia genitori, nonni e bambini , ciascuno dei quali, aggiunge con grande entusiasmo la propria “tessera” per costruire questo grande mosaico di storia e di folclore. Centinaia le ore di lavoro, per ricercare, studiare, selezionare, valorizzare, creare e assemblare quanto di meglio esiste sul Territorio. Scolaresche, guidate dai loro insegnanti, Istituzioni pubbliche e/o private, associazioni culturali, sportive e d’arma, artigiani, commercianti, professionisti si impegnano per ideare e preparare scenografie che possano raccontare storia e tradizioni, nuove, o vecchie di secoli. Una gara tra rioni, contrade, quartieri che avrà sempre e comunque un solo vincitore, “Il Territorio protagonista del corteo”. Un’occasione veramente unica per lavorare tutti insieme e riscoprire, con orgoglio, le proprie radici e farle conoscere al grande pubblico.

le origini:
Era l’anno 1985 quando, un gruppo di genitori e nonni, professionisti impegnati nei vari settori della scuola, della cultura, dello sport e del sociale, decisero di realizzare una manifestazione di grande visibilità per convincere definitivamente il Governo a reinserire l'Epifania come giorno festivo nel calendario civile. Purtroppo, il 5 gennaio, la domenica in cui era stata relegata la Festività , una grande nevicata paralizzò Roma e l’evento non ebbe il programmato svolgimento. L’imprevisto, tuttavia, non demoralizzò i promotori i quali avuta la collaborazione di altri generosi volontari organizzarono una “VIVA LA BEFANA”, più grande e articolata, per il 6 gennaio 1986, anno dal quale furono numerate le successive edizioni . La perseveranza venne premiata e la manifestazione riuscì “alla grande”: non solo si ottenne il ritorno dell'Epifania, come giorno festivo sul calendario civile, ma gli entusiasti consensi dell’opinione pubblica, delle famiglie, degli insegnanti e di tantissime associazioni fu tale che l’evento divenne permanente, proprio per riaffermare e tramandare alle nuove generazioni i valori di questa significativa festività cristiana.

Da allora,"VIVA LA BEFANA" , è costruita e articolata con sempre più originali simbologie, per contemperare l’esigenza di esaltare i valori religiosi della Festività, senza dimenticare gli aspetti folcloristici legati alla tradizione della Befana, la quale, come nel logo della manifestazione, è stata ridisegnata con il volto rassicurante di una dolce vecchina dispensatrice di doni, identificabile con" una nonna" e non più come una brutta strega che spaventa i bambini.

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Venerdì, 03 Gennaio 2020 15:19

Epifania del Signore - Anno A - 6 gennaio 2020

Nel giorno dell’Epifania, o manifestazione del Signore, la Chiesa continua a contemplare il mistero della nascita di Gesù. Se a Natale, Dio ha vissuto il Suo pellegrinaggio, venendo ad abitare in mezzo a noi, nell’Epifania assistiamo al movimento corrispondete: gli uomini attratti dalla rivelazione del Suo mistero, si dirigono verso di Lui.
Nella prima lettura il profeta Isaia profetizza il giorno in cui “cammineranno le genti alla sua luce”. E’ un invito gioioso anche per noi. E’ il Signore che ci invita a lasciarci rivestire dalla volontà di bene che sprigiona la nascita del Suo Messia.
Nella seconda lettura, tratta dalla lettera agli Efesini, l’Apostolo Paolo afferma che tutte le genti sono chiamati “in Cristo Gesù” a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo..
Nel Vangelo di Matteo, leggiamo che i Magi si lasciano guidare dalla stella cometa dall’Oriente verso Betlemme. I magi sono il simbolo del mondo che va in cerca di Dio, è la festa della scienza che si fa guidare dalla stella della fede. E’ la festa della manifestazione della gloria di Dio che si rivela nell’umiltà, in un bambino appena nato. E’ sorprendente come questi uomini sapienti, non rimasero delusi quando videro il bambino; l’evangelista Matteo infatti dice “Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono …” La scienza quando è illuminata dalla fede può raggiungere mete ancora più alte di quelle umanamente sperate.

Dal libro del profeta Isaìa
Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra,
nebbia fitta avvolge i popoli;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.
Cammineranno le genti alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.
Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli vengono da lontano,
le tue figlie sono portate in braccio.
Allora guarderai e sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,
perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te,
verrà a te la ricchezza delle genti.
Uno stuolo di cammelli ti invaderà,
dromedari di Màdian e di Efa,
tutti verranno da Saba, portando oro e incenso
e proclamando le glorie del Signore.
Is 60,1-6

La terza parte del libro di Isaia (capitoli 56-66) contiene una raccolta di oracoli che, per lo stile e lo sfondo storico, sono attribuiti ad un anonimo profeta del postesilio, al quale perciò è stato dato il nome di Trito (Terzo) Isaia. Alcuni hanno ritenuto che egli fosse un discepolo del Deuteroisaia, mentre altri hanno pensato a un profeta vissuto più di un secolo dopo di lui. Dopo l’editto di Ciro (538 a.C) che autorizzò il ritorno dall’esilio e la ricostruzione di Gerusalemme, il profeta si rivolge non più agli esiliati, ma ai giudei ritornati da Babilonia in Gerusalemme; il suo centro di interesse non è più il nuovo esodo, ma il ristabilimento delle istituzioni teocratiche, le quali sono minacciate non da agenti esterni, ma dalla infedeltà del popolo.
In questo brano il profeta con linguaggio poetico invita Gerusalemme ad alzarsi e a trasfigurarsi nello splendore di una "luce" abbagliante che gli proviene dalla "gloria del Signore”.
“Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. ”
Le tenebre che "ricoprono la terra e l'oscurità, che avvolge i popoli", sono un metafora della mancanza della salvezza in cui si trovano i popoli pagani.
Il profeta continua a descrivere la nuova situazione in questi termini: “Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda:tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio”.
Coloro che si muovono attratti dalla luce che risplende a Gerusalemme, sono anzitutto gli appartenenti a nazioni lontane, i quali giungono accompagnati dai loro re. Con questi stranieri vi sono anche i giudei dispersi tra di loro, i quali sono portati in braccio, quasi a indicare la stima e la protezione che le nazioni hanno verso di essi.
L’immagine qui utilizzata si ispira al pellegrinaggio annuale che tutti gli ebrei dovevano fare al Tempio portando a Dio i loro doni. Ora però coloro che salgono in pellegrinaggio a Gerusalemme non sono più i giudei ma le popolazioni straniere che portano con sé i giudei residenti in mezzo ad esse, quasi come offerta.
”Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te”, verrà a te la ricchezza delle genti. Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Màdian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore”.
Gerusalemme, la grande città di Davide, sarà finalmente irradiata dalla luce, ritroverà i suoi figli e accoglierà una folla di stranieri. I tesori del mare provengono dall'ovest, con le navi fenicie o greche; le ricchezze dell'oriente e d'Egitto giungono con le carovane attraverso i deserti di Siria e del Sinai. Madian, Efa e Saba sono popoli dell'Arabia (cf.45,14;Gen 25,1-4).
Gli stuoli di cammelli e di dromedari erano stati l'incubo delle distruzioni, ora sono i segni della ricchezza e della speranza.
La glorificazione di Gerusalemme è presentata dal Profeta come un fenomeno escatologico che mette in luce la vittoria di Dio contro le potenze perverse che dominano in questo mondo. Nonostante la sua apparente sconfitta, Dio è il vincitore, e ciò apparirà chiaramente alla fine della storia. Allora Dio creerà un mondo nuovo, nel quale prevarranno la giustizia e la pace. Di ciò beneficeranno non solo gli israeliti, ma tutte le nazioni della terra: il progetto di Dio infatti è universalistico e riguarda tutti gli uomini. La luce che un giorno brillerà nella città santa deve essere però anticipata mediante un’esistenza conforme alla volontà di Dio.

Salmo 72 (71) Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra.

Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia
e i tuoi poveri secondo il diritto.

Nei suoi giorni fiorisca il giusto
e abbondi la pace,
finché non si spenga la luna.
E domini da mare a mare,
dal fiume sino ai confini della terra.

I re di Tarsis e delle isole portino tributi,
i re di Saba e di Seba offrano doni.
Tutti i re si prostrino a lui,
lo servano tutte le genti.

Perché egli libererà il misero che invoca
e il povero che non trova aiuto.
Abbia pietà del debole e del misero
e salvi la vita dei miseri.

Un re giusto è fonte di pace per questo il salmista invoca per il futuro re - “il figlio del re” - giustizia e rettitudine. Il salmo ha un’indubbia tensione messianica poiché non si possono che applicare al Messia alcuni passi fondamentali: “Ti faccia durare quanto il sole, come la luna, di generazione in generazione”; “Nei suoi giorni fiorisca il giusto e abbondi la pace, finché non si spenga la luna. E domini da mare a mare, dal fiume sino ai confini della terra”; “A lui si pieghino le tribù del deserto, mordano la polvere i suoi nemici ”; “In lui siano benedette tutte le stirpi della terra e tutte le genti lo dicano beato”. Il re è indubbiamente Davide, e il figlio del re è Salomone, ma la figura del re e i risultati del suo governo sono tanto alti e ampi da tratteggiare il futuro Messia, il figlio del re per eccellenza; certo, secondo la carne (Rm 1,3;Gal 3,16).
La giustizia e la rettitudine costruiscono la pace e così le montagne e le colline, cioè le frontiere di Israele, porteranno pace al popolo che ha un re di giustizia e di pace: “Le montagne portino pace al popolo e le colline giustizia”. I popoli confinanti cercheranno la pace con Israele. Grande nelle relazioni con le nazioni il re futuro avrà attenzione all’interno per i deboli contro gli oppressori. Un regno fondato sulla giustizia e sull’amore non potrà mai venire meno: “Ti faccia durare quanto il sole, come la luna, di generazione in generazione". I regni fondati sulla guerra e sull’oppressione non possono durare, prima o poi i popoli si ribellano; ma il regno del Messia fondato sulla giustizia che viene da Dio rimarrà per sempre. La giustizia si eserciterà nel Cristo con l’obbedienza al Padre, con l’espiazione delle colpe del genere umano.
La sua azione sarà benefica come l’acqua che scende sulla terra permettendo cibo e vita: “Scenda come pioggia sull’erba, come acqua che irrora la terra”.
Egli Principe della pace, farà fiorire la pace finché “non si spenga la luna”; questo perché la sua pace, presente nella Chiesa e trasmessa dalla Chiesa, rimarrà sempre, La pace, poi, è l’essere riconciliati con Dio e con i fratelli.
Il suo regno sarà immenso. Non ha precedenti nei regni già esistiti, poiché :”E domini da mare a mare, dal fiume (ndr. l’Eufrate, il fiume per eccellenza) sino ai confini della terra”.
Il Messia non solo avrà i territori, ma l’omaggio delle genti: “A lui si pieghino le tribù del deserto, mordano la polvere i suoi nemici”, sottoposti al suo giudizio. I popoli si sottometteranno al suo giogo: “I re di Tarsis e delle isole porteranno tributi; i re di Saba e di Seba offrrano doni” (Tarsis è comunemente identificata con Tartessos in Spagna; Saba con la zona del golfo Arabico). Si noti che offriranno tributi e porteranno offerte, il che vuol dire che non saranno nella costrizione dei vinti.
Ancora il salmista fa vedere come il futuro Messia non trascurerà i poveri e i miseri, anzi saranno pensiero costante della sua azione: “Li riscatti dalla violenza e dal sopruso, sia prezioso ai suoi occhi il loro sangue”.
“Vivrà”, dice il salmista, cioè anche se colpito dai suoi avversari vivrà, perché conoscerà la risurrezione gloriosa.
“Si preghi sempre per lui”, cioè per mezzo della sua azione sacerdotale, con la quale ha sacrificato se stesso.
“Sia benedetto ogni giorno” perché perenne salvatore di bontà infinita.
Il salmista passa ad un’invocazione a Dio per la grandezza del “figlio di re” su tutta la terra; ciò significa che l’estendersi del regno del Messia sarà dovuto anche all’azione, completamente subordinata alla salvezza operata da Cristo e con la forza data da lui, di coloro che lo amano: “Il suo nome duri in eterno, davanti al sole germogli il suo nome”.
Di nuovo il salmista passa al futuro: “In lui siano benedette tutte le stirpi della terra”. Cioè per mezzo del suo sacrificio riconciliatore il Padre benedirà tutte le genti della terra. “Tutte le genti lo dicano beato”, perché otterrà dal Padre onore e gloria per la sua obbedienza a lui, fino alla morte di croce.
Commento di P.Paolo Berti

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni
Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.
Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.
Ef 3,2-3.5-6

Nella prima parte della lettera agli Efesini, Paolo ha delineato il progetto salvifico che Dio ha realizzato mediante Cristo (Ef 1,2-2,22). Ora, giunto al centro della sua riflessione, l’apostolo si qualifica (nel versetto precedente il brano) come
“il prigioniero di Cristo per voi pagani” e prosegue “:
“penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.”
Nel capitolo precede aveva detto che i cristiani provenienti dal paganesimo sono inseriti, a pari diritto dei giudei, nella comunità ecclesiale, di cui gli apostoli sono fondamento, ora qui viene evidenziato il ministero ricevuto da Paolo in favore dei pagani. L'espressione “ministero della grazia di Dio” indica con precisione l'oggetto della conoscenza degli efesini e il compito concreto di amministratore. Il fatto che viene aggiunto “della grazia di Dio” si spiega con il desiderio di ricordare come la grazia divina, dimensione essenziale del processo salvifico (Ef 1,6.7; 2,5.7.8), sia comunicata all'Apostolo proprio nell'esercizio del suo ministero.
Paolo sottolinea inoltre che questo ministero ha per oggetto un mistero che gli è stato fatto conoscere come effetto di un processo di rivelazione, e il contenuto del mistero è la partecipazione delle genti al corpo della Chiesa.
Nei versetti 3b-4 (omessi dalla liturgia) l‘apostolo passa ad esporre il contenuto di questo mistero, e poi osserva:
“ Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito” Il processo di rivelazione del mistero presuppone il suo occultamento nel tempo precedente a quello in cui è stato rivelato ai destinatari (apostoli e profeti agli uomini in generale). La congiunzione “come”, che lega le due frasi, non significa il grado di intensità (con maggiore chiarezza), ma di alterità assoluta (il mistero rivelato ora e non come al passato, in cui non è stato manifestato). Questo stesso concetto sarà ripreso ancora nei versetti successivi (vv. 9-10).
A questo punto l'apostolo arriva a definire l' oggetto del mistero che consiste nel fatto che
“le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”.
Il mistero è dunque la compartecipazione delle genti al corpo ecclesiale, all'eredità e alle promesse salvifiche.
Già precedentemente era stata sottolineata la partecipazione dei pagani con i giudei all'unico corpo ecclesiale (2,13-19) e questo fa capire che anche qui si intende l'unità dei pagani con i giudeo-cristiani. Tutto questo infatti, avviene in forza della mediazione di Cristo (Ef 1,10) che implica anche la completa adesione a Lui.
L’apostolo in questo brano dà un grande rilievo al progetto salvifico di Dio, che consiste per lui nell’unità di tutti gli esseri umani, al di là delle differenze di razza e di cultura. Egli mostra come solo eliminando le divisioni sia possibile trovare una pace vera. Per lui soprattutto è importante il superamento della divisione tra giudei e pagani, alla quale attribuisce un significato simbolico rispetto a tutte le barriere che dividono l’umanità. Egli vede realizzato l’incontro fra popoli e culture, oggetto primario del progetto di Dio, nella persona di Cristo, il quale perciò è presentato come l’espressione suprema dell’agire di Dio in questo mondo.
La novità di questo annunzio non consiste quindi nella manifestazione di qualcosa di mentalmente sconosciuto, ma in un’irruzione particolarmente potente della grazia di Dio in Cristo, a cui Paolo ha dato una risonanza universale.
Queste potenzialità, che si sono manifestate all’inizio del cristianesimo, devono essere continuamente riscoperte nell’impegno dei cristiani, in unione con tutti gli altri credenti, per la pace nel mondo.

Dal vangelo secondo Matteo
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
“E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda:
da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
Mt 2,1-12

L’evangelista Matteo continua a descrivere gli avvenimenti dell’infanzia di Gesù alla luce delle profezie ma, a differenza del 1^capitolo, racchiuso nella cornice del popolo giudaico, qui l’orizzonte diventa più ampio: i pagani sono attratti dalla luce di Gesù-re e vanno a Lui. La nuova Sion però non è Gerusalemme, ma Betlemme.
Il brano inizia riportando che: “Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme”.
Secondo Erodoto, i magi erano originari di una tribù dei medi divenuta casta sacerdotale tra i persiani. Praticavano la divinazione, la medicina e l'astrologia. Serse, ad esempio, turbato per un'eclissi di sole, ne domandò il significato ad alcuni magi. Anche se l'astrologia nella Bibbia non gode di una buona fama (Dn 1,20; 2,2-10) Matteo presenta i magi come personaggi importanti e di gran rispetto. La tradizione latina farà di loro dei re (Sal 72,10) e ne preciserà il numero, tre come i doni offerti al bambino, e ne indicherà i nomi: Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Anche il loro paese d'origine non è chiaro, c’è da considerare però che per un giudeo il termine “oriente” indica tutto quello che c'è al di là del Giordano.
Giunti dunque a Gerusalemme i magi chiedono: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”.
Questa stella che appare e scompare al momento giusto, non corrisponde particolarmente a qualche fenomeno naturale, ma è forse un espediente narrativo che aveva un certo significato nell’ambito della comunità giudeo-cristiana per la quale l'evangelista scriveva. Già nel mondo greco-romano si utilizzava l'immagine dell'astro per indicare il destino di un personaggio. La tesi della stella che appare alla nascita di un grande uomo (es.Alessandro, Giulio Cesare) era molto diffuso e per i testi biblici la stella è la metafora del re Messia.
Anche nell’Apocalisse Gesù dichiara: “Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino”. (Ap.22,16)
In Matteo, tuttavia, la stella non è soltanto una metafora o un'immagine del Messia: è anche la guida del magi, uno strumento di cui Dio si serve per indicare loro ciò che gli scribi non potranno scoprire nel testo del profeta Michea.
Gli antichi consideravano le stelle come esseri animati dotati di natura spirituale e i giudeo-cristiani vedevano in essi degli angeli. Si possono fare dei collegamenti fra la stella che guida i magi a Betlemme e gli angeli di Luca che guidano i pastori “al un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”. In ambedue i casi è sempre la Provvidenza di Dio che guida l'uomo.
Le parole dei magi provocano in Erode un certo turbamento condiviso da tutta la città di Gerusalemme Il motivo del turbamento di Erode è comprensibile, tenuto conto della sua paura per un aspirante al trono, meno comprensibile è lo sbigottimento dei cittadini di Gerusalemme. Questo si potrebbe anche spiegare come paura di violenze da parte di Erode, ma più probabilmente si tratta di un espediente narrativo con cui Matteo anticipa l’opposizione di Gerusalemme nei confronti di Gesù, che alla fine farà di Gerusalemme la città deicida.
Erode convoca allora tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo per sapere dove sarebbe dovuto nascere il Messia.
È chiaro che Matteo vuole sottolineare come tutto Israele, nei suoi rappresentanti più qualificati, abbia cercato la risposta da dare al re. Questa risposta si rifà a un oracolo profetico in cui si dice:
“E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”.
Nella citazione di Michea, Matteo fa alcuni ritocchi, come per es. sostituisce “Efrata” con “terra di Giuda”, forse per evitare la confusione con la Betlemme del nord (v. Gs 19,15); inoltre egli cambia la valutazione che viene data di Betlemme, forse per dare maggior gloria alla città, che sia il più piccolo tra i capoluoghi di Giuda.
Avuta l’informazione desiderata Erode convocò i magi, e “si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo»”. (sappiamo come avrebbe voluto adorarlo!)
I magi, dunque informati da Erode circa il luogo di nascita del re dei giudei, si rimiserono in cammino e guidati nuovamente dalla stella, pieni di gioia, giunsero al luogo in cui si trovava “il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”.
Per Matteo i primi che vengono a contatto con Gesù non sono dunque i pastori di Betlemme, ma i misteriosi rappresentanti delle nazioni. I tre doni da loro portati hanno chiaramente valore simbolico: essi indicano da un lato i prodotti tipici dell’oriente, che i magi offrono a Gesù riconoscendo così in lui il loro re; dall’altro c’è un fortissimo richiamo al salmo 72 che la Liturgia ha inserito in questa celebrazione.
Rispetto al salmo l’evangelista aggiunge tra i doni dei magi anche la mirra, un unguento usato nella sepoltura. Non è escluso che con questa aggiunta voglia indicare il destino di morte che aspetta il neonato Messia proprio a causa del rifiuto del suo popolo.
Il testo è un chiaro esempio di come possa essere la chiamata alla fede:
- i Re-magi sono chiamati per mezzo della stella e la seguono;
- i sommi sacerdoti e gli scribi conoscono le scritture, sanno dare indicazioni, ma non si muovono;
- Erode tra la volontà di Dio e la sua, chiaramente sceglie la sua, conosce solo il suo tornaconto, non vede perché non vuole vedere!
Questa visione fortemente critica nei confronti di Israele, chiaramente dettata dal clima di rivalità che ha accompagnato il sorgere del cristianesimo, deve oggi essere sottoposta ad una più giusta ed illuminata considerazione. La nascita di Gesù e la conseguente apertura della Chiesa ai pagani non deve più essere vista come una sostituzione di Israele, infedele alle promesse divine, ma piuttosto come il mezzo attraverso il quale la chiamata religiosa di Israele è stata offerta a tutta l’umanità.

 

*****

Le parole di Papa Francesco

“Oggi, solennità dell’Epifania del Signore, è la festa della manifestazione di Gesù, simboleggiata dalla luce.
Nei testi profetici questa luce è promessa: si promette la luce. Isaia, infatti, si rivolge a Gerusalemme con queste parole: «Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te». L’invito del profeta – ad alzarsi perché viene la luce – appare sorprendente, perché si colloca all’indomani del duro esilio e delle numerose vessazioni che il popolo aveva sperimentato.
Questo invito, oggi, risuona anche per noi che abbiamo celebrato il Natale di Gesù e ci incoraggia a lasciarci raggiungere dalla luce di Betlemme. Anche noi veniamo invitati a non fermarci ai segni esteriori dell’avvenimento, ma a ripartire da esso e percorrere in novità di vita il nostro cammino di uomini e di credenti.
La luce che il profeta Isaia aveva preannunciato, nel Vangelo è presente e incontrata. E Gesù, nato a Betlemme, città di Davide, è venuto a portare salvezza ai vicini e ai lontani: a tutti.
L’evangelista Matteo mostra diversi modi con cui si può incontrare Cristo e reagire alla sua presenza. Per esempio, Erode e gli scribi di Gerusalemme hanno un cuore duro, che si ostina e rifiuta la visita di quel Bambino. È una possibilità: chiudersi alla luce. Essi rappresentano quanti, anche ai nostri giorni, hanno paura della venuta di Gesù e chiudono il cuore ai fratelli e alle sorelle che hanno bisogno di aiuto. Erode ha paura di perdere il potere e non pensa al vero bene della gente, ma al proprio tornaconto personale. Gli scribi e i capi del popolo hanno paura perché non sanno guardare oltre le proprie certezze, non riuscendo così a cogliere la novità che è in Gesù.
Invece, ben diversa è l’esperienza dei Magi. Venuti dall’Oriente, essi rappresentano tutti i popoli lontani dalla fede ebraica tradizionale. Eppure, si lasciano guidare dalla stella e affrontano un viaggio lungo e rischioso pur di approdare alla meta e conoscere la verità sul Messia. I Magi erano aperti alla “novità”, e a loro si svela la più grande e sorprendente novità della storia: Dio fatto uomo. I Magi si prostrano davanti a Gesù e gli offrono doni simbolici: oro, incenso e mirra; perché la ricerca del Signore implica non solo la perseveranza nel cammino, ma anche la generosità del cuore. E infine, ritornarono «al loro paese»; e dice il Vangelo che ritornarono per “un’altra strada”.
Fratelli e sorelle, ogni volta che un uomo o una donna incontra Gesù, cambia strada, torna alla vita in un modo differente, torna rinnovato, “per un’altra strada”. Ritornarono «al loro paese» portando dentro di sé il mistero di quel Re umile e povero; noi possiamo immaginare che raccontarono a tutti l’esperienza vissuta: la salvezza offerta da Dio in Cristo è per tutti gli uomini, vicini e lontani. Non è possibile “impossessarsi” di quel Bambino: Egli è un dono per tutti.
Anche noi, facciamo un po’ di silenzio nel nostro cuore e lasciamoci illuminare dalla luce di Gesù che proviene da Betlemme. Non permettiamo alle nostre paure di chiuderci il cuore, ma abbiamo il coraggio di aprirci a questa luce che è mite e discreta. Allora, come i Magi, proveremo «una gioia grandissima» che non potremo tenere per noi.
Ci sostenga in questo cammino la Vergine Maria, stella che ci conduce a Gesù, e Madre che fa vedere Gesù ai Magi e a tutti coloro che si avvicinano a lei.”

Papa Francesco Angelus del 6 gennaio 2019

La liturgia di questa II domenica dopo Natale ci invita ad approfondire il significato della festa del Natale contemplando l'incarnazione, l'umanizzazione di Dio nel figlio unigenito.
La prima lettura tratta dal libro del Siracide esalta la "sapienza divina" e la relazione che intercorre tra Dio e il creato, opera delle sue mani. Parla del viaggio che ha compiuto per porre la sua dimora tra gli uomini: "fissa la tenda in Giacobbe e prendi in eredità Israele".
La seconda lettura tratta dalla lettera agli Efesini, Paolo nella prima parte, in armonia con il Siracide e il Salmista, effonde il suo canto di benedizione nell'inno di ringraziamento a Dio, che "ci ha benedetti" in Cristo Gesù e per mezzo di Lui ci ha predestinati ad essere "figli adottivi" del Padre suo. Nella seconda parte, Paolo parla ai fedeli dei propri sentimenti di gratitudine a Dio nei loro riguardi e del contenuto della sua incessante preghiera perche migliorino nella conoscenza pratica dei doni concessi da Dio in Cristo.
Nel Vangelo di Giovanni, l’evangelista nel suo mirabile prologo, dando l’annuncio dell’incarnazione ci rivela l'identità di quel misterioso bambino, che oggi la Chiesa ci invita a meditare: " In principio era la Parola, la Parola era presso Dio e la Parola era Dio... ". La parola di Dio ci chiama continuamente ad una scelta davanti alla luce e alla tenebra. E’ una scelta quotidiana e spesso sofferta, ma deve essere senza compromessi, altrimenti è come non accogliere Cristo, pur essendo dei “suoi” membri della sua gente”.

Dal libro del Siracide
La sapienza fa il proprio elogio,
in Dio trova il proprio vanto,
in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria,
Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca,
dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria
in mezzo al suo popolo viene esaltata,
nella santa assemblea viene ammirata,
nella moltitudine degli eletti trova la sua lode
e tra i benedetti è benedetta, …..
Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine,
colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda
e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe
e prendi eredità in Israele
affonda le tue radici tra i miei eletti. ”.
Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato,
per tutta l’eternità non verrò meno.
Nella tenda santa davanti a lui ho officiato
e così mi sono stabilita in Sion.
Nella città che egli ama mi ha fatto abitare
e in Gerusalemme è il mio potere.
Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso,
nella porzione del Signore è la mia eredità,
Nell’assemblea dei santi ho preso dimora”.
Sir 24,1-4.8-12

Il contenuto di questo brano rappresenta il centro e il culmine di tutto l’insegnamento contenuto nel libro del Siracide. Dopo aver espresso il frutto delle sue ricerche e riflessioni, l’autore introduce la sapienza che “fa il proprio elogio,in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria“ e al tempo stesso prende la parola nell’assemblea dell’Altissimo” e si glorifica davanti alla sua potenza.
Il popolo a cui la sapienza appartiene e al quale si presenta è la comunità di Israele, come apparirà più chiaramente nei versetti seguenti; ma all’interno di questo popolo essa sta alla presenza di Dio, che abita nel Suo tempio, in Gerusalemme.
Dopo questa presentazione la sapienza stessa prende la parola e pronunzia il suo poema.
Nei versetti (“Io sono uscita dalla bocca dell’Altissimo ….3-7) omessi dalla liturgia descrive la propria origine e il ruolo cosmico che le è stato assegnato . Essa è uscita dalla bocca dell’Altissimo come la parola, mediante la quale Dio ha creato l’universo (Gn 1), e forse come lo spirito di Dio che aleggia sul caos primordiale (Gn 1,2). Essa ha ricoperto “come nube” la terra! (la nube è una nota immagine biblica di Dio). La sapienza ha preso dimora (ha posto la sua tenda) nei cieli più alti, abitazione di Dio, ma ciò non le ha impedito di percorre i cieli e gli abissi, prendendo possesso sia del cosmo che dell’umanità che lo abita, Essa ha svolto dunque un ruolo determinante come mediatrice di Dio nella creazione e continua a svolgerlo nel governo di tutte le cose.
La sapienza narra poi, la sua venuta sulla terra “Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine,
colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele affonda le tue radici tra i miei eletti. ”.
Sebbene fosse già presente in tutto l’universo e in ogni nazione, la sapienza ha cercato un luogo di riposo un possedimento speciale in cui stabilirsi; allora il creatore dell’universo, che è anche suo creatore, le ha comandato di fissare la tenda (skênoô, porre la tenda) in Giacobbe e di prendere in eredità Israele.
Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l’eternità non verrò meno.
Nella tenda santa davanti a lui ho officiato e così mi sono stabilita in Sion. Nella città che egli ama mi ha fatto abitare e in Gerusalemme è il mio potere.
Dopo aver nuovamente sottolineato di essere stata creata da Dio prima dei secoli, fin da principio, la sapienza specifica il luogo della sua dimora: essa si è stabilita “nella tenda santa”, che si trova in Sion, dove svolge un servizio cultuale; essa ha posto così il suo potere in Gerusalemme, la città amata da Dio, e si è legato ad un popolo, inaugurando la storia della salvezza,
Per Siracide la Sapienza che abita in Israele è la Scrittura, la Legge, mentre nella rilettura fatta dal Nuovo Testamento essa è il Verbo che rivela a noi non solo il volere del Padre, ma il Padre stesso, come ci conferma Giovanni nel suo Vangelo (Gv 1,18)

Dalla lettera di S.Paolo apostolo agli Efesini
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale
nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d’amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
Perciò anch’io, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi
Ef 1,3-6, 15-18

La Lettera agli Efesini è una delle lettere che la tradizione cristiana attribuisce a S.Paolo, che l'avrebbe scritta durante la sua prigionia a Roma intorno all'anno 62. Gli studiosi moderni però sono divisi su questa attribuzione e la maggioranza ritiene più probabile che la lettera sia stata composta da un altro autore appartenente alla scuola paolina,forse basandosi sulla lettera ai Colossesi, ma in questo caso la datazione della composizione può oscillare, tra l'anno 80 e il 100. La lettera agli Efesini si può dire che è la” lettera della Chiesa” del suo mistero e vita, tanto che anche il Concilio Vaticano II se ne è ampiamente ispirato
Il brano che abbiamo, è uno dei tre grandi inni Cristologici, che preghiamo anche durante i Vespri ogni settimana e che ci fa riflettere sul ruolo di Gesù nel progetto di amore del Padre. In particolare questo inno ci parla della predestinazione dei credenti. E' il Padre che sin dall'inizio dei tempi aveva pensato a noi, per renderci santi, per renderci suoi figli.
Il brano inizia con una invocazione benedicente: “Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.”
La benedizione di Dio significa comunicazione di vita, e trova il suo compimento quando torna a Dio sotto forma di benedizione da parte dell'uomo. Il movimento della benedizione è prima discendente, poi ascendente: il dono è infatti completo solo quando è riconosciuto come tale, e il segno del riconoscimento è la lode. La comunicazione di vita, la benedizione, consiste nella chiamata alla santità.
“In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità”. Paolo ci spiega ora in cosa consista questa benedizione: Dio ci ha scelti, ci ha eletto, come aveva scelto il popolo di Israele. C'è un'iniziativa gratuita di Dio che previene ogni pretesa umana. E' una gratuità che parte dal Padre e ha avuto inizio prima della creazione del mondo!
“predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato”.
Il progetto di Dio si attua per mezzo di Gesù Cristo e consiste nel far partecipare tutti i credenti alla sua condizione di figlio unico e amato. Se si parla di adozione, non è per sminuire la realtà dell'essere figli ma per sottolineare la differenza con la figliolanza di Gesù, che è modello e fonte di quella di tutti gli altri figli. C'è un amore gratuito che si espande in tutta la sua pienezza!
Il testo liturgico salta buona parte dell’inno per arrivare alla preghiera dell’apostolo
“Perciò anch’io, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere”,
Dopo aver benedetto il Signore, Paolo eleva la sua preghiera ringraziamento. Egli ha saputo che a Colossi la fede prospera e si concretizza in opere di bene nei confronti dei fratelli della comunità, quindi ringrazia ininterrottamente il Signore e prega per i Colossesi.
“affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui”;
Paolo chiede che sia dato ai Colossesi lo Spirito di sapienza, di rivelazione, affinché conoscano Dio sempre più profondamente. Questi tre elementi sono un’unica realtà spirituale, dove è privilegiata l’esperienza e una maturazione della fede, per arrivare ad una amicizia sempre più vera con Dio che si concretizza nella vita quotidiana.
“comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi” Si tratta di un’esperienza che non rimane solo al presente, ma si apre al futuro, alla gloria di tutti i santi.
Questa preghiera per i cristiani di Colossi è quanto mai viva e valida oggi anche per tutti noi!

Dal vangelo secondo Giovanni
In principio era il Verbo,e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.
Gv 1, 1-18 .

In questo mirabile prologo, l’evangelista Giovanni colloca il Verbo in Dio, presentandone la preesistenza eterna, l'intimità di vita con il Padre e la sua natura divina.
(Il termine "Verbo" ha come sottofondo la letteratura sapienziale e il tema biblico della parola di Dio nell'Antico Testamento, dove sia la Sapienza che la Parola vengono presentate come "persona" legata a Dio e mandata da Dio nel mondo per orientarlo verso la vita. Il Verbo è forza che crea, rivelazione che illumina, persona che comunica la vita di Dio).
Dopo i primi due versetti introduttivi, Giovanni ci presenta il ruolo del Verbo nella creazione dell'universo e nella storia della salvezza: "tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.” Tutta la storia appartiene a lui. Tutte le cose sono opera del Figlio di Dio, di Gesù di Nazareth.
“In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta.” Ogni uomo è fatto per la luce ed è chiamato ad essere illuminato dal Verbo con la luce eterna di Dio, che è la vita stessa del Padre donata al Figlio. La luce di Cristo splende su ogni uomo che viene nel mondo e le tenebre lottano per eliminarla. Tuttavia l'ambiente del male, che si oppone alla luce di Dio e alla parola di Gesù-Verbo, non riesce ad avere il sopravvento e a vincere.
“Venne un uomo mandato da Dio:il suo nome era Giovanni.”La luce venuta nel mondo è preceduta da un testimone, Giovanni il Battista, che ha la missione di parlare a favore della luce.
Il ruolo del Battista è unico: “Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui”. Giovanni è il testimone di Gesù che riceve la testimonianza che il Padre dà al Figlio nel battesimo e che vede lo Spirito scendere e rimanere su Gesù (Gv 1,32-34).
“Non era lui la luce,ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera,quella che illumina ogni uomo”. Gesù è la luce autentica e perfetta che appaga le aspirazioni umane; la sola che dà senso a tutte le altre luci che appaiono nella scena del mondo. Questa luce divina illumina ogni uomo che nasce in questo mondo. E' la luce che si offre nell'intimo di ogni essere come presenza, stimolo e salvezza.
“Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui” Gesù-Verbo, presente tra gli uomini con la Sua venuta, è vicino ad ogni uomo. Benché fosse già nel mondo come creatore e come centro della storia,
“eppure il mondo non lo ha riconosciuto”, cioè gli uomini non hanno creduto nel Verbo incarnato e nella Sua missione di salvatore. Al rifiuto del mondo, si aggiunge un altro ben più grave:
"Venne fra i suoi,e i suoi non lo hanno accolto”. ossia la Parola del Signore è andata prima al popolo ebraico, ma Israele l'ha respinta.
Se il comportamento dell'umanità, e in particolare quello d'Israele, è stato di netto rifiuto di Gesù-Verbo, tuttavia, un gruppo di persone, un "resto di Israele", l'ha accolto e ha dato una risposta positiva al suo messaggio, stabilendo un nuovo rapporto con Dio:
“A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”:
Solo coloro che accolgono il Verbo e credono nella Sua persona divina diventano figli di Dio, perché sono nati da Dio e non da elementi umani.
“A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”:
Solo coloro che accolgono il Verbo e credono nella Sua persona divina diventano figli di Dio, perché sono nati da Dio e non da elementi umani.
Segue poi come la sintesi di tutto l'inno perché si afferma solennemente l'incarnazione del Figlio di Dio:
"E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”cioè la Parola si è fatta uomo, nella sua fragilità e impotenza come ogni creatura, nascendo da una donna, la vergine Maria.
L'espressione "e venne ad abitare in mezzo a noi”" sottolinea lo scopo dell'incarnazione: Dio dimora con il suo popolo stabilmente e per sempre (Ap 7,15). La Sua presenza è nella vita stessa dell'uomo e nella carne visibile di Gesù (Gv 2,19-22).
“e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.” I discepoli hanno contemplato nella fede il mistero di Gesù-Verbo, cioè la gloria che Egli possiede come Unigenito venuto dal Padre. Gesù è la rivelazione di Dio, ma in un modo nascosto e umile.
Nel vangelo di Giovanni la gloria del Signore è qualcosa di interiore che solo l'uomo di fede può comprendere.
La "gloria" di Cristo è la verità del Suo mistero: la rivelazione nell'uomo-Gesù del Figlio di Dio venuto dal Padre. La "grazia della verità“ nel linguaggio biblico è il dono della rivelazione che Dio ha offerto all'uomo. La verità, in Giovanni, indica la rivelazione piena e perfetta della vita divina. Il Verbo incarnato è "pieno della verità", ossia è tutto quanto rivelazione. Gesù è "la verità" (Gv 14,6) ossia la rivelazione definitiva e totale. E questa verità è la "grazia" del Padre, il dono supremo che ci ha fatto il Padre.
“Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia.”
Tutta la vita di Gesù è manifestazione di Dio, ma per l'evangelista il momento centrale in cui si manifesta la gloria di Dio in tutta la sua potenza, è la croce: l'innalzamento di Gesù è la Sua glorificazione. Può sembrare insensato dire che la croce è la glorificazione, ma tutto diventa luminoso se pensiamo che Dio è Amore (1Gv 4, 8) e la Sua manifestazione è dunque là dove appare l'Amore, ed è sulla croce che l'amore di Dio rifulge in tutta la Sua penetrante luce e pienezza.
“Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre,è lui che lo ha rivelato”.
Il finale del prologo offre un'ulteriore spiegazione del perché Gesù è il compimento della legge di Mosè: perché Dio si rivela in Gesù. Solo il Figlio unigenito ha potuto rivelare il Padre perché nessuno ha mai visto Dio se non il Figlio unigenito che ce l'ha rivelato.
Il "seno" del Padre nel linguaggio biblico è l'immagine tipica dell'amore e dell'intimità: tutta la vita di Gesù si svolse come vita filiale in un atteggiamento di ascolto e di obbedienza al Padre, in un rapporto di amore con il Padre e come manifestazione del Padre.


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“La liturgia di questa domenica ci ripropone, nel Prologo del Vangelo di san Giovanni, il significato più profondo del Natale di Gesù. Egli è la Parola di Dio che si è fatta uomo e ha posto la sua “tenda”, la sua dimora tra gli uomini.
Scrive l’Evangelista: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» .
In queste parole, che non finiscono mai di meravigliarci, c’è tutto il Cristianesimo! Dio si è fatto mortale, fragile come noi, ha condiviso la nostra condizione umana, eccetto il peccato, ma ha preso su di sé i nostri, come se fossero propri. E’ entrato nella nostra storia, è diventato pienamente Dio-con-noi! La nascita di Gesù, allora, ci mostra che Dio ha voluto unirsi ad ogni uomo e ogni donna, ad ognuno di noi, per comunicarci la sua vita e la sua gioia.
Così Dio è Dio con noi, Dio che ci ama, Dio che cammina con noi. Questo è il messaggio di Natale: il Verbo si è fatto carne. Così il Natale ci rivela l’amore immenso di Dio per l’umanità.
Da qui deriva anche l’entusiasmo, la speranza di noi cristiani, che nella nostra povertà sappiamo di essere amati, di essere visitati, di essere accompagnati da Dio; e guardiamo al mondo e alla storia come il luogo in cui camminare insieme con Lui e tra di noi, verso i cieli nuovi e la terra nuova. Con la nascita di Gesù è nata una promessa nuova, è nato un mondo nuovo, ma anche un mondo che può essere sempre rinnovato. Dio è sempre presente a suscitare uomini nuovi, a purificare il mondo dal peccato che lo invecchia, dal peccato che lo corrompe. Per quanto la storia umana e quella personale di ciascuno di noi possa essere segnata dalle difficoltà e dalle debolezze, la fede nell’Incarnazione ci dice che Dio è solidale con l’uomo e con la sua storia. Questa prossimità di Dio all’uomo, ad ogni uomo, ad ognuno di noi, è un dono che non tramonta mai! Lui è con noi! Lui è Dio con noi! E questa prossimità non tramonta mai. Ecco il lieto annuncio del Natale: la luce divina, che inondò i cuori della Vergine Maria e di san Giuseppe, e guidò i passi dei pastori e dei magi, brilla anche oggi per noi.
Nel mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio c’è anche un aspetto legato alla libertà umana, alla libertà di ciascuno di noi. Infatti, il Verbo di Dio pianta la sua tenda tra noi, peccatori e bisognosi di misericordia. E tutti noi dovremmo affrettarci a ricevere la grazia che Egli ci offre. Invece, continua il Vangelo di san Giovanni, «i suoi non lo hanno accolto». Anche noi tante volte lo rifiutiamo, preferiamo rimanere nella chiusura dei nostri errori e nell’angoscia dei nostri peccati. Ma Gesù non desiste e non smette di offrire se stesso e la sua grazia che ci salva! Gesù è paziente, Gesù sa aspettare, ci aspetta sempre. Questo è un messaggio di speranza, un messaggio di salvezza, antico e sempre nuovo. E noi siamo chiamati a testimoniare con gioia questo messaggio del Vangelo della vita, del Vangelo della luce, della speranza e dell’amore. Perché il messaggio di Gesù è questo: vita, luce, speranza, amore.
Maria, Madre di Dio e nostra tenera Madre, ci sostenga sempre, perché rimaniamo fedeli alla vocazione cristiana e possiamo realizzare i desideri di giustizia e di pace che portiamo in noi all’inizio di questo nuovo anno.”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 5 gennaio 2014

Con questa celebrazione iniziamo il nuovo anno accanto a Maria, Madre di Dio e Madre nostra. Questa ricorrenza liturgica, strettamente collegata con il titolo mariano di Theotókos, dogma mariano solennemente proclamato dal concilio di Efeso il 22 giugno dell'anno 431, celebra la tematica della Divina Maternità di Maria, ed è la festa più antica in suo onore.
La liturgia odierna, è anche connessa alla celebrazione della pace, istituita da papa Paolo VI l’8 dicembre 1967[1] .
La pace è il grande dono atteso e annunziato dagli angeli nel cantico della notte di Natale e questo tema ci viene proposto oggi dalle letture liturgiche.
La prima lettura, tratta dal Libro dei Numeri, riporta la formula di benedizione che veniva pronunciata dai sacerdoti sul popolo eletto per attirate la benevolenza di Dio.
Nella seconda lettura, San Paolo, scrivendo ai Galati, svela il piano di Dio che ha voluto che Suo Figlio nascesse da una donna, e sotto la legge, perché tutti diventassimo Suoi figli e vivessimo riconciliati nella libertà e nell’amore.
Il Vangelo di Luca ci parla dei pastori che vanno a Betlemme e rendono omaggio al divino bambino e subito dopo, pieni di gioia, annunciano a tutti il lieto evento.
E’ nel nome di Maria, Madre di Dio e madre degli uomini, che dal 1 gennaio 1968 si celebra in tutto il mondo la “giornata della pace”. La pace, in senso biblico, è il dono messianico per eccellenza, è la salvezza portata da Gesù. La pace è anche un valore umano da realizzare sul piano sociale e politico, ma affonda le sue radici nel mistero di Cristo. E’ stato Lui a dire: Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. “ E’ questo il senso della pace che ognuno di noi deve sentire prima nel proprio cuore per poterla poi augurare agli altri!

Dal libro dei Numeri
Il Signore parlò a Mosè e disse: “Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro:
Ti benedica il Signore e ti custodisca.
Il Signore faccia risplendere per te il suo volto
E ti faccia grazia.
Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace.”
Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò”.
Nm 6,22-27

Il libro dei Numeri, il quarto libro della Bibbia, è stato scritto in ebraico e, secondo molti studiosi, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte. La tradizione ebraica e varie confessioni religiose cristiane, ritengono persino che sarebbe stato scritto da Mosè in persona, ma la maggioranza degli esegeti moderni ritiene che tutto il Pentateuco sia in realtà una raccolta, formatasi in epoca post-esilica, di vari scritti di epoche diverse. “Numeri” è il titolo che l'antica traduzione greca ha dato a questo libro perché contiene elenchi e censimenti degli Israeliti in cammino verso la "Terra promessa".
È composto da 36 capitoli descriventi la storia degli Ebrei durante il loro soggiorno nel deserto del Sinai (circa 1200 a.C.). Infatti molti eventi del Libro avvengono nel deserto, principalmente tra il secondo ed il quarantesimo anno del vagabondare degli Israeliti. I primi 25 capitoli riportano le esperienze della prima generazione d’Israele nel deserto, mentre il resto del libro descrive le esperienze della seconda generazione.
Il brano che abbiamo inizia con queste parole:
“Il Signore parlò a Mosè e disse: “Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro …”
Diversamente da quanto avviene in altri testi in cui la parola o l’ordine è dato a Mosè e ad Aronne insieme, qui Mosè riceve l’incarico di affidare un compito specifico proprio ad Aronne e, per mezzo suo, a tutto l’ordine sacerdotale. La facoltà di benedire il popolo è presentata qui come una prerogativa che compete ai sacerdoti (V. Lv 9,22) e non ai re, come appare in due testi dove sono Davide (V. 2Sam 6,18) e Salomone (1Re 8,14.55-61) a benedire il popolo, o ai leviti (Dt 10,8).
Ancora una volta si fa risalire all’epoca del deserto, con tutta l’autorevolezza della mediazione mosaica una consuetudine dell’epoca in cui è stato composto il libro.
È probabile però che la formula di benedizione qui riportata sia antica perché ha avuto un gran rilievo sulla preghiera di Israele (V. Sal 4,7 e 67,2). La benedizione divina riguardo tutto il popolo e ciascuno dei suoi membri.
“Ti benedica il Signore e ti custodisca.”
La benedizione (berakah) invocata da Dio rappresenta una parola efficace che conferisce benessere e felicità. Come conseguenza della benedizione divina si chiede a Dio di “custodire” Israele. Questo verbo esprime non tanto la protezione del Signore contro un immediato pericolo, ma soprattutto la sua premura per Israele in ogni momento della sua esistenza.
La benedizione prosegue con una invocazione:
” Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia”.
Il volto splendente del Signore è un’immagine per indicare il sorriso con cui si rivolge al Suo popolo. L'immagine del volto luminoso di Dio è frequente nei salmi anche come invocazione (Sal 31,17; 80,4.8.20; 119,135).
Il sorriso del Signore è auspicio di prosperità, di benevolenza e di protezione e la “grazia” consiste appunto nella benevolenza di Dio verso il suo popolo.
La benedizione continua poi con una terza richiesta:
“ Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace.”
Si riprende qui quanto era già stato espresso nel versetto precedente, con l'auspicio che il volto di Dio resti rivolto verso Israele, segno di attenzione e di benevolenza, perché in caso contrario il popolo cade nella disperazione: La benevolenza e l'attenzione di Dio sono premessa del dono della “pace” (shalôm). Questo termine in ebraico ha un significato molto profondo perchè indica non semplicemente l’assenza di guerra, ma soprattutto la pienezza di vita, cioè quello stato di grazia in cui si è liberi dalla necessità e dal male; nelle forme di saluto diventa augurio di una vita serena, equilibrata nella felicità materiale e spirituale.
Il brano termina con queste parole:
“Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò”.
Questa espressione vuol dire rendere Dio presente e benevolo in mezzo al popolo.
Si comprende perchè questo testo sia stato adottato, nella recente riforma liturgica, come ampliamento (libero) della benedizione del sacerdote nel congedare il popolo dopo la Messa.

Salmo 67 (66) Dio abbia pietà di noi e ci benedica

Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
fra tutte le genti la tua salvezza.

Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché tu giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra.

Ti lodino i popoli, Dio,
ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra.

Il salmista presenta come Dio abbia benedetto il suo popolo con un raccolto abbondante: “La terra ha dato il suo frutto”. Ma questo non chiude il salmista nell’appagamento dei beni dati dalla terra, poiché egli manifesta, fin dall’inizio del salmo, il desiderio di un ben più alto dono: quello della presenza del Messia. Per tale presenza il popolo sarà rinnovato e si avrà che tutti i popoli giungeranno a conoscere il vero Dio e a lodarlo: “Su di noi faccia splendere il suo volto; perché si conosca sulla terra la tua via, la tua salvezza fra tutte le genti ”. Il salmista conclude il salmo ripresentando il suo desiderio dei tempi messianici: “Ci benedica Dio; il nostro Dio, ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra”. Noi, in Cristo, desideriamo vivamente una terra rinnovata dalla conoscenza di Cristo e dall’azione del suo Spirito, e dobbiamo, nella viva appartenenza alla Chiesa, adoperarci incessantemente per questo.
Commento di P.Paolo Berti

Dalla lettera di S.Paolo ai Galati
Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a figli.
E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio il quale che grida: Abbà, Padre!
Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per grazia di Dio.
Gal 4,4-7
Paolo scrive la lettera ai Galati probabilmente da Efeso tra il 54 e il 57 e lo fa per controbattere ad una predicazione fatta da alcuni ebrei cristiani dopo che l'apostolo aveva lasciato la comunità: questi missionari avevano convinto alcuni galati che l'insegnamento di Paolo era incompleto e che la salvezza richiedeva il rispetto della Legge di Mosè, in particolare della circoncisione. Paolo condanna tale orientamento, proclamando la libertà dei credenti e la salvezza per mezzo della fede.
In questo brano in particolare Paolo delinea la svolta che si è verificata con l’avvento di Cristo ed inizia affermando: “quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a figli.”

Per l’apostolo è chiaro, che Gesù è fin dall’eternità il “Figlio di Dio”, che è nato non solo “da donna”, assumendo così fino in fondo un’umanità limitata e sofferente, ma anche “sotto la Legge”, al punto tale da portarne in modo unico e drammatico la maledizione (Gal 3,13) così la sua vita è stata contrassegnata dalla solidarietà più piena con la situazione di tutta l’umanità. In questo cammino di abbassamento Cristo però non ha mai cessato di essere Figlio, e se Egli si è messo sullo stesso piano dell’umanità peccatrice, lo ha fatto, non per adeguarsi ad essa, ma “per riscattare quelli che erano sotto la Legge”, cioè per portare a termine, come Dio un giorno aveva fatto con il popolo di Israele schiavo in Egitto, una grande opera di liberazione, i cui destinatari non sono soltanto i giudei, ma anche i pagani. Egli ha potuto raggiungere il Suo scopo facendo sì che essi ricevessero l’adozione a figli, cioè diventassero partecipi della Sua stessa qualità di Figlio. Il Figlio di Dio ha dunque manifestato pienamente la Sua “potenza” quando, risuscitando dai morti, ha comunicato a tutti gli uomini la Sua filiazione divina (Rm 1,3).
Paolo sottolinea poi l’efficacia della missione del Figlio affermando ancora : “E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio il quale che grida: Abbà, Padre!” La filiazione divina perciò comporta la presenza e l’opera dello Spirito, che viene designato come “Spirito del suo Figlio”, e come tale è stato “mandato” da Dio “nei nostri cuori”.
La filiazione divina dei credenti appare dal fatto che lo Spirito, presente in essi, grida “Abbà, Padre”:
E’ da notare che il termine Abbà era normalmente usato dai bambini in Palestina per rivolgersi al loro papà, mentre i giudei si rivolgevano a Dio con formule più solenni e rispettose, come Abì (Padre mio) o Abinû (Padre nostro). L’iniziativa di pregare Dio con l’appellativo di Abbà è solo di Gesù, quando ha dato ai suoi discepoli il comando di rivolgersi a Dio chiamandolo “Padre nostro”, coinvolgendoli così nel rapporto che Egli, in quanto unico Figlio, ha con il Padre.
Nel versetto finale: “Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per grazia di Dio” Paolo afferma che il credente deve prendere atto della sua nuova situazione in cui, ormai libero dal peccato, è divenuto figlio di Dio ed erede delle promesse.

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, i pastori andarono senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo.
Lc 2,16-21

Questo breve brano tratto dal Vangelo di Luca riprende la seconda parte del racconto della nascita di Gesù, nella quale viene raccontata la visita che i pastori, avvisati dall’angelo, hanno fatto al bambino Gesù. La scelta del testo per la solennità della Madre di Dio è significativa perché cade proprio l'ottavo giorno dopo la nascita del figlio Gesù, che ricorda il rito della circoncisione e dell'imposizione del nome al bambino.
Il brano inizia riportando che
“i pastori andarono senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia.
Invitati dagli angeli a rallegrarsi per la nascita del Salvatore e sollecitati a verificarne il segno, i pastori si muovono ”senza indugio, affrettandosi”, come Maria nell'episodio della visitazione, anch'essi spinti in obbedienza alla parola che è stata loro annunciata. Citando per prima Maria, nel nominare le persone che i pastori incontrano, Luca ci mostra ancora una volta la sua grande venerazione per la Madre di Gesù.
“E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori.”
E' importante notare gli atteggiamenti dei pastori: prima ascoltano, poi si muovono e trovano il segno. A questo punto lo guardano e diventano a loro volta annunciatori, riferendo quanto avevano udito.
Si può comprendere che Luca non sta parlando solo dell'esperienza dei pastori di Betlemme, ma del diffondersi del vangelo. Coloro che accoglieranno la predicazione degli apostoli e faranno esperienza dell'incontro con Gesù e crederanno, potranno comunicare a loro volta questa buona notizia.
“Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.”
Solo Maria non parla, ma conserva in se stessa tutte queste cose meditandole nel suo cuore. Maria non si perde in vane parole, ma pone se stessa e tutta la sua vita in sintonia con quanto Dio aveva detto e stava operando nella storia del suo popolo mediante quel bambino che lei stessa aveva generato.
Luca conclude annotando che i pastori, dopo aver visto il bambino e aver riferito il messaggio che avevano udito, “se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro”. Non solo perciò per quello che avevano udito, ma anche per quello che avevano visto con i loro occhi, a conferma di quanto era stato detto loro.
Il brano si conclude menzionando il rito della circoncisione (attraverso il quale il Bambino è inserito ufficialmente nel popolo di Dio) e l'imposizione del nome, a cui Luca dà un risalto particolare:
"Gli fu messo nome Gesù come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo”.
Il nome nella Bibbia è la realtà stessa della persona che lo porta: tanti Gesù nella storia di Israele avevano portato questo nome, ma nessuno poteva dire di attuarne in pieno il significato: Yehôsua‘ “YHWH salva” il Signore salva. Ora, in questa circoncisione appare il vero Salvatore che recupera a sé nell’alleanza del Suo sangue quel popolo e quell’umanità a cui Egli si sta unendo attraverso il rito della circoncisione. Gesù entra nel tempio non per essere consacrato ma per consacrare, non per essere purificato ma per purificare, non per essere assorbito e dissolto dalla nostra creaturalità, ma per assumere e salvare la nostra umanità così da renderci come Lui figli ed eredi.

 

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“Oggi, ottavo giorno dopo il Natale, celebriamo la Santa Madre di Dio. Come i pastori di Betlemme, rimaniamo con lo sguardo fisso su di lei e sul Bambino che tiene tra le braccia. E in questo modo, mostrandoci Gesù, il Salvatore del mondo, lei, la madre, ci benedice. Oggi la Madonna ci benedice tutti, tutti. Benedice il cammino di ogni uomo e ogni donna in questo anno che inizia, e che sarà buono proprio nella misura in cui ciascuno avrà accolto la bontà di Dio che Gesù è venuto a portare nel mondo.
In effetti, è la benedizione di Dio che dà sostanza a tutti gli auguri che vengono scambiati in questi giorni. E oggi la liturgia riporta l’antichissima benedizione con cui i sacerdoti israeliti benedicevano il popolo. Ascoltiamo bene, recita così: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace». Questa è la benedizione antichissima.
Per tre volte il sacerdote ripeteva il nome di Dio, “Signore”, stendendo la mani verso il popolo radunato. Nella Bibbia, infatti, il nome rappresenta la realtà stessa che viene invocata, e così, “porre il nome” del Signore su una persona, una famiglia, una comunità significa offrire loro la forza benefica che scaturisce da Lui.
In questa stessa formula, per due volte si nomina il “volto”, il volto del Signore. Il sacerdote prega che Dio lo “faccia risplendere” e lo “rivolga” verso il suo popolo, e così gli conceda la misericordia e la pace.
Sappiamo che secondo le Scritture il volto di Dio è inaccessibile all’uomo: nessuno può vedere Dio e rimanere in vita. Questo esprime la trascendenza di Dio, l’infinita grandezza della sua gloria. Ma la gloria di Dio è tutta Amore, e dunque, pur rimanendo inaccessibile, come un Sole che non si può guardare, irradia la sua grazia su ogni creatura e, in modo speciale, sugli uomini e le donne, nei quali maggiormente si rispecchia.
«Quando venne la pienezza del tempo», Dio si è rivelato nel volto di un uomo, Gesù, «nato da donna». E qui ritorniamo all’icona della festa odierna, da cui siamo partiti: l’icona della Santa Madre di Dio, che ci mostra il Figlio, Gesù Cristo, Salvatore del mondo. Lui è la Benedizione per ogni persona e per l’intera famiglia umana.
Lui, Gesù, è sorgente di grazia, di misericordia e di pace.
Per questo il santo Papa Paolo VI ha voluto che il primo gennaio fosse la Giornata Mondiale della Pace… Non pensiamo che la politica sia riservata solo ai governanti: tutti siamo responsabili della vita della “città”, del bene comune; e anche la politica è buona nella misura in cui ognuno fa la sua parte al servizio della pace. Ci aiuti in questo impegno quotidiano la Santa Madre di Dio”
Papa Francesco Parte dell’Angelus del 1 gennaio 2019

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

Parrocchia Nostra Signora de La Salette
Piazza Madonna de La Salette 1 - 00152 ROMA
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Titolo presbiterale: Card. Polycarp PENGO
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