1. Domenica prossima 1° dicembre avrà inizio il tempo d'avvento, in preparazione al Santo Natale.
2. Domani 25 novembre alle ore 18,30 ci sarà l'incontro con l'equipe pastorale parrocchiale nella rotonda.
3. Da domani 25 novembre inizia l’adorazione eucaristica dalle ore 9,30 alle ore 11,45.
4. Giovedì 5 dicembre alle ore 18,30, ci sarà il ritiro parrocchiale predicato da P. Gian Matteo Roggio - Superiore Provinciale dei Missionari de La Salette.
Nell’ultima domenica dell’Anno liturgico la Chiesa celebra Cristo Re dell'Universo.
La storia di questa festa parte dal 1899 con papa Leone XIII, ma fu PIO XI che la confermò come festa con l'enciclica Quas Primas dell'11 dicembre 1925. Dice il Papa nell'Enciclica: « E perché più abbondanti siano i desiderati frutti e durino più stabilmente nella società umana, è necessario che venga divulgata la cognizione della regale dignità di nostro Signore quanto più è possibile. Al quale scopo Ci sembra che nessun'altra cosa possa maggiormente giovare quanto l'istituzione di una festa particolare e propria di Cristo Re. »
Nella forma ordinaria del rito romano la festa coincide con l’ultima domenica dell’anno liturgico. La festa di Cristo Re è anche la festa di Cristo crocifisso e nel messaggio cristiano l’annuncio della glorificazione convive con la memoria della passione.
Nella prima lettura, tratta dal secondo libero di Samuele, si rievoca il momento in cui Davide viene riconosciuto re di tutto Israele. Davide ci viene proposto come una prefigurazione profetica di Gesù che incarnerà le promesse salvifiche del Padre.
Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo, continuando la sua lettera ai Colossesi, nel vibrante e commosso inno cristologico contempla il significato della regalità di Cristo, che con la Sua morte in croce, e la Sua resurrezione, assicura la vita eterna a coloro che lo seguono.
Nel Vangelo di Luca, incontriamo il messia, il Salvatore, crocifisso tra due ladroni, ed è proprio uno dei ladroni a riconoscere per primo la regalità di Gesù dicendogli: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” e Gesù fa di lui il primo peccatore salvato. Karl Rahner, uno dei maggiori teologi del secolo scorso, ha scritto: “Un malfattore guardò alla morte di Cristo e ciò che vide bastò perchè comprendesse anche la sua morte, la beatitudine della sua morte. L’altro malfattore distolse lo sguardo e Gesù non gli disse nulla. Il buio e il silenzio che sovrastano quella morte ci ricordano che la morte può essere purtroppo anche l’inizio della morte eterna”.
Dal secondo libro di Samuele
In quei giorni, vennero tutte le tribù d’Israele da Davide a Ebron, e gli dissero:
«Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto: “Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele”».
Vennero dunque tutti gli anziani d’Israele dal re a Ebron, il re Davide concluse con loro un’alleanza a Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re d’Israele.
2Sam 5,1-3
I due Libri di Samuele costituiscono, con i successivi due libri dei Re, un'opera continua ed hanno lo scopo di tratteggiare la vicenda storica del popolo di Israele dalla fine dell'epoca dei Giudici fino alla fine della monarchia con l'invasione babilonese di Nabucodonosor: un arco di tempo di circa sei secoli. La redazione definitiva dell’intera opera risale al VI secolo a.C.
Il nome "Libri di Samuele" deriva dal fatto che un'opinione talmudica tardiva ne attribuiva la compilazione al profeta Samuele, il quale però occupa un ruolo di primo piano solo nei primi 15 capitoli del primo libro.
Il secondo libro di Samuele è dominato interamente dalla grandiosa figura del re Davide, nella sua grandezza di sovrano e di guerriero così come nelle sue miserie di uomo. Esso abbraccia un arco di tempo pari a quello dell'intero regno di Davide sulle dodici tribù, che tradizionalmente va dal 1010 fino al 970 a.C.. In tutto comprende 24 capitoli, in cui si raccontano le vicende del re Davide, a partire dalla sua ascesa al trono fino alla morte.
In questo brano liturgico si narra la consacrazione di Davide, dopo varie peripezie e lotte intestine, come re di tutto Israele. L’ascesa di Davide al trono di Israele è presentata come iniziativa delle tribù interessate, le quali si recano da Davide in Ebron e gli dicono: Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto: “Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele”.
Coloro che si recano da Davide sono, come apparirà subito dopo, gli anziani delle tribù del Nord. In quel momento Gerusalemme non era stata ancora conquistata e Davide dimorava in Ebron, il centro più importante della tribù di Giuda, noto soprattutto perché lì si trovavano le tombe dei patriarchi.
I rappresentanti delle tribù hanno tre motivi per proporre a Davide di diventare re. Anzitutto egli appartiene al loro popolo. L’espressione “tue ossa e tua carne” è usata spesso nella Bibbia per indicare la parentela e l’appartenenza allo stesso gruppo e secondo Dt 17,15 il re deve appartenere al popolo di Israele. Come seconda motivazione essi ricordano che già quando regnava Saul, Davide “conduceva e riconduceva” Israele, letteralmente lo faceva entrare e lo faceva uscire, cioè era a capo dell’esercito di Saul: ciò costituiva una legittimazione per succedere al re defunto. Infine essi accennano alla motivazione più forte, cioè a una promessa divina in forza della quale Davide sarebbe diventato il pastore di Israele, cioè il re legittimo di tutto il popolo. Da queste tre motivazioni risulta che essi lo ritenevano la persona più adatta per regnare su tutte le tribù di Israele.
Il brano concludendo con l’annotazione: “Vennero tutti gli anziani d’Israele dal re a Ebron, il re Davide concluse con loro un’alleanza a Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re d’Israele” ,dimostra che la salita al trono di Davide è effetto di una scelta fatta dai rappresentanti delle tribù. La conclusione di un’alleanza con colui che è stato designato implica la definizione di certe condizioni che definiscono i diritti e i doveri dei due contraenti. Questa alleanza viene ratificata “davanti al Signore”, il quale è invocato come garante del rispetto degli accordi presi.
La figura di Davide è stata idealizzata dalla tradizione con lo scopo di presentarlo come il re ideale, la cui fedeltà a Dio non è stata uguagliata da nessuno dei suoi successori. Ciò non ha impedito a chi scrive di ricordare che la sua ascesa al trono è avvenuta mediante soprusi e omicidi che, pur essendosi verificati a sua insaputa, gettano un’ombra negativa su di lui, rischiando di farlo apparire come un sanguinario usurpatore. Perciò è importante mostrare come egli sia stato unto re non solo dagli anziani della sua tribù, ma anche da quelli delle altre tribù: tutto Israele l’ha dunque riconosciuto come suo capo naturale. Ma la tradizione ricorda anche che già precedentemente egli era stato unto come re da parte di Samuele (1Sam 16,1-13).
Il racconto di questa unzione, avvenuta in segreto, è stato scritto allo scopo di dimostrare come Davide non fosse stato scelto dagli uomini, ma da Dio stesso.
Ciò che, secondo la tradizione, contraddistingue Davide è proprio la sua fedeltà al progetto divino riguardante la liberazione di Israele e la sua costituzione come popolo nella terra promessa. In lui e nella sua discendenza il popolo troverà un punto di riferimento molto sicuro nei suoi rapporti con Dio. Sarà la promessa a lui fatta di dare stabilità alla sua discendenza che darà origine all’attesa messianica per cui il vero unto del Signore non sarà più Davide, ma il suo discendente, il Messia promesso, mediante il quale Israele otterrà da Dio la liberazione definitiva.
Salmo 121- Andremo con gioia alla casa del Signore.
Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore!».
Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme!
È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore,
secondo la legge d’Israele,
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide.
E’ uno dei più noti e appassionati canti di Sion e delle “ascensioni”, un testo messo sovente in musica a partire dallo splendido e sontuoso “Vespro della Beata Vergine” di Claudio Monteverdi (1610). La prima strofa unisce in felice sintesi psicologica l’istante in cui il pellegrino pronunziò la grande decisione «Andremo alla casa del Signore!».(la frase potrebbe essere la citazione di una delle formule tipiche dei Salmi di pellegrinaggio a Sion) e l’attuazione di quell’antico desiderio.
Nell’ebreo l’arrivo a Gerusalemme genera una gioia elementare, istintiva: il lungo cammino è dimenticato e il distacco è lacerante perché nel tempio si sperimenta la vita perfetta con Dio.
Commento tratto da “I Salmi” di Gianfranco Ravasi
Dalla lettera di S.Paolo apostolo ai Colossesi
Fratelli, ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci
di partecipare alla sorte dei santi nella luce.
È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre
e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore,
per mezzo del quale abbiamo la redenzione,
il perdono dei peccati.
Egli è immagine del Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione,
perché in lui furono create tutte le cose
nei cieli e sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni, Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono.
Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio,
primogenito di quelli che risorgono dai morti,
perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
È piaciuto infatti a Dio
che abiti in lui tutta la pienezza
e che per mezzo di lui e in vista di lui
siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato con il sangue della sua croce
sia le cose che stanno sulla terra,
sia quelle che stanno nei cieli.
Col 1,12-20
La Lettera ai Colossesi, è stata scritta da Paolo durante la sua prigionia a Roma, attorno al 62; (altri esperti sostengono che l’autore della lettera sia un suo discepolo e che l’abbia scritta dopo la morte dell’Apostolo (64-67), verso fine I secolo). Probabilmente Paolo non si era mai recato a Colosse, che era allora una piccola città dell’entroterra dell’Asia minore (circa 124 km a nord di Efeso) e il Vangelo era stato portato lì da alcuni missionari da Efeso, fra questi Èpafra, al quale Paolo dà la sua approvazione all’inizio della lettera (1,7).
La lettera è composta da 4 capitoli contenenti meditazioni teologiche su Gesù, la Chiesa, la salvezza per grazia, ed infine alcune esortazioni di condotta morale.
Il brano riporta il celebre inno cristologico, che inizia con una ampia formula di ringraziamento, poi Paolo esprime mediante un dittico il primato di Cristo:
“È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore”,
Forte è il contrasto luce/tenebre. E' Dio Padre che ha liberato gli uomini e le donne dal potere delle tenebre e li ha resi parte del regno di Suo Figlio. Qui si può intravedere l'esperienza della liberazione dall'Egitto e l'entrata nella Terra Promessa, ma . quell'esperienza di liberazione era solo un modello, una piccola anticipazione della liberazione che è avvenuta tramite la morte e la risurrezione di Cristo, liberazione da ben altre tenebre, entrata in un ben altro regno. Il regno è del Padre, ma è stato dato al Figlio del Suo amore. Vi è una relazione di amore tra il Padre e il Figlio: è l'amore che ha generato il Figlio e che rigenera i figli.
“per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati”.
Per mezzo del Figlio abbiamo ricevuto la redenzione, cioè il perdono dei peccati, la cancellazione di ogni conseguenza negativa del male e del peccato. Nei versetti seguenti troviamo l'inno vero e proprio, che analizza la natura di Cristo e della Sua opera di redenzione.
“Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione”,
Gesù è immagine del Dio invisibile. Nell'A.T. l'immagine appare sin dalle prime pagine, nella Genesi infatti è scritto che l'uomo è creato a immagine di Dio (1,26-27) e nei libri sapienziali, la Sapienza stessa è immagine di Dio (7,26).
Anche nell'ambiente greco si concepisce il mondo come immagine di Dio, ma il pensiero dei primi cristiani va soprattutto su Gesù come manifestazione/incarnazione della Sapienza di Dio, che rivela la grandezza del Padre e mediatrice nei confronti della creazione.
Gesù è anche il primogenito. Anche questo termine riveste grande importanza nella cultura biblica perché il primogenito è colui che ha la preminenza sui fratelli e una dignità unica nei confronti del padre. Cristo in quanto primogenito dunque non è solo mediatore nella creazione, ma in Lui, in quanto primogenito, si manifesta il volto nascosto e inaccessibile di Dio.
“perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui”.
In questo versetto si ribadisce la centralità di Cristo rispetto alla creazione. Cristo svolge il ruolo di fonte, di fondamento - consistenza e meta finale. Egli esercita la Sua signoria nei cieli e sulla terra, sulle cose visibili e quelle invisibili. I Troni, Dominazioni, Principati e Potenze erano le varie gerarchie di angeli che erano ritenuti partecipi del governo dell'universo fisico e del mondo religioso precristiano ed erano ritenuti speciali custodi della legge di Mosè e del suo sistema (V.Gal 3,19 e Col 2,15 ). Anche gli angeli sono stati dunque creati in Cristo e quindi non possono godere di un'adorazione indipendente da Lui.
“Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono”.
L'essere prima è inteso in senso di anteriorità ma anche di supremazia. La sussistenza di tutte le cose in un principio è un'affermazione che vedeva l'universo come un insieme divino e coerente.
“Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa”.
La Chiesa intesa come corpo è un tema caro a Paolo. In Rm 12 e 1Cor 12 il corpo è la comunità dei fedeli. In Colossesi ed Efesini il Cristo è la testa di questo corpo, lo governa e gli dà la vita. Parlando della Chiesa l'autore sposta l'accento dalla dimensione cosmica a quella storica: Cristo si trova concretamente in una comunità di uomini e di donne, che vive riconoscendo la Sua supremazia.
“Egli è principio,primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.”
Mentre la prima parte dell'inno sottolineava la supremazia di Gesù sulla creazione, la seconda parte parla della riconciliazione e della pacificazione universale. Il Cristo è il principio! Questo è un tema molto caro ai greci e si ritrova nei testi biblici riguardanti la Sapienza. Poi si ripete di nuovo il termine del “primogenito” . Egli così diventa il capostipite di una nuova umanità, quella che ha vinto la morte. In base a questo si ribadisce nuovamente il primato di Cristo su tutte le cose.
“È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza”
Grazie alla sua partecipazione in prima persona alla riconciliazione di tutti gli esseri creati, Gesù Cristo riceve in se stesso ogni pienezza, cioè la pienezza di tutta la divinità, tutto quello che Dio ci vuole comunicare di se stesso in Cristo, per introdurci e perfezionarci in Lui.
“e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.”
E' Dio che ha riconciliato in Cristo e in vista di Cristo tutte le cose. E' una pacificazione totale, che coinvolge il cielo e la terra. E' una pacificazione e riconciliazione che ha avuto un preciso momento: la morte in croce di Cristo. E' questo il punto fondamentale. Se si può negare la partecipazione di Cristo alla creazione, non si può certo evitare il fatto storico della croce e risurrezione di Cristo, che ha permesso una totale riconciliazione di tutte le cose create.
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
Lc 23, 35-43
Solo l’Evangelista Luca riferisce l’episodio del "buon ladrone" che non compare invece nel Vangelo di Matteo, secondo cui vennero crocifissi insieme a Gesù due ladroni, che entrambi lo oltraggiavano e lo insultavano. Sembra strano che la liturgia per la solennità di Cristo, re dell'universo, ci presenti un brano tratto dalla passione, ed è anche strano immaginare che a riconoscere la Sua regalità fosse uno dei due malfattori che fu crocifisso con Gesù. Infatti, mentre il suo compagno lo insultava e rivolgendosi a lui gli diceva: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!”, perciò lo interpella come “Cristo” senza però riconoscerlo, il buon ladrone (da alcuni vangeli apocrifi sappiamo che sia chiamava Disma) invece riconosce, in quell’uomo, orribilmente sfigurato, che sta morendo in croce come lui, il re di un regno ultraterreno. Egli prima si rivolge al suo compagno dicendogli: “Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male”. Riconosce perciò l'innocenza di Gesù, infine si rivolge a Lui : "Gesù, ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno!" Colpisce il fatto che rivolgendosi a Lui lo chiama per nome (nessuno, neanche i suoi apostoli lo avevano fatto). E’ l’atto di fede più grande che Gesù ha potuto vedere. Era facile riconoscerlo messia e profeta quando era circondato dai suoi discepoli e compiva miracoli, ora invece, quando le tenebre scendono sulla terra, avviene il miracolo della conversione dell’ultimo momento: Disma ha visto accanto a sé, condannato a morte come lui, la fragilità di un uomo ma anche la forza di Dio. Lo ha riconosciuto Signore di un regno nel quale lo supplica di essere accolto, senza una parola di rimpianto per la sua vita terrena che sta finendo. Ha quella fede che Gesù si sforzava di installare nei suoi discepoli, e che ora premia nel ladrone con la breve risposta: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”.
Il primo salvato dal Figlio di Dio crocifisso è dunque, un peccatore che all’ultimo momento crede nella misericordia di Dio, e Gesù, che non è un semplice giusto, ma anche Re e Salvatore, chiama al Suo regno, nel Suo paradiso, chi confida il Lui.
*****
“La solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo corona l’anno liturgico… Il Vangelo presenta infatti la regalità di Gesù al culmine della sua opera di salvezza, e lo fa in un modo sorprendente. «Il Cristo di Dio, l’eletto, il Re» appare senza potere e senza gloria: è sulla croce, dove sembra più un vinto che un vincitore. La sua regalità è paradossale: il suo trono è la croce; la sua corona è di spine; non ha uno scettro, ma gli viene posta una canna in mano; non porta abiti sontuosi, ma è privato della tunica; non ha anelli luccicanti alle dita, ma le mani trafitte dai chiodi; non possiede un tesoro, ma viene venduto per trenta monete.
Davvero il regno di Gesù non è di questo mondo (cfr Gv 18,36); ma proprio in esso, ci dice l’Apostolo Paolo nella seconda lettura, troviamo la redenzione e il perdono. Perché la grandezza del suo regno non è la potenza secondo il mondo, ma l’amore di Dio, un amore capace di raggiungere e risanare ogni cosa. Per questo amore Cristo si è abbassato fino a noi, ha abitato la nostra miseria umana, ha provato la nostra condizione più infima: l’ingiustizia, il tradimento, l’abbandono; ha sperimentato la morte, il sepolcro, gli inferi. In questo modo il nostro Re si è spinto fino ai confini dell’universo per abbracciare e salvare ogni vivente. Non ci ha condannati, non ci ha nemmeno conquistati, non ha mai violato la nostra libertà, ma si è fatto strada con l’amore umile che tutto scusa, tutto spera, tutto sopporta (cfr 1 Cor 13,7).
Solo questo amore ha vinto e continua a vincere i nostri grandi avversari: il peccato, la morte, la paura.
Oggi, cari fratelli e sorelle, proclamiamo questa singolare vittoria, con la quale Gesù è divenuto il Re dei secoli, il Signore della storia: con la sola onnipotenza dell’amore, che è la natura di Dio, la sua stessa vita, e che non avrà mai fine (cfr 1 Cor 13,8). Con gioia condividiamo la bellezza di avere come nostro re Gesù: la sua signoria di amore trasforma il peccato in grazia, la morte in risurrezione, la paura in fiducia.
Sarebbe però poca cosa credere che Gesù è Re dell’universo e centro della storia, senza farlo diventare Signore della nostra vita: tutto ciò è vano se non lo accogliamo personalmente e se non accogliamo anche il suo modo di regnare. Ci aiutano in questo i personaggi che il Vangelo odierno presenta. Oltre a Gesù, compaiono tre figure: il popolo che guarda, il gruppo che sta nei pressi della croce e un malfattore crocifisso accanto a Gesù.
Anzitutto, il popolo: il Vangelo dice che «stava a vedere»: nessuno dice una parola, nessuno si avvicina. Il popolo sta lontano, a guardare che cosa succede. È lo stesso popolo che per le proprie necessità si accalcava attorno a Gesù, ed ora tiene le distanze. Di fronte alle circostanze della vita o alle nostre attese non realizzate, anche noi possiamo avere la tentazione di prendere le distanze dalla regalità di Gesù, di non accettare fino in fondo lo scandalo del suo amore umile, che inquieta il nostro io, che scomoda. Si preferisce rimanere alla finestra, stare a parte, piuttosto che avvicinarsi e farsi prossimi. Ma il popolo santo, che ha Gesù come Re, è chiamato a seguire la sua via di amore concreto; a domandarsi, ciascuno ogni giorno: “che cosa mi chiede l’amore, dove mi spinge? Che risposta do a Gesù con la mia vita?”
C’è un secondo gruppo, che comprende diversi personaggi: i capi del popolo, i soldati e un malfattore. Tutti costoro deridono Gesù. Gli rivolgono la stessa provocazione: «Salvi se stesso!» È una tentazione peggiore di quella del popolo. Qui tentano Gesù, come fece il diavolo agli inizi del Vangelo (cfr Lc 4,1-13), perché rinunci a regnare alla maniera di Dio, ma lo faccia secondo la logica del mondo: scenda dalla croce e sconfigga i nemici! Se è Dio, dimostri potenza e superiorità! Questa tentazione è un attacco diretto all’amore: «salva te stesso»; non gli altri, ma te stesso. Prevalga l’io con la sua forza, con la sua gloria, con il suo successo. È la tentazione più terribile, la prima e l’ultima del Vangelo.
Ma di fronte a questo attacco al proprio modo di essere, Gesù non parla, non reagisce. Non si difende, non prova a convincere, non fa un’apologetica della sua regalità. Continua piuttosto ad amare, perdona, vive il momento della prova secondo la volontà del Padre, certo che l’amore porterà frutto.
Per accogliere la regalità di Gesù, siamo chiamati a lottare contro questa tentazione, a fissare lo sguardo sul Crocifisso, per diventargli sempre più fedeli. Quante volte invece, anche tra noi, si sono ricercate le appaganti sicurezze offerte dal mondo. Quante volte siamo stati tentati di scendere dalla croce. La forza di attrazione del potere e del successo è sembrata una via facile e rapida per diffondere il Vangelo, dimenticando in fretta come opera il regno di Dio…..
Nel Vangelo compare un altro personaggio, più vicino a Gesù, il malfattore che lo prega dicendo: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» . Questa persona, semplicemente guardando Gesù, ha creduto nel suo regno. E non si è chiuso in se stesso, ma con i suoi sbagli, i suoi peccati e i suoi guai si è rivolto a Gesù. Ha chiesto di esser ricordato e ha provato la misericordia di Dio: «oggi con me sarai nel paradiso».
Dio, appena gliene diamo la possibilità, si ricorda di noi. Egli è pronto a cancellare completamente e per sempre il peccato, perché la sua memoria non registra il male fatto e non tiene sempre conto dei torti subiti, come la nostra. Dio non ha memoria del peccato, ma di noi, di ciascuno di noi, suoi figli amati. E crede che è sempre possibile ricominciare, rialzarsi.
Chiediamo anche noi il dono di questa memoria aperta e viva. Chiediamo la grazia di non chiudere mai le porte della riconciliazione e del perdono, ma di saper andare oltre il male e le divergenze, aprendo ogni possibile via di speranza. Come Dio crede in noi stessi, infinitamente al di là dei nostri meriti, così anche noi siamo chiamati a infondere speranza e a dare opportunità agli altri…, Perché, anche se si chiude la Porta santa, rimane sempre spalancata per noi la vera porta della misericordia, che è il Cuore di Cristo. Dal costato squarciato del Risorto scaturiscono fino alla fine dei tempi la misericordia, la consolazione e la speranza.
Tanti pellegrini hanno varcato le Porte sante e fuori del fragore delle cronache hanno gustato la grande bontà del Signore. Ringraziamo per questo e ricordiamoci che siamo stati investiti di misericordia per rivestirci di sentimenti di misericordia, per diventare noi pure strumenti di misericordia. Proseguiamo questo nostro cammino, insieme.
Ci accompagni la Madonna, anche lei era vicino alla croce, lei ci ha partorito lì come tenera Madre della Chiesa che tutti desidera raccogliere sotto il suo manto. Ella sotto la croce ha visto il buon ladrone ricevere il perdono e ha preso il discepolo di Gesù come suo figlio. È la Madre di misericordia, a cui ci affidiamo: ogni nostra situazione, ogni nostra preghiera, rivolta ai suoi occhi misericordiosi, non resterà senza risposta.”
Papa Francesco Parte dell’Omelia del 20 novembre 2016
1. Oggi si celebra la Giornata Mondiale dei Poveri. Per sostenere le opere caritative parrocchiali si organizza il mercatino solidale parrocchiale per aiutare i bisognosi prima di Natale. Non è mai possibile eludere il pressante richiamo che la Sacra Scrittura affida ai poveri. Dovunque si volga lo sguardo, la Parola di Dio indica che i poveri sono quanti non hanno il necessario per vivere perché dipendono dagli altri. Sono l'oppresso, l'umile, colui che è prostrato a terra. Eppure, dinanzi a questa innumerevole schiera di indigenti, Gesù non ha avuto timore di identificarsi con ciascuno di essi: <Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me> (Mt25,40). Sfuggire da questa identificazione equivale a mistificare il Vangelo e annacquare Ia rivelazione. Il Dio che Gesù ha voluto rivelare è questo: un Padre generoso, misericordioso, inesauribile nella sua bontà e grazia, che dona speranza soprattutto a quanti sono delusi e privi di futuro.
2. Domenica prossima 24 novembre si celebra la Solennità di N.S.G.C. RE DELLUNIVERSO. Durante la S. Messa delle ore 10,00 ci sarà Ia celebrazione del mandato per tutti gli Operatori Pastorali.
3. Nell'ufficio parrocchiale si può scrivere chi vuole partecipare all'adorazione eucaristica da lunedì a venerdì dalle ore 9,30 alle ore 11,45.
4. Vogliamo ricordare particolarmente le persone chiamate alla contemplazione nei monasteri di clausura. Ad esse la Chiesa dedica una Giornata speciale giovedì prossimo, 21 novembre, memoria della presentazione al Tempio della Beata Vergine Maria. Tanto dobbiamo a queste persone che vivono di ciò che la Provvidenza procura loro mediante la generosità dei fedeli. Il monastero, "come oasi spirituale, indica al mondo di oggi la cosa più importante, anzi alla fine I’unica cosa decisiva: esiste un'ultima ragione per cui vale !a pena vivere, cioè Dio e il suo amore imperscrutabile".
Nella penultima domenica dell’anno liturgico, le letture che abbiamo ci portano ad orientare il nostro sguardo verso il futuro, sulla fine del mondo e sul destino dell’uomo oltre la morte. Questo non per spaventarci, ma per mostrarci come vivere bene il presente illuminato dalla speranza che alla fine il bene vincerà sul male.
Nella prima lettura, il profeta Malachia, annuncia, a nome di Dio, che il fuoco distruggerà “i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia” ma subito dopo assicura che “sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia” per coloro che temono il suo nome.
Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo, continuando la sua seconda lettera ai Tessalonicesi, mette sotto accusa gli oziosi che vivono disordinatamente “senza far nulla e in continua agitazione”. In modo perentorio l’apostolo sentenzia: “Chi non vuole lavorare neppure mangi”. L’uomo di fede deve prepararsi alla vita ultraterrena “lavorando in pace” operando con buona volontà e carità in vita, interpretando la giustizia tra gli uomini per meritare la giustizia salvifica di Dio.
Nel Vangelo di Luca, Gesù prefigura la distruzione di Gerusalemme e la persecuzione dei cristiani, ma contemporaneamente rassicura sul fatto che il bene prevarrà sul male.
Quella di oggi è una liturgia di tensione, destinata a scuotere le coscienze, ma non a terrorizzarle. Cristo, diversamente da quanto predicano certe sètte apocalittiche contemporanee, come i Testimoni di Geova, non si è particolarmente interessato alla fine del mondo, che resta un mistero nascosto nella mente di Dio: “Quanto poi a quel giorno o a quell’ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre”.(Mc 13,32) Nei momenti di oscurità e di tribolazione ci devono sostenere le parole di Gesù: “nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”
Dal libro del profeta Malachia
“Ecco, sta per venire il giorno rovente come un forno. Allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia;
quel giorno venendo,li brucerà - dice il Signore degli eserciti – fino a non lasciar loro né radice né germoglio. Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia”.
Mal 3,19-20
Malachia è l’ultimo dei profeti minori dell’A.T., che gli ebrei chiamano per questo “Sigillo dei profeti”. Del profeta Malachia, il cui nome o pseudonimo in ebraico è tutto un programma, “messaggero del Signore”, si sa solo che era della tribù di Zabulon e nacque a Sofa. Visse certamente dopo l’esilio babilonese (538 a.C.), durante la dominazione persiana, tuttavia non si può determinare con certezza se le sue profezie siano anteriori, contemporanee o posteriori al ritorno di Esdra in Palestina (sommo sacerdote ebreo, codificatore del giudaismo, V-IV secolo a.C.).
Il libro di Malachia, tratta dei problemi morali relativi alla comunità ebraica, reduce dalla prigionia babilonese, a cui rimprovera le lamentele contro la Provvidenza di Dio, spronandola a pentirsi. Egli mette in evidenza “l’elezione” d’Israele, che non è solo un privilegio onorifico di Dio, ma comporta degli obblighi, come ogni dono divino; rimprovera i sacerdoti che offendono la dignità del Signore e trascurano il culto a Lui dovuto.
Nella requisitoria contro il malcostume egli è intransigente e condanna i matrimoni misti, difende la indissolubilità del matrimonio, ecc. Il libro termina con una visione escatologica (cioè quello che seguirà alla vita terrena e alla fine del mondo), annunciante la venuta del messaggero di Dio, che farà una cernita dei buoni nel suo popolo; in questa profezia si può prefigurare la venuta di Giovanni Battista.
I Padri sono concordi nel vedere in Malachia il preannunzio profetico del sacrificio della Messa, con Gerusalemme che perde il titolo di “luogo dove bisogna adorare”, e Gesù che istituisce il rito eucaristico per tutta l’umanità.
Questo brano, che è la parte conclusiva del libro di Malachia, ed anche la pagina che chiude l'Antico Testamento, ci invita a fissare lo sguardo in quel “giorno”.
Egli lo dipinge con immagini molto forti: “sta per venire il giorno rovente come un forno”, la cui fiamma incenerisce anche i germogli ancora verdi e le radici “fino a non lasciar loro né radice né germoglio”. C’è il grande ribaltamento delle sorti: i superbi e gli ingiusti saranno finalmente sconfitti e per i giusti “sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia” la trionfale manifestazione del Dio salvatore e liberatore che inaugurerà la nuova era e la nuova creazione
* Il titolo “sole di giustizia”, è stato applicato a Cristo, e ha avuto una parte importante nella formazione delle feste liturgiche del natale e dell’epifania
Salmo 97 - Il Signore giudicherà il mondo con giustizia.
Cantate inni al Signore con la cetra,
con la cetra e al suono di strumenti a corde;
con le trombe e al suono del corno
acclamate davanti al re, il Signore.
Risuoni il mare e quanto racchiude,
il mondo e i suoi abitanti.
I fiumi battano le mani,
esultino insieme le montagne
davanti al Signore che viene
a giudicare la terra.
Giudicherà il mondo con giustizia
e i popoli con rettitudine.
Il tempo della composizione di questo salmo è probabilmente quello del postesilio. Il motivo del suo invito ad un “canto nuovo” non è però ristretto al solo ritorno dall'esilio, ma nasce da tutti gli interventi di Dio per la liberazione di Israele dagli oppressori e dai nemici.
E' Dio stesso che, come prode guerriero, ha vinto i suoi nemici, che sono gli stessi nemici di Israele: “Gli ha dato vittoria la sua destra”.
Il “canto nuovo” celebra le “meraviglie” di Dio, tuttavia è aperto al futuro messianico, che abbraccerà tutti i popoli.
“La sua salvezza”, mostrata ai popoli per mezzo di Israele, ridonda già su di loro: “Tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio”. Il Signore è colui che viene, che viene costantemente a giudicare la terra; e che verrà nel futuro per mezzo dell'azione del Messia, al quale darà il potere di giudicare nell'ultimo giorno la terra: “Giudicherà il mondo con giustizia e i popoli con rettitudine”.
Ogni episodio di liberazione il salmo lo vede come preparazione della diffusione a tutte le genti della salvezza del Signore. E' una salvezza universale che tocca anche il creato, che deve fremere di fronte agli eventi finali che lo sconvolgeranno: “Frema il mare...”; ma anche esultare, perché sarà sottratto dalla caducità introdotta da Adamo (Cf. Rm 8,19): “I fiumi battano le mani, esultino insieme le montagne”.
Noi, in Cristo, recitiamo il salmo nell'avvento messianico. La salvezza di Dio, quella che ci libera dal peccato - male supremo - è quella donataci per mezzo di Cristo. La giustizia che si è mostrata a noi è Cristo, che per noi è morto e ci ha resi giusti davanti al Padre per mezzo del lavacro del suo sangue. Dio, è il Dio che viene (Cf. Ap 1,7; 4,8) per mezzo dell'azione dello Spirito Santo, che presenta Cristo, nostra salvezza e giustizia.
Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di P.Paolo Berti
Dalla seconda lettera di S.Paolo apostolo ai Tessalonicesi
Fratelli,sapete in che modo dovete prenderci a modello: noi infatti non siamo rimasti oziosi in mezzo a voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi.
Non che non ne avessimo diritto, ma per darci a voi come modello da imitare. E infatti quando eravamo presso di voi, vi abbiamo sempre dato questa regola: chi non vuole lavorare, neppure mangi.
Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono una vita disordinata, senza far nulla e sempre in agitazione. A questi tali, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità.
2Ts 3:7-12
Paolo quasi al termine della sua seconda lettera ai Tessalonicesi, dà spazio a un’ultima raccomandazione. Egli inizia portando se stesso come modello da imitare: “non siamo rimasti oziosi in mezzo a voi, né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi.” Commenta poi che ha lavorato non perchè non fosse suo diritto farsi sostenere dalla comunità, ma perché voleva dar loro un esempio da imitare. Dopo questa premessa ricorda la regola che aveva dato: : chi non vuole lavorare, neppure mangi e continua dicendo: Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono una vita disordinata, senza far nulla e sempre in agitazione.
Probabilmente il comportamento di queste persone era il risultato di quella tensione determinata dal fatto che il Signore non era ritornato e non si pensava più che ciò avvenisse a breve scadenza, per cui non si trattava di un semplice ozio, ma di un atteggiamento basato su una motivazione religiosa.
A coloro che hanno ceduto a questa tentazione egli ordina: esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità.
L’esempio di Paolo e la sua parola autorevole vengono fatti valere per affermare che nessuno deve farsi mantenere a spese della comunità.
Nei versetti seguenti, che non sono riportati nel brano, l’esortazione ha un ulteriore sviluppo. Se qualcuno non obbedisce a questa direttiva bisogna intervenire, interrompendo i rapporti con lui, cioè non provvedendogli più l’assistenza che esige dagli altri, non si deve comunque trattarlo come un nemico, ma ammonirlo come un fratello. Tutta la comunità quindi è coinvolta nel compito di aiutare i singoli membri a vivere in modo conforme all’insegnamento di Paolo.
Ogni comunità deve difendersi dal male, e come sempre capita ed è capitato, il male peggiore non è quello che viene dall’esterno, ma quello che corrode la comunità dall’interno. L’insegnamento che Paolo ci lascia è che il cristiano deve vivere serenamente, non deve mangiare gratuitamente il pane, non deve vivere alle spalle degli altri, ma cercare di adempiere con coscienza retta tutti i doveri terreni personali e sociali.
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: “Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”. Gli domandarono: “Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere? “.
Rispose: “Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: "Sono io " e: "Il tempo è vicino"; non andate dietro a loro!. Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine”. Poi diceva loro: “Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo. Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagòghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome.
Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicchè tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere. Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”.
Lc 21, 5-19
Luca riporta questo discorso di Gesù, dopo l’episodio della vedova che davanti al tempio, dona i suoi spiccioli, e Gesù dice di lei che nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere. Questo discorso di Gesù viene chiamato escatologico e come in Marco, c’è un riferimento alla distruzione di Gerusalemme, avvenuta nel 70 d.C., con la descrizione della fine dei tempi.
Nel brano leggiamo che Gesù si trovava ancora nel tempio, dove si erano svolte le dispute con i diversi gruppi dei giudei, e sentendo che alcuni di mezzo al popolo ammiravano la bellezza della costruzione e dei doni votivi disse: "Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta”. Questa affermazione deve aver procurato una certa impressione perché alcuni dei presenti gli chiedono: “Maestro, quando accadranno queste cose e quale sarà il segno che ciò sta per avvenire?” Come in Marco, anche in Luca, Gesù passa a indicare i segni premonitori della distruzione di Gerusalemme. Anzitutto parla di avvenimenti riguardanti la comunità dei discepoli: “Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: "Sono io " e: "Il tempo è vicino"; non andate dietro a loro!”.
“Non lasciatevi ingannare,” ecco la prima esortazione di Gesù, Egli non intende parlare dei segni, ma esortare alla fiducia. Sicuramente questi falsi profeti, dai quali Gesù mette in guardia i suoi ascoltatori, saranno stati coloro che all'interno delle prime comunità cristiane si erano messi ad annunciare una parusia imminente. Il periodo storico immediatamente precedente la caduta di Gerusalemme, sia per la comunità cristiana sia in Palestina, era segnato da una forte tensione e Luca vuole scoraggiare una visione errata della parusia.
Poi Gesù prosegue: “Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine”. Qui c’è una seconda esortazione, relativa al tema classico della guerra e in questa Luca inserisce una prospettiva storica (con l'utilizzo di espressioni temporali: “prima …e non è subito la fine”) per riaffermare quanto appena detto. Le guerre, i disordini, le rivoluzioni appartengono alla storia e non sono segni della prossimità della fine del mondo, per questo dice:”non è subito la fine”. In quegli anni infatti, mentre la Palestina era sconvolta dalla guerra giudaica e dai disordini civili che la accompagnavano, anche Roma era segnata da disordini con Galba, Otone e Vitellio (68-69 d.C.).
Poi Gesù continua dicendo : “Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo”.
Luca sembra voglia distinguere i fatti storici ricorrenti che vivono i suoi lettori, dai segni politici, naturali e cosmici che preludono la parusia e ricorre ad espressioni apocalittici, eventi catastrofici come la guerra, la carestia, la peste. (Come è attuale questo profezia, potremo anche riconoscerla in questi ultimi eventi che stiamo vivendo) Inserisce poi il tema della testimonianza e il testo si trasforma in una profezia circa le persecuzioni cui saranno sottoposti i credenti: “Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza”.
Le persecuzioni che ci furono, sia da parte dei Giudei che dei pagani, non sono segni premonitori della fine dei tempi, ma appartengono alla storia della Chiesa di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Di questo Luca ne parla anche negli Atti (4,3; 5,18; 6,12; ecc.), perché la persecuzione fa parte della sequela e un invito a portare la propria croce, come Gesù aveva già detto in un'altra occasione.
Di fronte ai loro persecutori i cristiani non dovranno però preoccuparsi perché Gesù su questo dice : “Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere” perché sarà Gesù stesso a dar loro una sapienza a cui i loro avversari non potranno ribattere.
Alla persecuzione da parte di estranei si aggiungerà l’opposizione dei propri cari, ed anche questo Gesù lo dice: “Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome”. C’è così da mettere in conto anche il tradimento da parte dei propri parenti, genitori e fratelli, magari persone che condividono la stessa fede. La persecuzione sarà accompagnata da sentimenti di odio generalizzato, di cui è causa il nome di Gesù.
Il brano termina con due detti di incoraggiamento e di conforto: “Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.” La “perseveranza” è un termine che evoca tutta la forza necessaria per affrontare le prove quotidiane che si incontrano sempre nella vita, ma nello stesso tempo fa pensare alla speranza in Colui che ti conta anche i capelli in capo.
“Con la vostra perseveranza salverete le vostra vita”, ed è come dire “salverete la vostra anima”. La vita si salva non nel disimpegno ma nel tenace, umile, quotidiano lavoro che si prende cura della terra e delle sue ferite. Senza cedere né allo scoraggiamento né alle seduzioni dei falsi profeti. Questo è importante perché Gesù nel vangelo sembra riconoscere alla perseveranza che noi avremo tenuto, non una salvezza avuta come pacco dono, ma una salvezza di cui Lui ci rende partecipi e protagonisti.
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Signore Gesùnei momenti della prova
quando sentimenti di angoscia,
spavento, insicurezza, sfiducia,
prevalgono in me, aiutami a leggere la
storia della mia vita alla luce di Te,
mio Dio, mio Amore, e mio Salvatore.
Ripetimi, quando la sofferenza
quotidiana sembra prevalere:
Io sono con te tutti i giorni fino alla
fine del mondo!
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“L’odierno brano evangelico contiene la prima parte del discorso di Gesù sugli ultimi tempi, nella redazione di san Luca. Gesù lo pronuncia mentre si trova di fronte al tempio di Gerusalemme, e prende spunto dalle espressioni di ammirazione della gente per la bellezza del santuario e delle sue decorazioni. Allora Gesù dice: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Possiamo immaginare l’effetto di queste parole sui discepoli di Gesù! Lui però non vuole offendere il tempio, ma far capire, a loro e anche a noi oggi, che le costruzioni umane, anche le più sacre, sono passeggere e non bisogna riporre in esse la nostra sicurezza. Quante presunte certezze nella nostra vita pensavamo fossero definitive e poi si sono rivelate effimere! D’altra parte, quanti problemi ci sembravano senza uscita e poi sono stati superati!
Gesù sa che c’è sempre chi specula sul bisogno umano di sicurezze. Perciò dice: «Badate di non lasciarvi ingannare», e mette in guardia dai tanti falsi messia che si sarebbero presentati. Anche oggi ce ne sono! E aggiunge di non farsi terrorizzare e disorientare da guerre, rivoluzioni e calamità, perché anch’esse fanno parte della realtà di questo mondo.
La storia della Chiesa è ricca di esempi di persone che hanno sostenuto tribolazioni e sofferenze terribili con serenità, perché avevano la consapevolezza di essere saldamente nelle mani di Dio. Egli è un Padre fedele, è un Padre premuroso, che non abbandona i suoi figli. Dio non ci abbandona mai! Questa certezza dobbiamo averla nel cuore: Dio non ci abbandona mai!
Rimanere saldi nel Signore, in questa certezza che Egli non ci abbandona, camminare nella speranza, lavorare per costruire un mondo migliore, nonostante le difficoltà e gli avvenimenti tristi che segnano l’esistenza personale e collettiva, è ciò che veramente conta; è quanto la comunità cristiana è chiamata a fare per andare incontro al “giorno del Signore”. Proprio in questa prospettiva vogliamo collocare l’impegno che scaturisce da questi mesi in cui abbiamo vissuto con fede il Giubileo Straordinario della Misericordia, che oggi si conclude nelle Diocesi di tutto il mondo con la chiusura delle Porte Sante nelle chiese cattedrali. L’Anno Santo ci ha sollecitati, da una parte, a tenere fisso lo sguardo verso il compimento del Regno di Dio e, dall’altra, a costruire il futuro su questa terra, lavorando per evangelizzare il presente, così da farne un tempo di salvezza per tutti.
Gesù nel Vangelo ci esorta a tenere ben salda nella mente e nel cuore la certezza che Dio conduce la nostra storia e conosce il fine ultimo delle cose e degli eventi. Sotto lo sguardo misericordioso del Signore si dipana la storia nel suo fluire incerto e nel suo intreccio di bene e di male. Ma tutto quello che succede è conservato in Lui; la nostra vita non si può perdere perché è nelle sue mani. Preghiamo la Vergine Maria, perché ci aiuti, attraverso le vicende liete e tristi di questo mondo, a mantenere salda la speranza dell’eternità e del Regno di Dio. Preghiamo la Vergine Maria, perché ci aiuti a capire in profondità questa verità: Dio mai abbandona i suoi figli!”
Papa Francesco Angelus del 13 novembre 2016
1. Mercoledì 13 novembre alle ore 19,00 ci sarà la riunione del Consiglio Pastorale Parrocchiale nella sala P. Luciano.
2. Come si legge nelle linee per il cammino di questo anno pastorale, siamo chiamati ad <abitare con il cuore la città> per ascoltarne il "grido", per dar conto delle sofferenze e delle fatiche della gente che vive a Roma guardando alla vita concreta delle persone. Un percorso di lettura del territorio e di ascolto delle storie di vita di giovani, famiglie e poveri che troverà ampio spazio sul settimanale diocesano Roma Sette anche grazie alle segnalazioni che vorrete proporre. Per questo la domenica odierna 10 novembre è dedicata per sostenere il giornale cattolico "Avvenire".
3. Domenica prossima 17 novembre si celebra la Giornata Mondiale dei Poveri. Per sostenere le opere caritative parrocchiali domenica prossima si organizza il mercatino solidale parrocchiale per aiutare i bisognosi prima di Natale.
4. Nell'ufficio parrocchiale si può scrivere chi vuole partecipare all'adorazione eucaristica dal lunedì al venerdì dalle ore 9,30 alle ore 11,30.
L'umanità è una grande e immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)