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KRZYZ

Henryk

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Da mercoledì scorso, con la liturgia delle ceneri, è iniziata la quaresima, tempo che  ci riporta alla sostanza dell’esistenza cristiana invitandoci a intensificare nella preghiera e nella penitenza il cammino per la preparazione alla Pasqua di risurrezione.

Nella  prima lettura, tratta dal Libro del Deuteronomio, ci viene proposto il più antico credo di Israele, in cui nel rito dell’offerta delle primizie, il popolo ricordava il grandioso intervento divino che lo liberò dall’umiliazione e dalla schiavitù d’Egitto per introdurlo nella Terra promessa.   

Nella seconda lettura, nella sua lettera ai Romani, Paolo ci rassicura che “non c’è distinzione tra giudeo e greco”, dato che Gesù Cristo è il Signore di tutti, infatti “chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato”.  Invocare il Signore in spirito di penitenza e umiltà significa ravvivare la propria fede: una fede da vivere con sincerità interiore ma anche con il coraggio di testimoniarla.  .

Nel brano del Vangelo,  Luca racconta che all’inizio della sua missione Gesù fu tentato da Satana, che lo invitava a salvare il mondo, obbedendo ad aspirazioni del tutto umane e non in sintonia con la volontà di Dio.  Ma Gesù sul pinnacolo del tempio dichiara il suo “si” definitivo al Padre, diventando anche per tutti i suoi seguaci, di ogni tempo e di ogni luogo,  l’emblema luminoso dell’adesione piena e totale Dio.

 

Aurelia Stagnaro

Parrocchia N.S.de La Salette

www.lasaletteroma.it

 

Dal libro del Deuteronòmio
Mosè parlò al popolo e disse:
«Il sacerdote prenderà la cesta dalle tue mani e la deporrà davanti all’altare del Signore, tuo Dio, e tu pronuncerai queste parole davanti al Signore, tuo Dio:

“Mio padre era un Aramèo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi. Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele. Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato”.

Le deporrai davanti al Signore, tuo Dio, e ti prostrerai davanti al Signore, tuo Dio».

Dt 26,4-10

 

Secondo la tradizione ebraica e molte confessioni religiose cristiane, il libro del Deuteronomio sarebbe stato scritto da Mosè, ma molti  esegeti moderni ritengono che tutto il Pentateuco sia in realtà una raccolta di vari scritti di epoche diverse, formatasi nel periodo post-esilico. Per quanto riguarda il Deuteronomio almeno la parte centrale, si pensa che sia stata composta da un movimento profetico sorto intorno allVIII-VII Sec. a.C., nel periodo  della conquista assira,  ed alla seguente riforma del re Giosia. Si presenta come il testamento di Mosè, la raccolta cioè delle ultime sue disposizioni che avrebbe espresso poco prima della sua morte, quando ormai il popolo, radunato nelle steppe di Moab, sta per iniziare il suo ingresso nella terra promessa.

In questo brano, troviamo il più antico Credo di Israele che gira intorno a tre articoli di fede: la vocazione dei patriarchi “Aramèi erranti ”, il dono della libertà dopo la pesante esperienza dell’oppressione egiziana, il dono della terra promessa.

Offrendo al Signore le primizie dei suoi raccolti, ogni israelita così riconosce che la terra è un dono di Dio. La professione di fede che egli pronuncia in occasione di tale offerta rievoca non la creazione del mondo, ma l'evento principale della storia della salvezza. L'epopea dell'esodo inizia con la migrazione del "padre" delle dodici tribù di Israele, Giacobbe, il quale scese in Egitto "come un forestiero". Oppresso dagli egiziani, il popolo alzò la voce al Dio dei padri, "e il Signore ascoltò" il suo grido, "con mano potente e con braccio teso" lo liberò dalla schiavitù e lo condusse nella terra promessa, dandogli il paese "dove scorrono latte e miele".

In questa estrema semplicità della fede degli Israeliti emerge un dato decisivo:

Dio non si rivela con apparizioni mistiche o paranormali, non si affaccia in mezzo a cieli limpidi o sopra a nuvole dorate, ma si nasconde nelle cose semplici, nel quotidiano delle  nostre giornate.  La più completa formula di fede nella Bibbia è quindi il ringraziamento per la presenza di Dio accanto a noi, per il suo svelarsi nel quotidiano, per il suo intatto e viscerale amore per l’umanità , per le sue opere di salvezza che, solo chi ha un animo puro e semplice,  può scoprire.

 

Salmo  90/91 Resta con noi, Signore, nell'ora della prova.

Chi abita al riparo dell’Altissimo
passerà la notte all’ombra dell’Onnipotente.
Io dico al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza,
mio Dio in cui confido».

 

Chi abita al riparo dell’Altissimo
passerà la notte all’ombra dell’Onnipotente.
Io dico al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza,
mio Dio in cui confido».

 

Sulle mani essi ti porteranno,
perché il tuo piede non inciampi nella pietra.
Calpesterai leoni e vipere,
schiaccerai leoncelli e draghi.

 

«Lo libererò, perché a me si è legato,
lo porrò al sicuro, perché ha conosciuto il mio nome.
Mi invocherà e io gli darò risposta;
nell’angoscia io sarò con lui,
lo libererò e lo renderò glorioso».

 

Il salmista professa di trovare la sua forza e pace nel Signore, nel quale confida: “Io dicoal Signore: <Mio rifugio e mia fortezza, mio Dio in cui confido>”.

Il salmo vuole infondere fiducia nel futuro, sicuramente positivo per chi confida nel Signore (Cf. Dt 6,14).

Il "laccio del cacciatore”, sono le trappole poste dai nemici per giungere a compromettere il giusto.

Dalla peste che distrugge”; più giustamente secondo l'originale ebraico dovrebbe tradursi: “Dalla parola che distrugge”, cioè dalla parola calunniatrice.

Il terrore della notte”, sono gli assalti dei briganti, le incursioni dei nemici.

La freccia che vola di giorno”, sono gli attacchi in pieno giorno dei nemici: di notte le frecce non si usano.

“La peste che vaga nelle tenebre”, l'uomo non vede il propagarsi del contagio; per questo “nelle tenebre”.

“Lo sterminio che devasta a mezzogiorno”, è l'azione delle carestie.

Di fronte all'imperversare delle sventure: “Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra, ma nulla ti potrà colpire”.

Indubbiamente il salmo presenta una situazione del giusto non costantemente frequente, per cui va aperta ad una lettura in chiave figurata, dal momento che le sventure colpiscono anche i giusti. Le sventure non colpiscono il giusto nel senso che in tutte le circostanze avrà l'aiuto di Dio per non cadere nell'infedeltà a Dio ed essere felice della sua presenza: Dio è il più grande bene.

Gli angeli custodiranno il giusto in tutti i suoi passi, cioè nei suoi viaggi, nelle sue iniziative. Anzi, tutto sarà facilitato dagli angeli, la cui azione è presentata con l'immagine degli angeli che stendono le loro mani a formare la strada dove percorre il giusto, affinché non inciampi nella pietra il suo piede.

Il giusto assistito da Dio camminerà indenne

nei pericoli:Calpesterai leoni e vipere, schiaccerai leoncelli e draghi”. I “draghi”, sono un'immagine tratta dalla mitologia cananea (Vedi il Leviatan; Cf. Ps 73).

Il salmista alla fine “passa la parola” a Dio: “Lo libererò, perché a me si è legato, lo porrò al sicuro, perché ha conosciuto il mio nome...lo libererò e lo renderò glorioso. Lo sazierò di lunghi giorni e gli farò vedere la mia salvezza”.

Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di P.Paolo Berti

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, che cosa dice [Mosè]? «Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore», cioè la parola della fede che noi predichiamo.  Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza.
Dice infatti la Scrittura: «Chiunque crede in lui non sarà deluso». Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato».

Rm 10,8-13

 

San Paolo  scrisse la lettera ai Romani  da Corinto probabilmente tra gli anni 58-59. La comunità dei cristiani di  Roma era già  ben formata e coordinata, ma  lui ancora non la conosceva. Forse il  primo annuncio fu  portato a Roma  da quei “Giudei di Roma”, presenti a Gerusalemme nel giorno della Pentecoste e che accolsero il messaggio di Pietro e il Battesimo da lui amministrato, diventando cristiani. Nacque subito la necessità di avere a Roma dei presbiteri e questi non poterono che essere istituiti a Gerusalemme.

La Lettera ai Romani è uno dei testi più alti e più impegnativi degli scritti di Paolo perchè affronta grandi temi teologici: l'universalità e la gratuità del dono della salvezza che si ottiene per mezzo della fede in Cristo; la fedeltà di Dio; i rapporti tra giudaismo e cristianesimo; la libertà di aderire alla legge dello Spirito che dà vita.

In questo brano, in particolare  l'Apostolo ci ricorda la "parola della fede", che conduce alla salvezza. La fede cristiana, in continuità con quella del popolo dell'antica alleanza, consiste anzitutto nel credere in Dio Creatore del mondo e Signore dell'universo, che si è rivelato in una storia di salvezza a favore del Suo popolo. Ma il vertice dei suoi interventi salvifici è la morte e la risurrezione di Cristo: questa è la novità della fede cristiana, alla quale sono chiamati tutti gli uomini. Infatti, afferma  Paolo, "non c'è distinzione tra Giudeo e Greco": in Cristo e per mezzo di lui Dio vuole donare la salvezza a tutta l'umanità. Riprendendo le espressioni del libro del Deuteronomio, Paolo sottolinea che si tratta non solamente di proclamare la nostra fede "con la bocca", ma anche di professarla "con il cuore", ossia con intima e profonda convinzione.

 

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”».
  Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
  Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti:

Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”;

e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”».

Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
  Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.

Lc4,1-13

L’Evangelista Luca, come Marco e Matteo, fa delle tentazioni uno schema di tutta la vita di Gesù, però solo lui le estende a tutti i  quaranta giorni.

La prima tentazione:  Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane è quella materialistica,  perché Gesù ha umanamente fame e quindi satana approfitta della situazione per tentare Gesù a fare un miracolo per sfamarsi (la  fame fa anche sragionare)  e comincia il discorso mettendo in dubbio la sua natura di  Figlio di Dio, ma Gesù  citando le scritture (Dt 8,3)  risponde: "Sta scritto:Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio".   Gesù così afferma che è importante mangiare come benessere corporale, ma prima viene la Parola di Dio.   

La seconda  tentazioneè quella politica, del dominio sugli altri, sui  poteri della terra e satana gli dice «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo».  Anche questa volta Gesù, citando le scritture (Dt6,13) gli risponde :

“Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”   La tentazione politica del domino sugli altri, lo sfruttare gli altri per il proprio egoismo per il proprio potere ed interesse, sono tentazioni  terribili e attualissime, che finiranno quando  finirà il mondo.   

La terza tentazioneè quella miracolistica del pinnacolo del tempio di Gerusalemme in cui Satana, (questa volta  è anche lui  a citare le scritture (sal.91)),   dice a Gesù:  “Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”».  Ma Gesù  gli risponde: “È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo” .(Dt6,16)  Praticamente Satana invita Gesù a fare uso dei suoi poteri divini per la propria autoglorificazione, ma Gesù anche questa volta lo respinge perché non si può mettere Dio al servizio dell’uomo, ma al contrario è l’uomo che è al servizio di Dio.  

Luca a differenza degli altri sinottici termina annotando: Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.  Questo per indicare che i quaranta giorni nel deserto sono soltanto il primo  round e che lo scontro finale avverrà a Gerusalemme durante la passione.  

***

Preghiera


Questo è il tempo del deserto, o Signore.
Anche noi con te,
siamo attratti verso le dune del silenzio
per riscoprire l’orizzonte del nostro mondo interiore
e spezzare il pane della Parola
che sazia la nostra fame
e dona vigore nei giorni di lotta.

Questo è il tempo del digiuno, o Signore,
dalle parole vane e dalle immagini effimere,
dal cibo oltre misura,
per ritrovare la dignità del cuore sobrio
che fiorisce in amore solidale.

Donaci, o Signore,
di non sciupare i giorni di luce
che tu dipani per noi:
liberarci dalle febbre dell’evasione
per tuffarci nella corrente della tua grazia
che rigenera e ci fa essere creature pasquali.


Le letture liturgiche di questa domenica portano alla nostra attenzione due racconti di vocazione: l’una profetica, l’altra apostolica, ma entrambe frutto dell’irruzione di Dio nella vita dell’uomo.
Nella prima lettura, Isaia, nello scenario grandioso del Tempio di Gerusalemme, riceve la rivelazione della grandezza di Dio e accetta l’invito di diventare Suo profeta.

Nella seconda lettura, nella sua lettera ai Corinzi Paolo espone una delle prime formulazioni della fede cristiana, la preghiera del “Credo”, usato nelle prime assemblee durante la celebrazione della “Cena del Signore”.

Nel brano del Vangelo, Luca racconta che dopo la pesca miracolosa, Pietro riconosce in Gesù il Messia e la propria condizione di peccatore. Gesù lo rincuora e lo chiama al suo seguito dicendogli: “Non temere, d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. Luca, solo, tra tutti gli evangelisti, alla fine nota: “lasciarono tutto”. Queste due parole riassumono la risposta che quei semplici pescatori hanno dato alla chiamata di Dio.

A. Stagnaro riporto il sito della parrocchia in cui opero.

Parrocchia N.S.de La Salette
www.lasaletteroma.it
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Dal libro del profeta Isaia
Nell’anno in cui morì il re Ozìa, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali. Proclamavano l’uno all’altro, dicendo:
«Santo, santo, santo il Signore degli eserciti!
Tutta la terra è piena della sua gloria».
Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi:
«Ohimè! Io sono perduto,
perché un uomo dalle labbra impure io sono
e in mezzo a un popolo
dalle labbra impure io abito;
eppure i miei occhi hanno visto
il re, il Signore degli eserciti».
Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse:
«Ecco, questo ha toccato le tue labbra,
perciò è scomparsa la tua colpa
e il tuo peccato è espiato».
Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!».
Is 6,1-2a 3-8

Il profeta Isaia ( Primo Isaia autore dei capitoli 1-39) iniziò la sua opera pubblica verso la fine del regno di Ozia, re di Giuda, attorno al 740 a.C, quando l'intera regione siro-palestinese era minacciata dall'espansionismo assiro. Isaia fu anche uno degli ispiratori della grande riforma religiosa avviata dal re Ezechia (715-687 a.C) che mise al bando le usanze idolatre e animiste che gli ebrei avevano adottato imitando i popoli vicini. Isaia si scagliò così contro i sacrifici umani (prevalentemente di bambini o ragazzi), i simboli sessuali, gli idoli di ogni forma e materiale. Altro bersaglio della riforma, e delle invettive di Isaia, furono le forme cultuali puramente esteriori, ridotte quasi a pratiche magiche. In particolare, condannò senza mezzi termini il digiuno, le elemosine, le ricche offerte, quando non sono seguite da una condotta di vita moralmente corretta, dal rispetto verso il prossimo, dal soccorso alla vedova e all'orfano, dall'onestà nell'esercizio di cariche pubbliche.

Questo brano riporta la celebre visione che ebbe Isaia. Nel tempio di Gerusalemme egli contempla il "Signore seduto su un trono alto ed elevato". Fu un incontro inatteso e improvviso, che segnerà tutta la sua vita e la sua predicazione. Dio appare a Isaia come il Re in tutta la sua maestà, attorniato dai "serafini" (“angeli di fuoco, splendenti e ardenti"), che costituiscono la sua corte. Essi, a cori alterni, proclamano senza sosta: "Santo, Santo, Santo è il Signore degli eserciti". Il loro canto esprime, in un giubilo senza fine, la realtà specifica di Dio: Colui che è "Santo" in modo esclusivo e intensissimo "Signore degli eserciti", cioè di tutte le potenze celesti e terrestri, ossia supremo sovrano dell'universo. Nel contatto col Dio "santo" Isaia avverte, con indescrivibile angoscia, la propria indegnità, la propria condizione di peccatore, contaminato dal proprio popolo in mezzo al quale vive. Ma Dio interviene con la Sua misericordia e, attraverso il gesto del serafino, lo purifica da ogni colpa e impurità. Lo purifica interiormente e totalmente, anche se il testo sottolinea le "labbra" del profeta, perché la sua missione è quella di parlare in nome di Dio. Quando Dio si consulta con la sua corte su un volontario a cui affidare la missione, Isaia si fa avanti e offre la sua pronta e incondizionata disponibilità: "Eccomi, manda me!". La fede, che Isaia manifesta e che non si stancherà di esigere dal suo popolo, è appunto la fede nel "Dio santo": Colui che è il "tutt'altro" e inaccessibile, ma che per amore si è legato al proprio popolo: "Il Santo di Israele", secondo l'espressione originale coniata da Isaia.

Salmo 137/138 Cantiamo al Signore, grande è la sua gloria

Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro verso il tuo tempio santo.

Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.

Ti renderanno grazie, Signore, tutti i re della terra,
quando ascolteranno le parole della tua bocca.
Canteranno le vie del Signore:
grande è la gloria del Signore

La tua destra mi salva.
Il Signore farà tutto per me.
Signore, il tuo amore è per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani.

Il salmista ringrazia Dio per avere ascoltato la sua preghiera e avergli usato misericordia. La tradizione parla del re Davide, ma più probabilmente si tratta di Ezechia dopo la clamorosa liberazione di Gerusalemme dall'assedio degli Assiri (2Re 19,35): “Hai reso la tua promessa più grande del tuo nome”.

Egli vuole cantare la sua lode al cospetto di Dio, rifiutando ogni adesione agli idoli: "Non agli dèi, ma a te voglio cantare".
Dio ha risposto alla sua supplica rendendolo più forte di fronte ai sui nemici: “Hai accresciuto in me la forza”.
Il salmista professa la sua fede nel futuro messianico che vedrà “tutti i re della terra” lodare il Signore. Sarà quando “ascolteranno le parole della tua bocca”, dove per “bocca” si deve intendere il futuro Messia.

I re, i popoli, celebreranno le vie del Signore annunciate dal Messia.
Il salmista ha grande fiducia in Dio, affinché la sua missione di re abbia successo: "Il Signore farà tutto per me". Il salmista termina invocando: “Non abbandonare l'opera delle tue mani”, cioè la dinastia di Davide.
Noi crediamo che giungerà il tempo della “civiltà dell'amore”, quando i popoli e i potenti che li governano, si apriranno a Cristo. Ogni cristiano deve adoperarsi per questo tempo con la forza (“hai accresciuto in me la forza”) che sgorga dalla partecipazione Eucaristica.
La nostra battaglia non è contro nemici fatti di carne e sangue, come ci dice san Paolo (Ef 6,12), ma “contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male”, cioè contro i demoni.

Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di P.Paolo Berti

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Vi proclamo, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano!
[ A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.
In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. ]
Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. [ Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto. ] 1Cor15,1-11

Nell’ultimo capitolo della 1^lettera ai Corinzi, Paolo affronta il problema del destino finale riservato a coloro che hanno abbracciato la fede in Cristo. Precedentemente egli aveva trattato situazioni specifiche riguardanti la vita personale o comunitaria. Ora invece va al cuore stesso del «vangelo», mostrando come in esso sia contenuta una salvezza che va oltre i limiti della vita fisica dell’uomo.
Il capitolo si divide in tre parti. Nella prima parte Paolo espone il contenuto essenziale del suo vangelo, che consiste nella morte e nella risurrezione di Cristo. Alla luce di questo dato di fede egli tratta poi, nella seconda parte, il tema della risurrezione di coloro che hanno creduto in lui (vv. 12-34). Nella terza parte spiega le modalità con cui avrà luogo la risurrezione (vv. 35-53). Conclude il capitolo un inno alla vittoria sulla morte (vv. 54-58).

In questo brano viene riportata la parte riguardante la risurrezione di Cristo. Paolo sottolinea il carattere tradizionale e quindi immutabile di ciò che ha annunziato a Corinto , riafferma poi la morte e la risurrezione di Cristo : “Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici”e infine dà un elenco delle apparizioni del Risorto apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Paolo ricorda per ultimo l’apparizione di cui è stato destinatario lui stesso e porta una sua considerazione personale: «Io infatti sono l’infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la chiesa di Dio. Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me»

In questi ultimi versetti si fondono umiltà e fierezza: alla sua condizione di persecutore, che lo pone all’ultimo posto nella scala degli apostoli, fa riscontro la grazia di Dio, alla quale Paolo unicamente attribuisce non solo il suo apostolato, ma anche la sua instancabile attività, in forza della quale non si sente inferiore a nessun degli altri apostoli.

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.

Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

Lc 5,1-11

Questo brano del Vangelo di Luca ci presenta la chiamata dei primi discepoli. Gesù si trova sulle rive del lago di Gennesaret, oltre a Lui c'è la folla e alcuni pescatori. Mentre la folla manifesta la volontà di ascoltare la Parola, i pescatori se ne stanno in disparte, distanti. Di fronte a questo scenario, Gesù dopo aver chiesto a Simone di salire sulla barca, lo prega poi di distaccarsi da terra per poter parlare meglio alla folla. Dopo aver terminato di parlare dice a Simone di prendere il largo e di calare di nuovo le reti per la pesca. Simone, esperto pescatore, sa che se non hanno pescato nulla durante la notte, tanto meno lo potrà fare ora di giorno, ma sente che può avere fiducia in quel giovane Rabbi, per cui risponde che sulla sua parola getterà di nuovo le reti. Il risultato fu che le reti quasi si rompevano... le barche quasi affondavano..

Simone comprende che ha di fronte non un semplice uomo, per cui intimorito , si getta alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me perché sono solo un peccatore!». Simone dà a Gesù il titolo di “Signore” (Kyrie), per lui Gesù non è solo il Maestro, che ammaestra le folle, ma è il Signore e per Luca è il primo che lo riconosce Signore. Gesù guardando Pietro così prostrato ha una reazione bellissima, non risponde: «Non è vero, non sei peccatore, non più degli altri», Gesù non giudica, non minimizza, neppure assolve. Pronuncia queste parole: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». In quel preciso momento per Simone termina un modo di vivere e ne comincia un altro. Si delinea per lui un futuro, che si protrarrà nel tempo.
Il racconto termina con questa annotazione: E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono. Nella prima parte della frase il tono ha un qualcosa di malinconico, come quando si lascia un lavoro, una professione, qualcosa di sicuro come le loro barche, ma per loro si apre una strada nuova un cammino irreversibile.

Il miracolo del lago di Gennesaret non consiste nelle barche riempite di pesci, neanche nelle barche abbandonate, il miracolo grande è Gesù che non si lascia impressionare dai difetti di quei semplici pescatori, ma li sceglie proprio perchè sono gente semplice, anche limitata, e li trasforma in discepoli per affidare a loro il Suo Vangelo

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Pietro non poteva ancora immaginare che un giorno sarebbe arrivato a Roma e sarebbe stato qui "pescatore di uomini" per il Signore. Egli accetta questa chiamata sorprendente, di lasciarsi coinvolgere in questa grande avventura: è generoso, si riconosce limitato, ma crede in colui che lo chiama e insegue il sogno del suo cuore. Dice di sì - un sì coraggioso e generoso -, e diventa discepolo di Gesù"
(Benedetto XVI, Udienza Generale, 17 Maggio 2006).

Sabato, 06 Febbraio 2016 14:53

V Domenica Tempo Ordinario - 7 Febbraio

 

1. 10 Febbraio è mercoledì delle ceneri. Questo giorno segna, nella tradizione cristiana, l'inizio della Quaresima, il tempo di preparazione alla Pasqua. E il giorno dell'astinenza e digiuno. Le Messe saranno celebrate come nel giorno feriale.

2. Da venerdì prossimo comincia la Via Crucis alle ore 17.40.

3. Domenica 14 Febbraio alle ore 9,30 avrà luogo incontro biblico tenuto da Suor Rosangela sul tema: - Molteplici volti della Misericordia. Vi invitiamo di portare la Bibbia.

4. Un piccolo chiarimento per la visita pastorale nelle case o benedizione pasquale,.
Come abbiamo già segnalato ci saranno solo tre sacerdoti a svolgere questa benedizione. Per noi, vostri sacerdoti è l'unica occasione per incontrarvi nelle vostre case, per scambiare qualche parola, per pregare insieme, per chiedere la benedizione di Dio sulle vostre famiglie. Vogliamo che questo evento diventi una visita pastorale è non soltanto una semplice benedizione. Per questo è necessario, che al passaggio del sacerdote siate presenti nella vostra casa. Noi sacerdoti non andiamo per fare un servizio (versare l'acqua benedetta sulle pareti), ma siamo vostri fratelli nella fede. E vogliamo, che questo sia un atto di fede tra le persone.

Vogliamo riservare un tempo per ogni famiglia, per ogni persona. Per questo bisogna prevedere il giorno, e l'ora. Come possiamo sapere chi vuole incontrarci? Una settimana prima. metteremo un cartello con avviso a l'entrata dei palazzi Aspettiamo, che ci comunichiate per tempo il vostro indirizzo, telefono, giorno scelto fra questi indicati, e l'ora desiderata. Ci si può prenotare recandosi all'ufficio parrocchiale, oppure telefonando al ufficio nel orario dalle 10 -12 e dalle 16,30 -18, fuorché sabato e domenica. Coloro, che sanno utilizzare Internet possono prenotarsi utilizzando il sito Internet della parrocchia. Il formulario sul nostro sito, permette di fare la prenotazione entro lo spazio di due settimane.

Vi preghiamo di trasmettere questo messaggio alle persone ammalate, anziane, e anche agli assenti.

Lunedì, 01 Febbraio 2016 11:20

IV Domenica – 31 gennaio 2016

1. Sabato prossimo, il 6 Febbraio, alle ore 11, invitiamo tutte le giovani coppie all'incontro mensile post battesimale.
2. Il 2 Febbraio si chiude l'anno della vita consacrata. Alla Messa di mattina alle 7,30 invitiamo tutti religiosi e religiose.


Nelle letture liturgiche di questa domenica Geremia, Paolo e Luca ci portano ad approfondire un discorso sul dono della profezia che si trasforma in un impegno di carità.
Nella prima lettura Geremia ci parla di quando per la prima volta gli fu rivolta la parola del Signore, che lo invia, nonostante la sua giovane età, a predicare la conversione e la penitenza. La sua fu una vocazione profetica tutta intessuta di ripulse, di solitudine, di persecuzioni.

Nella seconda lettura, nella sua lettera ai Corinzi , Paolo ci offre la pagina più celebre di tutte le sue lettere: è il celebre inno alla carità, all’amore. L’amore-agape è il cuore del cristianesimo, il più grande dei doni spirituali, il solo che potremo portare con noi quando arriveremo davanti a Dio. Dio che è Amore non può che volere e cercare l'amore.

Il brano del Vangelo di Luca conclude l’episodio della sinagoga di Nazareth. Gesù, dapprima è accolto dai suoi compaesani, poi viene rigettato. E’ Luca a riferire l’affermazione di Gesù, divenuta paradigmatica “Nessuno profeta è ben accetto nella sua patria” .La reazione degli abitanti di Nazareth lascia sgomenti perchè non solo non si opposero a Gesù, ma presero persino la decisione di ucciderlo gettandolo dalla rupe sulla quale era costruita la loro città. Ma nessun uomo ha potere sugli inviati del Signore, finché non giunge la loro ora. L'ora di Gesù non era ancora venuta e Lui passando in mezzo a loro si mise in cammino verso un altro villaggio. Il contrasto, l'opposizione, l'ostilità, la volontà di toglierlo di mezzo sempre si abbatterà sui veri profeti. Essi però non devono temere l'uomo. Devono solo perseverare nella loro missione.

Dal libro del profeta Geremìa
Nei giorni del re Giosìa,
mi fu rivolta questa parola del Signore:
«Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto,
prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato;
ti ho stabilito profeta delle nazioni.
Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi,
àlzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò;
non spaventarti di fronte a loro,
altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro.
Ed ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata,
una colonna di ferro e un muro di bronzo
contro tutto il paese,
contro i re di Giuda e i suoi capi,
contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese.
Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno,
perché io sono con te per salvarti».
Ger 1, 4-5.17-19

Nel libro del profeta Geremia troviamo raccontata in modo autobiografico la sua vita. Sappiamo così che la sua chiamata avvenne intorno al 626 a.C. quando ancora era un ragazzo e desiderava sposarsi con la sua Giuditta, ma Dio stesso glielo proibisce, ed è per questo che è stato l’unico profeta celibe dell’A.T. a differenza di tutti gli altri. Aveva un carattere mite e, all'inizio della sua missione, in cui era giovane inesperto, dovette affrontare il momento più difficile e decisivo della storia della nazione giudaica, quello che conduce all'esilio in Babilonia (587 a.C.). Egli tenta di tutto: scuote il torpore del popolo con una predicazione che chiede una radicale conversione; appoggia la riforma nazionalista e religiosa del re Giosia (622 a.C.); cerca di convincere tutti alla sottomissione al dominio di Babilonia dopo la morte del re (609 a.C.). Viene però accusato di pessimismo religioso e di disfattismo politico.

Questo brano riporta dai primi versetti la vocazione del profeta: Geremia è di fronte a Dio come creatura e i versetti «Prima di formarti nel grembo materno…” esprimono il rapporto di dipendenza totale dell’uomo dal suo creatore e Dio appare come Colui che liberamente elegge (perchè conosce nel profondo ogni sua creatura) e destina ognuno ad un compito ben preciso: Geremia sarà profeta delle nazioni. Dio però non lo manda allo sbaraglio, se chiede coraggio” Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi, àlzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò…” è perchè dà il sostegno e la certezza di resistere. “Ed ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese.” e assicura di essere sempre vicino: Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti».

Solo se il profeta indietreggerà, Dio lo esporrà all’umiliazione di una paura ancora più grande : non spaventarti di fronte a loro, altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro.” Si può da qui capire come la vita di Geremia non è stata certo facile.
Geremia fu il profeta del dolore e della misericordia, che preannuncia più di ogni altro la figura di Gesù. Egli fu anche l’esempio di una incorruttibile fedeltà alla propria vocazione, qualunque siano le difficoltà

Salmo 70 La mia bocca, Signore, racconterà la tua salvezza.
In te, Signore, mi sono rifugiato,
mai sarò deluso.
Per la tua giustizia, liberami e difendimi,
tendi a me il tuo orecchio e salvami.
Sii tu la mia roccia,
una dimora sempre accessibile;
hai deciso di darmi salvezza:
davvero mia rupe e mia fortezza tu sei!
Mio Dio, liberami dalle mani del malvagio.

La mia bocca racconterà la tua giustizia,
ogni giorno la tua salvezza.
Fin dalla giovinezza, o Dio, mi hai istruito
e oggi ancora proclamo le tue meraviglie.

Il salmista vive in un tempo di gravi contrasti nei quali si trova coinvolto per la sua fedeltà a Dio. Probabilmente si è al tempo immediatamente precedente la presa di Gerusalemme e la deportazione a Babilonia. Le sofferenze di questo giusto avvengono in patria, per mano di suoi connazionali, che sono ormai ribelli a Dio e guardano ai culti idolatrici introdotti nel tempio (Cf. 2Re 21,4). Questo giusto si adopera per una riforma dei costumi che può vedersi nell’esito felice della riforma di Giosia.

Il salmista per rafforzare la sua fiducia in Dio non evoca le grandi opere di Dio verso la nazione, ma guarda alla sua storia. Egli è stato educato alla fede in Dio fin da quando la madre lo teneva stretto sul grembo: “Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno, dal seno di mia madre sei tu il mio sostegno” E Dio lo ha accompagnato, lo ha istruito con la sua grazia, fin dalla giovinezza: “Fin dalla giovinezza, o Dio, mi hai istruito, ”. Il salmista trova motivo alla sua fedeltà proprio alla fedeltà di Dio su di lui …..
Egli, pur anziano e debole, e in pericolo, si dà forza, con l’aiuto di Dio, di annunciare la giustizia di Dio, la sua fedeltà alle promesse fatte, l’immutabilità della sua parola: “La mia bocca racconterà la tua giustizia, ogni giorno la tua salvezza, che io non so misurare”; “Venuta la vecchiaia e i capelli bianchi, o Dio, non abbandonarmi, fino a che io annunci la tua potenza, a tutte le generazioni le tue imprese".

La giustizia di Dio, dice il salmista, “è alta come il cielo”; cioè non è come quella umana, cedevole, imperfetta, ed esposta ai cedimenti.
Le angosce che Dio ha permesso si abbattessero su di lui sono state veramente grandi poiché dice: “Molte angosce e sventure mi hai fatto vedere: tu mi darai ancora vita, mi farai risalire dagli abissi della terra”. Dagli “abissi della terra”, per dire che la sua situazione è di un finito, di un morto, di cui nessuno più si preoccupa.
Ma la fede in Dio sostiene il salmista e pieno di ferma speranza dice: “Allora io ti renderò grazie al suono dell’arpa, per la tua fedeltà, o mio Dio; a te canterò sulla cetra, o Santo d’Israele”.

Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di P.Paolo Berti

Dalla lettera di S.Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, desiderate intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime.
Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.
E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla.
E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo, per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe.
La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà.
Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino.
Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia.
Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto.
Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità.
Ma la più grande di tutte è la carità!
1 Cor 12,31-13,13

Questo brano è il celebre “inno all’amore” di S.Paolo, che è incastonato come una perla all’interno di una lettera dal carattere pastorale che l’apostolo indirizza alla tormentata comunità cristiana di Corinto.
Nei primi versetti viene dipinto l’uomo colmo di tutte le doti umane e spirituali, ma vuoto d’amore. Il dono ambito delle lingue, simbolo di cultura, diventa senza l’amore solo un bronzo che rimbomba e disturba.
In continuo crescendo Paolo poi confronta con la carità i tre doni divini prestigiosi: la profezia, la scienza e la fede, anzi la “pienezza della fede”, quella che dovrebbe essere capace di trasportare le montagne, come aveva detto Gesù (Mc 11,23) .
Ebbene anche questi tre grandi doni, se privi dell’amore, sono considerati “nulla”. Paolo asserisce anche che se si desse tutti i propri beni, anzi se si offrisse persino la propria vita in un atto eroico, se tutte queste azioni non sono sostenute dall’amore, sono solo gesti di autoglorificazione.
La seconda parte è straordinaria, fa pensare alla corolla di un fiore i cui petali sono costituiti dalle varie virtù che nascono dall’amore. Queste virtù sono: pazienza, bontà, assenza di invidia e di orgoglio, disinteresse, rispetto, benignità, costanza. Se l’amore si spegne, anche le altre virtù umane e religiose appassiscono. Ed è facile che al suo posto subentri l’idolo del denaro , dell’egoismo o dell’orgoglio.
E’ importante per il credente che la lampada dell’amore-agape non si spenga.
E’ vitale che non si spenga nel matrimonio, il sacramento dell’amore umano: essa sola permette all’eros di non essere cieco ed egoista, rende il piacere sereno e puro, fa fiorire il desiderio in felicità e armonia, cancella l’abitudine e la noia.
E’ fondamentale che questa lampada non si spenga anche per la persona single, perchè sappia vivere la sua esistenza, il suo rapporto con gli altri come un dono.
E’ quanto mai importante che questa lampada rimanga accesa per il credente, perchè la sua fede non sia una fredda religiosità di facciata, ma un gioioso atto di donazione a Dio e ai fratelli.
Ed essendo la fiamma dell’amore una scintilla di Dio, che è l’Amore supremo, essa “non avrà mai fine” perchè ci condurrà all’eternità divina.
L’Amore dunque rimarrà sempre … san Giovanni della Croce diceva: “alla fine della vita saremo giudicati sull’amore”, Conosciamo perciò il tema dell’esame, non lasciamoci cogliere impreparati.

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
Lc 4, 21-30

Il brano del vangelo di oggi si apre con il versetto che concludeva il brano di domenica scorsa, in cui Gesù, nella sinagoga di Nazareth, invece di commentare il testo profetico ne annuncia il compimento dicendo : «oggi si è compiuta questa scrittura che voi avete ascoltato».
Egli dunque si presenta come colui che dà compimento alla parola scritta del profeta Isaia (61,1-2) . L'inizio effettivo del ministero di Gesù, e quindi della salvezza, per Luca è segnato dall'inaugurarsi del tempo di grazia annunciato da Isaia. Anche Giovanni Battista aveva iniziato la sua predicazione rifacendosi ad un testo di Isaia (40,3-5) e Luca presenta collegati ancora una volta il messia e il suo precursore. A differenza del Vangelo di Marco, la reazione da parte degli abitanti di Nazareth è abbastanza positiva, infatti leggiamo “ Tutti gli davano testimonianza…”. A Nazareth Gesù era cresciuto in "sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini" (Lc 2,52), ma nulla era trapelato del grande mistero divino della sua origine. Proprio per questa conoscenza superficiale gli abitanti di Nazareth sentendo Gesù predicare nella loro sinagoga si meravigliano delle "parole di grazia che uscivano dalla sua bocca“, ma alla meraviglia si mescola l‘incredulità: "Non è costui il figlio di Giuseppe?“. Essi conoscono Giuseppe, Maria e il loro parentado, perciò per credere esigono un segno perché, come era scritto nella Legge di Mosè (V. Dt 13,2), solo un miracolo poteva attestare le presunte qualità messianiche di Gesù. A queste aspettative, Gesù risponde citando un proverbio ebraico : "Medico, cura te stesso". La risposta di Gesù va però verso altre direzioni perchè Dio non opera miracoli per compiacere le curiosità degli uomini. Poi Gesù aggiunge: In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria, e ricorda i il comportamento dei profeti Elia ed Eliseo che avevano compiuto i loro miracoli a favore dei pagani. All'udire questo tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno, le parole di Gesù suonano come un'accusa intollerabile. I presenti nella sinagoga avevano compreso bene che la missione di Gesù superava i limiti d'Israele ed era destinata a tutte le nazioni, per cui l'azione precipita e Luca lo sottolinea : si alzarono... lo cacciarono fuori della città... lo condussero fin sul ciglio del monte... per gettarlo giù dal precipizio. Ma a questo tentativo di eliminarlo, Luca dice: Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino. Gesù non compie un miracolo, ma vuol far capire ai suoi oppositori che Lui andrà avanti per la Sua strada, nessuno potrà impedire la realizzazione del Suo progetto.

*****

… viene spontaneo chiedersi: come mai Gesù ha voluto provocare questa rottura? All’inizio la gente era ammirata di lui, e forse avrebbe potuto ottenere un certo consenso… Ma proprio questo è il punto: Gesù non è venuto per cercare il consenso degli uomini, ma – come dirà alla fine a Pilato – per «dare testimonianza alla verità» (Gv 18,37). Il vero profeta non obbedisce ad altri che a Dio e si mette al servizio della verità, pronto a pagare di persona.
E’ vero che Gesù è il profeta dell’amore, ma l’amore ha la sua verità. Anzi, amore e verità sono due nomi della stessa realtà, due nomi di Dio. Nella liturgia odierna risuonano anche queste parole di san Paolo: «La carità…non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità» (1 Cor 13,4-6). Credere in Dio significa rinunciare ai propri pregiudizi e accogliere il volto concreto in cui Lui si è rivelato: l’uomo Gesù di Nazaret. E questa via conduce anche a riconoscerlo e a servirlo negli altri”
stralcio del discorso di Benedetto XVI all’Angelus del 3 febbraio 2013

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

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