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Henryk

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Venerdì, 09 Giugno 2017 07:31

Dar da mangiare agli affamati

 

Premessa
Papa Francesco, nella Bolla “Misericordia vultus” che indice il Giubileo della Misericordia, così scrive: “È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina. La predicazione di Gesù ci presenta queste opere di misericordia perché possiamo capire se viviamo o no come suoi discepoli... Non dimentichiamo le parole di San Giovanni della Croce: “Alla fi ne della vita, saremo giudicati sull’amore” (Mv 15)”.
Con i nostri limiti ed in spirito di obbedienza iniziamo a riflettere sulle opere di misericordia. Esse sono comportamenti pratici che concretizzano l’amore a Dio attuandolo nell’amore al prossimo. Si possono definire i comandamenti della carità, dell’agire, dell’operare secondo la Misericordia di Dio: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36).
È stato San Tommaso d’Aquino a codificare le opere in 7 corporali, che riguardano le necessità materiali e 7 spirituali che si basano sul rapporto e sulla disponibilità che si deve instaurare con il prossimo.

DAR DA MANGIARE AGLI AFFAMATI
Gli ultimi rilevamenti della FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) dicono che circa 20.000 persone ogni giorno muoiono di fame, che ogni anno 3,1 milioni di bambini muoiono entro i primi 5 anni di vita per denutrizione e che 795 milioni di persone non hanno abbastanza cibo. Sono cifre spaventose che ci fanno rabbrividire ma lo diventano maggiormente quando al posto dell’arido numero mettiamo il nome ed il volto di un essere umano creato ed amato da Dio. Ognuna di queste persone ci grida all’unisono con Cristo: “ho fame... aiutami!”.
Essere senza cibo vuol dire avere raggiunto il massimo della povertà ed avvicinarsi alla morte. Cristo non la vuole ed infatti ci ha insegnato a chiedere al Padre “il pane quotidiano” (Mt 6, 11) e, com’è successo per la manna nel deserto, non una provvista ma solo il necessario giornaliero in modo che ce ne sia per tutti. Diciamo infatti il “nostro pane” e non il “mio pane”. Chi non mangia muore e chi nega il cibo diventa corresponsabile di quella morte, complice di quell’omicidio. Chi sfama aiuta la vita. Dio nell’ultimo giorno farà giustizia ed ai “duri di cuore” dirà “lontano da me perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare” (Mt 25,42), mentre ai poveri dirà “Beati voi, che avete fame perché sarete saziati” (Lc 6,21).

CONDIVIDERE
Sono noti a tutti i motivi per cui nel mondo si muore di fame. Dio vuole che tutte le creature vivano in abbondanza e per questo ha dato loro la terra che è per tutti ed i cui beni sono di tutti. Purtroppo, da sempre, gli uomini non hanno rispettato queste regole ed il loro egoismo e la loro avidità li hanno portati ad odiare, combattere ed uccidere.
Viviamo oggi in una scandalosa e disumana obbedienza alle leggi del mercato che condiziona l’economia mondiale fino a ridurre intere popolazioni alla miseria. Basti pensare che il 20% delle persone vive consumando l’80% delle risorse di tutto il mondo.
Gesù ha compassione di chi ha fame e compie un miracolo (Mc 6,37-44). Se quel ragazzo non avesse condiviso i suoi “cinque pani d’orzo e due pesci” (Gv 5,9) Gesù non avrebbe potuto sfamare “circa cinquemila uomini”. Dio vuole che noi prima condividiamo per poi Lui moltiplicare.
Gesù stesso diventa condivisione perché si fa pane per noi “io sono il pane di vita, chi viene a me non avrà più fame” (Gv 6,35). Nell’ultima cena Gesù prende il pane divenuto il suo corpo, lo spezza e lo distribuisce. Dà se stesso come cibo di vita eterna: la massima condivisione pensabile (Lc 22,19). La celebrazione Eucaristica che, per definizione, è la frazione del pane deve, di conseguenza, essere anche la condivisione dei beni. Chi durante la Messa si nutre del Corpo di Cristo non può lasciare morire di fame il povero che mendica fuori dalla porta.
L’apostolo Giacomo ricorda “Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede e poi non ha le opere?” (Gc 2,14) e Papa Francesco aggiunge “Nessuno è così povero da non poter donare qualche cosa ad un altro”.
È sorprendente trovare, per ogni problema che affligge l’umanità, riscontro nel Messaggio della Vergine de La Salette. A proposito della fame Maria dice espressamente “se (gli uomini) si convertono le pietre si trasformeranno in pane e le patate nasceranno da sole nei campi”. Nessun consiglio è più valido di questo: la conversione può operare miracoli!
Purtroppo il problema della fame nel mondo, nonostante tanti sforzi per debellarlo, soprattutto da parte della Chiesa, rimane e rimarrà finché l’umanità non uscirà dal suo egoismo. Usciamo per primi noi dal nostro egoismo trovando ciascuno il proprio modo per aiutare gli altri. Non tutti possiamo andare a servire alla mensa della Caritas ma tutti possiamo donare un chilo di pasta, un litro d’olio, un pacco di biscotti... Evitiamo di sprecare il cibo, usiamolo con parsimonia e rispetto. Dimostriamo pubblicamente, con un segno di Croce, la nostra riconoscenza a Dio tutte le volte che ci sediamo a tavola ed in ogni ambiente. Forse saremo osservati... ma forse qualcuno ci imiterà.
Laici Salettini

Le letture della liturgia di questa 1^ domenica dopo Pentecoste, ci fanno intravedere il volto di Dio invisibile, misericordioso e pietoso, che si occupa di ognuno, che è Padre, Figlio e Spirito Santo

Nella prima lettura, tratta dal libro dell’Esodo, troviamo l’antico credo che il Signore stesso insegna a Mosè nella cornice del Sinai: il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà». Il primato di Dio non è quello della giustizia che punisce, ma quello dell’amore che perdona.

Nella seconda lettura, S.Paolo nella sua seconda lettera agli Efesini, afferma che i beni della salvezza, amore e comunione in nome della Santissima Trinità vengono concessi ad ogni fedele.

Nel Vangelo, Giovanni ci presenta il dialogo notturno tra Gesù e Nicodemo, simbolo dell’uomo che cerca Dio con cuore sincero. A lui Gesù dice: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna...”
C’è un dono del Padre e un dono del Figlio, ma entrambi hanno lo scopo di liberare l’uomo dal male. E’ in questa luce che la divinità penetra nella vicenda umana, in quella di ogni uomo, offrendo la grazia del Cristo, l’amore del Padre e la comunione dello Spirito Santo.

Dal libro dell’Esodo
In quei giorni, Mosè si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano.
Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà».
Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervìce, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità».
Es 34,4b-6, 8-9

L'Esodo è il secondo libro della Bibbia e della Torah ebraica. È stato scritto in ebraico e, secondo l'ipotesi di molti studiosi, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte. È composto da 40 capitoli; nei primi 14 descrive il soggiorno degli Ebrei in Egitto, la loro schiavitù e la miracolosa liberazione tramite Mosè, mentre nei restanti descrive il soggiorno degli Ebrei nel deserto del Sinai. Il periodo descritto si colloca intorno al 1300-1200 a.C.
Il libro dell'Esodo è suddiviso in tre grandi sezioni, corrispondenti ai tre momenti della narrazione:
La prima, (capitoli 11,1-15,21), comprende il racconto dell'oppressione degli Ebrei in Egitto, la nascita di Mosè, la fuga di Mosè a Madian e la scelta divina, il suo ritorno in Egitto, le dieci piaghe e l'uscita dal paese.
La seconda sezione (15,22-18,27) narra del viaggio lungo la costa del Mar Rosso e nel deserto del Sinai.
La terza (19,1-40,38) riguarda l'incontro tra Dio e il popolo eletto, mediante le tappe fondamentali del decalogo e del codice dell'alleanza, seguito dall'episodio del vitello d'oro e dalla costruzione del Tabernacolo
Nel brano che abbiamo, tratto dalla terza sezione, vediamo Mosè, che volendo ricomporre l’alleanza tra il popolo e Dio, sale sulla montagna con altre due tavole di pietra perchè Dio gli ridoni la legge.
Il Signore, che si rende presente, passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà».
DIO è “misericordioso”, cioè è dotato di quella dolcezza e tenerezza di cui è simbolo il seno materno (rehem); egli è “disposto a far grazia” , cioè a donare gratuitamente la sua benevolenza; è “lento all’ira” (paziente), in quanto non si adira facilmente contro i suoi eletti, anche quando essi vengono meno ai loro doveri verso di lui; Egli è ricco di “fedeltà”, ossia è fermo nella sua fedeltà verso coloro che ha scelto e la conserva per mille generazioni, cioè senza limiti di tempo.

E’ proprio facendo appello alla Misericordia di Dio, che Mosè Lo prega di perdonare il popolo di Israele, gente di “dura cervice”, e di continuare a camminare ed abitare con il Suo popolo e fare di loro la Sua eredità. Ciò che appare in primo piano è la bontà e misericordia, di Dio che lo rende simile a una madre che tratta con tenerezza i suoi figli . Questo aspetto è trattato anche da Osea (11,1-4) che parla dell’amore di Dio per il suo popolo con note di affetto durevole, di una passione inquieta e di una tenerezza profonda.
La ricerca di Dio viene dunque posta sotto l’insegna dell’amore. Solo così viene preservata quella caratteristica specifica dell’alleanza israelitica che è la libertà. Il popolo uscito dall’Egitto non deve diventare nuovamente schiavo, né dei potenti di questo mondo e dei loro idoli, e tanto meno di un Dio rappresentato come un sovrano che impone loro con durezza la sua volontà.

Salmo Dn 3

Benedetto sei tu, Signore, Dio dei padri nostri.
A te la lode e la gloria nei secoli.
Benedetto il tuo nome glorioso e santo.
A te la lode e la gloria nei secoli.

Benedetto sei tu nel tuo tempio santo, glorioso.
A te la lode e la gloria nei secoli.
Benedetto sei tu sul trono del tuo regno.
A te la lode e la gloria nei secoli.

Benedetto sei tu che penetri con lo sguardo
gli abissi e siedi sui cherubini.
A te la lode e la gloria nei secoli.
Benedetto sei tu nel firmamento del cielo.
A te la lode e la gloria nei secoli

Questo salmo è "Il Cantico, tradizionalmente chiamato "dei tre giovani". E’ simile ad una fiaccola che rischiara l'oscurità del tempo dell'oppressione e della persecuzione, un tempo che spesso si è ripetuto nella storia di Israele e nella stessa storia del cristianesimo".

Con queste parole Giovanni Paolo II ha commentato il Cantico Dn 3, 52-57 "Ogni creatura lodi il Signore" - delle Lodi di domenica della 4ª settimana - durante l'udienza generale di mercoledì 19 febbraio 2003, nell'Aula Paolo VI. Dopo la proclamazione dei versetti 3, 52-57, il Papa ha svolto la seguente catechesi:

1. "Quei tre giovani, a una sola voce, si misero a lodare, a glorificare, a benedire Dio nella fornace" (Dn 3, 51). Questa frase introduce al celebre Cantico che ora abbiamo ascoltato in un suo frammento fondamentale. Esso si trova all'interno del Libro di Daniele, nella parte giunta a noi solo in lingua greca, ed è intonato da testimoni coraggiosi della fede, che non hanno voluto piegarsi all'adorazione della statua del re e hanno preferito affrontare una morte tragica, il martirio nella fornace ardente.

Sono tre giovani ebrei, collocati dall'autore sacro nel contesto storico del regno di Nabucodonosor, il tremendo sovrano babilonese che annientò la città santa di Gerusalemme nel 586 a.C. e deportò gli Israeliti "lungo i fiumi di Babilonia" (cfr Sal 136). Pur nel pericolo estremo, quando le fiamme ormai lambiscono i loro corpi, essi trovano la forza di "lodare, glorificare e benedire Dio", certi che il Signore del cosmo e della storia non li abbandonerà alla morte e al nulla.

2. L'autore biblico, che scriveva qualche secolo dopo, evoca questo eroico evento per stimolare i suoi contemporanei a tenere alto il vessillo della fede durante le persecuzioni dei re siro-ellenistici del secondo secolo a.C. Proprio allora si registra la coraggiosa reazione dei Maccabei, combattenti per la libertà della fede e della tradizione ebraica. Il Cantico, tradizionalmente chiamato "dei tre giovani", è simile ad una fiaccola che rischiara l'oscurità del tempo dell'oppressione e della persecuzione, un tempo che spesso si è ripetuto nella storia di Israele e nella stessa storia del cristianesimo. E noi sappiamo che il persecutore non assume sempre il volto violento e macabro dell'oppressore, ma spesso si compiace d'isolare il giusto, con la beffa e l'ironia, chiedendogli con sarcasmo: "Dov'è il tuo Dio?" (Sal 41, 4.11).

3. Nella benedizione che i tre giovani fanno salire dal crogiolo della loro prova al Signore Onnipotente sono coinvolte tutte le creature. Essi intessono una sorta di arazzo multicolore dove brillano gli astri, scorrono le stagioni, si muovono gli animali, si affacciano gli angeli e soprattutto cantano i "servi del Signore", i "pii" e gli "umili di cuore" (cfr Dn 3, 85.87).
Il brano che è stato prima proclamato precede questa magnifica evocazione di tutte le creature. Costituisce la prima parte del Cantico, la quale evoca invece la presenza gloriosa del Signore, trascendente eppure vicina. Sì, perché Dio è nei cieli, dove "penetra con lo sguardo gli abissi" (cfr 3, 55), ma è anche "nel tempio santo glorioso" di Sion (cfr 3, 53). Egli è assiso sul "trono del suo regno" eterno e infinito (cfr 3, 54), ma è anche colui che "siede sui cherubini" (cfr 3, 55), nell'arca dell'alleanza collocata nel Santo dei Santi del tempio di Gerusalemme.

4. Un Dio al di sopra di noi, capace di salvarci con la sua potenza; ma anche un Dio vicino al suo popolo, in mezzo al quale Egli ha voluto abitare nel suo "tempio santo glorioso", manifestando così il suo amore. Un amore che Egli rivelerà in pienezza nel far "abitare in mezzo a noi" il Figlio suo Gesù Cristo "pieno di grazia e di verità" (cfr Gv 1, 14). Egli rivelerà in pienezza il suo amore nel mandare in mezzo a noi il Figlio a condividere in tutto, fuorché nel peccato, la nostra condizione segnata da prove, oppressioni, solitudine e morte.
La lode dei tre giovani al Dio Salvatore continua in modo vario nella Chiesa. Per esempio, san Clemente Romano, al termine della sua Lettera ai Corinzi, inserisce una lunga preghiera di lode e di fiducia, tutta intessuta di reminiscenze bibliche e forse riecheggiante l'antica liturgia romana. È una preghiera di gratitudine al Signore che, nonostante l'apparente trionfo del male, guida a buon fine la storia.

5. Eccone un passaggio:
"Tu apristi gli occhi del nostro cuore (cfr Ef 1, 18) perché conoscessimo te il solo (cfr Gv 17, 3) altissimo nell'altissimo dei cieli il Santo che riposi tra i santi che umìli la violenza dei superbi (cfr Is 13, 11) che sciogli i disegni dei popoli (cfr Sal 32, 10) che esalti gli umili e abbassi i superbi (cfr Gb 5, 11). Tu che arricchisci e impoverisci che uccidi e dai la vita (cfr Dt 32, 39) il solo benefattore degli spiriti e Dio di ogni carne che scruti gli abissi (cfr Dn 3, 55) che osservi le opere umane che soccorri quelli che sono in pericolo e salvi i disperati (cfr Gdt 9, 11) creatore e custode di ogni spirito che moltiplichi i popoli sulla terra e che fra tutti scegliesti quelli che ti amano per mezzo di Gesù Cristo l'amatissimo tuo Figlio mediante il quale ci hai educato, ci hai santificato e ci hai onorato"
(Clemente Romano, Lettera ai Corinzi, 59, 3: I Padri Apostolici, Roma 1976, pp. 88-89).

Dalla seconda lettera di S.Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi. Salutatevi a vicenda con il bacio santo. Tutti i santi vi salutano.
La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi.
2Cor 13,11-13

Paolo scrive la seconda lettera al Corinzi, (si può pensare intorno agli anni 56-57) spinto dai gravi avvenimenti che avevano scosso la comunità di Corinto. Nell’anno 56 Paolo si trovava ad Efeso (At 19) e venne a sapere che alcuni contestatori giudeo-cristiani stavano sollevando la comunità contro di lui. Vi fa una breve visita, ma è ricevuto freddamente, stanco e forse implicato troppo personalmente nel conflitto, non riesce ad aggiustare nulla, anzi la sua visita accresce piuttosto il disordine, si ripromette allora di ritornare in seguito, prendendo tutto il tempo necessario. Mentre aspetta è pubblicamente offeso, probabilmente da uno dei suoi più vicini collaboratori (parla di un offensore e di un offeso (2,5;7,12). Sotto la spinta dell’emozione invia una lettera, che sarà giudicata troppo severa (2,3-4;8-12), in cui esige che sia riparata una tale offesa.

Meno ricca della prima in insegnamenti dottrinali, la seconda lettera ai Corinzi ha però il grande merito di introdurci nella vita interiore dell’Apostolo, nella sua mistica. E’ in questi capitoli che si può entrare nella psicologia e nel carattere appassionato di Paolo e si può affermare che per comprenderlo meglio ci si deve rifare sempre a questa lettera che può essere considerata come il suo diario intimo, le sue “confessioni”. In nessun altro scritto traspare tanto la sua personalità, caratterizzata da un contrasto di forza e di debolezza, di audacia e di riserbo, di impetuosità e di tenerezza. Lo scopriamo organizzatore e missionario, fondatore e pastore, mistico e uomo d’azione, con una coscienza profonda della sua missione apostolica.
Il brano che la liturgia ci presenta riporta in pochi brevi versetti come Paolo conclude questa lettera. E’ importante perchè si possono cogliere due atti della liturgia antica: il bacio liturgico segno di fratellanza, il saluto e l’augurio che i cristiani si davano nel nome della Trinità, nel cui nome ognuno ha ricevuto il battesimo.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo:
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».
Gv 3:,16-18

In questo brano del Vangelo di Giovanni, incontriamo per la prima volta Nicodemo, un dottore della Legge, fariseo e membro del Sinedrio.. Lo troveremo ancora quando interviene in difesa di Gesù allorquando i Farisei lo volevano arrestare (7,45.51) e quando insieme a Giuseppe d’Arimatea contribuisce alla deposizione di Gesù dopo la crocifissione e lo aiuta a deporne il corpo nella tomba (19,39-42)
Nicodemo è simbolo dell’uomo che cerca Dio con cuore sincero, è incuriosito da Gesù, ne è affascinato. Sappiamo che è un uomo retto, un uomo di Legge, ma ha paura, teme il giudizio impietoso dei suoi amici farisei, del Sinedrio, per cui va da Gesù di notte. Gesù lo accoglie ugualmente, e lo invita a riflettere: per cambiare deve avere il coraggio di rinascere dall'alto, deve avere il coraggio di cambiare mentalità.
Cosa avrà provato Nicodemo quando Gesù gli disse:” Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna....”

C’è il verbo del dono che emerge “dare” e sarà ripreso nel Vangelo per descrivere il darsi di Gesù nella morte di croce. C’è quindi, un dono del Padre e un dono del Figlio, ma entrambi hanno come fine la liberazione dell’uomo dal male.
Sicuramente anche Nicodemo, come i discepoli e come noi oggi, ha fatto fatica a percepire l'inaudita novità di un Dio Uno e Trino. Gesù ci rivela il Padre. È l'unico che può farlo veramente; lo leggiamo nel prologo di questo vangelo: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio: è il Figlio che svela il Padre, il Risorto che toglie il velo che ci impedisce di vedere e di percepire la realtà divina di tre Persone la cui relazione d'amore coinvolge tutti noi che formiamo la Chiesa e siamo destinatari della stessa relazione d'amore divina che ci travolge e ci porta ad una prospettiva che ci riempie di speranza gioiosa: la vita eterna!

Karl Rahner (teologo gesuita uno dei maggiori protagonisti del rinnovamento della Chiesa che portò al Concilio Vaticano II) dà un immagine suggestiva per descrivere la presenza segreta ed efficace della Trinità nella storia e nella vita umana, “La nostra esistenza è come un rivolo che serpeggia in un deserto fatto di banalità, di male, di egoismi. C’è il rischio che quella steppa riesca ad essiccarlo. Ma dietro le dune grigie dei nostri giorni, sentiamo l’eco di un mare immenso. Il nostro ruscello, anche se lentamente, è destinato ad approdare nelle onde infinite di Dio. Il Cristo stesso ci estrae dalle secche, ci aiuta ad uscire dal deserto del peccato e ci fa discendere nel grande mare della pace e della luce di Dio.”
********************

Oggi celebriamo la solennità della Santissima Trinità, che presenta alla nostra contemplazione e adorazione la vita divina del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo: una vita di comunione e di amore perfetto, origine e meta di tutto l’universo e di ogni creatura, Dio.

Nella Trinità riconosciamo anche il modello della Chiesa, nella quale siamo chiamati ad amarci come Gesù ci ha amato. È l’amore il segno concreto che manifesta la fede in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. È l’amore il distintivo del cristiano, come ci ha detto Gesù: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). E’ una contraddizione pensare a cristiani che si odiano. E’ una contraddizione! E il diavolo cerca sempre questo: farci odiare, perché lui semina sempre la zizzania dell’odio; lui non conosce l’amore, l’amore è di Dio!

Tutti siamo chiamati a testimoniare ed annunciare il messaggio che «Dio è amore», che Dio non è lontano o insensibile alle nostre vicende umane. Egli ci è vicino, è sempre al nostro fianco, cammina con noi per condividere le nostre gioie e i nostri dolori, le nostre speranze e le nostre fatiche. Ci ama tanto e a tal punto che si è fatto uomo, è venuto nel mondo non per giudicarlo ma perché il mondo si salvi per mezzo di Gesù (cfr Gv 3,16-17). E questo è l’amore di Dio in Gesù, quest’amore che è tanto difficile da capire ma che noi sentiamo quando ci avviciniamo a Gesù. E Lui ci perdona sempre, Lui ci aspetta sempre, Lui ci ama tanto. E l’amore di Gesù che noi sentiamo è l’amore di Dio.

Lo Spirito Santo, dono di Gesù Risorto, ci comunica la vita divina e così ci fa entrare nel dinamismo della Trinità, che è un dinamismo di amore, di comunione, di servizio reciproco, di condivisione. Una persona che ama gli altri per la gioia stessa di amare è riflesso della Trinità. Una famiglia in cui ci si ama e ci si aiuta gli uni gli altri è un riflesso della Trinità. Una parrocchia in cui ci si vuole bene e si condividono i beni spirituali e materiali è un riflesso della Trinità.

L’amore vero è senza limiti, ma sa limitarsi, per andare incontro all’altro, per rispettare la libertà dell’altro. Tutte le domeniche andiamo alla Messa, celebriamo l’Eucaristia insieme e l’Eucaristia è come il “roveto ardente” in cui umilmente abita e si comunica la Trinità; per questo la Chiesa ha messo la festa del Corpus Domini dopo quella della Trinità. .....
La Vergine Maria, creatura perfetta della Trinità, ci aiuti a fare di tutta la nostra vita, nei piccoli gesti e nelle scelte più importanti, un inno di lode a Dio, che è Amore.

Papa Francesco
Parte dell’Angelus 15 giugno 2014

La festa della Pentecoste rievoca la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli e la loro investitura missionaria, avvenuta cinquanta giorni dopo la Pasqua di resurrezione.

Nella prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, viene sottolineato che lo Spirito scendendo sugli apostoli dà loro il potere di esprimersi in tutte le lingue. Da quel momento la Chiesa proclama un unico linguaggio, quello di Cristo e dell’amore. La diversità delle culture, delle razze e dei doni personali non è sorgente di incomprensione e di ostilità, ma diventa una “sinfonia” di voci che secondo i timbri e totalità differenti annunziano la stessa gioia e la stessa speranza.

Nella seconda lettura, tratta dalla 1^ lettera ai Corinzi, Paolo affronta il tema dell'unità nella diversità paragonando la comunità al corpo umano. E’ lo Spirito Santo l’anima del corpo che è la Chiesa. E’ lo Spirito il criterio di verifica dell’autenticità della fede.

Nel Vangelo, Giovanni presenta la prima Pentecoste ambientata nella stessa sera del giorno di Pasqua. Nel cenacolo, il Cristo risorto compie innanzitutto un atto simbolico “soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo....” Lo Spirito di Dio è soffio della vita, la sorgente della creazione, il principio di una nuova esistenza interiore. Nella Pentecoste narrata da Giovanni Cristo appare come il creatore dell’uomo nuovo, libero dal peccato e dal male, Infatti le parole che accompagnano il gesto simbolico del soffio sono emblematiche: A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

Dagli Atti degli Apostoli
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».
At 2,1-11

Luca inizia il suo racconto indicando il momento e il luogo in cui si è verificato l’evento: Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. In realtà stava per compiersi non tanto il giorno di Pentecoste, che era solo iniziato, ma il conto delle sette settimane, a partire dalla Pasqua, al termine delle quali ha luogo la Pentecoste . *
Anche se non viene precisato chi fosse presente all’avvenimento, si può supporre che insieme ai discepoli fosse presente Maria insieme ad altre donne. Luca dicendo “si trovavano tutti insieme” vuole sottolineare non solo la presenza fisica nello stesso luogo ma anche l’unione che regnava tra coloro che costituivano il primo nucleo della Chiesa.
Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano.
I termini che Luca usa si ricollegano alla terminologia usata per descrivere la teofania (V. 1Re 19,11), e il termine “vento” allude già allo Spirito (pneuma), che ad esso viene spesso assimilato (Ez 37,9; Gv 3,8). Il fragore venuto dal cielo “riempie” tutta la casa, così come lo Spirito “riempirà” tutti i presenti.

Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Il fuoco, a cui le lingue assomigliavano, è anch’esso un’immagine ricavata dalla rappresentazione biblica della teofania (Es 19,18). È indicativo inoltre che, la parola di Dio ha preso la forma di una torcia di fuoco.
Il fatto che i presenti parlino “altre lingue” richiama la leggenda giudaica secondo la quale al Sinai la parola di Dio si divideva in 70 lingue. A prima vista sembra quindi che essi parlassero ognuno una lingua diversa dall’altra, ma dal seguito del racconto appare che si trattava piuttosto di un miracolo di audizione, simile a quello che, secondo le leggende giudaiche, si era verificato al Sinai: in realtà essi parlavano normalmente e i presenti li comprendevano nella propria lingua originaria.

Questo fenomeno non è conosciuto altrove nel NT perciò diversi studiosi pensano che originariamente si trattasse non di un ”parlare in altre lingue”, ma del “parlare in lingue”, cioè della “glossolalia
”, un carisma che consiste nel lodare Dio in una lingua sconosciuta.

Il fragore della teofania viene udito anche all’esterno della casa in cui si trovavano gli apostoli, e subito si raduna una piccola folla di curiosi, pieni di stupore e di meraviglia, “perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua... delle grandi opere di Dio». La gente che si era radunata era composta di giudei della diaspora e di proseliti, cioè pagani convertiti in modo pieno al giudaismo, venuti a stabilirsi a Gerusalemme. I loro paesi di origine sono elencati in modo tale da dare l’impressione che si tratti di tutto il mondo allora conosciuto. Pur essendo giudei di nascita o di religione, i testimoni della Pentecoste cristiana sono presentati come i rappresentanti delle nazioni alle quali sarà rivolto l’annunzio evangelico.

Lo Spirito Santo con la Sua discesa sugli Apostoli e Maria ha completato l’opera dell’Incarnazione di Dio: al momento della Sua prima discesa, lo Spirito Santo aveva compiuto nella santa Vergine l’Incarnazione del Verbo, permettendo che il Verbo divenisse, nel suo corpo, il Dio-Uomo, per esserlo nell’eternità. Al momento della Sua seconda discesa, durante la Pentecoste, lo Spirito Santo discende per dimorare nel Suo corpo che è la Chiesa.

Maria è presente poiché è l’unica che possa confermare la presenza e l’azione dello Spirito, in quanto lei è la sola che ne ha già fatto esperienza, avendo, per opera dello Spirito Santo, generato al mondo il Verbo consustanziale al Padre.
Gli Apostoli sono rivestiti di Spirito Santo e annunciano al mondo quel Verbo eterno, crocifisso e risorto che Maria ha generato nella carne. Essi proclamano, lei conferma! Loro annunciano, a lei è stato annunciato! Essi diffondo la Parola di Vita, lei ha dato vita alla Parola!
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* Nota L'origine della festa di Pentecoste è ebraica e si riferisce allo Shavuot, celebrata sette settimane dopo la Pasqua ebraica. La festività era legata alle primizie del raccolto e alla rivelazione di Dio sul Monte Sinai, dove Dio ha donato al popolo ebraico la Torah.

Salmo 103 Manda il tuo Spirito, Signore,

Benedici il Signore, anima mia!
Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature.

Togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.
Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra.

Sia per sempre la gloria del Signore;
gioisca il Signore delle sue opere.
A lui sia gradito il mio canto,
io gioirò nel Signore.

Il salmista esordisce con un invito a se stesso a benedire il Signore. Di fronte alla grandezza, alla bellezza, alla potenza della creazione esprime il suo stupore e la sua lode a Dio: “Sei tanto grande, Signore, mio Dio!”.Egli contempla Dio nella sua sovranità universale, tratteggiandolo “avvolto di luce come di un manto”. Una luce gloriosa, non terrena, non degli astri, ma divina, con la quale illumina gli spiriti angelici, nel cielo. ...
Il salmo, segue l'ordine della prima narrazione della creazione (Gn 1,1s), continua presentando la primordiale situazione della terra, ora fermamente salda “sulle sue basi”, intendendo per basi niente di formalmente vincolante, ma solo un'immagine tratta dalle congetture dell'uomo.
L'onnipotenza divina viene presentata come dominatrice delle acque che coprivano la terra: “Al tuo rimprovero esse fuggirono, al fragore del tuo tuono rimasero atterrite”. Le acque si divisero in acque sotto il firmamento e in acque sopra il firmamento (le nubi, pensate ferme in alto per la presenza di una invisibile calotta detta firmamento), così cominciò il ciclo delle piogge e le acque “Salirono sui monti, discesero nelle valli, verso il luogo (mare) che avevi loro assegnato”. Dio provvede, nel tempo privo di piogge, al regime delle acque, e fa scaturire nelle alte valli montane acque sorgive che poi scendono lungo i canaloni tra i monti per dissetare gli animali. Gli uccelli trovano dimora nei luoghi alti e cantano tra le fronde degli alberi. Tutto è predisposto perché non manchi il cibo: “Con il frutto delle tue opere si sazia la terra. Tu fai crescere l'erba per il bestiame e le piante che l'uomo coltiva...”.

E anche gli alberi alti sono sazi per la pioggia “sono sazi gli alberi del Signore (cioè gli alberi altissimi: nell'ebraico il superlativo assoluto è reso con un riferimento a Dio), i cedri del Libano da lui piantati”. (I cedri del Libano raggiungono anche i 40 m. di altezza, con un diametro alla base di 2,5 m.)

Dio per segnare le stagioni ha fatto il sole e la luna. Ritirando a sera la luce stende “le tenebre e viene la notte”; e anche nella notte prosegue la vita: “si aggirano tutte le bestie della foresta; ruggiscono i giovani leoni in cerca di preda”. Con i loro ruggiti “chiedono a Dio il loro cibo”. Il salmo presenta che gli animali carnivori sono stati creati così da Dio. Il libro della Genesi (1,30) presenta un mondo animale che si cibava di erbe nella situazione Edenica; ma è un'immagine rivolta a presentare come all'inizio non ci fosse la ferocia tra gli animali, benché non mancassero animali carnivori, creati da Dio, come il nostro salmo presenta.

L'uomo comincia il suo lavoro col sorgere del sole: “Allora l'uomo esce per il suo lavoro, per la sua fatica fino a sera”. Il salmista loda ancora il Signore per le sue opere.
Passa quindi a considerare le creature del mare; in particolare il Leviatan, nome col quale l'autore designa la balena.
Il mondo animale è oggetto pure esso dell'assistenza divina: “Nascondi il tuo volto: li assale il terrore; togli loro il respiro: muoiono, e ritornano nella loro polvere”. Se Dio ritrae la sua assistenza gli animali periscono, non hanno più l'alito delle narici “togli loro il respiro”.

Ma se manda il suo Spirito creatore sono creati. Lo Spirito di Dio è all'origine della creazione: (Gn 1,2).
Il salmista chiede che sulla terra ci sia la pace tra gli uomini, affinché “gioisca il Signore delle sue opere”. “Scompaiano i peccatori dalla terra e i malvagi non esistano più” dice, augurandosi un tempo dove gli uomini cessino di combattersi. Questo sarà nel tempo di pace che abbraccerà tutta la terra, quando la Chiesa porterà Cristo a tutte le genti; sarà la società della verità e dell'amore. Noi dobbiamo incessantemente impegnarci con la preghiera e la testimonianza per questo tempo che invochiamo nel Padre Nostro dicendo: “Venga il tuo regno”.
Commento di P.Paolo Berti
(Per avere un’idea più completa della bellezza di questo salmo è stato riportato il commento nella sua interezza e non solo per i versetti proposti dalla liturgia)

Dalla prima lettera di S.Paolo Apostolo ai Corinzi
Fratelli, nessuno può dire «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo.
Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito. Vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.
A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune.
Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo.
Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.
1Cor 12,3b-7.12-13

La Prima lettera ai Corinzi, che Paolo scrisse da Efeso nel 53-54, è una delle più lunghe fra quelle scritte da Paolo, paragonabile a quella dei Romani, ambedue infatti sono suddivise in 16 capitoli. La lettera si contraddistingue per la molteplicità dei temi che Paolo vi affronta per chiarire dubbi o difficoltà della comunità e per correggere abusi e deviazioni. In essa l’apostolo dovrà prendere posizioni anche piuttosto critiche, che potrebbero compromettergli la simpatia dei destinatari. Per capire l’animo con cui affronta questo delicato compito pastorale e i rapporti che intende instaurare con la comunità, è significativo il ringraziamento che, come avviene solitamente nelle sue lettere, fa seguito al “prescritto” (mittente, destinatari e saluti).

In questo brano in particolare l‘Apostolo sottolinea come principio di discernimento, per comprendere l'agire dello Spirito, è la confessione della signoria di Cristo per poi rapportare, secondo lo schema trinitario, la diversità dei carismi all'unico Spirito, i diversi ministeri all'unico Signore e le diverse operazioni all'unico Dio. Solo dopo questa premessa teologica, Paolo elenca i carismi preceduti da un'importante definizione del termine carisma: “A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune.”

Qui l'Apostolo affronta il tema dell'unità nella diversità paragonando la comunità al corpo umano. L'obiettivo è quello di affermare che la pluralità e la diversità sono costitutivi dell'unità; non può esistere una comunità senza la diversità dei carismi, poiché come il corpo umano è costituito da membra diverse con funzioni diverse, allo stesso modo è anche il Corpo di Cristo. Tutti i carismi nella comunità sono "utili e indispensabili", come il "piede"che rappresenta la parte più umile e scontenta della comunità, mentre "l'occhio e la testa" la parte super carismatica che si ritiene autosufficiente.

Paolo vuole così sradicare tale concezione della vita comunitaria per ribadire il primato della diversità nell'unità. Come i Corinzi allora, anche noi oggi, dobbiamo imparare a riconoscere non solo nei fenomeni straordinari, ma anche in quelli meno straordinari, l'azione carismatica dello Spirito; dobbiamo sapere che i fatti spettacolari, i miracoli più strepitosi, non sono l'unico modo in cui si manifestano la presenza e l'azione dello Spirito Santo.

Dal Vangelo secondo Giovanni
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Gv 20,19-23

L’evangelista Giovanni, dopo la visita dei due discepoli al sepolcro (20,1-10) e la manifestazione del Risorto a Maria Maddalena (20,11-18), narra in questo brano la duplice apparizione di Gesù agli Undici, a cui fa seguito immediatamente la prima conclusione del suo vangelo.
In questa apparizione Gesù si presenta ai discepoli per conferire loro, insieme al mandato missionario, anche il dono dello Spirito che li guiderà nel loro cammino. L’evento ha luogo nello stesso giorno della risurrezione, cioè il primo dopo il sabato: si tratta dunque del primo giorno della settimana, che, come l’inizio della creazione, segna la nascita di un mondo nuovo.
Sebbene le porte del luogo in cui si trovano i discepoli siano chiuse “per timore dei giudei”, Gesù non ha difficoltà a entrare perchè il Suo corpo ormai spiritualizzato non è più legato ai limiti propri dell’esistenza fisica, tipica di questo mondo. Egli presentandosi in mezzo ai discepoli, dice loro: “Pace a voi” (shalôm). Questo saluto è tipico del costume ebraico, ma qui Gesù intende esprimere qualcosa di più di un semplice saluto. Dopo essersi presentato ai discepoli, Gesù mostra loro le mani e il costato. Con questo gesto egli intende non soltanto dimostrare la realtà della Sua presenza, ma anche ricordare come sia proprio in forza della Sua morte in croce, che Egli si presenta a loro nella Sua nuova realtà.

L’apparizione di Gesù provoca nei discepoli una reazione di incontenibile e profonda gioia. Non si tratta semplicemente della soddisfazione di rivedere in vita una persona tanto amata, ma piuttosto di una gioia indescrivibile, perchè ultraterrena, che solo la presenza di Gesù porta con sé. Poi Gesù ripete il saluto: “Pace a voi” e prosegue: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi.”
Il dono della pace non riguarda solo i discepoli, ma deve essere esteso a tutta l’umanità di ogni tempo e di ogni luogo. Gesù poi, alitando sui discepoli, dice: “Ricevete lo Spirito Santo”. Solo lo Spirito è in grado di accomunare profondamente i discepoli al Maestro e come conseguenza di questo dono Egli dà ai discepoli il potere di rimettere i peccati: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati”. La missione è di rivelare al mondo il volto di Dio che è il volto del Padre che è infinita misericordia, ma colpisce la precisazione: “a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati “ Ci è impossibile pensare che la misericordia del Padre possa avere dei limiti e che la missione che Gesù affida possa essere anche quella di "non perdonare." In realtà la missione di Gesù non ha limiti e così la missione dei Suoi discepoli: la missione è la passione che ci dà vigore, che muove le nostre parole, i nostri gesti, la nostra persona per annunciare al mondo il dono infinito del Padre.
Annunciare l'Amore con la forza dello Spirito Santo, crea il perdono dei peccati e genera un mondo nuovo iniziato in quel “giorno, il primo della settimana”.

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Lo Spirito di Dio

Tu vieni a turbarci,
vento dello spirito.
Tu sei l'altro che è in noi.
Tu sei il soffio che anima
e sempre scompare.

Tu sei il fuoco
che brucia per illuminare.
Attraverso i secoli e le moltitudini
Tu corri come un sorriso
per far impallidire le pretese
degli uomini.

Poiché tu sei l'invisibile
testimone del domani,
di tutti i domani.
Tu sei povero come l'amore
per questo ami radunare
per creare.
Oh, ebbrezza e tempesta di Dio!

(David Maria Turoldo)

La festa di Pentecoste commemora l’effusione dello Spirito Santo sugli Apostoli riuniti nel Cenacolo. Come la Pasqua, è un evento accaduto durante la preesistente festa ebraica, e che porta un compimento sorprendente. Il libro degli Atti degli Apostoli descrive i segni e i frutti di quella straordinaria effusione: il vento forte e le fiammelle di fuoco; la paura scompare e lascia il posto al coraggio; le lingue si sciolgono e tutti capiscono l’annuncio. Dove arriva lo Spirito di Dio, tutto rinasce e si trasfigura. L’evento della Pentecoste segna la nascita della Chiesa e la sua manifestazione pubblica; e ci colpiscono due tratti: è una Chiesa che sorprende e scompiglia.
Un elemento fondamentale della Pentecoste è la sorpresa. Il nostro Dio è il Dio delle sorprese, lo sappiamo. Nessuno si aspettava più nulla dai discepoli: dopo la morte di Gesù erano un gruppetto insignificante, degli sconfitti orfani del loro Maestro. Invece si verifica un evento inatteso che suscita meraviglia: la gente rimane turbata perché ciascuno udiva i discepoli parlare nella propria lingua, raccontando le grandi opere di Dio .

La Chiesa che nasce a Pentecoste è una comunità che suscita stupore perché, con la forza che le viene da Dio, annuncia un messaggio nuovo – la Risurrezione di Cristo – con un linguaggio nuovo – quello universale dell’amore. Un annuncio nuovo: Cristo è vivo, è risorto; un linguaggio nuovo: il linguaggio dell’amore. I discepoli sono rivestiti di potenza dall’alto e parlano con coraggio - pochi minuti prima erano tutti codardi, ma adesso parlano con coraggio e franchezza, con la libertà dello Spirito Santo.
Così è chiamata ad essere sempre la Chiesa: capace di sorprendere annunciando a tutti che Gesù il Cristo ha vinto la morte, che le braccia di Dio sono sempre aperte, che la sua pazienza è sempre lì ad attenderci per guarirci, per perdonarci. Proprio per questa missione Gesù risorto ha donato il suo Spirito alla Chiesa.
Attenzione: se la Chiesa è viva, sempre deve sorprendere. E’ proprio della Chiesa viva sorprendere. Una Chiesa che non abbia la capacità di sorprendere è una Chiesa debole, ammalata, morente e deve essere ricoverata nel reparto di rianimazione, quanto prima!

Qualcuno, a Gerusalemme, avrebbe preferito che i discepoli di Gesù, bloccati dalla paura, rimanessero chiusi in casa per non creare scompiglio. Anche oggi tanti vogliono questo dai cristiani. Invece il Signore risorto li spinge nel mondo: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi».
.a Chiesa di Pentecoste è una Chiesa che non si rassegna ad essere innocua, troppo “distillata”. No, non si rassegna a questo! Non vuole essere un elemento decorativo. È una Chiesa che non esita ad uscire fuori, incontro alla gente, per annunciare il messaggio che le è stato affidato, anche se quel messaggio disturba o inquieta le coscienze, anche se quel messaggio porta, forse, problemi e anche, a volte, ci porta al martirio. Essa nasce una e universale, con un’identità precisa, ma aperta, una Chiesa che abbraccia il mondo ma non lo cattura; lo lascia libero, ma lo abbraccia come il colonnato di questa Piazza: due braccia che si aprono ad accogliere, ma non si richiudono per trattenere. Noi cristiani siamo liberi, e la Chiesa ci vuole liberi!

Papa Francesco
Parte dell’Angelus 4 maggio 2014

 

Le letture che la liturgia di questa settima domenica di Pasqua, in cui celebriamo l’Ascensione del Signore, hanno la stessa scenografia che ha come sfondo il cielo!
Già dalla prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, Luca ci racconta che Gesù dal monte degli ulivi ascende verso le nubi del cielo, per cui dall’orizzonte terrestre la Sua figura penetra negli infiniti orizzonti celesti.
Nella seconda lettura, Paolo nella sua lettera agli efesini, effonde il suo canto di benedizione nell'inno di ringraziamento a Dio, che "ci ha benedetti" in Cristo Gesù e per mezzo di Lui ci ha predestinati ad essere "figli adottivi" del Padre suo.

Nel Vangelo di Matteo, Gesù, prima di salire in cielo affida ai suoi discepoli, e a tutta la chiesa, la missione di portare a tutti i popoli l’annunzio della parola di salvezza. Anche se questa missione può aver lasciato un po’ sgomenti gli apostoli che si sentivano non preparati a tale compito , Gesù con le sue ultime parole: io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» dà a loro, a noi e a tutti i cristiani di ogni tempo, una sicurezza ed una forza che nessuna potenza umana al mondo può dare.
Parrocchia N.S.de La Salette
www.lasaletteroma.it
Dagli Atti degli Apostoli
Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.
Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo».

Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra».
Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».
At 1,1-11

In questo brano, in cui viene riportato il prologo degli Atti degli Apostoli, Luca inizia con la dedica a Teofilo, lo stesso al quale aveva dedicato il suo vangelo, e prosegue con la descrizione del periodo trascorso da Gesù con gli apostoli dopo la Sua risurrezione, a cui fa seguito il racconto della Sua ascensione.
Luca racconta i 40 giorni trascorsi da Gesù con i Suoi discepoli con lo scopo di circoscrivere un periodo specifico che funge da cerniera tra il tempo di Gesù e quello della Chiesa, tra il tempo della salvezza e quello in cui il Vangelo sarà annunziato a tutto il mondo. C’è da tenere presente che il numero 40 è un numero biblico simbolico, che spesso è usato per indicare il tempo di preparazione ad una particolare rivelazione divina. Oltre ai vari casi riportati nell’AT in cui si nomina un periodo di 40 (giorni o anni) anche nel Nuovo Testamento, Gesù trascorre 40 giorni nel deserto, digiunando, prima di iniziare la Sua vita pubblica.

In questo periodo gli apostoli, ancora a contatto con Gesù, rivedono tutta la Sua vita e il Suo insegnamento alla luce della Sua risurrezione. In tal modo essi entrano nel vivo di quello che era stato il progetto di vita di Gesù, ne diventano partecipi e così si preparano alla missione, esattamente come Gesù si era preparato per 40 giorni nel deserto al Suo ministero pubblico.
Con la Sua ascensione in cielo Gesù ha concluso la Sua esistenza terrena portando a compimento l’opera che il Padre gli aveva affidato. Ora passa le consegne ai Suoi apostoli e da loro a tutta la Sua Chiesa, il Suo corpo mistico, che dovrà essergli testimone.

Luca annota che, quando una nube sottrasse Gesù agli occhi dei suoi discepoli, essi rimasero incantati a guardare in cielo, fino a quando apparvero loro due uomini che li richiamarono alla realtà dicendo loro: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».
E proprio nell’impegno che noi oggi, Sua Chiesa, abbiamo di testimoniarlo, si sperimenta la Sua presenza, si scopre che Gesù non solo è venuto e verrà, ma che viene, oggi, nell’oggi di ognuno di noi, e lo colma di sé, della Sua gioia. La nostra testimonianza diviene allora indicazione di una presenza sperimentata, amata, e perciò comunicata.

Salmo 46 - Ascende il Signore tra canti di gioia.

Popoli tutti, battete le mani!
Acclamate Dio con grida di gioia,
perché terribile è il Signore, l’Altissimo,
grande re su tutta la terra

Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.
Cantate inni a Dio, cantate inni,
cantate inni al nostro re, cantate inni.

Perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.
Dio regna sulle genti,
Dio siede sul suo trono santo.

Il salmo è un inno festoso a Dio re dell’universo. Il salmo invita tutti i popoli ad applaudire il Signore. Dopo il momento terribile delle vittorie filistee e dei popoli della terra di Canaan, ecco la vittoria per Israele. La terra promessa sta per essere totalmente conquistata e Gerusalemme è stata sottratta ai Gebusei. Un corteo festante porta l’arca dentro la Città di Davide: “Ascende Dio tra le acclamazioni”.
La conquista della terra promessa, la presa di Gerusalemme sono solo una tappa di un disegno più ampio di Dio che riguarda tutti i popoli.
Israele ha visto come Dio ha posto ai suoi piedi le nazioni, e dunque nessuna nazione può resistergli.

Egli è “re di tutta la terra”. Il popolo di Abramo è come un germe chiamato ad attirare a sé i popoli. Il salmista vede profeticamente già attuato questo: “I capi dei popoli si sono raccolti come popolo del Dio di Abramo”. Questo avverrà per mezzo del futuro Messia, che produrrà la nuova ed eterna alleanza. Il segno della sua vittoria sarà la risurrezione, la sua salita al cielo - “ascende Dio tra le acclamazioni” -, il suo stare alla destra del Padre (Cf. Ps 110,1).
Commento di P.Paolo Berti

Dalla lettera di S.Paolo apostolo agli Efesini
Fratelli, il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore.
Egli la manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti
e lo fece sedere alla sua destra nei cieli,al di sopra di ogni Principato e Potenza,
al di sopra di ogni Forza e Dominazione e di ogni nome che viene nominato
non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro.
Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi
e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il corpo di lui,
la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose.
Ef 1,17-23

La Lettera agli Efesini è una delle lettere che Paolo, secondo molti studiosi, avrebbe scritto durante la sua prigionia a Roma intorno all'anno 62.
Il brano che fa parte di uno dei tre grandi inni cristologici, ci aiuta a farci riflettere sul ruolo di Gesù nel progetto di amore del Padre. Ci parla anche della predestinazione dei credenti e del Padre, che sin dall'inizio dei tempi, aveva pensato a noi, per renderci santi, per renderci Suoi figli, per cui ciascuno di noi è chiamato a questa via di santità, cioè a una relazione di amore forte e incondizionato con il Signore.
Paolo all’inizio della lettera benedice Dio che ha benedetto gli Efesini (e noi oggi) perché grazie all'incarnazione, alla morte e risurrezione di Cristo si è chinato su di noi, ci ha dato accesso ai cieli e ci ha benedetto spiritualmente.

Paolo, nei versetti non presenti nel brano, afferma che Dio ci ha scelti, ci ha eletto, come aveva scelto il popolo di Israele, e questa è stata un'iniziativa gratuita di Dio che precede ogni pretesa umana. E' una gratuità che poteva partire solo da Lui e ha avuto inizio prima della creazione del mondo!
In questo brano in particolare Paolo implora per i cristiani di Efeso (e per noi oggi) uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di Dio affinché illumini gli occhi del nostro cuore per farci comprendere a quale speranza ci ha chiamati ...

Questa profonda conoscenza o comprensione è possibile solo se si guarda a ciò che Dio ha realizzato in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli,...Paolo continua affermando: Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose.
Dio dunque ha dato al Figlio ogni potere e lo ha reso capo del nuovo popolo, la Chiesa, definita qui anche Sua “pienezza”, in quanto abbraccia tutto il mondo, che sotto l’autorità di Cristo, Signore e Capo, partecipa all’universale rigenerazione, perchè solo in Cristo ogni cosa diventa possibile e realizzabile.

Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Mt 28, 16-20
Con questo brano si conclude il Vangelo di Matteo che a differenza degli altri tre evangelisti, che terminano il loro vangelo con una considerazione o uno spunto narrativo, riporta le ultime parole di Gesù: “io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.

Analizzando il contenuto del brano si può notare che Matteo senza descrivere i dettagli di questa ultima apparizione di Gesù, riporta immediatamente il messaggio conferito agli Undici dal Risorto.
Possiamo immaginare lo stato d’animo dei discepoli per i quali Gesù era stato tutto: padre, madre, fratello, maestro, amico.... e il pensiero di doverlo perdere di nuovo dopo la Sua risurrezione, doveva essere per loro insopportabile. Dovevano affrontare dure prove, e gli anni che si presentavano per loro erano pieni di incognite per le responsabilità tremende che dovevano assumersi. Gesù aveva loro prospettato dure prove come persecuzioni, carcere, torture, morte e l’accusa di essere visionari, sacrileghi, impostori. In più loro erano consapevoli di essere ignoranti, impreparati, incapaci. Ma Gesù però li rincuora.
Prima asserisce : “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. ..

In forza della Sua morte e risurrezione è stato quindi conferito a Gesù il potere stesso di Dio, che consiste nella capacità di instaurare il Suo regno e di portare la salvezza a tutta l’umanità. La pienezza di questo potere è sottolineata dall’espressione “in cielo e sulla terra”, che indica i due estremi che racchiudono ogni realtà creata.
Poi Gesù li sprona dicendo: Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli,...” ma la forza e la carica più grande che dà a loro, è quando aggiunge:
”Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
Questa frase ha certamente dato la carica a loro come tutti i cristiani di ogni tempo, ed anche a noi oggi, perchè ci dice che Gesù è presente, è vivo accanto a noi per cui ogni morte, ogni viltà, ogni male sono sconfitti.
Il Vangelo di Matteo non poteva terminare con una frase migliore!
****************

Stavo rimpiangendo il passato
e temendo il futuro.
Improvvisamente il Signore parlò:
Mi chiamo: Io sono .
Tacque
Attesi
Egli continuò:
Quando vivi nel passato,
coi suoi errori e i suoi rimpianti è duro:
Io non ci sono.
Il mio nome non è: io ero.
Quando vivi nel futuro,
coi suoi problemi e le sue paure, è duro:
Io non ci sono.
Il mio nome non è: io sarò.
Quando vivi nel momento presente
non è difficile.
Io ci sono,
il mio nome è IO SONO

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Oggi, si celebra l’Ascensione di Gesù al cielo, avvenuta quaranta giorni dopo la Pasqua. Gli Atti degli Apostoli raccontano questo episodio, il distacco finale del Signore Gesù dai suoi discepoli e da questo mondo .Il Vangelo di Matteo, invece, riporta il mandato di Gesù ai discepoli: l’invito ad andare, a partire per annunciare a tutti i popoli il suo messaggio di salvezza . “Andare”, o meglio, “partire” diventa la parola chiave della festa odierna: Gesù parte verso il Padre e comanda ai discepoli di partire verso il mondo.

Gesù parte, ascende al Cielo, cioè ritorna al Padre dal quale era stato mandato nel mondo. Ha fatto il suo lavoro, quindi torna al Padre. Ma non si tratta di una separazione, perché Egli rimane per sempre con noi, in una forma nuova. Con la sua ascensione, il Signore risorto attira lo sguardo degli Apostoli – e anche il nostro sguardo – alle altezze del Cielo per mostrarci che la meta del nostro cammino è il Padre. Lui stesso aveva detto che se ne sarebbe andato per prepararci un posto in Cielo. Tuttavia, Gesù rimane presente e operante nelle vicende della storia umana con la potenza e i doni del suo Spirito; è accanto a ciascuno di noi: anche se non lo vediamo con gli occhi, Lui c’è! Ci accompagna, ci guida, ci prende per mano e ci rialza quando cadiamo. Gesù risorto è vicino ai cristiani perseguitati e discriminati; è vicino ad ogni uomo e donna che soffre. È vicino a tutti noi,...

Gesù, quando ritorna al Cielo, porta al Padre un regalo. Quale è il regalo? Le sue piaghe. Il suo corpo è bellissimo, senza lividi, senza le ferite della flagellazione, ma conserva le piaghe. Quando ritorna dal Padre gli mostra le piaghe e gli dice: “Guarda Padre, questo è il prezzo del perdono che tu dai”. Quando il Padre guarda le piaghe di Gesù ci perdona sempre, non perché noi siamo buoni, ma perché Gesù ha pagato per noi. Guardando le piaghe di Gesù, il Padre diventa più misericordioso. Questo è il grande lavoro di Gesù oggi in Cielo: fare vedere al Padre il prezzo del perdono, le sue piaghe. È una cosa bella questa che ci spinge a non avere paura di chiedere perdono; il Padre sempre perdona, perché guarda le piaghe di Gesù, guarda il nostro peccato e lo perdona.
Ma Gesù è presente anche mediante la Chiesa, che Lui ha inviato a prolungare la sua missione. L’ultima parola di Gesù ai discepoli è il comando dipartire: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli». È un mandato preciso, non è facoltativo! La comunità cristiana è una comunità “in uscita”, “in partenza”. Di più: la Chiesa è nata “in uscita”.

Ai suoi discepoli missionari Gesù dice: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» . Da soli, senza Gesù, non possiamo fare nulla! Nell’opera apostolica non bastano le nostre forze, le nostre risorse, le nostre strutture, anche se sono necessarie. Senza la presenza del Signore e la forza del suo Spirito il nostro lavoro, pur ben organizzato, risulta inefficace. E così andiamo a dire alla gente chi è Gesù.
E insieme con Gesù ci accompagna Maria nostra Madre. Lei è già nella casa del Padre, è Regina del Cielo e così la invochiamo in questo tempo; ma come Gesù è con noi, cammina con noi, è la Madre della nostra speranza.
Papa Francesco
Parte dell’Angelus del 1 giugno 2014

Martedì, 23 Maggio 2017 10:48

Concerto per Maria

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

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