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KRZYZ

Henryk

Henryk

Questa domenica, la prima che viene tra il Natale e il primo dell'anno, la Chiesa ci invita a celebrare la festa della santa Famiglia di Nazareth. Dio, per farsi uomo, ha dovuto assumere la nostra natura umana e nascere in una famiglia, ha voluto così avere una madre e un padre come noi.

Nella prima lettura, tratta dal Libro della Genesi, ad Abramo che si lamenta di non avere figli, Dio promette una discendenza numerosa. Abramo, contro ogni logica umana, ha fede nella promessa del Signore, egli avrà una discendenza numerosa come le stelle del cielo: Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.

Nella seconda lettura, l’autore della lettera agli Ebrei, facendo l’elogio della fede dei padri, ricorda Abramo, il padre dei credenti, che si affida a Dio anche nella prova suprema di sacrificare il figlio Isacco, che Dio risparmia. Abramo ha vissuto un’anticipata esperienza di morte e di vita, che l’autore vede come simbolo della morte e risurrezione di Cristo .

Il brano del Vangelo di Luca ci propone la presentazione al tempio e l’incontro con Simeone e la profetessa Anna che indicano in Gesù il Salvatore, la luce per illuminare le genti. Maria riceve da Simeone la rivelazione del destino doloroso a cui va incontro il Figlio per la salvezza dell’umanità.

Dal Libro della Genesi
In quei giorni, fu rivolta ad Abram, in visione, questa parola del Signore: «Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande». Rispose Abram: «Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco». Soggiunse Abram: «Ecco, a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede». Ed ecco, gli fu rivolta questa parola dal Signore: «Non sarà costui il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede».
Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza».
Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.
Il Signore visitò Sara, come aveva detto, e fece a Sara come aveva promesso. Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia, nel tempo che Dio aveva fissato. Abramo chiamò Isacco il figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito.
Gen 15,1-6. 21,1-2

Il Libro della Genesi (che significa: "nascita", "creazione", "origine"), è il primo libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana. E’ stato scritto in ebraico, e secondo molti studiosi, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata intorno al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte.
Nei primi 11 dei suoi 50 capitoli, descrive la cosiddetta "preistoria biblica" (creazione, peccato originale, diluvio universale), e nei rimanenti la storia dei patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe-Israele e di Giuseppe, le cui vite si collocano nel vicino oriente (soprattutto in Palestina) del II millennio a.C. (la datazione dei patriarchi, tradizionale ma ipotetica, è attorno al 1800-1700).

Il libro della Genesi è suddiviso in due grandi sezioni. La prima, corrispondente ai capitoli 1-11, comprende il racconto della creazione e la storia del genere umano. La seconda sezione, dal capitolo 12 al capitolo 50, narra la storia del popolo eletto, mediante i racconti sui patriarchi.
In questo brano, tratto dal capitolo 15, Dio si presenta in visione ad Abramo e gli dice: ”Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande”. Abram risponde sfiduciato: “Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco». Al colmo della prova Abram è dunque ormai rassegnato ad adottare come erede, il suo domestico, facendo di lui il depositario delle promesse divine. Ma Dio non è di questo parere e gli dice: “Non sarà costui il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede”.

Poi il Signore conduce Abram all’aperto e gli dice: “Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza »” L’erede sarà dunque un figlio di Abram, e da lui nascerà una discendenza numerosa come le stelle del cielo.

Dio non dà ad Abram nessuna garanzia, se non la Sua parola. Di fronte all’evidenza dei fatti, Abram avrebbe potuto tirarsi indietro, abbandonando ogni speranza di avere un figlio, ma egli si affida a Dio divenendo l’emblema del credere puro e senza incrinature, anche nei momenti più ardui dell’esistenza. Il celebre versetto che è il punto focale di questo brano, “Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.” diverrà infatti la base su cui Paolo costruirà la grande meditazione della Lettera ai Romani.
Alla fine la promessa divina ha la sua attuazione, la fede giunge alla meta della pace e della gioia. E’ all’interno di quella piccola creatura nata da due coniugi molto in là con gli anni, Isacco, che Dio rivela il Suo amore e la Sua fedeltà. La famiglia diventa, quindi, il segno della fede dell’uomo e dell’amore di Dio.

Salmo 104 Il Signore è fedele al suo patto.
Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome,
proclamate fra i popoli le sue opere.
A lui cantate, a lui inneggiate,
meditate tutte le sue meraviglie.

Gloriatevi del suo santo nome:
gioisca il cuore di chi cerca il Signore.
Cercate il Signore e la sua potenza,
ricercate sempre il suo volto.

Ricordate le meraviglie che ha compiuto,
i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca,
voi, stirpe di Abramo, suo servo,
figli di Giacobbe, suo eletto.
Il salmo lo si ritrova pure nel primo libro delle Cronache (18,8-22), ed è fatto risalire a Davide.
Il salmo inizia con un invito a lodare Dio e a proclamarne le opere tra le genti.
Nessun complesso di inferiorità devono avere gli Israeliti di fronte al fasto e alla potenza delle nazioni pagane, poiché essi conoscono il vero Dio e da lui sono stati eletti a suo popolo: “Gloriatevi del suo santo nome”.
“Chi cerca il Signore”, cioè l'intima conoscenza di lui ottenuta con la fede, con l'amore, con l'obbedienza alla sua Parola, non può essere triste: “Gioisca il cuore di che cerca il Signore”.
Il salmo invita così a “cercare” il Signore: “Cercate il Signore e la sua potenza, ricercate sempre il suo volto”. E' un cercare dopo essere stati raggiunti da Dio; è un cercare che nasce dall'aver trovato; ed è un trovare che porta ancora a cercare, all'infinito.
Il salmista invita a ricordare le meraviglie che Dio ha compiuto. E' un ricordare che attiva, promuove la corrispondenza fattiva all'amore di Dio. Dio pure “si è sempre ricordato della sua alleanza...”, cioè vi è fedele, indubitabilmente fedele.
Il salmo procede poi facendo memoria di quanto Dio ha fatto per il suo popolo a partire da Abramo, Isacco e Giacobbe. Gli Israeliti furono liberati dall'Egitto, e Dio “castigò i re per causa loro”, affinché avessero "le terre delle nazioni".
Gli Israeliti sono presentati come “consacrati” (unti), perché eletti da Dio in virtù delle promesse fatte ad Abramo, dell'alleanza del Sinai, e della fede in lui, in attesa del futuro Messia. Essi sono designati come “profeti” (Cf. Gn 20,7), perché depositari delle promesse.
Il salmo non viene recitato nella Liturgia delle Ore, solo perché ripete la grande storia di Israele, già presentata, in sintesi, in altri salmi.
Commento di P.Paolo Berti

Dalla lettera agli Ebrei
Fratelli, per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare.
Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.
Eb 11,8.11-12.17-19 .

Il capitolo 11 della lettera agli Ebrei, inizia con un versetto non riportato da questo brano, che definisce in poche parole che cosa è la fede: La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede.

Con queste parole la fede è presentata come la certezza di ottenere un giorno quelle realtà che, proprio perché non si vedono, sono oggetto di speranza. L’autore intende qui affermare che il credente è colui che non si ferma alle realtà visibili e materiali, ma si orienta con piena fiducia verso beni futuri (trascendenti), non ancora visibili ma testimoniati dalla parola di Dio e quindi sicuramente godibili.

Dopo aver dato la sua definizione della fede, l’autore soggiunge “Per mezzo di questa fede gli antichi ricevettero buona testimonianza”. Con queste parole egli lascia intendere che non farà un discorso astratto sulla natura della fede, ma presenterà esempi concreti per guidare i suoi lettori nel loro cammino di fede. Nella rassegna dei testimoni della fede (che il brano liturgico tralascia) sono ricordati alcuni personaggi come: Abele, Enoc e Noè, esistiti prima che il popolo ebraico apparisse alla ribalta della storia.
Dopo i personaggi della storia primordiale, l’autore presenta: Abramo che per fede, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.

Questa prima fase, in cui predomina la tensione tra quello che è posseduto a quello che non lo è ancora, tra quello che si vede e quello che non si vede, si concretizza la promessa divina..
La seconda fase si svolge attorno al tema della “discendenza” oggetto della seconda promessa fatta da Dio ad Abramo. : Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Anche qui è sottolineato il contrasto tra la sterilità di Sara e la potenza di generare che è superato grazie alla “fede”, che spinge a far affidamento sulla potenza e fedeltà di Dio.
Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare.

Il terzo momento, quello della prova manifesta al massimo la forza della fede.
Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.
La crisi viene superata da Abramo, il quale si fida della “potenza” di Dio, sapendo che è capace anche di risuscitare i morti: perciò riottene il figlio come un “simbolo” cioè come caparra della pienezza futura.

L’esperienza di Abramo mostra chiaramente che la fede, vissuta come apertura a un futuro che Dio promette, consiste in un rapporto personale con Lui, in forza del quale è possibile superare la fragilità e la miseria di una vita segnata inesorabilmente dalla morte.
È così che Abramo. proprio per aver accettato per fede la morte del figlio, ottiene una specie di risurrezione anticipata, che troverà compimento nella risurrezione di Cristo e di coloro che crederanno in Lui. La fede dei patriarchi è quindi solo una prefigurazione della fede di cui godono i credenti in Cristo.

Dal Vangelo secondo Luca
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, (Maria e Giuseppe) portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.

Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
Lc 2,22-40

E’ solo l’evangelista Luca, a narrarci l’infanzia di Gesù, anzi la sua narrazione parte dalle annunciazioni prima a Zaccaria (Lc 1,9-25) e a Maria (1,26-38), poi descrive le nascite, prima quella di Giovanni Battista (1,57-80), poi quella di Gesù. In questo brano riporta il compimento dei riti, l’intervento di Simeone, e la profezia di Anna.
Giuseppe e Maria si recano a Gerusalemme con Gesù bambino allo scopo di compiere il rito della purificazione della puerpera e quello del riscatto dei primogeniti. Nel mondo giudaico si riteneva che il parto fosse causa per la donna di impurità rituale, che durava 40 giorni dopo la nascita di un figlio e 80 dopo quella di una figlia. Dopo questo periodo la donna doveva sottoporsi a un rito di purificazione. Luca dunque racconta che, quando venne il tempo della “loro purificazione”, Maria e Giuseppe portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore: questa prassi è poi spiegata con la citazione di Es 13,2 e di Lv 12,8.

Luca presenta anzitutto Simeone: uomo giusto e pio, cioè un uomo che praticava i valori religiosi più alti del giudaismo; inoltre egli attendeva “la consolazione di Israele” tema particolarmente caro al Deutero-Isaia, il quale annunzia ai giudei esuli in Babilonia il ritorno nella terra promessa come una grande consolazione che segna l’inaugurazione dell’era messianica (Is 40,1; 52,9). Infine Luca aggiunge che lo Spirito santo si era manifestato a lui, promettendogli che non sarebbe morto senza aver prima visto il “Cristo del Signore”,
Mosso dallo Spirito santo, questo vecchio giunge al tempio nel momento stesso in cui vi arrivano i genitori di Gesù per adempiere la legge. Il vecchio prende il bambino sulle sue braccia e, convinto di avere ottenuto la realizzazione di tutte le sue speranze, esprime tutta la sua riconoscenza e la sua lode a Dio recitando un cantico, conosciuto anche come il”Nunc dimittis “: “Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele”

I genitori di Gesù si stupiscono per le sue parole; Simeone benedice anche loro e poi, rivolgendosi a Maria, preannunzia qualcosa che riguarda anzitutto il bambino ma di riflesso anche lei. Di Gesù egli afferma che è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele. Con queste parole la persona di Gesù viene presentata come causa di una dolorosa spaccatura all’interno del popolo, provocando per gli uni la rovina e per gli altri una nuova vita. Simeone aggiunge anche che Gesù sarà “segno di contraddizione”. Ciò vuole dire che la persona di Gesù creerà in Israele una accesa contestazione, di cui egli stesso sarà vittima, e costringerà ciascuno a mettere a nudo se stesso e a fare scelte che condizioneranno in modo determinante, non solo il suo destino personale ma anche quello di tutto il popolo.
A Maria Simeone dice anche : a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori”. Queste parole indicano che la lacerazione prodotta da Gesù avrà ripercussioni profonde anche su di lei come madre.

Dopo Simeone viene la profetessa Anna e Luca la presenta come una donna molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Anche Anna riconosce il Messia e ne parla a quei gruppi di persone che aspettavano la liberazione del loro popolo dai suoi nemici.
Luca non dice chi siano questi gruppi di persone, per lui è importante sottolineare come siano stati due, non solo un uomo ma anche una donna, i testimoni che, in rispetto alla prescrizione della legge (Dt 19,15), hanno attestato la venuta della salvezza.

Luca, coglie sempre l’occasione per presentare figure femminili, e anche questa volta si compiace di ricordare la breve testimonianza di Anna.
Il racconto termina con due versetti in cui si riporta che, dopo aver adempiuto la legge, la famiglia di Gesù è ritornata a Nazareth. Luca prende lo spunto da ciò per dire qualcosa circa la crescita di Gesù: “Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui”. La “sapienza”, radicale atteggiamento di apertura verso il prossimo, e la “grazia”, presenza viva e benefica di Dio, sono due lineamenti del ritratto “superiore” di Gesù, che ritroveremo nella scena successiva del tempio e dei dottori. Gesù Bambino è già la pienezza della maturità umana e religiosa e il centro dell’effusione piena dell’amore di Dio.

****
Gesù, Maria e Giuseppe

a voi, Santa Famiglia di Nazareth,
oggi, volgiamo lo sguardo con ammirazione e confidenza;
in voi contempliamola bellezza della comunione nell'amore vero;
a voi raccomandiamo tutte le nostre famiglie,
perché si rinnovino in esse le meraviglie della grazia.
Santa Famiglia di Nazareth,scuola attraente del santo Vangelo:
insegnaci a imitare le tue virtù con una saggia disciplina spirituale,
donaci lo sguardo limpido che sa riconoscere l'opera della Provvidenza
nelle realtà quotidiane della vita.
Santa Famiglia di Nazareth, custode fedele del mistero della salvezza:
fa' rinascere in noi la stima del silenzio,
rendi le nostre famiglie cenacoli di preghiera e trasformale in piccole Chiese domestiche,
rinnova il desiderio della santità, sostieni la nobile fatica del lavoro, dell'educazione,
dell'ascolto, della reciproca comprensione e del perdono.
Santa Famiglia di Nazareth, ridesta nella nostra società la consapevolezza
del carattere sacro e inviolabile della famiglia, bene inestimabile e insostituibile.
Ogni famiglia sia dimora accogliente di bontà e di pace
per i bambini e per gli anziani, per chi è malato e solo,
per chi è povero e bisognoso.
Gesù, Maria e Giuseppe
voi con fiducia preghiamo, a voi con gioia ci affidiamo.

Preghiera di Papa Francesco per il Sinodo sulla Famiglia (27 ottobre 2013)

In questa prima domenica dopo Natale, mentre siamo ancora immersi nel clima gioioso della festa, la Chiesa ci invita a contemplare la Santa Famiglia di Nazareth. Il Vangelo oggi ci presenta la Madonna e san Giuseppe nel momento in cui, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, si recano al tempio di Gerusalemme. Lo fanno in religiosa obbedienza alla Legge di Mosè, che prescrive di offrire al Signore il primogenito.
Possiamo immaginare questa piccola famigliola, in mezzo a tanta gente, nei grandi cortili del tempio. Non risalta all’occhio, non si distingue … Eppure non passa inosservata! Due anziani, Simeone e Anna, mossi dallo Spirito Santo, si avvicinano e si mettono a lodare Dio per quel Bambino, nel quale riconoscono il Messia, luce delle genti e salvezza d’Israele.
È un momento semplice ma ricco di profezia: l’incontro tra due giovani sposi pieni di gioia e di fede per le grazie del Signore; e due anziani anch’essi pieni di gioia e di fede per l’azione dello Spirito. Chi li fa incontrare? Gesù. Gesù li fa incontrare: i giovani e gli anziani. Gesù è Colui che avvicina le generazioni. E’ la fonte di quell’amore che unisce le famiglie e le persone, vincendo ogni diffidenza, ogni isolamento, ogni lontananza. Questo ci fa pensare anche ai nonni: quanto è importante la loro presenza, la presenza dei nonni! Quanto è prezioso il loro ruolo nelle famiglie e nella società! Il buon rapporto tra i giovani e gli anziani è decisivo per il cammino della comunità civile ed ecclesiale. …
Il messaggio che proviene dalla Santa Famiglia è anzitutto un messaggio di fede. Nella vita familiare di Maria e Giuseppe Dio è veramente al centro, e lo è nella Persona di Gesù. Per questo la Famiglia di Nazareth è santa. Perché? Perché è centrata su Gesù.

Quando genitori e figli respirano insieme questo clima di fede, possiedono un’energia che permette loro di affrontare prove anche difficili, come mostra l’esperienza della Santa Famiglia, ad esempio nell’evento drammatico della fuga in Egitto: una dura prova.
Il Bambino Gesù con sua Madre Maria e con san Giuseppe sono un’icona familiare semplice ma tanto luminosa. La luce che essa irradia è luce di misericordia e di salvezza per il mondo intero, luce di verità per ogni uomo, per la famiglia umana e per le singole famiglie. Questa luce che viene dalla Santa Famiglia ci incoraggia ad offrire calore umano in quelle situazioni familiari in cui, per vari motivi, manca la pace, manca l’armonia, manca il perdono. La nostra concreta solidarietà non venga meno specialmente nei confronti delle famiglie che stanno vivendo situazioni più difficili per le malattie, la mancanza di lavoro, le discriminazioni, la necessità di emigrare…
Affidiamo a Maria, Regina e madre della famiglia, tutte le famiglie del mondo, affinché possano vivere nella fede, nella concordia, nell’aiuto reciproco, e per questo invoco su di esse la materna protezione di Colei che fu madre e figlia del suo Figlio.
Papa Francesco
Parte dell’Angelus del 28 dicembre 2014

 

1. Lunedì, il primo giorno dell'anno celebriamo la Solennità della Maria Santissima Madre di Dio, e giornata mondiale della Pace.
2. Sabato prossimo, 6 Gennaio accade la festa dell'Epifania del Signore. Le Sante Messe saranno celebrate come nella domenica. Solo la prima Messa inizierà 10 minuti prima, cioè alle ore 8,20. Dopo questa Santa Messa il quadro della Santa Famiglia partirà per il corteo della Epifania alla Piazza San Pietro e dopo ritornerà al suo posto nella nostra chiesa. Incoraggiamo le famiglie con i bambini di partecipare in questo evento folcloristico e familiare, del quale vi abbiamo già informato con volantini sul titolo Viva la Befana.

Venerdì, 29 Dicembre 2017 17:58

Messaggio

Messaggio di Maria a La Salette

Introduzione al Messaggio della Ss.ma Vergine a La Salette (19 settembre 1846) :

La Ss.ma Vergine apparve alla vigilia della Festa dell'Addolorata nelle prime ore del pomeriggio a due fanciulli nativi di Corps (Grenoble) sulle Alpi francesi a 1.800 m. di altezza a La Salette, luogo di singolare bellezza.
La Vergine apparve piangente e splendente di luce che proveniva da un Crocifisso che porta sul petto. Ai lati del Crocifisso appare l'immagine di un martello e di una tenaglia.
Il Messaggio che segue fu rivolto tramite i due pastorelli al popolo di allora, ma leggendolo si nota che è quanto mai attuale e urgente per i nostri giorni e per la nostra società che ha perso il senso della sacralità di Dio!

«Avvicinatevi, figli miei, non abbiate paura:
sono qui per annunciarvi un grande messaggio».

ll primato di Dio e il suo Popolo
«Se il mio popolo non vuole sottomettersi,
sono costretta a lasciare libero il braccio di mio Figlio.
Esso è così forte e così pesante che non posso più sostenerlo».

Maria, madre di compassione
«Da quanto tempo soffro per voi!
Poiché voglio che mio Figlio non vi abbandoni,
ho ricevuto l'incarico di pregarlo di continuo;
ma voi non ci fate caso.
Per quanto pregherete e farete,
mai potrete compensare la pena che mi sono presa per voi».

Il giorno del Signore
«Vi ho dato sei giorni per lavorare,
mi sono riservato il settimo
e non me lo volete concedere.
È questo che appesantisce tanto il braccio di mio Figlio».

Lode al nome del Signore
«Anche i carrettieri non sanno che bestemmiare il nome di mio Figlio.
Queste sono le due cose che appesantiscono il braccio di mio Figlio».

I segni dei tempi
e le nostre responsabilità quotidiane
«Se il raccolto si guasta, la colpa è vostra.
Ve l'ho fatto vedere l'anno passato con le patate:
voi non ci avete fatto caso.
Anzi, quando ne trovavate di guaste, bestemmiavate il nome di mio Figlio.
Esse continueranno a marcire
e quest'anno, a Natale, non ve ne saranno più.
Se avete del grano, non seminatelo.
Quello seminato sarà mangiato dagli insetti
e quello che maturerà cadrà in polvere,
al momento della battitura.
Sopraggiungerà una grande carestia.
Prima di essa i bambini al di sotto dei sette anni saranno colpiti da convulsioni
e moriranno tra le braccia di coloro che li terranno.
Gli altri faranno penitenza con la carestia.
Le noci si guasteranno e l’uva marcirà».

Conversione e riconciliazione
«Se si convertono, le pietre e le rocce diverranno mucchi di grano
e le patate nasceranno da sole nei campi».

Eucarestia domenicale e preghiera quotidiana
"Fale la vostra preghiera, figli miei?"
-Non molto, Signora - rispondono entrambi.
"Figli miei, bisogna proprio farla, sera e mattino.
Quando non avete tempo dite almeno un Pater e un’Ave.
Quando potrete fare meglio, ditene di più.
D’estate, a Messa vanno solo alcune donne anziane.
Gli altri lavorano di domenica, tutta l’estate.
D’inverno, quando non sanno che fare, vanno a Messa,
ma solo per burlarsi della Religione.
ln Quaresima vanno in macelleria come i cani".

Presenza e provvidenza di Dio
"Avete mai visto del grano guasto, figli miei?”
-No, Signora - rispondono.
Ma tu, figlio mio, certamente una volta lo hai visto con tuo padre, nel campo del Coin.
II padrone del campo disse a tuo padre di andare a vedere il suo grano guasto.
Ci andaste tutti e due, prendeste in mano due o tre spighe, le stropicciaste e tutto cadde in polvere.
AI ritorno, quando eravate a mezz’ora da Corps,
tuo padre ti diede un pezzo di pane dicendoti:
-.Prendi, figlio mio, mangia ancora del pane per quest'anno,
perché non so chi ne mangerà l’anno prossimo,
se il grano continua in questo modo».
- Oh sì, Signora - risponde Massimino - ora lo ricordo. Prima
non me lo ricordavo.

Testimonianza e impegno missionario
«Ebbene, figli miei, lo farete conoscere a tutto il mio popolo.
Andiamo, figli miei,
fatelo conoscere a tutto il mio popolo».

 

Domenica, 24 Dicembre 2017 12:41

I Presepi preparati dai bambini

Ecco, possiamo presentare 8 presepi portati in chiesa dai bambini.

 

Siamo ormai arrivati alla IV Domenica di Avvento, l'ultima prima del Santo Natale. Le letture che la liturgia ci fa meditare ci aiutano a comprendere meglio il senso della festa del Natale: non siamo più soli dopo che il Figlio di Dio, assumendo la nostra natura umana, ha posto la Sua tenda in mezzo a noi.

Nella prima lettura, tratta dal secondo libro di Samuele, vediamo come al desiderio di Davide di costruire un tempio, il Signore mediante il profeta Natan, risponde che sarà Lui stesso, il Signore, a costruire la sua casa, e la costruisce con pietre vive. Questa promessa si realizzerà con la nascita del Messia, dalla discendenza di Davide.

Nella seconda lettura, nella sua lettera ai Romani, l’apostolo Paolo fa una lode a Dio, che ha finalmente rivelato il mistero di Gesù Cristo. Mistero per secoli e millenni rimasto avvolto nel silenzio, ma ora “manifestato mediante le scritture dei profeti”. Ciò che la prima lettura e il vangelo di oggi presentano in forma narrativa, diventano preghiera in questo scritto di Paolo

Nel Vangelo di Luca, che già abbiamo sentito proclamare nella solennità dell’Immacolata Concezione, l’angelo Gabriele rivela che il Messia atteso non sarà chiamato semplicemente figlio di Davide, ma Figlio di Dio e il suo regno non avrà mai fine, perchè non avrà i confini dei regni umani, ma attuerà la signoria di Dio su ogni realtà. Maria con il suo sì diventa la nuova Gerusalemme, al cui interno non c’è più un tempio di pietra, come era quello di Salomone, ma il tempio perfetto della carne di Cristo, Nel grembo di Maria si rivela in pienezza la presenza di Dio attraverso il Figlio. Su di lei, perciò “si stende l’ombra dell’Altissimo”. In Maria c’è Colui che è veramente rifugio, riparo e fortezza per l’intera umanità

Dal secondo libro di Samuèle.
Il re Davide, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato riposo da tutti i suoi nemici all’intorno, disse al profeta Natan: «Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda». Natan rispose al re: «Va’, fa’ quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te».
Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: «Va’ e di’ al mio servo Davide: “Così dice il Signore: Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele. Sono stato con te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. Fisserò un luogo per Israele, mio popolo, e ve lo pianterò perché vi abiti e non tremi più e i malfattori non lo opprimano come in passato e come dal giorno in cui avevo stabilito dei giudici sul mio popolo Israele. Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici. Il Signore ti annuncia che farà a te una casa.

Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”».
2Sam 7,1-5, 8b-11, 16
I due Libri di Samuele costituiscono, con i successivi due libri dei Re, un'opera continua ed hanno lo scopo di tratteggiare la vicenda storica del popolo di Israele dalla fine dell'epoca dei Giudici fino alla fine della monarchia con l'invasione babilonese di Nabucodonosor: un arco di tempo di circa sei secoli. La redazione definitiva dell’intera opera risale al VI secolo a.C.

Il nome "Libri di Samuele" deriva dal fatto che un'opinione talmudica tardiva ne attribuiva la compilazione al profeta Samuele, il quale però occupa un ruolo di primo piano solo nei primi 15 capitoli del primo libro.
Il secondo libro di Samuele è dominato interamente dalla grandiosa figura del re Davide, nella sua grandezza di sovrano e di guerriero così come nelle sue miserie di uomo. Esso abbraccia un arco di tempo pari a quello dell'intero regno di Davide sulle dodici tribù, che tradizionalmente va dal 1010 fino al 970 a.C..In tutto comprende 24 capitoli, in cui si raccontano le vicende del re Davide, a partire dalla sua ascesa al trono fino alla morte.
In questo brano, uno dei fondamentali nell'Antico Testamento, vediamo che Davide, giunto all’apice del suo potere, quando ormai sono terminate le sue imprese militari, si rivolge al profeta Natan con queste parole: “Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda”.
La sua idea probabilmente non aveva solo motivazioni religiose ma anche politiche: costruendo un grande santuario in onore al Dio di Israele avrebbe reso più legittimo il suo regno e la sua dinastia.

Davide poteva essere visto dal popolo come un usurpatore del trono che apparteneva a Saul e alla sua famiglia: è naturale quindi che abbia cercato una legalizzazione del suo regno e della sua dinastia non solo portando a Gerusalemme l’arca dell’alleanza, ma anche costruendo un grande santuario in onore del Dio di Israele.
Natan in un primo momento approva il progetto di Davide, ma subito dopo, in seguito a una visione, ritorna da lui per comunicargli quanto il Signore gli aveva detto. Per prima cosa che Dio non ha bisogno di un santuario in muratura perchè Egli ha camminato accanto al suo popolo e lo ha guidato abitando in una tenda, senza mai pretendere la costruzione di un tempio. Il Signore Dio infatti non può essere rinchiuso in un edificio materiale, Egli che accompagna il suo popolo e si manifesta compiendo in suo favore imprese straordinarie.
Poi fa osservare a Davide che è stato Dio stesso a sceglierlo per questo lo ha protetto e ancora lo proteggerà, rendendolo grande e potente. Il Signore prosegue poi assicurando che darà un luogo stabile a Israele perché vi risieda e non sia più oppresso dai suoi nemici come all’epoca dei giudici. Davide quindi non ha bisogno di cercare un espediente per legittimare la sua regalità: Dio è totalmente dalla sua parte e di tutto il popolo che governa.

Il Signore, per bocca del profeta poi soggiunge:
“Il Signore ti annuncia che farà a te una casa. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno”.
Giocando sul duplice significato del termine ebraico “bajît” (casa e casato), proprio nel momento in cui rifiuta la costruzione di una casa in proprio onore, Dio gli promette di dargli Lui stesso una casa, cioè una discendenza. Dio dunque conferisce a Davide e alla sua dinastia quella continuità che egli avrebbe voluto garantirsi costruendo un tempio al Signore.
Poi prevede l’immediato successore di Davide, Salomone. Sarà lui a costruire per il Signore quella casa che a Davide non è stato consentito di edificare. Queste parole, in contrasto con quanto detto precedentemente, che attribuiscono a Dio il desiderio di avere un tempio, sono probabilmente un’aggiunta successiva,fatta al tempo del regno di Salomone, allo scopo di legittimare la costruzione del tempio.
Il Signore prosegue : ”Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”.
Infine Dio assicura a Davide che punirà i re colpevoli ma non li ripudierà come aveva fatto con Saul, rimuovendolo dal trono e conclude:”La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”.

Con questa ripetizione la volontà di Dio viene confermata in modo irrevocabile.
Purtroppo la storia dei regni di Giuda e di Israele dovrà registrare molte infedeltà proprio da parte dei re, che porterà le due nazioni israelitiche alla rovina e poi alla scomparsa della stessa dinastia davidica (2Re 17,7-23). Nasce così l’attesa di un re, discendente di Davide, chiamato “Messia” che alla fine dei tempi dovrà portare la salvezza al suo popolo e a tutta l’umanità.
Il Signore più che essere inquadrato nello spazio sacro di un tempio, edificato anche in concorrenza con i santuari pagani delle altre nazioni, ama essere presente nella realtà più vicina all’uomo, cioè il tempo, la storia. Espressa nella dinastia davidica dalla quale sarebbe fiorito il Messia. Alla casa materiale che Davide voleva progettare per il suo Dio si sostituisce la casa fatta di pietre vive, cioè di persone, che lo “adoreranno in spirito e verità” (v. Gv 4,23 ) .

Salmo 88 Canterò per sempre l’amore del Signore.
Canterò in eterno l’amore del Signore,
di generazione in generazione
farò conoscere con la mia bocca la tua fedeltà,
perché ho detto: «È un amore edificato per sempre;
nel cielo rendi stabile la tua fedeltà».

«Ho stretto un’alleanza con il mio eletto,
ho giurato a Davide, mio servo.
Stabilirò per sempre la tua discendenza,
di generazione in generazione edificherò il tuo trono».

Egli mi invocherà: “Tu sei mio padre,
mio Dio e roccia della mia salvezza”.
Gli conserverò sempre il mio amore,
la mia alleanza gli sarà fedele».

Il salmo probabilmente è il frutto di più autori, tuttavia non va affatto smembrato, poiché rivela una “unità orante”. Il salmo cosi come si presenta pone come autore un re vilipeso, che va ricercato in Ioacaz (2Re 23,33-34). Il fatto che il salmo presenti una totalità di mura abbattute e di fortezze diroccate, impone di pensare ad una sequenza di rovesci militari subiti da Israele, certamente dalle armate assire ed Egiziane (2Re 18,13, 23,33).
Il salmo esordisce facendo memoria delle promesse di Dio a Davide e alla sua discendenza (2Sam 7,8s), prosegue poi inneggiando alla potenza di Dio, quindi, con estensione, ritorna sulle promesse fatte a Davide; infine manifesta lo sconcerto di fronte alla catastrofe che si è abbattuta su Israele nonostante tutte le promesse di stabilità riguardanti la discendenza di Davide.

Il salmista sottolinea lo scarto infinito tra Dio e gli dei concepiti dai pagani: “Chi sulle nubi è uguale al Signore”; come pure sottolinea la distanza infinita tra lui e la sua corte celeste: “Chi è simile al Signore tra i figli degli dei?”. Non manca poi il salmista di affermare l'unicità di Dio: “Tuoi sono i cieli, tua è la terra, tu hai fondato il mondo e quanto contiene”. D'obbligo poi la menzione della vittoria di Dio su Raab (nome di un mostro mitico personificante il caos primordiale), cioè sull'Egitto: “Tu hai ferito e calpestato Raab”. Il “consacrato”, cioè il re, è stato ripudiato da Dio: “Ti sei adirato contro il tuo consacrato; hai infranto l'alleanza con il tuo servo, hai profanato nel fango la sua corona”. Egli è ricoperto di ingiurie mentre dal faraone Necao, suo vincitore, è condotto prima a Ribla e poi in Egitto: “I tuoi nemici insultano, insultano i passi del tuo consacrato”.

Il re, che ha visto le mura della reggia abbattute, come pure le sue fortezze, è nella più acuta sofferenza e domanda a Dio fin quando tutto questo continuerà: “Fino a quando, Signore, ti terrai nascosto: per sempre? Arderà come fuoco la tua collera?”. Afflitto, chiede a Dio di ricordarsi che la sua vita è breve e che forse non potrà vedere neppure giorni di pace, e lo interroga sul perché ha creato l'uomo, visto che a volte sembra che non ci sia disegno di pace per lui: “invano forse hai creato ogni uomo?”. L'uomo è ben poca cosa, eppure Dio dispone che debba sopportare lungamente pene e disagi prima di ridargli giorni di pace e di gioia. Al salmista pare che Dio abbia delle lentezze nell'intervenire, visto anche che i tempi di Dio sorpassano spesso i brevi anni di un uomo: “Chi è l'uomo che vive e non vede la morte? Chi potrà sfuggire alla mano degli inferi?".
Ma certo il salmista non rimane fermo a questo - le lentezze di Dio, infatti, sono unicamente causate dalle lentezze degli uomini nel ritornare a lui -, poiché conclude il suo salmo benedicendo Dio: “Benedetto il Signore in eterno. Amen, amen”.
Commento di P.Paolo Berti

Dalla lettera di S.Paolo Apostolo ai Romani
Fratelli, a colui che ha il potere di confermarvi
nel mio vangelo, che annuncia Gesù Cristo,
secondo la rivelazione del mistero,
avvolto nel silenzio per secoli eterni,
ma ora manifestato mediante le scritture dei Profeti,
per ordine dell’eterno Dio,
annunciato a tutte le genti
perché giungano all’obbedienza della fede,
a Dio, che solo è sapiente,
per mezzo di Gesù Cristo,
la gloria nei secoli. Amen.
Rm 16,25-27
San Paolo scrisse la lettera ai Romani da Corinto probabilmente tra gli anni 58-59. La comunità dei cristiani di Roma era già ben formata e coordinata, ma lui ancora non la conosceva. Forse il primo annuncio fu portato a Roma da quei “Giudei di Roma”, presenti a Gerusalemme nel giorno della Pentecoste e che accolsero il messaggio di Pietro e il Battesimo da lui amministrato, diventando cristiani. Nacque subito la necessità di avere a Roma dei presbiteri e questi non poterono che essere nominati a Gerusalemme. La Lettera ai Romani, che è uno dei testi più alti e più impegnativi degli scritti di Paolo, ed è la più lunga e più importante come contenuto teologico, è composta da 16 capitoli: i primi 11 contengono insegnamenti sull'importanza della fede in Gesù per la salvezza, contrapposta alla vanità delle opere della Legge; il seguito è composto da esortazioni morali. Paolo, in particolare, fornisce indicazioni di comportamento per i cristiani all'interno e all'esterno della loro comunità

Questo brano, con cui la lettera si conclude, è un canto di lode rivolto a Dio e ripercorre le motivazioni fondamentali dell'intervento di Dio nella storia dell'umanità. In particolare si riferisce al "mistero" divino, colto nella sua struttura di realtà prima nascosta e poi svelata.
“a colui che ha il potere di confermarvi nel mio vangelo, che annuncia Gesù Cristo,
secondo la rivelazione del mistero,avvolto nel silenzio per secoli eterni”
Dio è colui che può rendere sempre più forti i credenti, e lo ha fatto attraverso il Vangelo predicato da Paolo: è quindi attraverso la predicazione che si cresce e ci si rafforza nella fede. Ma questa buona notizia (Vangelo) altro non è che l'annuncio, la proclamazione di una persona, Gesù Cristo, con i Suoi gesti, le Sue parole, la Sua morte e la Sua risurrezione. Questa buona notizia e questo annuncio però erano un mistero, una realtà profonda che è rimasta nascosta per lunghissimi anni. Dopo questo lungo tempo però è stata rivelata.
“ma ora manifestato mediante le scritture dei Profeti,per ordine dell’eterno Dio,
annunciato a tutte le genti perché giungano all’obbedienza della fede”
Tale manifestazione è avvenuta attraverso le scritture dei profeti, che avevano anticipato il mistero divino nascosto e non ancora del tutto rivelato. Questi profeti hanno agito per volere di Dio, il quale voleva ottenere la fede di tutte le genti. É una fede che si manifesta necessariamente attraverso l'obbedienza: solo chi ha fede, chi si poggia su Dio, è capace di essere obbediente e di compiere la Sua volontà.
“a Dio, che solo è sapiente,per mezzo di Gesù Cristo,la gloria nei secoli. Amen”
Con queste parole l’Apostolo conclude l canto di lode, la glorificazione di Dio, per questo splendido disegno di comunione e di salvezza.
Il brano è una stupenda lode liturgica che arriva a Dio per mezzo di Gesù Cristo, Colui per mezzo del quale la Parola si è pienamente rivelata.

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.
Lc 1, 26-38

Il nostro cammino di Avvento termina con la narrazione dell'annuncio a Maria. L’evangelista Marco, che ci accompagna in quest’anno liturgico, non dedica nemmeno una riga alle vicende legate all'incarnazione e alla nascita di Gesù, quindi la Liturgia per accompagnare in modo coerente l'itinerario dell'Avvento, si può dire che“prende in prestito” una pagina dal vangelo di Luca.

L’evangelista “della tenerezza”, inizia così il suo racconto:“l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.”
L’angelo Gabriele, il cui nome derivante dall’ebraico significa “la forza di Dio” “Dio è forte”, viene mandato da Dio a Nazareth, che era in realtà un piccolo villaggio rurale della Galilea, ad una vergine , e al tempo stesso promessa sposa. Nell’ambiente di allora, e soprattutto in Galilea, una ragazza di poco più di dodici anni poteva essere già data in sposa, ma rimaneva per un certo tempo nella casa paterna, prima che il marito la portasse a vivere in casa sua. Non sorprende quindi che Maria sia designata contemporaneamente come promessa sposa e vergine. Del suo fidanzato (sposo) si dice semplicemente che portava il nome di Giuseppe, nome di uno dei grandi patriarchi di Israele, e che apparteneva alla casa di Davide, alla quale erano state fatte le grandi promesse messianiche,
L’angelo apparendo a Maria si rivolge a lei con l’usuale saluto greco: kaire, vale a dire “Rallègrati” e aggiunge un elogio inusuale, unico “piena di grazia: il Signore è con te”. Maria è dunque la donna “ricolma del favore di Dio”!

Questa espressione riguarda non tanto il momento del suo concepimento, ma il momento attuale, in cui Dio le conferisce una missione che fa di lei la Sua collaboratrice nella grande opera della redenzione. Il saluto dell’angelo esprime quindi la gioia messianica che esplode nei tempi nuovi che stanno ora iniziando, ma Maria è prima di tutto la figlia di Sion, la degna rappresentante del popolo eletto, che porta in sé il Messia.

Le parole che le sono rivolte la turbano, ma l’angelo la invita a non temere, dicendole:“hai trovato grazia presso Dio”, cioè Maria ha ottenuto il Suo favore perchè Dio vuole stabilire un rapporto particolare con lei per assegnarle un compito speciale nel Suo progetto di salvezza.
L’angelo glielo presenta con queste parole: “Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”.
Queste parole alludono all’oracolo di Isaia (7,14): Maria è dunque la vergine di cui parla il profeta e suo figlio non sarà un semplice discendente della casa davidica, ma il Messia atteso per gli ultimi tempi. In sintonia con il testo ebraico dell’oracolo e in forza del ruolo di madre che le è assegnato, sarà lei che gli darà il nome.
Si tratta però non di un nome qualsiasi, ma di un nome deciso da Dio, nel quale è indicata la missione futura del bambino (Gesù = JHWH salva).

A differenza di Giovanni, il quale “sarà grande davanti al Signore”, egli sarà grande in senso assoluto, perchè sarà chiamato “figlio dell’Altissimo”. A lui infatti Dio conferirà il trono di suo padre Davide (V.2Sam 7,12), ma non si tratterà di un regno limitato nel tempo e nello spazio, bensì di un regno che durerà in eterno. Mentre Giovanni Battista sarà il profeta degli ultimi tempi e il precursore del Messia, il figlio di Maria sarà il Messia stesso, nel quale troverà il suo compimento definitivo il regno di Davide.
All’annunzio dell’angelo Maria risponde con una domanda: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo”. Letteralmente la domanda sembrerebbe simile in parte a quella di Zaccaria (“Come posso conoscere questo?”). Ma mentre Zaccaria chiedeva ulteriori garanzie, Maria chiede spiegazioni sulle modalità in cui si realizzerà, dal momento che “non conosce uomo”.

Alla domanda di Maria l’angelo risponde “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio”. Dopo aver rivelato che il nascituro sarà il Figlio dell’Altissimo, l’angelo spiega che questo appellativo è dovuto al fatto che lo Spirito santo interverrà in modo speciale nel momento stesso del suo concepimento.
Al termine del suo annunzio l’angelo rivela a Maria la gravidanza di Elisabetta, sua parente. Questo evento, tenuto gelosamente segreto dai diretti interessati, diventa il segno visibile che conferma l’autenticità della rivelazione dell’angelo. Esso infatti mostra nel modo più convincente che “nulla è impossibile a Dio”.
Alle parole dell’angelo Maria risponde: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. Maria si rende così disponibile al progetto di Dio e ne diventa partecipe fino in fondo. Ella apre così la via all’intervento dello Spirito santo e rende possibile la nascita straordinaria del Figlio di Dio.

Luca, primo tra gli evangelisti, legge il destino di Maria nella prospettiva del ruolo salvifico di Gesù, presentandola come la nuova Eva, madre del Messia e di quella umanità rigenerata che da Lui prende origine. Ella è paragonata al nuovo tempio, all’arca dell’alleanza, nella quale Dio risiede con la Sua potenza per trasformare tutte le cose. Con la sua disponibilità Maria diventa anche il modello del credente che si abbandona al suo Dio, mettendosi al seguito di Gesù e adeguandosi fino in fondo alla logica della croce.

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Oggi, quarta e ultima Domenica di Avvento, la liturgia vuole prepararci al Natale ormai alle porte invitandoci a meditare il racconto dell’annuncio dell’Angelo a Maria. L’arcangelo Gabriele rivela alla Vergine la volontà del Signore che lei diventi la madre del suo Figlio unigenito: «Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo». Fissiamo lo sguardo su questa semplice fanciulla di Nazareth, nel momento in cui si rende disponibile al messaggio divino con il suo “sì”; cogliamo due aspetti essenziali del suo atteggiamento, che è per noi modello di come prepararsi al Natale.
Anzitutto la sua fede, il suo atteggiamento di fede, che consiste nell’ascoltare la Parola di Dio per abbandonarsi a questa Parola con piena disponibilità di mente e di cuore. Rispondendo all’Angelo, Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola). Nel suo “eccomi” pieno di fede, Maria non sa per quali strade si dovrà avventurare, quali dolori dovrà patire, quali rischi affrontare. Ma è consapevole che è il Signore a chiedere e lei si fida totalmente di Lui, si abbandona al suo amore. Questa è la fede di Maria!

Un altro aspetto è la capacità della Madre di Cristo di riconoscere il tempo di Dio. Maria è colei che ha reso possibile l’incarnazione del Figlio di Dio, «la rivelazione del mistero, avvolto nel silenzio per secoli eterni» (Rm 16,25). Ha reso possibile l’incarnazione del Verbo grazie proprio al suo “sì” umile e coraggioso. Maria ci insegna a cogliere il momento favorevole in cui Gesù passa nella nostra vita e chiede una risposta pronta e generosa. E Gesù passa. Infatti, il mistero della nascita di Gesù a Betlemme, avvenuto storicamente più di duemila anni or sono, si attua, come evento spirituale, nell’“oggi” della Liturgia. Il Verbo, che trovò dimora nel grembo verginale di Maria, nella celebrazione del Natale viene a bussare nuovamente al cuore di ogni cristiano: passa e bussa. Ognuno di noi è chiamato a rispondere, come Maria, con un “sì” personale e sincero, mettendosi pienamente a disposizione di Dio e della sua misericordia, del suo amore.

Quante volte Gesù passa nella nostra vita, e quante volte ci manda un angelo, e quante volte non ce ne rendiamo conto, perché siamo tanto presi, immersi nei nostri pensieri, nei nostri affari e addirittura, in questi giorni, nei nostri preparativi del Natale, da non accorgerci di Lui che passa e bussa alla porta del nostro cuore, chiedendo accoglienza, chiedendo un “sì”, come quello di Maria. Un Santo diceva: “Ho timore che il Signore passi”. Sapete perché aveva timore? Timore di non accorgersi e lasciarlo passare. Quando noi sentiamo nel nostro cuore: “Vorrei essere più buono, più buona… Sono pentito di questo che ho fatto…”. E’ proprio il Signore che bussa. Ti fa sentire questo: la voglia di essere migliore, la voglia di rimanere più vicino agli altri, a Dio. Se tu senti questo, fermati. E’ il Signore lì! E vai alla preghiera, e forse alla confessione, a pulire un po’…: questo fa bene. Ma ricordati bene: se senti questa voglia di migliorare, è Lui che bussa: non lasciarlo passare!

Nel mistero del Natale, accanto a Maria c’è la silenziosa presenza di san Giuseppe, come viene raffigurata in ogni presepe – anche in quello che potete ammirare qui in Piazza San Pietro. L’esempio di Maria e di Giuseppe è per tutti noi un invito ad accogliere con totale apertura d’animo Gesù, che per amore si è fatto nostro fratello. Egli viene a portare al mondo il dono della pace: «Sulla terra pace agli uomini, che egli ama» come annunciarono in coro gli angeli ai pastori. Il dono prezioso del Natale è la pace, e Cristo è la nostra vera pace. E Cristo bussa ai nostri cuori per donarci la pace, la pace dell’anima. Apriamo le porte a Cristo!
Ci affidiamo all’intercessione della nostra Madre e di san Giuseppe, per vivere un Natale veramente cristiano, liberi da ogni mondanità, pronti ad accogliere il Salvatore, il Dio-con-noi.

Papa Francesco
Parte dell’Angelus del 21 dicembre 2014

 

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

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